Archivi giornalieri: 13 luglio 2023

Centri estivi e disabilità

Centri estivi e disabilità

Introduzione

E’ tempo di vacanze, e con la chiusura delle scuole per le famiglie arriva il momento di organizzarsi con la gestione dei figli mentre i genitori continuano a lavorare. Ecco dunque che, accanto allo smart working e al sostegno di nonni e famiglia, entrano in gioco strumenti quali summer school, campi studio e – soprattutto per i più piccoli – i centri estivi. L’utilizzo di questi ultimi in particolare è diventato negli ultimi anni una delle soluzioni più gettonate, ma cosa dire per le famiglie di bambini/e con disabilità? Facciamo un po’ di ordine cercando di capire cosa ci dice la normativa e come poterci tutelare.

I centri estivi: cosa sono?

I centri estivi sono strutture che accolgono bambini e ragazzi tendenzialmente dai 3 ai 13 anni, di solito a partire dalla fine dell’anno scolastico. La loro organizzazione varia a seconda dell’ente cui è proposta la loro costituzione e gestione, e dalla metodologia di organizzazione che lo stesso adotta di volta in volta, considerando che essi assolvono ad un duplice scopo: da un lato supportare i genitori che lavorano offrendo delle opportunità di gestione dei bimbi nel momento in cui loro sono già in vacanza, dall’altro garantire ai bambini degli spazi ricreativi e di svago che però siano al tempo stesso di socializzazione e apprendimento, proponendo loro attività ed esperienze di carattere ludico-ricreativo, sportivo, formativo, etc.

A seconda per altro di come è organizzato il centro, tali attività possono svolgersi in luoghi all’aperto o in strutture al chiuso, in ogni caso sotto la guida e la supervisione di educatori professionali.

Chi gestisce i centri estivi?

Non c’è una risposta univoca: le tipologie di soggetti che possono gestire un centro estivo sono svariate ed includono, a seconda del caso specifico, diversi soggetti sia pubblici sia privati, tra cui per esempio:

  • organizzazioni senza scopo di lucro;
  • enti pubblici;
  • associazioni sportive;
  • scuole;
  • parrocchie o enti religiosi; e/o
  • enti privati,

ed altri ancora.

Allo stesso modo, diversi possono essere i connessi costi e le modalità di partecipazione al centro estivo. Ciò che solitamente accade è che i centri richiedono alle famiglie che si iscrivono una quota di partecipazione per coprire i costi delle attività, del personale e dell’organizzazione generale. Le famiglie poi possono a loro volta usufruire di contributi da parte della propria Regione o del proprio Comune (es: appositi voucher o bonus), a seconda del luogo specifico in cui si trovano e delle disposizioni ivi adottate.

Quali sono le linee guida dei centri estivi in tema di disabilità e cosa è importante sapere?

Partiamo col dire che in Italia, ad oggi, non esiste una normativa specifica che regola le attività dei centri estivi a livello nazionale.

Le Linee Guida in epoca COVID

Le uniche indicazioni che sono state date a livello nazionale specificamente sui centri estivi derivano dalla normativa emanata in epoca Covid, ed in particolare dalle “Linee Guida per la gestione in sicurezza di attività educative non formali e informali, e ricreative, volte al benessere dei minori durante l’emergenza COVID-19”, allegate all’’ordinanza emanata in data 21 maggio 2021 dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro per le pari opportunità e la famiglia.

Tali Linee Guida, rivolte a soggetti sia pubblici che privati che offrono attività educative non formali e informali e/o ricreative volte al benessere dei minori, ivi espressamente incluse anche le attività svolte in centri estivi (cfr. lettera a) dell’Introduzione), ne disciplinavano l’organizzazione e il funzionamento nell’epoca pandemica, con una sezione (la 2.8) interamente dedicata alle attenzioni speciali che si debbono avere nel caso siano coinvolte persone con disabilità.

La Sezione 2.8 specifica che in questi casi, oltre al generico dovere di rivolgere particolari cure e attenzione alla definizione di modalità di attività e misure di sicurezza specifiche per coinvolgere tali bambini nelle attività ludico-ricreative, è necessario – laddove la situazione specifica lo richieda – che sia “… potenziata la dotazione di operatori, educatori o animatori nel gruppo dove viene accolto il bambino o l’adolescente, fino a portare eventualmente il rapporto numerico a un operatore, educatore o animatore per ogni bambino o adolescente inserito”. I commi successivi specificano inoltre che tali operatori, educatori e animatori devono essere adeguatamente formati e che in taluni casi è opportuno prevedere, se possibile, un educatore professionale o un mediatore culturale. I criteri di applicazione concreta di tali Linee Guida ministeriali in alcuni casi sono stati poi specificati con normative regionali o locali (es: Regione Piemonte o Emilia Romagna), mentre nella maggior parte dei casi tale specificazione non è avvenuta.

Seppur specificamente rivolte a regolare l’organizzazione dei centri estivi nella situazione pandemica, possiamo ragionevolmente ritenere che tali Linee Guida possano comunque dare un’indicazione di come ci si aspetta che il tema della disabilità venga gestito anche in situazioni ordinarie, considerando che esse contengono indicazioni non solo connesse alle specifiche problematiche del Covid bensì di portata più ampia.

La normativa nazionale applicabile in tema di disabilità.

Da un punto di vista invece prettamente normativo, restano comunque ferme le prescrizioni fornite a livello più ampio dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che è parte integrante del nostro ordinamento in virtù della sua ratifica operata con la Legge 18 del 2009, in particolar modo (ma non solo) in virtù di quanto disposto dall’art. 30 rubricato “Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport”, con cui si ribadisce sotto svariati punti di vista il dovere per gli Stati di adottare misure atte a garantire:

  • che i minori con disabilità possano partecipare, su base di uguaglianza con gli altri minori, alle attività ludiche, ricreative, agli svaghi ed allo sport, incluse le attività previste dal sistema scolastico; e
  • più in generale, che le persone con disabilità abbiano accesso sia ai luoghi che ospitano attività sportive, ricreative e turistiche, sia ai servizi forniti da coloro che sono impegnati nell’organizzazione di attività ricreative, turistiche, di tempo libero e sportive.

Allo stesso modo alcuni principi generali si possono rinvenire dalla Legge 104 del 1992, Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. Questa legge disciplina l’inclusione delle persone con disabilità in varie aree, riconoscendone diversi diritti dal campo scolastico a quello lavorativo, e stabilendo apposite misure per la loro inclusione sociale. Per quanto di nostro specifico interesse, in particolare, segnaliamo per esempio l’articolo 8, il quale elenca una serie di misure e interventi attraverso i quali realizzare concretamente l’“inserimento” e l’“integrazione sociale” delle persone con disabilità, tra cui “l’adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali” oppure “l’organizzazione di attività extra scolastiche per integrare ed estendere l’attività educativa in continuità ed in coerenza con l’azione della scuola”.

