Archivi giornalieri: 14 dicembre 2013

APPELLO DI DON LUIGI CIOTTI

I : UNA FIRMA PER LA SANITÀ TRASPARENTE

“Una nuova petizione, questa volta per la salute, obiettivo 100%. La corruzione continua ad essere una ferita dentro ciascuno di noi. Inquina la politica, l’economia e le condizioni di vita delle persone. Non dobbiamo rassegnarci alla convivenza con questo problema, dobbiamo ribellarci all’idea d’impotenza rispetto al cambiamento, fare in modo che a diventare normale non siano la corruzione, l’illegalità, le furberie, le mafie, ma l’onestà, la trasparenza, il rispetto delle leggi, il rispetto delle nostra libertà, della nostra dignità, della nostra democrazia, della nostra Costituzione. La corruzione è un furto al bene pubblico, che ci separa dal futuro che tutti vorremmo. La corruzione corrode il senso civico e la stessa cultura democratica.
Il servizio sanitario pubblico è un patrimonio del Paese che va difeso dal mondo della corruzione, da quello delle “opacità”, delle varie forme di illegalità. La legge 190/2012 presenta delle positività e alcuni strumenti importanti: avere individuato la figura del responsabile anticorruzione, un piano triennale e l’obbligo alla trasparenza. Strumenti che vanno applicati bene subito in tutte le aziende sanitarie. Noi come cittadini vogliamo portare il nostro contributo di controllo, di monitoraggio per sostenere, incoraggiare e valorizzarne le positività, per tutelare i diritti e la dignità di tutti i cittadini, ma anche per il grande rispetto della professionalità e dell’impegno di medici, infermieri e operatori sanitari che fanno bene il loro mestiere e sono la maggioranza nel nostro Paese.”
In occasione della Giornata Mondiale contro la corruzione, l’appello di Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele per firmare la petizione “Salute: obiettivo 100%” per aziende sanitarie trasparenti, è la nuova iniziativa della campagna “Riparte il futuro” (promossa da Libera e Gruppo Abele). 
L’obiettivo dell’iniziativa è quello di tutelare e difendere da opacità, illegalità e corruzione un Servizio sanitario pubblico che dal 1978 garantisce cure e assistenza ai cittadini: entro il 31 gennaio 2014, senza ulteriori proroghe e rinvii, tutte le Aziende nominino, come previsto dalla legge, il Responsabile locale dell’anticorruzione, predispongano il Piano triennale dell’anticorruzione e rendano pubbliche le informazioni sui vertici aziendali.
“Siamo alla vigilia di un anno nuovo e verso il Natale – prosegue nel video-appello Luigi Ciotti – lasciatemi parlare anche della corruzione come peccato sociale. Non posso dimenticare le parole del cardinale Martini che nel 1984 parlò nella sua omelia di tre pesti: la solitudine, la violenza e la “corruzione bianca”. Tangentopoli arriverà anni dopo, nel 1992. E penso anche a Papa Francesco, tanti anni fa, quando era ancora arcivescovo in Argentina. Bergoglio scrisse un bel testo, tracciando i connotati del corrotto e del corruttore e definendo tutti questi percorsi: “la corruzione puzza, odora di putrefazione”. Termini duri, pesanti che dimostrano l’importanza di questo tema e l’invito a costruire percorsi di speranza. C’è bisogno oggi di una nuova forma di resistenza etica, civile e culturale e che tutti ci sporchiamo di più le mani, per dare più dignità e libertà a tutte le persone. Dobbiamo imparare il coraggio di non scendere mai a compromessi, di scegliere sempre da che parte stare. Allora facciamoci un bel dono, facciamoci un regalo: cerchiamo un amico per coinvolgerlo, aiutiamolo a conoscere questa dimensione del problema, per diventare tutti insieme più responsabili. Firmate lanuova petizione e chiedete ad un amico di fare altrettanto. Continuiamo a dare forza e soprattutto a mettere la nostra faccia per dire, in questo momento più che mai, nel nostro Paese, da che parte stiamo”.

http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1

LEGGE STABILITÀ: “AUSPICHIAMO APPROVAZIONE DUE EMENDAMENTI RIGUARDANTI LA MEMORIA DELLE VITTIME DI MAFIA E I DIRITTI DEI LORO FAMILIARI”

 

