Archivi giornalieri: 13 marzo 2020

il manifesto

Lavoro

Anche i riders hanno diritto al «reddito di quarantena»

La protesta. Nelle città deserte i ciclofattorini sfrecciano per portare il cibo a chi è in quarantena, ma per loro non c’è nemmeno la sicurezza contro possibili contagi. «Vogliamo l’accesso agli ammortizzatori e la continuità dei diritti». Il Basic Income Network Italia: “Ampliare la platea del reddito di cittadinanza, renderlo più universale possibile, eliminare condizionalità e obblighi delle politiche attive”

Insieme ai fattorini, i drivers e tutti coloro che consegnano la spesa a domicilio a chi è costretto alla quarantena nelle città chiuse per l’emergenza virus, i «riders» che lavorano chiamati attraverso una «app» sono i più esposti al contagio da coronavirus. Come gli operai che si ribellano perché devono mantenere in piedi una produzione devastata dallo choc della crisi da offerta amplificata dalle politiche di emergenza prese per combattere il virus, anche i ciclo-fattorini non ci stanno a svolgere un servizio pubblico essenziale a correre simili rischi per un panino o una cena giapponese. Per questo ieri le realtà auto-organizzate di questo lavoro digitale hanno diffuso una lettera e hanno denunciato una situazione intollerabile: nemmeno una paga da fame può giustificare il rischio da cui tutti intendono immunizzarsi. «Riteniamo la situazione molto grave e per noi fermare il contagio viene prima di qualsiasi altra cosa. Se distribuire cibo a casa diviene indispensabile, ci devono pensare lo Stato, la Protezione Civile e gli organi preposti. Noi ci fermiamo sostengono i Riders Union Bologna, Deliverance Milano, Riders Union Roma, Riders per Napoli – Pirate Union.

>>> Contro il coronavirus «estendere il reddito di cittadinanza a precari e freelance»

«Abbiamo lavorato in questi giorni in preda alla paura, principalmente per piattaforme che non ci hanno fornito i dispositivi di sicurezza necessari» spiegano. Per queste ragioni invitano allo sciopero e rivendicano anche loro un «reddito di quarantena» insieme a un’ampia rappresentanza di lavoratori sospesi tra il precariato e il lavoro autonomo e freelance che ieri si sono riuniti in un’assemblea virtuale trasmessa anche sulla pagina Facebook di Global Project. L’idea: estendere il reddito di cittadinanza esistente anche ai precari e ai freelance esclusi da una misura strutturale e ormai irreversibile nella crisi. «Le indicazioni di sicurezza fornite dal governo non sono possibili da rispettare per le app del food delivery» e «non lo sono a maggior ragione da oggi quando abbiamo scoperto incredibilmente di trovarci davanti a un’irresponsabile liberalizzazione delle attività di consegna a domicilio. Vogliamo scongiurare uno stato di grave pericolo per tutti noi e per la clientela. Per questo ci fermiamo e chiediamo reddito, tutele e garanzie per tutti coloro che sono invisibili anche nell’emergenza».

«Bisogna renderlo più universale possibile, eliminare condizionalità e obblighi delle politiche attive – sostiene il Basic Income Network-Italia (Bin) – Questo è il momento per rendere più universale e incondizionato il reddito di cittadinanza e iniziare una nuova storia del nostro sistema pubblico di sicurezza sociale che proprio nelle difficoltà può dimostrare di includere, tutelare e garantire la tenuta sociale e culturale del Paese. Oggi più che mai appare evidente quanto il principio di universalità del sistema sanitario sia necessario per garantire la salute di tutti, di come il welfare sia, in sostanza, un investimento e non una spesa».

il manifesto

Lavoro

Scioperi spontanei degli operai in fabbrica

Reazioni a catena. La protesta dei lavoratori costretti al turno senza precauzioni nelle aziende rimaste aperte nel nord Italia. Conte convoca i sindacati.