Non da ultimo, trovano certamente applicazione il principio di uguaglianza e gli altri principi costituzionali di inclusione e pari opportunità, nonché il divieto di discriminazione. Questo divieto implica infatti che nessun bambino o ragazzo con disabilità debba essere oggetto di discriminazione nell’accesso, nella partecipazione o nel trattamento in un determinato ambiente, che può estendersi anche a quello dei centri estivi, considerando che in linea di principio ogni individuo ha il diritto di godere appieno dei benefici delle attività ivi offerte, senza essere soggetto a pregiudizi o trattamenti ingiusti. A tutela, ci si può quindi appellare alla normativa antidiscriminatoria, ed in particolare la nozione di discriminazione diretta di cui all’art. 2 comma 2 della Legge 67del 2006, che occorre “quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga”.

E’ importante notare invece che, da un punto di vista giuridico, i centri estivi non sono assimilati né equiparati alle istituzioni scolastiche, con la conseguenza che ad essi pertanto non si applicano le normative specifiche in tema di inclusione e disabilità che vigono per le scuole. Ciò ovviamente fintanto che gli stessi non siano invece organizzati da un’istituzione scolastica, nel qual caso invece la situazione sarà diversa.

Le criticità riscontrate rispetto all’inclusione di bambini e ragazzi con disabilità.

Nonostante a tutti i bambini e ai ragazzi con disabilità dovrebbe essere garantito il diritto a frequentare i centri estivi «su base di uguaglianza con i loro coetanei», per lo meno sulla base di quanto disposto in generale dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e sui nostri principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione, si riscontrano invece molte criticità che le famiglie con bambini e ragazzi con disabilità sono costrette ad affrontare nell’accesso ai centri estivi.

Tra queste, segnaliamo le principali:

  • esclusione di bambini e ragazzi con disabilità dall’accesso al centro estivo: sono i casi in cui il centro estivo impedisce alla famiglia di iscrivere il proprio figlio con disabilità. Il rifiuto di accettare il bambino viene spesso giustificato con circostanze quali: la mancanza di risorse sufficienti, la struttura non adeguata, la mancanza di personale specializzato, etc;
  • richiesta di pagare costi superiori: sono i casi in cui invece il bambino o ragazzo viene accettato, ma alle famiglie viene chiesto, a giustificazione “dei bisogni assistenziali del proprio figlio”, di pagare una retta superiore;
  • frequenza ridotta: sono i casi in cui alle famiglie è consentito iscrivere il figlio al centro estivo, ma viene loro imposta una frequenza ridotta al centro stesso, sempre in virtù dei particolari “bisogni assistenziali” del proprio figlio; e/o
  • richiesta di pagare l’educatore / assistente in più per il figlio: in questi casi il centro estivo accetta il bambino o ragazzo con disabilità ma chiede alla famiglia di provvedere essa stessa a procurarsi un educatore o assistente che segua il ragazzo e lo affianchi durante le ore di centro estivo, e di pagarlo di tasca propria.

L’inclusione di bambini e ragazzi con disabilità nei centri estivi.

Come approcciarsi dunque ai tali casi? Che cosa è lecito aspettarsi dal centro estivo e cosa no? Siamo sempre in presenza di discriminazione, o ci sono delle situazioni in cui è possibile che un bambino con disabilità non venga incluso?

In assenza di apposita normativa che regoli la questione, non è sempre semplice capire come poter affrontare e gestire i casi di esclusione dei bambini e ragazzi con disabilità dai centri estivi, e cosa potersi aspettare o pretendere dagli stessi.

Viene in aiuto qualche considerazione generale, da un lato sui principi di inclusione che permeano il nostro ordinamento, e dall’altro sull’organizzazione e gestione dei centri estivi.

Come abbiamo visto, i centri estivi possono essere organizzati e gestiti da soggetti di vario tipo, sia pubblici che privati. Ciò che spesso accade nella pratica è che sono organizzati generalmente in compartecipazione del comune, ma vengono gestiti da associazioni o cooperative. In tale scenario, è quindi molto facile che il Comune sia in qualche modo sempre coinvolto; ogni qualvolta sia rinvenibile tale coinvolgimento, anche sotto forma di contributi, su di esso graverebbe l’obbligo di mettere a disposizione al bambino o ragazzo con disabilità che voglia frequentare un centro estivo un educatore o un assistente, anche quando tale centro sia gestito privatamente (soprattutto nei casi in cui potrebbe esserci un problema di vigilanza sull’alunno). Il monte ore cui si ha diritto può poi variare in base alle disposizioni date sia a livello regionale che a livello locale. Se ciò non dovesse avvenire, ci si può appellare alla normativa antidiscriminatoria, valutandone l’applicazione al caso specifico.

Se il Centro Estivo è privato, la situazione è certamente più complessa e meno chiara da un punto di vista normativo, fermo restando che è comunque diritto di ogni bambino poter frequentare i centri estivi, e che anche di fronte a soggetti privati non si potrebbe fare escludere un bambino solo a causa della sua disabilità; l’applicabilità della normativa antidiscriminatoria deve comunque essere valutata caso per caso a seconda delle circostanze specifiche. E’ ragionevole pensare che un centro estivo che venga progettato senza prevedere – di base – la partecipazione di bambini e ragazzi con disabilità, e quindi senza la presenza di personale dedicato anche alle loro esigenze oppure senza l’adozione di appositi accorgimenti / accomodamenti ragionevoli che ne garantiscano inclusione e accessibilità, sta comunque attuando una discriminazione.

Come tutelarsi? Qualche consiglio pratico.

Nel caso ci si trovi di fronte ad un caso di esclusione tra quelli sopra descritti, ci si può certamente rivolgere al Comune di riferimento, in quanto organizzatore dei centri estivi, ovvero al singolo Municipio se necessario, scrivendo una PEC in cui si evidenziano le difficoltà incontrate e si richiede all’ente di intervenire. La comunicazione può essere indirizzata anche ai servizi sociali del Comune, sia per i casi di esclusione che per l’erogazione di un pagamento oppure un rimborso eventualmente previsto per le ore in cui sarebbe necessario il supporto di un operatore / educatore in più per il bambino. Segnaliamo che, nell’interfacciarsi con il centro estivo, non limitarsi a colloqui orali con gli operatori ma cercare di avere una comunicazione con loro quanto più possibile per iscritto, meglio se con una PEC, e cercare di ottenere sempre risposte scritte dal Centro stesso. Laddove la situazione non si risolva, potete comunque rivolgervi alle associazioni di persone con disabilità e/o ad un avvocato, che possono fornire le informazioni e l’assistenza adeguati in base alla vostra situazione specifica.

Bonus centri estivi 2023.