“Auspichiamo che la Commissione Bilancio della Camera approvi l’emendamento alla Legge di stabilità grazie al quale viene riconosciuto ai familiari delle vittime innocenti di mafie il diritto ad un permesso di lavoro annuale e retribuito di 150 ore per portare la loro testimonianza civile nelle scuole e nella società. Oggi, infatti, per fare fronte alle tantissime iniziative che li vedono impegnati in tutto il Paese i familiari devono sacrificare ferie o permessi. Ma facciamo appello a tutte le forze politiche e al Governo affinché venga riproposto e approvato anche l’emendamento che dovrebbe abrogare la norma attuale che fissa nel 1961 la data per ottenere il riconoscimento giuridico di vittima delle mafie, escludendo dai benefici le famiglie che hanno subito la perdita di un congiunto prima di quella data, trovando le necessarie coperture finanziarie. Si tratta di due proposte particolarmente importanti, sollecitate ormai da tanto tempo, a gran voce, da tutti i familiari e che rappresenterebbero  una piccola ma concreta riforma di civiltà e di giustizia in memoria delle oltre 900 vittime innocenti delle mafie nel nostro Paese”. E’ quanto si legge in una nota congiunta dell’Ufficio di Presidenza di Libera e dalCoordinamento dei familiari di vittime di mafie di Libera Memoria in riferimento a due proposte emendative alla Legge di stabilità,  attualmente in discussione presso la Commissione Bilancio di Montecitorio, riguardanti la memoria delle vittime di mafia e i diritti dei loro familiari.

Lavoro accessorio

Lavoro accessorio

Con lavoro accessorio si è inteso regolamentare quelle attività lavorative che si collocano al di fuori della legalità, nell’ottica di una maggiore tutela del lavoratore. Si tratta infatti di prestazioni non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma aventi la finalità di assicurare le tutele minime previdenziali e assicurative.

Con l’entrata in vigore della L. 99/2013, di conversione del D. L. 76/2013siè modificata la natura del contratto di lavoro accessorio, che va inteso come l’insieme di prestazioni lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a € 5.000 nel corso di un anno solare. Viene meno così il riferimento alle prestazioni meramente occasionali che caratterizzava il lavoro accessorio.

Il lavoro accessorio si utilizza in diversi ambiti: agricolo, commerciale, turistico, dei servizi, della Pubblica Amministrazione, con alcune limitazioni.

Nel corso del 2013, i percettori di cassa integrazione salariale o di misure di sostegno del reddito, in qualsiasi settore produttivo, compresi gli Enti locali, potranno lavorare con contratto di lavoro accessorio per un compenso massimo di € 3.000 nell’anno solare. L’INPS è incaricato a detrarre la contribuzione figurativa dalle misure di sostegno, conguagliando con gli accrediti contributivi derivanti dal lavoro accessorio.

La Riforma del mercato del lavoro (Legge 92/2012) ha ridefinito i limiti di applicazione di tale istituto, eliminando l’elenco di attività definite nella Legge Biagi e stabilendo che si ha lavoro accessorio quando un soggetto, nel corso di un anno solare, non percepisca più di € 5.000 dalla totalità dei committenti.  Se i committenti sono imprenditori commerciali o professionisti, per ciascuno di questi opera il limite di € 2.000 nell’anno solare, fermo restando il limite massimo di € 5.000.

Anche la Pubblica Amministrazione può ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio.

Per specifiche categorie di soggetti in stato di disabilità, detenzione, tossicodipendenza e beneficiari di ammortizzatori sociali, la L. 99/2013, di conversione del D. L. 76/2013, prevede la possibilità di ricorrere al lavoro accessorio secondo una regolamentazione speciale che sarà individuata da un apposito decreto ministeriale.

Per il lavoratore, il compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sul suo stato di disoccupato o inoccupato.

E’ previsto che i compensi percepiti con il lavoro accessorio concorrano nella determinazione del reddito utile per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.

Il pagamento della prestazione occasionale di tipo accessorio avvieneattraverso i cosiddetti voucher (o buoni lavoro) che garantiscono, oltre alla retribuzione, anche la copertura previdenziale presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL.
Si sottolinea che per i buoni già richiesti al momento dell’entrata in vigore della Legge 92/2012 (18 luglio 2012) e fino al 31 maggio 2013 continuerà a trovare applicazione la precedente disciplina.

Con la circolare n. 4 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 18 gennaio 2013, sono state fornite alcune indicazioni operative per il personale ispettivo sul lavoro accessorio.L’attività lavorativa meramente occasionale è delineata con riferimento al compenso annuale massimo complessivo di 5.000 euro nell’anno solare, in capo al lavoratore e non più al committente, che anzi potranno essere molteplici.

