Archivi giornalieri: 26 febbraio 2015

Jobs act

Jobs act: giuslavoristi a Mattarella, non firmi decreto

Appello al “Colle”, di accademici ed esperti del mondo del lavoro, affinché il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non firmi il decreto di riforma del mercato del lavoro. Lo chiedono, con una lettera inviata alla massima carica dello Stato, l’associazione Giuristi Democratici, unitamente a oltre settanta avvocati e docenti giuslavoristi di vari Fori d’Italia. 

Nella lettera si formula la “richiesta di rinvio al Governo, ai fini del riesame, del primo decreto attuativo della legge delega 10 dicembre 2014 n. 183 -c.d. Jobs Act- “recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”.
 
“Ciò che accomuna, pur nella assoluta diversità di opinioni e di appartenenze politiche, tutti coloro che aderiscono a questa iniziativa – è scritto nell’appello – è la constatazione dell’arretramento delle tutele che l’emanando decreto finirebbe per attuare, riportando le garanzie giurisdizionali offerte a quella parte di concittadini-lavoratori destinatari della nuova disciplina ad una soglia di azionabilità della lesione dei loro diritti derivanti dal rapporto di lavoro che appare, al più, paragonabile a quella vigente nel nostro ordinamento prima della introduzione dello Statuto dei diritti dei Lavoratori di cui alla legge 20 maggio 1970 n. 300”. 

Questa, per i firmatari dell’appello rivolto a Mattarella, è una “conseguenza che, già di per sé considerata, non può ritenersi legittimata dalla giustificazione che essa costituisca il frutto di opzioni di politica legislativa, come tali insindacabili, ove si rifletta che si tratta di scelte che, anche solo considerando l’azzeramento di un così (temporalmente) rilevante processo evolutivo dell’ordinamento lavoristico, inevitabilmente entrano in rotta di collisione, da un lato, con il diverso quadro di riferimento nel frattempo introdotto dalla vincolante disciplina comunitaria e, dall’altro, con la diversa disciplina garantita dall’ordinamento, di fronte ad identiche fattispecie risolutorie, a quei cittadini-lavoratori che non siano riguardati dalla novella per il solo fatto che il loro rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avente per il resto identica natura e disciplina, sia stato stipulato in qualunque data antecedente all’entrata in vigore del decreto.”

L’appello, inoltre, procede elencando “le violazioni degli artt. 3 e 117 Cost, alle quali si aggiungono una serie di eccessi di delega, che hanno introdotto nel decreto previsioni normative non riconducibili ai principi ed ai criteri direttivi enucleati dal Parlamento”, che spingono i firmatari a rivolgere al Capo dello Stato “la più rispettosa, ma non per questa meno accorata, preghiera di voler esercitare il potere, sicuramente a Lei spettante in analogia a quanto previsto dalla Carta Fondamentale per la promulgazione delle leggi, di stimolare il Governo ad opportuni ripensamenti”.

(ANSA).

Legge Fornero

Pensioni: Colombini (Inca), con la legge Fornero si è rotto il patto sociale

“Nel 2011, si è rotto il patto sociale, che dovrebbe essere alla base tra il cittadino e lo Stato, e di punto in bianco la vita di migliaia di persone è cambiata. Sono cambiate le prospettive previdenziali con l’inasprimento dei requisiti contributivi e anagrafici per il pensionamento che hanno provocato un forte  allungamento della vita lavorativa. Si sono prodotti una serie di danni. Lo vediamo ancor oggi con gli “esodati”, rimasti senza lavoro e senza pensione,  che nonostante siano passati più di 4 anni di distanza, non sono ancora del tutto salvaguardati.” Lo afferma Fulvia Colombini, del collegio di presidenza dell’Inca, in una intervista video rilasciata a italiannetwork.

di seguito i link

video: http://www.italiannetwork.it/video.aspx?id=1946

news: http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=28289

Evasione contributiva

Rapporto annuale del Ministero del lavoro: nel 2014, evasione contributiva di 1,5mld di euro

L’ammontare dei contributi e dei premi evasi nel 2014, accertati e oggetto di recupero, è pari a 1,508 miliardi di euro, in aumento del 6,1% rispetto al 2013 (1,421 miliardi di euro). Il dato è contenuto nel rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale svolta da ministero del Lavoro, Inps e Inail. 

Secondo il rapporto, osservando  l’andamento dell’attività ispettiva degli altri anni, in media, soltanto il 50% viene poi effettivamente incassato.

Su oltre 221mila aziende ispezionate, più di 142mila sono risultate irregolari , pari al 64,17 per cento: “Non si tratta di un campione casuale” – ha spiegato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti -. Quando parliamo di irregolarità nelle imprese ci riferiamo a violazioni sostanziali, non a questioni di virgole”. 

Secondo i dati della vigilanza del ministero, le regioni, dove è stato trovato il maggior numero di lavoratori irregolari, sono la Lombardia, seguita dalla Puglia e dalla Toscana. Male anche Emilia Romagna, Veneto e Campania.

Malattia professionale

Malattia professionale: l’Inail estende la tutela

Il diritto al riconoscimento del peggioramento di una malattia professionale spetta non solo ai titolari di rendita, ma anche a chi non sia stato indennizzato o lo sia stato solo in capitale per l’originaria malattia. Lo ha precisato l’Inail nella circolare n. 32/2015, estendendo gli effetti della sentenza n. 46/2010 della Corte Costituzionale sulla possibilità di una revisione d’indennizzo di una malattia professionale, oltre gli ordinari termini di revisione (quindici anni), per effetto del protrarsi dell’esposizione allo stesso rischio.