Segnaliamo infine che non è escluso che gli Enti locali, Comuni e Regioni, abbiano messo a disposizione delle famiglie dei contributi appositamente per la frequenza dei centri estivi, di cui alcuni riservati a bambini e ragazzi con disabilità; consigliamo quindi di dare un’occhiata ai siti ufficiali del vostro Comune o Regione per saperne di più.

 

Approfondimento a cura del Centro Studi Giuridici HandyLex

 

CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY

CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY
 
di Francesco Casula
 
1. Angioy e il post scommiato. Con la cacciata del viceré e dei Piemontesi, il governo (in cui gli Stamenti si erano, giustamente, arrogati il diritto di interferire) fu assunto, dalla Reale Udienza, dominata da Giovanni Maria Angioy, e la difesa fu affidata alla milizia popolare del Sulis. Inizia in questo momento un periodo pieno di contraddizioni: da una parte ricco di speranze e progetti verso l’Autogoverno, dall’altra con un rovinoso prevalere di interessi e appettiti personali e di gruppo, con tradimenti e trasformismi, opportunismi e ambizioni. Fallita intanto la missione a Torino, facevano ritorno in patria il Sircana ed il Pitzolo. “In quest’ultimo, tuttavia, – scrive Natale Sanna – che pur con la sua lettera era stato (a quanto almeno si diceva) uno dei principali sobillatori della rivolta del 28 aprile, si notava uno strano cambiamento: biasimava la sommossa ed i suoi capi, proclamava doversi ristabilire l’ordine turbato dalla disubbidienza alle disposizioni reali, accusava aspramente Domenico Simon come uno dei principali responsabili del fallimento della missione”(1). La defezione del Pitzolo, passato ormai apertamente ai conservatori, provocò il rafforzamento dell’altra fazione, detta dei giacobini (termine forse improprio, ma allora di moda), capitanata da Cabras, Pintor, Sulis, Musso e, soprattutto, dall’Angioy. In questo ribollimento di odi e di fazioni, – scrive ancora Sanna – un inaspettato provvedimento del governo di Torino sembrò dar ragione a coloro che accusavano il Pitzolo di essersi lasciato corrompere da segrete promesse di impieghi e di prebende. Il nuovo ministro, conte Avogadro di Quaregna, nominò d’autorità, senza tener conto dell’antico sistema delle terne, i nuovi alti ufficiali: reggente la Reale Cancelleria l’avvocato Gavino Cocco, gover¬natore di Sassari il cavalier Santuccio, generale delle milizie il marchese Paliaccio della Planargía, notoriamente reazionario, ed infine sovrintendente del Regno il cavalier Pitzolo. Le proteste si levarono violentissime: si inficiavano di illegalità le nomine per non essersi tenuto conto dell’uso delle terne, si accusava di spergiuro il Pitzolo per non aver tenuto fede al giuramento fatto prima di partire per Torino, ma soprattutto si paventava lo spirito reazionario del Planargia che si vociferava, volesse restaurare l’antico ordine e reprimere duramente i capi della rivolta contro i Piemontesi del 24 Aprile. Si paventava inoltre che sia il Pitzolo che il Planargia riservassero solo a sé ai propri amici “reazionari” cariche, benefizi e impieghi escludendo rigorosamente i “democratici”. Non si può procedere nella narrazione senza chiedersi quali fossero gli obiettivi che il movimento popolare intendeva raggiungere cacciando via dall’isola i piemontesi e lo stesso viceré. Sull’insurrezione di Cagliari, sugli avvenimenti successivi e sul ruolo giocato da Giovanni Maria Angioy esiste infatti un dibattito storiografico, che, sin dall’inizio, con le opere del Manno e del Sulis, si è venuto fortemente intrecciando a motivazioni politiche che possono anche oggi influire su un corretto giudizio degli avvenimenti. I popolani di Cagliari, alle cui spalle agivano influenti personaggi di orientamento democratico e giacobineggiante, si propo¬nevano, come sembra ritenere il Manno, di rovesciare gli ordinamenti tradizionali e, seguendo l’esempio francese, approdare alla costituzione di una repubblica sarda? O, invece, e certo ugualmente rinnovando, sia pure con valenza politica ben diversa, riconquistare «privilegi tradizionali» progressivamente usurpati dai piemontesi, così da assicurare al regno un governo rispettoso degli interessi della popolazione locale? E, in questo quadro, quale la funzione di Giovanni Maria Angioy, certo la figura di maggior rilievo e prestigio del movimento complessivo? Quella di chi sin dall’inizio aveva chiaro che l’obiettivo era una Sardegna repubblicana e non più feudale e, in funzione del raggiungimento di questo obiettivo, regolava le mosse proprie e delle forze politiche che lo seguivano? O quella, invece, di chi adeguava la propria strategia all’incalzare degli avvenimenti e all’allargarsi della mobilitazione di massa, progressivamente mutandola, sino a esserne travolto anche per mancanza di un disegno strategico iniziale costruito in base a una valutazione attenta delle forze che sarebbe stato possibile mobilitare? Difficile rispondere a questi interrogativi. Occorrerà studiare in modo più approfondito quegli anni terribili e insieme fecondissimi: in cui saranno poste le premesse del riscatto e dell’Autonomia del popolo sardo. Certo è che ”i protagonisti di quelle vicende in realtà erano non tessitori di miserabili congiure o espressione di improvvide rivalità campanilistiche o, nella migliore delle ipotesi, ambiziosi riformatori sociali, ma gli interpreti di un disegno globale di rinnovamento politico e sociale della Sardegna, in accordo con lo spirito dei tempi…(2). E quel periodo della storia della Sardegna, non solo il triennio rivoluzionario ma l’intero decennio (1789-1799) “seppure si chiude con la sconfitta delle forze politiche e sociali che lottavano per una trasformazione profonda della società isolana ha tuttavia rappresentato il punto di riferimento per quanti successivamente hanno speso il loro impegno per liberare l’Isola dalla subalternità e dalla arretratezza”(3). Fra i protagonisti di tale disegno complessivo di riscatto politico, economico e sociale e di autonomia identitaria, emerge con forza e spicco la figura di Giovanni Maria Angioy. 1- segue Note bibliografiche 1. Domenico Alberto Azuni, Histoire géographique politique et naturelle de la Sardaigne, vol. II. Paris 1802. 2. Pietro Sisternes, Umilissima, confidenziale rassegnata dall’infrascritto alla Real Maestà di Maria Teresa d’Austria d’Este Regina di Sardegna in Archivio Storico Sardo, vol. XXI, pagina 92 e segue. 3. J. Francosi, Mimaut, Histoìre de la Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne considerée dans ses lois, sa topographie, ses productions et ses 7noeurs, voi. 11. Paris 1825.nti.

Reddito di cittadinanza: disciplina transitoria fino al 31 dicembre 2023

Reddito di cittadinanza: disciplina transitoria fino al 31 dicembre 2023

La disciplina transitoria per la fruizione del Reddito di cittadinanza fino al 31 dicembre 2023.