Nei confronti del singolo committente, imprenditore commerciale o professionista (intendendosi per imprenditore commerciale qualsiasi persona fisica o giuridica che opera in un determinato mercato), si applica anche il limite massimo di 2.000 euro.

Le aziende che superano 7.000 € di fatturato l’anno possono ricorrere al lavoro accessorio soltanto per le attività di carattere stagionale e utilizzare soltanto tre tipologie di prestatori: i pensionati, i giovani sotto i 25 anni, iscritti ad un ciclo scolastico o universitario e, limitatamente all’anno 2013, i percettori di prestazioni a sostegno del reddito.

Nel settore agricolo, fermo restando il limite dei 5.000, le nuove norme si applicano:

  1. alle attività agricole stagionali svolte a favore di aziende di qualsisasi dimensione da studenti sotto i 25 anni e regolarmente iscritti ad un ciclo scolastico o universitario, da pensionati e da percettori di prestazioni a sostegno del reddito (per l’anno 2013);
  2. a qualsiasi tipologia di attività agricola svolta a favore di piccoli produttori agricoli (l’indice è il volume di affari non superiore ai 7.000 euro),da qualsiasi soggetto, purché non iscritto l’anno precedente nell’elenco dei lavoratori agricoli.

In questo settore non trova applicazione l’ulteriore limite dei 2.000 euro previsto per i committenti imprenditori commerciali e professionisti.

In generale, non è possibile ricorrere al lavoro accessorio tramite intermediari o contratti di appalto e di somministrazione, ad eccezione del servizio di steward della società calcistiche, come disciplinato dal Decreto del Ministro dell’Interno dell’8 agosto 2007, modificato dal Decreto del Ministro dell’Interno del 24 febbraio 2010.

Tirocinio formativo e stage

Il tirocinio formativo è un contratto volto a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

La loro funzione, nell’ottica del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’istruzione, università e ricerca, va rilanciata slegandola dalle eccessive restrizioni imposte dai percorsi universitari che – prevedendo troppo spesso un numero di ore eccessivamente ridotto – comportano degli obblighi burocraticamente gravosi e una formazione lontana dalle esigenze reali delle aziende. Gli stage vanno quindi resi flessibili e modellabili nei contenuti come nella durata.

Per realizzare un tirocinio formativo è necessaria una convenzione tra ente promotore e soggetto ospitante corredata da un progetto formativo redatto dal datore di lavoro:

  • ente promotore: università, scuole superiori (pubbliche e private), provveditorati agli studi, agenzie per l’impiego, centri pubblici di formazione professionale e/o orientamento, fondazioni dei consulenti del lavoro, comunità terapeutiche e cooperative sociali, servizi di inserimento lavorativo per disabili, istituzioni formative private non a scopo di lucro;
  • soggetto ospitante: azienda, studio professionale, cooperativa, enti pubblici etc.

Il D.L. 138/2011, convertito con modifiche nella Legge 148/2011, ha introdotto delle novità nella disciplina dei tirocini formativi. Tali novità riguardano esclusivamente i tirocini formativi e di orientamento legati ai percorsi di transizione dalla scuola o dall’Università al lavoro, e cioè quelli finalizzati ad agevolare le scelte professionali mediante una formazione in ambiente produttivo ed una conoscenza diretta del mondo del lavoro.

Esso ha previsto che i tirocini formativi e di orientamento cosiddetti “non curriculari” non possano avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese e che gli stessi possano essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neolaureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio.

La Corte Costituzionale (con la sentenza 287/2012) ha però giudicato illegittime tali previsioni, in quanto la regolamentazione statale invade la competenza regionale in materia di tirocini. Pertanto la materia dei tirocini rimane regolata dalle rispettive normative regionali e in via residuale dall’art. 18 della L. 196/97 e relativo regolamento di attuazione D.M. n. 142/98.

Sulla base di quanto previsto dalla Riforma del mercato del lavoro (Legge 92/2012), sono state elaborate dalla Conferenza Stato Regioni e Province autonome le Linee guida finalizzate a stabilire degli standard minimi uniformi in tutta Italia e a evitare un uso distorto ed illegittimo dell’istituto. Tra questi criteri vi è anche il riconoscimento di un compenso minimo per le attività svolte dal tirocinante, in assenza del quale è prevista la sanzione amministrativa di una ammenda di importo da 1.000 a 6.000 euro.

Per conoscere di più i contenuti delle Linee guida consulta la sezione Formazione del portale.