Operai alla Unilever di Castelpusterlengo
Operai alla Unilever di Castelpusterlengo

Quanto si è visto ieri è il mondo operaio che è tornato a parlare con una sola voce. L’incredulità e la rabbia di chi chiede di essere considerato come tutti gli altri lavoratori. Una rabbia, operaia, per la decisione del Governo di non interrompere la produzione nelle fabbriche che era montata già mercoledì sera subito dopo il discorso di Conte nei commenti social, compreso il profilo Facebook del presidente dalla giunta lombarda Attilio Fontana sommerso da critiche di operai e impiegati, e che si è materializzata giovedì all’apertura dei cancelli: scioperi spontanei, assemblee, fermi temporanei della produzione.

SI SONO FERMATE AZIENDE nel milanese, nel mantovano, nel bresciano, a Terni, Marghera, Genova, scioperi che proseguiranno anche oggi alla Electrolux di Susegana, alla Irca di Vittorio Veneto, in tutto il gruppo Arcelor Mittal e in altre ancora. Un crescendo che ha costretto il presidente del Consiglio Conte a convocare in videoconferenza i sindacati oggi alle ore 11. Insieme a Conte ci saranno i ministri dell’Economia Roberto Gualtieri, della Salute Roberto Speranza e del lavoro Nunzia Catalfo. Dall’altro lato dello schermo, Cgil, Cisl, Uil e gli industriali che fino ad ora sono riusciti a dettare le loro condizioni, prima al presidente lombardo Fontana, poi a Conte. Sprezzanti ieri a metà pomeriggio le parole del presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti che ha definito gli scioperi «irresponsabili». Per Bonometti, «i rappresentanti dei lavoratori stanno strumentalizzando questo fenomeno (l’emergenza, ndr). È un segno di non responsabilità, di non capire i problemi che abbiamo». Non esattamente i migliori presupposti per aprire un confronto, ma la posizione di Confindustria è ormai chiara. Sarebbe utile uscissero allo scoperto anche le altre sigle imprenditoriali. Per i sindacati metalmeccanici «è necessaria una momentanea fermata di tutte le imprese di categoria fino a domenica 22 marzo, per sanificare, mettere in sicurezza e riorganizzare tutti i luoghi di lavoro».

IN LOMBARDIA i primi a fermarsi a metà mattina sono stati i metalmeccanici della Bitron di Cormano, nel milanese. «Lavorare con questo clima è dura, ci guardiamo a vista come se fossimo degli alieni l’uno con l’altro», dice ai microfoni di Radio Popolare Domenico Marra, responsabile della sicurezza sul lavoro alla Bitron. Poco meno di ottanta dipendenti, una crisi recente mai passata, la Bitron produce componenti elettroniche per automotive. «È dal mese di febbraio che chiedo mascherine, guanti e amuchina», racconta Marra. «Man mano che passavano le giornate ho visto che non si faceva nulla e ho iniziato a scrivere all’azienda che mi ha sempre risposto citando le direttive ministeriali, ma non basta e abbiamo deciso di scioperare». Gli operai chiedono dispositivi di sicurezza adeguati al loro lavoro. «A noi non basta il metro di distanza, ci spostiamo per prendere i materiali, spesso dobbiamo avvicinarci, rischiamo di toccarci.

Lotteremo fino a quando non avremo tutti i dispositivi». Racconta ancora Domenico Marra: «È dura perché siamo spaventati. Noi arriviamo da tutti i paesi qui vicino, da Bresso, da Sesto San Giovanni, da Cormano, da Cinisello Balsamo, ci dobbiamo spostare, non ci sentiamo sicuri». Siamo nell’hinterland nord di Milano dove i casi di positivi al Covid-19 stanno aumentando. Meno che nelle provincie di Brescia e Bergamo, ma anche nella città metropolitana di Milano si sta formando una curva di contagi che preoccupa. Sono salite a 1.146 le persone positive in provincia di Milano, 220 in più rispetto al dato di un giorno fa.

QUASI AL CONFINE col Veneto, a Mantova, c’è la Corneliani, che produce abbigliamento, quindi beni non necessari. I 450 lavoratori hanno deciso di scioperare fino a lunedì. Sciopero spontaneo anche all’Iveco di Suzzara, stato d’agitazione alla Relevi di Rodigo. Alla Tenaris di Dalmine, nella bergamasca, la provincia lombarda più colpita dal Coronavirus, c’è stata una lunga assemblea pomeridiana. Nel bresciano è andata meglio, i sindacati sono riusciti a stringere accordi per la chiusura con importanti gruppi come Alfa Acciai, Iveco, Duferdofin-Nucor, Beretta. Per tutti gli altri il timore generale è quello che se non si chiuderà oggi, si dovrà chiudere domani per contagio.