Pubblicazione: 13 luglio 2023

L’INPS con il messaggio 12 luglio 2023, n. 2632 illustra la disciplina transitoria per la fruizione del Reddito di cittadinanza, vigente fino al 31 dicembre 2023, e che dal 1° gennaio 2024 verrà sostituito dall’Assegno di inclusione (ADI) e dal Supporto per la formazione e il lavoro (SFL).

L’Assegno unico e universale (AUU), quindi, non sarà più erogato d’ufficio, come è avvenuto sinora, insieme al Reddito di cittadinanza.

I nuclei familiari che hanno diritto alla prestazione di Assegno unico e universale anche dopo la scadenza delle sette mensilità del Reddito di cittadinanza, dovranno presentare una domanda per il riconoscimento dell’assegno entro l’ultimo giorno del mese di competenza del Reddito di cittadinanza.

Anche i nuclei ai quali non si applica il limite di fruizione del Reddito di cittadinanza per le sette mensilità, dovranno presentare una domanda per il riconoscimento dell’AUU, qualora percepiscano la quota integrativa nell’importo del Reddito di cittadinanza, entro l’ultimo giorno del mese di competenza del Reddito di cittadinanza per percepire l’AUU con continuità a partire dal mese successivo alla cessazione dei pagamenti di Rdc.

Collegi universitari di merito a.a. 2023-2024: pubblicato il bando

Collegi universitari di merito a.a. 2023-2024: pubblicato il bando

Bando per l’assegnazione di posti in ospitalità residenziale presso strutture a gestione diretta INPS, CampusX e presso i Collegi riconosciuti dal MIUR.

Pubblicazione: 13 luglio 2023

È stato pubblicato il bando di concorso Collegi universitari di merito a.a. 2023-2024, per l’assegnazione di posti in ospitalità residenziale presso strutture a gestione diretta INPS, presso le strutture CampusX e presso i Collegi legalmente riconosciuti dal MIUR.

Il bando è rivolto agli studenti universitari figli, anche affidatari, o orfani di:

  • iscritti alla Gestione Unitaria delle prestazioni creditizie e sociali;
  • pensionati utenti della Gestione Dipendenti Pubblici;
  • iscritti alla Gestione Assistenza Magistrale;
  • iscritti alla Gestione Fondo ex IPOST.

Nel Bando sono presenti l’elenco dei collegi convenzionati. Per ognuno vengono indicati il numero dei posti residenziali messi a disposizione e i servizi garantiti.

La domanda va presentata esclusivamente in via telematica dalle 12 del 14 luglio e non oltre le 12 dell’11 agosto.

Reddito di cittadinanza 2023: riduzione della durata

 
 

Reddito di cittadinanza 2023: riduzione della durata

La nuova durata del Reddito di cittadinanza nel 2023 e la decadenza dal diritto all’erogazione del beneficio

Pubblicazione: 12 luglio 2023

La circolare INPS 12 luglio 2023, n. 61 illustra le modifiche apportate alla normativa che disciplina il Reddito di cittadinanza dalla legge di Bilancio 2023, la quale non interviene sui requisiti richiesti per beneficiare della misura ma ne riduce la durata.

In particolare, dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, ai sensi dell’articolo 1, comma 313, della legge n. 197/2022, la misura è riconosciuta ai beneficiari nel limite massimo di sette mensilità. Sono esclusi da tale previsione i nuclei familiari al cui interno vi siano persone con disabilità, minorenni o persone con almeno sessant’anni di età.

L’erogazione della prestazione, inoltre, non potrà proseguire oltre il 31 dicembre 2023 e si decade dal diritto al Reddito di cittadinanza dopo il rifiuto della prima offerta di lavoro congrua.

La circolare illustra nel dettaglio la casistica di fruibilità della prestazione, le modalità di determinazione del beneficio in base alla composizione del nucleo familiare e la condizione occupazionale ed economica del richiedente.

Domanda di NASpI: chiarimenti sul nuovo servizio

 
 

Domanda di NASpI: chiarimenti sul nuovo servizio

Il servizio di presentazione della domanda di NASpI semplifica l’inoltro della richiesta

Pubblicazione: 11 luglio 2023

Il messaggio 7 luglio 2023, n. 2570 fornisce chiarimenti in relazione al nuovo servizio di presentazione della domanda di NASpI. Il messaggio interviene anche alla luce di alcune segnalazioni in ordine alla difficoltà di perfezionare l’inoltro della domanda di NASpI da parte di utenti per i quali risulta l’iscrizione alla Gestione separata INPS. 

Il nuovo servizio si è evoluto ed effettua, in particolare, controlli automatici svolti in modalità sincrona sulla base dei dati disponibili per l’Istituto.

Nel momento della compilazione della domanda, il sistema rileva dagli archivi istituzionali, tra gli altri, i seguenti dati:

  • iscrizione ad Albi professionali e/o Ordini e Casse professionali;
  • iscrizione alle Gestioni autonome INPS dei lavoratori artigiani e degli esercenti attività commerciali;
  • titolarità di partita IVA;
  • iscrizione alla Gestione separata INPS.

2. Gli investimenti del Pnrr a favore delle persone vulnerabili

2. Gli investimenti del Pnrr a favore delle persone vulnerabili

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Nel Pnrr sono previsti investimenti dedicati al supporto delle persone più fragili e di chi se ne prende cura, sia in ambito familiare che in contesti più strutturati. Esiste una specifica componente dedicata a questo inserita all’interno della missione numero 5. Si tratta nello specifico della componente 2 denominata “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore”. All’interno di questa componente sono previsti svariati investimenti, tre in particolare sono espressamente dedicati alle persone più deboli.

1,45 miliardi € le risorse del Pnrr a sostegno delle persone vulnerabili.

In questo capitolo vedremo più nel dettaglio quali sono gli interventi previsti dalle varie misure. Successivamente ripercorreremo l’iter che ha portato alla selezione dei progetti da finanziare.

Le misure previste nella componente M5C2

Le misure della componente M5C2 di particolare interesse sono 3. Queste poi possono essere ulteriormente suddivise in sotto-misure che delimitano in maniera ancora più specifica la cornice degli investimenti. Entreremo maggiormente nel dettaglio nei prossimi capitoli.

Il primo investimento è denominato “Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non auto-sufficienti”. Si pone l’obiettivo di costruire nuove infrastrutture per i servizi sociali territoriali e potenziare quelle esistenti. Come vedremo più approfonditamente nella sezione dedicata, la maggior parte degli interventi prevede la prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani nelle case di cura (cioè la necessità di un ricovero nelle strutture a lungo termine), con particolare attenzione a quelli non autosufficienti.

Il Pnrr punta ad aiutare anziani, disabili e senza tetto.