La Legge n.99/2013, di conversione del Decreto legge n.76/2013, stabilisce che per i tirocini formativi e di orientamento previsti dalle Linee guida, i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più regioni possono fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale e possono accentrare le comunicazioni obbligatorie presso il Servizio informatico nel cui ambito territoriale è ubicata la sede legale.

La Circolare ministeriale n. 35/2013 ha precisato che tale previsione costituisce una facoltà, potendo il datore di lavoro scegliere di applicare la disciplina del luogo di svolgimento del tirocinio, rammentando che sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i tirocini curriculari.

Con la Circolare n. 24, del 12 settembre 2011, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito alcuni importanti chiarimenti in merito all’applicazione della disposizione legislativa, elencando tutte le tipologie di tirocinio non rientranti nelle stringenti valutazioni della nuova normativa:

  • i tirocini curriculari: inclusi nei piani di studio delle università e degli istituti scolastici, la cui finalità è quella di affinare il processo di apprendimento e di formazione. Devono essere promossi da soggetti ed istituzioni formative (università o istituti di istruzione secondaria abilitati ai rilasci di titoli accademici, da istituzioni scolastiche che rilascino titoli di studio con valore legale, da centri professionali operanti in regime di convenzione con regioni o Province) a favore dei propri studenti e allievi frequentanti, per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro;
  • i tirocini di reinserimento o inserimento al lavoro, cioè quelli svolti a favore dei disoccupati, compresi i lavoratori in mobilità, e degli inoccupati. La disciplina di questi rapporti resta integralmente affidata alle Regioni;
  • i tirocini promossi a favore di particolari categorie disagiate(per i quali resta in vigore la disciplina dettata dall’art. 11, comma 2,Legge n. 68/1999): soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, condannati ammessi a misure alternative di detenzione;
  • i tirocini promossi a favore degli immigrati nell’ambito dei decreti flussi (previsti dall’articolo 27, lettera f) del Testo Unico n. 286 del 1998;
  • i periodi di praticantato richiesti dagli ordini professionali, che restano disciplinati da normative di settore.

Contratto di arruolamento

Contratto di arruolamento

La Convenzione o Contratto di arruolamento è un particolare rapporto di lavoro stipulato tra un armatore o proprietario di imbarcazione e il personale marittimo.

Per personale marittimo si intende la gente di mare (ovvero chi si imbarca per lavorare a qualsiasi titolo e per qualsiasi mansione), gli addetti ai servizi portuali, gli impiegati nei cantieri navali.

La natura particolare di questo contratto di lavoro risiede nel fatto che il rapporto è disciplinato da una normativa specialeCodice della navigazione e Regolamento sul collocamento (RD 327/1942 aggiornato alla L. 25/2010 e D.P.R. 231/2006), anche se è la Convenzione internazionale OIL del 2006 a disciplinare i principi e i diritti minimi sul lavoro marittimo.

Il contratto di arruolamento può essere a tempo indeterminato, a tempodeterminato oppure per uno o più viaggi.

Sia il contratto a tempo determinato che quello per uno o più viaggi non possono superare la durata di un anno altrimenti sono trasformati di diritto a tempo indeterminato.

Oltre ad avere un regime speciale per quanto riguarda il collocamento (infatti per tale servizio sono competenti le capitanerie di porto, in luogo dei centri per l’impiego), il datore di lavoro marittimo è tenuto a registrare la gente di mare sul ruolo di equipaggio o sulla licenza. Deve inoltre tenere unAlbo di bordo in luogo accessibile all’equipaggio con l’indicazione delle norme di legge e di regolamento relative all’arruolamento, e delle norme della contrattazione collettiva e ogni altra norma o disposizione applicabile all’equipaggio.

Il personale è assunto per i servizi e le mansioni di cui al contratto di arruolamento anche se per i casi di necessità può essere adibito anche ad altre mansioni.

La retribuzione può essere a tempo, a viaggio o in partecipazione ai proventi del nolo o del viaggio dovuti all’armatore.

Anche la cessazione del contratto ha un regime particolare, in quanto il rapporto di lavoro può risolversi per diverse ragioni:

  • riconducibili all’armatore (perdita totale o innavigabilità della nave per naufragio, perdita della nazionalità della nave, sequestro della nave, o anche per la mera facoltà riconosciuta all’armatore di risolvere il contratto di arruolamento, fatti salvi i diritti spettanti all’arruolato);
  • riconducibili all’arruolato (sbarco dell’arrivo lato per cattivo trattamento riservatogli dall’armatore, sbarco dell’arruolato per motivi di autorità o per motivi di salute).