È sera ed un operaio bergamasco sta rientrando a casa, dopo le sue otto ore in una fabbrica di lavorazione dell’acciaio. Alla domanda su cosa pensi delle parole del presidente degli industriali lombardi Bonometti che ha definito gli scioperi «irresponsabili», risponde irritato. «Ma come si fa? Io vivo così: accendo la Tv e la radio e sento appelli a restare a casa, su Facebook vedo foto con cartelli che chiedono di restare a casa, il presidente Conte dice di stare a casa, ma noi no. Venissero con noi in fabbrica – è l’invito – quelli che hanno deciso di continuare a farci a lavorare, forse cambierebbero idea».

Pensioni oggi

Lavoratori part time e requisiti per la pensione vecchiaia

Per la pensione part time, esistono diversi requisiti per il calcolo del relativo assegno da poter ricevere appena maturati i requisiti di legge.
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L’età minima per la pensione di vecchiaia è tra i temi più caldi di queste settimane. Il riferimento è in generale a tutte le principali categorie lavorative con prestazione in modalità full time.

E per quelle a tempo ridotto? Cosa può cambiare in termini di pensione part time?

Diritto a pensione per i lavoratori a tempo indeterminato del settore pubblico e privato

Per il confronto del diritto a pensione e dei requisiti minimi per poter presentare tale domanda, è da distinguere in prima battuta il tipo di settore coinvolto. In particolare, esistono due casistiche molto importanti come:

  • Dipendente privato. In questo caso il periodo lavorativo svolto in modalità part-time, è conteggiato come full-time. Tuttavia, è necessario che sia rispettato un minimale Inps e che per il 2017 prevede una cifra attorno ai 10000 euro.
  • Dipendente pubblico. Il periodo lavorativo ad orario ridotto è considerato per intero. Vale a dire che in questo caso non è da far riferimento a nessun minimale Inps.

Analogie per entrambe le casistiche, sull’assegno da poter percepire in pensione. In particolare, l’importo è minore in base alla presenza di un maggior numero di ore lavorate in part-time da parte del lavoratore pubblico o privato in tutta la carriera lavorativa.

Pensione part time, le attuali misure per l’assegno in base alle ore lavorate

La pensione per i lavoratori part time, non incide sull’età minima per poter presentare richiesta, ma può prevedere un importo minore dell’assegno in base alle ore lavorative più basse rispetto al full-time. E’ poi da considerare anche il tipo di sistema contributivo vigente.

Nel caso di scelta del regime lavorativo part-time dal 2011, infatti, e per gli ultimi anni della prestazione da parte del dipendente, il sistema contributivo prevede un minor carico da parte dell’assegno finale per la pensione.

Sempre in materia di pensioni per i lavoratori part time, è anche prevista una misura introdotta dalla precedente legge di Stabilità e in via sperimentale. Si tratta del part time agevolato per i dipendenti privati a tempo indeterminato. Questi ultimi, a pochi anni dal diritto alla pensione della vecchiaia possono richiedere una riduzione del lavoro.

Part time agevolato, la sperimentazione della scorsa Legge di stabilità

Con il part time agevolato, è possibile richiedere una riduzione del proprio orario lavorativo nella misura tra il 40% e il 60%. La richiesta, può essere presentata da tutti coloro che maturano i requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018 con una età minima di 66 anni e sette mesi e relativi requisiti di contribuzione di almeno 20 anni. Non può essere richiesta, invece, da parte dei dipendenti pubblici o da chi è già lavoratore part-time.

La sperimentazione della Legge di stabilità dello scorso anno, prevede a favore di queste categorie la maturazione del 100% dei contributi, al pari del lavoro svolto in modalità full time. Potrà essere richiesta, tuttavia, solo in presenza di un accordo con il datore di lavoro.