Il secondo investimento che prenderemo in esame invece riguarda i “Percorsi di autonomia per le persone con disabilità“. Questo investimento mira ad abbattere qualsiasi barriera nell’accesso all’alloggio ma anche al mercato del lavoro. Si prevede inoltre un potenziamento dei servizi di assistenza sociale che saranno personalizzati e focalizzati sui bisogni specifici delle persone – in base alla loro disabilità – e delle loro famiglie.

L’ultima misura, denominata “Housing temporaneo e stazioni di posta“, è invece dedicata al supporto delle persone senza fissa dimora. L’obiettivo è aiutarle ad accedere a una sistemazione temporanea all’interno di appartamenti per piccoli gruppi o famiglie. A ciò inoltre si dovrebbero affiancare anche servizi volti a promuovere l’autonomia e l’integrazione sociale.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

Gli ambiti territoriali sociali

Prima di approfondire più nel dettaglio le singole misure e i progetti selezionati, un elemento interessante da analizzare riguarda i soggetti istituzionali che saranno coinvolti nella gestione delle risorse.

I tre investimenti che abbiamo passato in rassegna infatti sono di competenza del ministero del lavoro e delle politiche sociali che ricopre il ruolo di amministrazione titolare degli interventi. Il dicastero è quindi responsabile a livello nazionale (e nei confronti delle istituzioni europee) di assicurare la corretta assegnazione dei fondi oltre che di garantire il rispetto delle scadenze previste.

I comuni invece sono chiamati a ricoprire il ruolo di soggetti attuatori. Agli enti locali cioè è demandato il compito di ideare i progetti da sottoporre al ministero per richiedere il finanziamento. Una volta ottenuti i fondi, i comuni a loro volta dovranno bandire gare d’appalto per selezionare società, cooperative o altri enti, a seconda dei casi, a cui affidare la realizzazione degli interventi previsti.

Gli investimenti del Pnrr per le persone vulnerabili vedranno un coinvolgimento diretto degli Ats.

Una peculiarità che riguarda i tre interventi oggetto del report è che i comuni potranno svolgere la loro attività sia in forma singola sia associata all’interno degli ambiti territoriali sociali (Ats). Questi raggruppamenti di comuni sono stati istituiti dalla legge 328/2000 e rappresentano la sede principale della programmazione, concertazione e coordinamento a livello locale dei servizi sociali e delle altre prestazioni integrative.

In base alla norma citata spetta alle regioni definire il perimetro degli Ats tramite forme di concertazione con gli enti locali interessati. Ciò al fine di assicurare la più corretta ed efficace erogazione a livello locale dei servizi sociali. Data la loro funzione, il numero di Ats e la loro estensione possono variare di molto da regione a regione a seconda delle necessità. Non sorprende ad esempio che sia la Lombardia, la regione più popolosa del paese, a registrare il maggior numero di Ats (91), sempre secondo i dati del ministero del lavoro aggiornati a ottobre 2022. Segue la Campania al secondo posto (con 60 Ats) mentre al terzo troviamo la Sicilia (55). 

585 gli ambiti territoriali sociali in cui si divide il territorio nazionale.

Singolare da questo punto di vista il caso della provincia autonoma di Trento e della Valle d’Aosta, ultime nel confronto con le altre regioni con un solo Ats che raggruppa tutti i comuni dei rispettivi territori.

I fondi Pnrr per il sociale possono andare ad Ats ma anche a singoli comuni.

Alla luce di ciò, la scelta di affidare i fondi del Pnrr per il sociale alla gestione degli Ats appare quanto mai opportuna in quanto si tratta di enti a cui già adesso è affidata la gestione dei servizi sociali per conto dei comuni che ne fanno parte. Desta casomai qualche dubbio l’opportunità data ai comuni di presentare proposte per intercettare i fondi anche in forma singola.

Una possibile spiegazione, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, può essere ricondotta alle difficoltà incontrate nell’individuare abbastanza proposte per esaurire tutte le risorse stanziate. Probabilmente quindi la struttura ministeriale ha inteso semplificare il più possibile le procedure in modo da facilitare la presentazione di proposte da parte dei comuni interessati. Anche al di fuori dell’Ats.

L’iter per l’assegnazione delle risorse

Riuscire a ricostruire come i fondi del Pnrr in esame si distribuiscono sul territorio è tutt’altro che semplice. Originariamente infatti i progetti finanziati avrebbero dovuto essere 2.125 in totale. Di questi, 925 afferenti alla prima misura che abbiamo descritto nel precedente paragrafo (anziani non auto-sufficienti), 700 alla seconda (persone con disabilità) e 500 alla terza (persone senza fissa dimora). Tali progetti erano già stati suddivisi tra le varie regioni che avevano quindi determinati target da raggiungere per ogni misura. Obiettivi che però non sono stati raggiunti completamente.

Inizialmente l’avviso pubblico per la selezione dei progetti è stato pubblicato il 15 febbraio del 2022 e avrebbe dovuto concludersi il 31 marzo. I decreti direttoriali 98 e 117 del 2022 disponevano le prime graduatorie dei progetti ammissibili a finanziamento e di quelli idonei (ma non finanziati in questa prima fase). Dopo questo primo passaggio, i progetti selezionati e beneficiari dei fondi Pnrr erano 1.943 (il 91%).

I territori hanno avuto difficoltà nel presentare un numero di progetti sufficiente.

Un ulteriore elemento di complessità deriva dal fatto che l’iter, anche per le proposte ammesse a finanziamento, a questo punto non era ancora concluso. Infatti dopo questo primo passaggio, le amministrazioni selezionate dovevano caricare il progetto completo di tutti i documenti richiesti su un’apposita piattaforma gestionale denominata piattaforma multifondoIn alcuni casi però ciò non è avvenuto o per rinuncia o per decorrenza dei termini.

Dopo questo ulteriore passaggio, descritto nei decreti direttoriali 249 e 254 del 2022, si sono registrate in totale 42 defezioni. I progetti caricati sulla piattaforma e che a questo punto rimanevano come assegnatari dei fondi erano 1.896. La percentuale di raggiungimento dell’obiettivo era quindi dell’89,2% circa.

i decreti ministeriali necessari per completare la selezione dei progetti Pnrr in ambito di sostegno alle persone vulnerabili.

Le regioni in cui tutti i comuni e gli Ats beneficiari dei fondi avevano portato a compimento l’iter correttamente erano solo 5: AbruzzoMarcheMoliseUmbria e Valle d’Aosta a cui si aggiunge la provincia autonoma di Trento. Le aree più indietro invece erano Sicilia (78,5% di progetti inizialmente previsti caricati sulla piattaforma), Lombardia (78,1%) e Friuli Venezia Giulia (75,6%).

Anche se negli atti passati in rassegna non sono indicate le motivazioni che hanno portato a queste rinunce, non è difficile ipotizzare che queste possano essere dovute a difficoltà che sono state riscontrate spesso nella gestione dei progetti del Pnrr da parte degli enti locali. Tra cui: 

  • la mancanza di personale e di competenze adeguate;
  • la complessità delle procedure che il Pnrr richiede, anche ai fini del monitoraggio;
  • la necessità di assicurare tempi rapidi e certi per l’esecuzione dei progetti.