Associazione in partecipazione

Associazione in partecipazione

È il contratto con cui il titolare di un’impresa (associante) attribuisce ad un lavoratore (associato) il diritto alla partecipazione degli utili d’impresa, in cambio di un determinato apporto che può consistere anche in una prestazione di lavoro. L’associante manterrà la gestione e il diritto agli utili, ma dovrà pagare all’associato la quota stabilita nel contratto.

Le modifiche introdotte dalla Riforma del mercato del lavoro(L.92/2012) limitano l’utilizzo di questo particolare contratto a soli 3 associati indipendentemente dal numero degli associanti. Fanno eccezione le partecipazioni di lavoratori legati da rapporti parentali con l’associante (coniuge, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo). Laviolazione di tale limite comporta l’assunzione a tempo indeterminato degli associati.

Tale sanzione è prevista anche per:

  • mancata partecipazione agli utili della società da parte dell’associato
  • mancata consegna del rendiconto societario
  • apporto dell’associato privo dei caratteri del lavoro autonomo, così come modificato dalla Riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012)

La L. 99/2013, di conversione del D.L. 76/2013, ha introdotto una deroga al limite dei tre associati per le imprese a scopo mutualistico, per gli associati individuati dall’organo assembleare, nonché in relazione ai rapporti tra produttori e artisti, interpreti ed esecutori, volti alla realizzazione di produzioni multimediali. La disciplina della convalida delle risoluzioni consensuali e delle dimissioni è estesa anche alle lavoratrici ed ai lavoratori impegnati con contratti di associazione in partecipazione.

Inoltre una speciale procedura, volta alla stabilizzazione con contratto lavoro subordinato a tempo indeterminato degli associati in partecipazione con apporto di lavoro, consente di regolarizzare l’utilizzo abusivo di tale istituto.
La Circolare ministeriale n. 35/2013 ha fornito le prime indicazioni operative sull’applicazione di tale procedura.

Partita IVA

Partita IVA

E’ il contratto destinato ai lavoratori autonomi (cooperatori, liberi professionisti, consulenti ecc.).

Il lavoro autonomo svolto dai professionisti con partita IVA è modificatodalla Riforma del mercato del lavoro (L.92/2012, così come modificata dalla L. 134/2012), in senso maggiormente restrittivo, per contenere abusi, introducendo tre criteri che modificherebbero  la natura del rapporto di lavoro, in mancanza di prova contraria da parte del committente. 
criteri presuntivi sono:

  • una durata superiore agli 8 mesi annui, nel corso di due anni solari consecutivi;
  • la riconducibilità ad un soggetto o centro di imputazione di interessi di un corrispettivo superiore all’80% del reddito prodotto dal professionista in due anni solari consecutivi;
  • una postazione di lavoro presso una delle sedi del committente.

Se il rapporto di lavoro presenta  almeno due dei tre presupposti previsti,  si ritiene sussistere una collaborazione coordinata e continuativa che, in assenza di un progetto specifico, si trasformerebbe in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. 

La Riforma del mercato del lavoro prevede che per escludere tali criteri presuntivi e quindi per considerare come genuina la collaborazione a partita IVA sia necessario un compenso minimo di 18 mila euro lordi annui per il 2012, elevate competenze professionali del collaboratore o la sua iscrizione ad un Albo o ordine professionale. In presenza di tali presupposti la collaborazione viene considerata realmente autonoma, impedendo quindi che scatti la trasformazione del contratto.
La disciplina dei nuovi criteri presuntivi si applica ai rapporti sorti successivamente all’entrata in vigore della Riforma (18 luglio 2012), mentre per quelli sorti in precedenza e attualmente in corso  è previsto un’efficacia differita di un anno.

Anche a questa tipologia contrattuale si applicano gli incrementi contributivi previsti dalle nuove norme sulla collaborazione a progetto, nel caso in cui il professionista non abbia una  posizione previdenziale specifica del proprio ordine professionale e sia iscritto alla Gestione separata INPS.

Con l’emanazione del Decreto ministeriale del 20 dicembre 2012 sono stati individuati i requisiti per la non applicazione dei criteri presuntivi sopra indicati.

La presunzione non opera quando le prestazioni lavorative del professionista richiedono l’iscrizione ad un ordine o collegio professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati che sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da una Amministrazione Pubblica oppure da federazioni sportive, in relazioni ai quali l’iscrizione è subordinata al superamento di un esame di stato o comunque alla necessaria valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento dell’attività. Al tale decreto ministeriale è allegato un elenco delle professioni ed attività professionali che già prevedono tale requisito.