Il principio giurisprudenziale affermato dalla Consulta parte dal presupposto che se è vero che dopo quindici anni non è più possibile chiedere il riconoscimento di un peggioramento dei postumi di una malattia professionale, ciò non esclude aprioristicamente la possibilità di una nuova valutazione derivante dall’aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore e quindi la richiesta di un risarcimento.   

L’Inail indica tre ipotesi di aggravamento da considerare come “nuova malattia”, oltre i 15 anni:

malattia denunciata dopo il 15/3/2000 riconosciuta, ma non indennizzata (grado inferiore al 6 per cento);

malattia denunciata dopo il 15/3/2000, indennizzata in capitale (grado tra il 6 e il 15 per cento);

malattia denunciata prima del 16 marzo 2000, riconosciuta, ma non indennizzata in rendita (grado di inabilità inferiore all’11 per cento).

L’Inail precisa che le novità si applicano ai casi futuri, nonché a quelli ancora in fase di istruttoria e a quelli per i quali siano in atto controversie amministrative o giudiziarie o, comunque, non prescritti o decisi con sentenza passata in giudicato.  

Donne vittime di violenza

Congedo dal lavoro per le donne vittime di violenza

Nel Decreto sui temi di “conciliazionelavoro-famiglia”, approvato dal Consiglio dei Ministri dello scorso 20 febbraio in attuazione del Jobs Act, ha  stabilito che le  lavoratrici vittime di violenza possano  chiedere un congedo dal lavoro di tre mesi, con diritto all’intera retribuzione, per partecipare a specifici percorsi di sostegno, oppure la trasformazione in part-time, per un determinato periodo di tempo (art. 23 del decreto).

Possono utilizzare questo tipo di congedo le dipendenti e le collaboratrici a progetto del pubblico e del privato. Il congedo è collegato all’inserimento nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere certificati dai servizi sociali del Comune di appartenenza o dai Centri antiviolenza o dalle Case Rifugio di cui all’articolo 5-bis del decreto legge 93/2013.

Il congedo dura per l’intero svolgimento del percorso di protezione, fino a un massimo di tre mesi. Durante il periodo in cui la lavoratrice è in congedo percepisce l’intera retribuzione e matura integralmente anzianità, ferie, tredicesima mensilità, Trattamento di Fine Rapporto (TFR). 

Il periodo di tre mesi non deve necessariamente essere continuativo: può essere utilizzato su base oraria oppure giornaliera, distribuito nell’arco temporale di tre anni. 

Se non ci sono regole specifiche previste dalla contrattazione collettiva (cioè dal contratto nazionale di lavoro di riferimento), alla dipendente è sempre consentito di scegliere fra la fruizione su base oraria o quella giornaliera.

Il congedo va chiesto dalla lavoratrice al datore di lavoro, salvo casi di oggettiva impossibilità, con un preavviso non inferiore ai sette giorni, indicando inizio e fine del periodo di congedo e producendo idonea certificazione.

Un’altra possibilità per la lavoratrice vittima di volenza di genere, è la richiesta di passare dal tempo pieno al part-time, verticale o orizzontale (comma 6 dell’articolo 23). 

Fonte: il decreto attuativo del Jobs Act sulla conciliazione lavoro-famiglia

Voucher

Voucher ricollocamento per chi perde il lavoro

Fra le novità inserite nei due decreti attuativi approvati del Jobs Act, c’è anche il voucher di Ricollocamento che, secondo le intenzioni del governo, dovrebbe aiutare il lavoratore, rimasto disoccupato, nella ricerca di nuova occupazione.

L’importo varia a seconda dei diversi profili professionali e della relativa difficoltà di ricollocazione, che il lavoratore può spendere rivolgendosi a una struttura pubblica o privata per la ricerca di lavoro. 

Originariamente, il “voucher ricollocamento” era inserito nel decreto sul nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e riguardava solo i casi di licenziamento, mentre ora è stato spostato nel decreto sugli ammortizzatori sociali, e riguarda tutti i disoccupati.

Per richiederlo, il lavoratore disoccupato deve rivolgersi a una struttura accreditata per la ricerca di lavoro ed effettuare la procedura di definizione del suo profilo di occupabilità.  

In base al profilo personale di occupabilità, viene attribuita al disoccupato una “dote individuale di ricollocazione“, spendibile presso le strutture accreditate. Si tratta del “voucher ricollocamento”, il cui ammontare è proprozionato alle difficoltà di trovare una nuova occupazione.

Il riconoscimento di questa opportunità è subordinato alla effettiva disponibilità del lavoratore a partecipare alle iniziative di ricerca e riqualificazione.

(Fonte: il decreto attuativo del Jobs Act sugli ammortizzatori sociali)

TFR

TFR in busta paga: dal 1° marzo la Qu.I.R

A partire dal 1° marzo ai lavoratori del settore privato è concessa la facoltà di richiedere al datore di lavoro l’importo mensile del TFR in busta paga. 

La Quota Integrativa della Retribuzione (Qu.I.R) verrà erogata su richiesta del lavoratore. L’opzione esercitata sarà irrevocabile fino al 30 giugno 2018. 

Il DPCM che disciplina la procedura di erogazione e il funzionamento del Fondo di garanzia ha ricevuto il parere positivo del Consiglio di Stato, che ha richiamato l’attenzione dell’Esecutivo su alcuni punti critici della norma.

da Ipsoa.it