Per selezionare i progetti ancora mancanti il decreto direttoriale 276/2022 ha disposto la riapertura dei termini del bando solo per quelle regioni in cui non era stato ancora raggiunto il numero target di progetti da ammettere a finanziamento.

Questa fase si è conclusa a seguito della pubblicazione del decreto 320/2022. Con tale documento si è preso atto di altre rinunce e sono poi stati individuati ulteriori progetti ammissibili a finanziamento. Inoltre si è provveduto allo scorrimento delle graduatorie tra i progetti idonei ma che inizialmente non erano stati finanziati.

L’iter per la selezione dei progetti da finanziare è poi proseguito anche nel 2023. Con il decreto direttoriale 24 infatti il ministero ha preso atto di ulteriori rinunce. L’ultimo atto pubblicato invece è il Dd 158 che non solo recepisce ulteriori rinunce ma dispone anche lo scorrimento delle graduatorie e la riapertura dei termini per la presentazione di nuove proposte fino al 5 giugno

Al termine di questo lungo e complesso processo quindi possiamo concludere che i progetti finanziati definitivamente saranno in totale 2.036. Cioè 89 in meno rispetto a quelli inizialmente previsti. La regione che si distanzia di più dal target è la Lombardia (312 progetti selezionati a fronte dei 392 previsti complessivamente). Seguono la Sicilia (-16) e il Veneto (-13).

Da notare che ogni regione ha la propria peculiarità. E che in molti casi per compensare i progetti mancanti su uno degli investimenti si è scelto di finanziare, su un’altra delle 3 misure previste, un numero di interventi maggiore rispetto a quanto pianificato. La Campania ad esempio fa registrare 11 progetti in meno per quanto riguarda la misura 1.2 (percorsi di autonomia per le persone con disabilità). Ma rispettivamente 15 e 9 progetti finanziati in più nelle altre due voci.

Con la stessa logica, si è scelto di finanziare in alcune regioni più progetti rispetto a quanto inizialmente previsto. È interessante notare che tra le 9 regioni che si sono viste finanziare un numero maggiore di interventi, 6 sono del mezzogiorno. Fanno eccezione la Liguria (un solo progetto aggiuntivo), il Lazio (1) e le Marche (3). Possiamo pensare che sia dovuto all’intento di rispettare l’obbligo di legge sulla quota mezzogiorno. Cioè il vincolo di destinazione del 40% dei fondi di ciascuna misura del Pnrr a territori del sud.

Visto il quadro così complesso è indispensabile spingere l’analisi più nel dettaglio. Cosa che faremo nei prossimi capitoli.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Unslpash – Igor Rodrigues

 

1. Le misure di interesse per il terzo settore nella realizzazione del Pnrr

1. Le misure di interesse per il terzo settore nella realizzazione del Pnrr

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Il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenta un’opportunità importante per il rilancio del nostro paese dopo la crisi economica innescata dalla pandemia. Parliamo in totale di circa 191,5 miliardi di euro dedicati a investimenti in diversi settori. Di questo ammontare, la maggior parte (122,6 miliardi di euro) sono prestiti, che il nostro paese dovrà restituire nel tempo all’Ue. Mentre la restante parte (68,9 miliardi) sono sovvenzioni. Ciò in attesa di capire come si concluderanno le trattative attualmente in corso con Bruxelles per la revisione del piano.

Alle risorse europee si aggiungono inoltre 30,62 miliardi dalle casse dello stato italiano. Si tratta del fondo complementare, che serve sia a finanziare ulteriormente alcune misure del Pnrr, sia a realizzare nuovi interventi. A questi fondi poi se ne dovrebbero aggiungere altri provenienti dal piano energetico RepowerEu.

Buona parte di questi investimenti saranno utilizzati per interventi infrastrutturali, per la transizione ecologica, per la digitalizzazione e per lo sviluppo economico del paese. Molte di queste risorse saranno gestite direttamente da soggetti istituzionali, sia a livello nazionale (ministeri, aziende statali) che a livello locale (regioni, province, città metropolitane, comuni). Ma una quota consistente potrà essere attribuita anche a soggetti non istituzionali. Le imprese ovviamente, ma anche le realtà operanti nel mondo del terzo settore.

Il terzo settore può avere un ruolo importante nella gestione delle risorse Pnrr per gli interventi in ambito sociale.

Da questo punto di vista il Forum Nazionale Terzo Settore e Openpolis hanno individuato almeno 58 tra misure e sottomisure di interesse per il terzo settore. Tali interventi hanno un valore complessivo pari a circa 40,3 miliardi di euro. I settori di intervento sono molteplici: dall’ambiente alla cultura, dallo sport all’istruzione.

Non si deve dimenticare però che il Pnrr nasceva come sostegno agli stati nella ripresa dopo gli anni della pandemia. Un periodo che ha avuto pesanti ripercussioni a livello sociale, oltre che sanitario ed economico. Non potevano mancare quindi nel piano italiano interventi mirati a dare supporto alle persone più fragili che vivono nel nostro paese. In particolare gli anziani (specialmente quelli non autosufficienti), le persone con disabilità e i senza tetto e senza fissa dimora. Persone che rappresentano una fetta non trascurabile della popolazione e che hanno sofferto più di altri durante il Covid.

Il Pnrr per le persone più fragili

In questo report ci focalizzeremo sugli investimenti del Pnrr rivolti a questi soggetti particolarmente fragili. Parliamo di 3 misure per un valore complessivo di circa 1,45 miliardi. Interventi che saranno gestiti in larga misura da singoli comuni o dagli ambiti territoriali sociali (Ats, raggruppamenti di più comuni finalizzati all’erogazione di servizi socio-sanitari) per quanto riguarda la selezione dei progetti ma che potranno vedere un coinvolgimento diretto degli enti del terzo settore nella loro concreta realizzazione.

Tra gli investimenti infatti non si prevede solo la creazione di nuove strutture ma anche l’erogazione di servizi volti a migliorare la qualità della vita delle persone. Da questo punto di vista il ruolo del terzo settore, che ha già un’esperienza sul campo e conosce bene i territori in cui opera, può svolgere un ruolo fondamentale.

Come vedremo meglio nei prossimi capitoli, entro la fine del 2022 dovevano essere individuati tutti i progetti da realizzare e assegnate conseguentemente le relative risorse. Purtroppo questo obiettivo è stato raggiunto solo parzialmente e non senza difficoltà. Non tutte le realtà locali infatti sono riuscite a presentare un numero di progetti sufficiente ad assorbire le risorse assegnate. Per questo si sono resi necessari diversi passaggi, incluse 2 riaperture dei termini dei bandi e svariati scorrimenti di graduatoria.