Lavoro a progetto

Lavoro a progetto

Questa tipologia di contratto è stata introdotta nel nostro ordinamento dallaLegge Biagi e disciplinata nel relativo D.lgs. 276/2003, nel tentativo di disciplinare e regolarizzare i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, collegandoli ad uno specifico progetto.

Il cosiddetto co.co.pro. costituisce quindi una forma di lavoro non subordinato per la cui instaurazione è tassativamente necessaria la forma scritta, secondo quanto chiarito a seguito dell’entrata in vigore della L.99/2013, di conversione del D.L. 76/2013; in assenza di un progetto specifico, il rapporto sarà considerato un rapporto di lavoro subordinato, salvo la prova contraria fornita dal committente. Tale legge ha altresì previsto che, se l’oggetto del contratto è un’attività scientifica, che necessita di ampliamento di contenuti o di tempo, il progetto è prorogato automaticamente.

Sono sottratti alla disciplina delle co.co.pro. le prestazioni intellettuali professionali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione ad albi o ordini professionali, nonché le collaborazioni coordinate e continuative utilizzate a fini istituzionali a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate a federazioni sportive nazionali, quelle rese da soggetti che percepiscono la pensione di vecchiaia e per i componenti di organi di governance delle società.

Sono escluse dal campo di applicazione della disciplina del co.co.pro. quelle prestazioni lavorative occasionali di durata non superiori alle 30 giornate nel corso dell’anno solare (ovvero 240 ore nell’anno solare nell’ambito dei servizi di cura ed assistenza alla persona), definendosi così il concetto di collaborazione occasionale.

La Riforma del mercato del lavoro (L.92/2012) ha introdotto sostanziali novità relative a questo contratto, con l’intento di contrastare l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità che sono stati progressivamente introdotti nell’ordinamento. Così ha previsto disincentivi normativi e contributivi, nonché una definizione più stringente del progetto o dei progetti che costituiscono l’oggetto della collaborazione coordinata e continuativa:

  • è stato abolito dal concetto di progetto il riferimento al programma di lavoro o alla fase di esso;
  • il progetto deve essere funzionalmente connesso al conseguimento di un risultato finale e non può più consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente, né in compiti meramente esecutivi e ripetitivi, secondo quanto chiarito a seguito dell’entrata in vigore della L.99/2013, di conversione del D.L. 76/2013;
  • quando l’attività del collaboratore a progetto sia analoga a quella svolta da lavoratori subordinati, salvo prova contraria del committente, la collaborazione viene considerata un rapporto di lavoro subordinato fin dall’inizio;

A questo proposito, si precisa che il contratto a progetto non prevede un orario rigido o  un monte ore predeterminato ma l’assolvimento del progetto nei tempi e modi indicati al momento della stipula del contratto.

Le parti possono risolvere per giusta causa la collaborazione prima della scadenza del termine, mentre il committente potrà recedere anche quando il collaboratore non risulti professionalmente idoneo per realizzare il progetto, così come il collaboratore potrà recedere con preavviso nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto. La L. 99/2013, di conversione del D.L. 76/2013, ha esteso anche alle collaborazioni coordinate e continuative, anche a progetto, la disciplina della convalida delle risoluzioni consensuali e delle dimissioni.

Il compenso del collaboratore, proporzionato alla qualità e quantità di lavoro prestato, non potrà essere inferiore ai minimi contrattuali previsti per mansioni equiparabili a quelle svolte dal collaboratore e calcolate sulla media dei contratti collettivi di riferimento.

A partire dal 2013 l’indennità “una tantum” introdotta dal decreto anticrisi (L. 2/2009) viene ora riconosciuta, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, ai collaboratori che in regime di monocommittenza abbiano avuto nell’anno precedente un reddito non superiore a 20 mila euro; l’indennità sarà riconosciuta agli iscritti alla Gestione separata Inps, che abbiano versato nell’anno precedente almeno 4 mensilità e, in quello di riferimento, almeno una mensilità; l’importo dell’indennità è pari all’importo del 5% del minimale annuo di reddito previsto dalla L. 233/90 moltiplicato per il minor numero tra le mensilità versate nell’anno in corso e in quello precedente.

Le aliquote contributive sui contratti a progetto aumentano progressivamente di un punto percentuale a partire dal 2013 e fino al 2018. Per gli iscritti alla Gestione separata Inps nel 2013, la contribuzione rimane al 27% e raggiungerà il 33% nel 2018. Per gli iscritti ad altra gestione, la contribuzione già dal 2013 aumenta al 20% e raggiungerà il 24% a partire dal 2016.