Al termine di questo complesso iter possiamo osservare che le risorse effettivamente assegnate ai diversi territori ammontano complessivamente a circa 1,31 miliardi di euroVi è una quota residuale di circa 133 milioni che ancora deve essere assegnata. A livello regionale, il territorio a cui sono stati assegnati più fondi è la Lombardia (circa 200 milioni di euro). Seguono Lazio (152,5 milioni), Campania (123,5 milioni) ed Emilia Romagna (circa 107 milioni).

Nei prossimi capitoli, dopo aver passato in rassegna le diverse misure di interesse per il terzo settore, entreremo più nel dettaglio di quelle dedicate in particolare alle persone fragili. Ricostruiremo l’iter che ha portato all’assegnazione dei fondi e vedremo come questi si distribuiscono sul territorio.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

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Oltre ai dati sul Pnrr passeremo in rassegna anche informazioni di contesto per capire quali sono le realtà più critiche e se i fondi del piano sono andati dove effettivamente ce n’era bisogno. Lo faremo con la consueta metodologia di Openpolis che prevede l’approfondimento del dato a livello locale, alla massima granularità possibile. In questo caso, fino all’analisi degli importi ricevuti da comuni e Ats.

Le difficoltà nel reperire dati per il monitoraggio del Pnrr

Fin dalle prime fasi di stesura e realizzazione del Pnrr, Openpolis e altre realtà del mondo civico hanno denunciato – nell’ambito della campagna “Italia domani dati oggi” – la scarsa chiarezza e disponibilità di dati.

Per questo motivo erano state presentate due distinte richieste di accesso generalizzato agli atti (Foia) per ottenere maggiori informazioni. Una nell’aprile del 2022 e una nel febbraio del 2023.

Il Foia o diritto di accesso generalizzato è uno strumento per ottenere dati e documenti di interesse pubblico in possesso delle amministrazioni. Vai a “Che cos’è il Foia”

In entrambi i casi però le risposte fornite dai governi Draghi prima e Meloni successivamente non sono state soddisfacenti. Fino a poche settimane fa infatti non era possibile conoscere molte informazioni circa i progetti che saranno finanziati con i fondi del Pnrr. Solo recentemente (e anche grazie alla nostra costante attività di denuncia e pressione) il governo ha pubblicato dei nuovi dati in questo senso. Dati che è possibile consultare e scaricare sulla nostra piattaforma OpenPnrr.

Tali criticità sono emerse anche per la realizzazione di questo report. Come vedremo meglio nei prossimi capitoli infatti, non esisteva un dataset in formato aperto (cioè libero e rielaborabile) da cui individuare in maniera sistematica tutti i progetti a favore delle persone fragili. Per recuperare questi dati è stato necessario estrarre le informazioni dagli allegati di ben 9 diversi decreti direttoriali pubblicati nell’arco di diversi mesi da parte del ministero del lavoro e delle politiche sociali, cioè l’organizzazione responsabile degli investimenti.

2.036 i progetti finanziati dal Pnrr a favore di anziani, persone con disabilità e senza tetto. 

Restano tuttavia non reperibili a oggi le indicazioni riguardo lo stato di avanzamento dei vari progetti. Per questo motivo sarà fondamentale proseguire nel monitoraggio del Pnrr anche nei prossimi mesi e anni.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Governo – Licenza

 

Quanto e come può essere modificato il Pnrr

Quanto e come può essere modificato il Pnrr

I governi nazionali possono modificare i propri piani di ripresa e resilienza solo a fronte di condizioni oggettive.

Definizione

L’Unione europea prevede la possibilità per gli stati membri di apportare delle modifiche ai rispettivi piani nazionali di ripresa e resilienza. Un processo che può essere avviato in qualsiasi fase di attuazione dell’agenda e che può portare anche alla stesura di un piano interamente nuovo.

A stabilirlo è l’articolo 21 del regolamento Ue 2021/241, specificando che le modifiche devono essere giustificate da circostanze oggettive, per le quali non è più possibile realizzare i traguardi e gli obiettivi inizialmente previsti. È la commissione europea poi a dover valutare tali giustificazioni e, in generale, i piani rivisti entro due mesi di tempo dalla richiesta. Nell’esaminare un Pnrr modificato (o nuovo) l’organo esecutivo dell’Ue considera numerosi elementi e criteri. Gli stessi che sono stati considerati nella fase di approvazione di tutti i piani nazionali e che vengono descritti in dettaglio negli articoli 18 e 19 del regolamento. Tra i principali vincoli sono inclusi i seguenti:

  • almeno il 37% della dotazione totale del piano deve essere destinato a obiettivi di transizione ecologica e nessuna misura deve danneggiare l’ambiente, in linea con il principio “non arrecare un danno significativo“.
  • allo stesso modo, almeno il 20% degli investimenti deve essere diretto alla transizione digitale;
  • il Pnrr deve essere in linea con le raccomandazioni specifiche dell’Ue per ciascun paese, compresi gli aspetti di bilancio e quelli trattati nell’ambito del semestre europeo.

Conclusa la valutazione, la commissione esprime un voto a maggioranza semplice, laddove non sia stato possibile raggiungere un consenso unanime, che rimane l’opzione preferibile. In caso di parere positivo da parte della commissione, spetta poi al consiglio europeo l’approvazione in via definitiva entro quattro settimane. Per decisioni di questo tipo, cioè di esecuzione, il consiglio, composto dai 27 capi di stato o di governo dei paesi membri, vota a maggioranza qualificata.

Se la commissione ritiene invece che le spiegazioni presentate da uno stato membro non giustifichino una modifica del Pnrr, la richiesta viene respinta. Il paese in questione avrà poi un mese di tempo per presentare osservazioni a riguardo.

Analisi

Modificare il Pnrr è quindi possibile, ma non senza criticità. Da un lato come abbiamo visto, vengono posti dei limiti da parte dell’Ue al raggio d’azione di tali revisioni. Dall’altro, processi di cambiamento radicale delle agende in corso comporterebbero inevitabilmente dei rallentamenti e dei ritardi nell’attuazione del Pnrr. Con il conseguente rischio di perdere parte dei fondi.

Il rilascio delle diverse tranche di finanziamento agli stati, infatti, è vincolato al rispetto del cronoprogramma delle scadenze fino al 2026. Ogni sei mesi la commissione controlla che i paesi abbiano conseguito nei tempi tutti gli interventi previsti. Solo se l’esito della verifica è positivo, vengono inviati i fondi. Va da sé che un processo di revisione profonda, soprattutto sui piani più articolati e costosi come quello italiano, comporterebbe inevitabilmente uno stop all’attuazione del Pnrr e quindi una sospensione, almeno temporanea, dei fondi.