La L. 99/2013, di conversione del D.L. 76/2013, interviene anche sul Decreto sviluppo (convertito nella Legge 134/2012) che aveva specificato che il ricorso al contratto a progetto è ammissibile anche per le “attività di vendita diretta di beni e di servizi, realizzate attraverso call center outbound, purché sia definito un corrispettivo congruo dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”, chiarendo che il ricorso al lavoro a progetto è ammesso sia per le attività di vendita diretta di beni e servizi sia per le attività di servizi.

Somministrazione di lavoro

Somministrazione di lavoro

Il lavoro somministrato, ex lavoro interinale, è un contratto in base al quale l’impresa (utilizzatrice) può richiedere manodopera ad agenzie autorizzate (somministratori) iscritte in un apposito Albo tenuto presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
La somministrazione di lavoro coinvolge tre soggetti (agenzie, lavoratori, impresa), legati da due diverse forme contrattuali:

  • il contratto di somministrazione stipulato tra utilizzatore e somministratore che ha natura commerciale e può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato;
  • il contratto di lavoro stipulato tra somministratore e lavoratore che può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato.

Il contratto di somministrazione di manodopera esige la forma scritta, in assenza della quale il contratto è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne utilizza la prestazione lavorativa.

Il pagamento della retribuzione al lavoratore e il versamento deicontributi previdenziali e assicurativi sono a carico del somministratore, con il rimborso successivo da parte dell’utilizzatore.

 – Nel contratto di somministrazione a tempo determinato va indicata la causale di utilizzo ai sensi dell’art. 20, comma 4 del D.Lgs. 276/2003
Tuttavia la Legge n.99/2013, di conversione del Decreto legge n.76/2013, stabilisce che per la prima missione tra utilizzatore e lavoratore di durata non superiore a 12 mesi, la causale può non essere indicata, tenendo presente che nell’ambito di tale durata la missione di lavoro è prorogabile. In aggiunta alla predetta fattispecie, l’a-causalità del contratto di somministrazione può essere prevista in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stupulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Sul tema della causale di utilizzo, è opportuno sottolineare che già l’art. 20, commi 5 bis e seguenti, del D.Lgs. 276/2003, come modificato dal recente D.Lgs. 24/2012 (di recepimento della direttiva UE 2008/104 sul lavoro tramite agenzia interinale) prevede una serie di ipotesi di a-causalità. In particolare:

  • per l’utilizzo di lavoratori in mobilità (per una durata massima di 12 mesi, con il beneficio degli sgravi contributivi connessi);
  • per l’utilizzo di soggetti disoccupati percettori dell’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali o ridotti, da almeno 6 mesi;
  • per l’utilizzo di soggetti comunque percettori di ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno 6 mesi;
  • per l’utilizzo di lavoratori definiti “svantaggiati” o “molto svantaggiati” ai sensi dei numeri 18 e 19 dell’articolo 2 del regolamento CE n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008;
  • nelle ulteriori ipotesi individuate dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro.

La Legge 99/2013, riprendendo un concetto già presente nel citato D.Lgs. 24/2012, ha confermato che i lavoratori in somministrazione hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d’occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore.

La riforma Fornero (Legge 92/2012) ha specificato che ai fini del raggiungimento del limite (pari a 36 mesi), oltre il quale il contratto a tempo determinato (ai sensi del D.Lgs. 368/2001si deve ritenere a tempo indeterminato vanno computati anche eventuali periodi di lavoro svolti in virtù di un contratto di somministrazione a tempo determinato. 
A tal proposito, la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 18 del 2012, ha sottolineato che i datori di lavoro dovranno tener conto solo dei contratti di somministrazione stipulati successivamente al 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della L. 92/2012).

 – Il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato(c.d. staff leasingè ammesso solo per lo svolgimento di determinate attività e per i casi previsti dalla legge Biagi. In questi casi rientra ora anche lo svolgimento di apprendistato; la riforma Fornero, infatti, ha specificato che lo staff leasing è ammesso “in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo da parte del somministratore di uno o più lavoratori assunti con contratto di apprendistato”. 

 – Il lavoratore assunto a tempo indeterminato dall’agenzia di lavoro, ha diritto ad un’indennità di disponibilità per i periodi in cui non è in missione presso un utilizzatore.