A inizio 2023, la commissione europea ha invitato tutti i paesi membri a presentare una proposta di revisione, per integrare nei propri Pnrr le nuove misure e le nuove risorse per il RepowerEu. Cioè il piano ideato dall’Ue per rendere gli stati membri più indipendenti dal punto di vista energetico – soprattutto dalla Russia – e promuovere un sempre maggior ricorso a fonti di energie rinnovabili. L’iniziativa è nata soprattutto in risposta agli aumenti dei costi dell’energia dovuti alla guerra tra Russia e Ucraina. A giugno 2023 sono 8 i paesi ad aver già ricevuto l’approvazione della commissione europea alla loro proposta di revisione: Lussemburgo, Germania, Finlandia, Estonia, Malta, Irlanda, Francia e Slovacchia.

L’Italia dovrebbe inviare la richiesta di modifiche entro il 30 agosto 2023. Non è ancora chiaro cosa e quanto sarà modificato del piano originale, anche se sono emerse alcune indicazioni dalla terza relazione del governo al parlamento. In particolare, il Repower italiano dovrebbe puntare alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gasdecarbonizzazione, energie rinnovabili. Per quanto riguarda invece gli altri interventi da modificare, sempre nella relazione si fa riferimento a diverse scadenze su cui il governo chiederà una revisioneTra queste l’aggiudicazione dei contratti per la costruzione di asili nido, la ristrutturazione edilizia con superbonus e sismabonus e l’aggiudicazione degli appalti per stazioni di rifornimento a base di idrogeno.

Le indicazioni tuttavia sono generiche. Restano molti dubbi sulle tempistiche di questo processo di revisione e le conseguenze che avrà sulla realizzazione del piano e sulla ricezione delle risorse.

 

Quattro scadenze sulla transizione ecologica sono in ritardo

Quattro scadenze sulla transizione ecologica sono in ritardo

Il quadro completo sullo stato di avanzamento delle scadenze di rilevanza europea che l’Italia avrebbe dovuto conseguire entro il 30 giugno 2023, suddivise per tema

GRAFICO
DESCRIZIONE

Le scadenze che il nostro paese avrebbe dovuto portare a compimento entro il 30 giugno 2023 sono 27 in totale. Queste abbracciano 11 diversi macro-temi. La maggior parte degli adempimenti riguardava la transizione ecologica (7), la pubblica amministrazione (4), l’inclusione sociale e il lavoro e le imprese (3). Solo 7 scadenze sono state completate: due riguardano la transizione ecologica e l’inclusione sociale. Una scadenza completata invece per quanto riguarda la Pa, la digitalizzazione e il fisco. La transizione ecologica è però anche la categoria che vede più scadenze in ritardo (4). Seguono pubblica amministrazione, impresa e lavoro, scuola università e ricerca e infrastrutture con 2 scadenze non completate ciascuno.

DA SAPERE

La classificazione delle scadenze per tema è frutto di una elaborazione originale Openpolis. Nel grafico è stata mantenuta la categoria “a buon punto” per evidenziare i milestone e i target che, in base alle informazioni disponibili, possono essere considerati in stato più avanzato rispetto agli altri. Ciò nonostante, non essendo stata comunque rispettata la scadenza del 30 giugno, anche questi debbono considerarsi in ritardo.

 

Sant’ Enrico II

 

Sant’ Enrico II


Nome: Sant’ Enrico II
Titolo: Imperatore
Nascita: 6 maggio 972, Bad Abbach o Hildesheim, Germania
Morte: 13 luglio 1024, Grona, Germania
Ricorrenza: 13 luglio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Patrono di:
Polia
Canonizzazione:
4 marzo 1145, Roma, papa Eugenio III
S. Enrico nacque nel 972 da Enrico, re di Baviera e da Gisela, figlia di Corrado re di Borgogna. Ebbe ottima indole, nobili sentimenti e rara virtù: qualità che fecero di lui un imperatore santo.

Incoronato da Benedetto VIII il 22 febbraio del 1014, Enrico comprese quanto gli fosse necessaria la umiltà per non prevaricare; e la cercò e l’esercitò quindi in tutti i suoi atti. Era solito dire che Iddio voleva due cose da lui: la santificazione propria ed il benessere dei sudditi: programma che il glorioso monarca svolse lodevolmente in tutta la sua vita.

Unitosi in matrimonio con S. Cunegonda, conservò nella vita coniugale la perfetta castità, tanto da poter dire, in fin di vita, ai genitori di lei: Io ve la rendo illibata come me la deste.

S. Enrico per difendere la giustizia conculcata, ebbe anche a sostenere molte guerre, con le quali rese il suo nome sempre più temuto e rispettato.

In esse riusciva sempre vittorioso: ma il santo re prima di attaccar battaglia pregava e faceva pregare i soldati. In questo modo potè scacciare dall’Italia i Greci che, alleati dei Turchi, minacciavano la stessa Roma.

Eresse a sue spese molte cattedrali, fra cui quella di Bamberga, dedicata ai Ss. Pietro e Paolo, che fu consacrata dallo stesso Pontefice di Roma; restaurò molte chiese danneggiate dagli eretici, eresse sedi vescovili, fondò orfanotrofi.

Il suo zelo si spinse tanto avanti da riuscire a convertire Stefano, re di Boemia, il quale a sua volta portò tutta quella nazione alla vera religione.

In mezzo alle terrene grandezze, S. Enrico sentiva di non essere pienamente soddisfatto, perché bramava di servire unicamente a Dio. Per questo, essendo amico del beato Riccardo, abate di Verdun, fece istanze presso di lui per poter entrare nel suo monastero. Ma l’abate, vedendo il bene che il santo re faceva ai popoli, non glielo permise: e S. Enrico inchinò riverente il capo all’ubbidienza e tornò alla reggia.

Anche nelle infermità S. Enrico benediceva Dio: così sopportò con esemplare rassegnazione la contrazione di una coscia che lo rese zoppo per tutta la vita.

Circondato dai grandi dell’impero e da molti vescovi, santamente spirò in Grône il 13 luglio del 1024.

Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di Bamberga ed egli fu canonizzato da Eugenio III nel 1145.

PRATICA. Impariamo da questo Santo a non lasciarci assorbire completamente dagli affari terreni, ma solleviamo spesso nostro pensiero al cielo, perché il Paradiso sarà la nostra vera patria.

PREGHIERA. O Dio, che quest’oggi trasferisti il tuo beato confessore Enrico dal fastigio del terreno impero al regno eterno, ti supplichiamo umilmente che come tu, prevenendolo colla tua grazia, gli facesti superare le lusinghe del secolo, così faccia che noi resistiamo, a sua imitazione, alle attrattive del mondo e giungiamo a te con cuore puro.

MARTIROLOGIO ROMANO. Sant’Enrico, che imperatore dei Romani, si adoperò insieme alla moglie santa Cunegonda per rinnovare la vita della Chiesa e propagare la fede di Cristo in tutta l’Europa; mosso da zelo missionario, istituì molte sedi episcopali e fondò monasteri. A Grona vicino a Göttingen in Germania lasciò in questo giorno la vita.