– Le Agenzie per il lavoro autorizzate alla somministrazione di lavoro sono tenute al versamento della contribuzione per il finanziamento del Fondo per la formazione e l’integrazione del reddito previsto dal D. Lgs. 276/2003 da calcolare in misura percentuale sulla retribuzione corrisposta al personale in somministrazione.

Apprendistato

Apprendistato

Il contratto di apprendistato si configura come la principale tipologia contrattuale per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Esso, infatti, è rivolto ai giovani tra i 15 e i 29 anni ed è caratterizzato da unafinalità formativa. Il datore di lavoro, oltre a versare un corrispettivo per l’attività svolta, è tenuto a formare l’apprendista attraverso un insegnamento di competenze tecnico-professionali e di competenze trasversali. Il Testo Unico approvato a settembre 2011 (D.Lgs. 167/2011) e la Riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012) hanno innovato profondamente la precedente disciplina. Il contratto di apprendistato viene definito nel Testo Unico come un “contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato all’occupazione dei giovani”.

L’inserimento in azienda tramite apprendistato è sostenuto da notevoli incentivi economici (come la contribuzione agevolata pari al 10% della retribuzione o la deducibilità delle spese e dei contributi dalla base imponibile Irap) e normativi (come la possibilità di un sotto inquadramento o l’esclusione degli apprendisti dal computo dei dipendenti a determinati fini di leggi); la recente Riforma del mercato del lavoro ha introdotto anche maggiori tutele per gli apprendisti, in particolare, in termini di stabilità. La Riforma ha previsto che l’assunzione di nuovi apprendisti è possibile solo se risulta confermato, al termine del percorso formativo, il 50% dei rapporti di apprendistato svolti nell’ultimo triennio. Per i primi 36 mesi dall’entrata in vigore della suddetta legge e, quindi, fino al 18 luglio 2015, tale percentuale è tuttavia ridotta al 30%. Sono esclusi dall’applicazione di tali norme i datori di lavoro che hanno alle dipendenze un numero di dipendenti inferiore a 10 unità.

Sono esclusi dal computo del triennio (che a regime è da considerare “mobile”) i rapporti di lavoro in apprendistato cessati per mancato superamento della prova, per dimissioni e per giusta causa. Il datore di lavoro, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge, può comunque assumere un ulteriore apprendista, anche se non ha confermato a tempo indeterminato il 50% dei contratti nell’ultimo triennio.

Con decorrenza dal 1° gennaio 2013, il datore di lavoro, anche per il tramite di un’agenzia di somministrazione di lavoro, può assumere apprendisti nel numero di 2 ogni 3 dipendenti (prima il rapporto numerico era di 1/1). Per i datori di lavoro con meno di 10 dipendenti rimane il rapporto numerico di 1/1 e pertanto non si può superare il limite del 100% di assunzioni di apprendisti rispetto alle maestranze specializzate e qualificate.

Il datore di lavoro senza dipendenti specializzati o qualificati oppure che ne abbia meno di 3, può comunque assumere fino a 3 apprendisti. Alle imprese artigiane si applicano i limiti dimensionali previsti dalla legge-quadro sull’artigianato (L. 443/85).

E’ esclusa la possibilità di assumere apprendisti con un contratto di somministrazione a termine per il tramite di un’Agenzia per il lavoro. E’ invece possibile somministrare a tempo indeterminato, in tutti i settori produttivi, uno o più lavoratori in apprendistato. La durata minima del periodo di formazione in apprendistato è di 6 mesi, a meno che non si tratti di attività stagionali (in questo caso la durata può essere inferiore). Il contratto deve avere forma scritta e contemplare, entro i 30 giorni dalla stipulazione, un piano formativo individuale.

Sono previsti il divieto della retribuzione a cottimo e quello per le parti di recedere dal contratto, durante il periodo della formazione, in assenza di una giusta causa. Vi è inoltre la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli più in basso rispetto alla categoria spettante, di far proseguire il rapporto come un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o di recedervi al termine del periodo di formazione. Il datore di lavoro – fino a quando non sarà operativo il libretto formativo – può rilasciare una dichiarazione per l’accertamento e per la certificazione delle competenze e della formazione svolta dall’apprendista. 
Con le nuove norme, l’apprendista rientra nell’ambito di applicazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego, l’ammortizzatore sociale che a partire dal 1° gennaio 2013 andrà a sostituire le prestazioni di sostegno al reddito in caso di perdita di occupazione.

Dalla stessa data è previsto quindi il contributo di finanziamento dell’ASpI pari all’1,31% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. 

Anche per gli apprendisti, in caso di interruzione del rapporto di lavoro per cause diverse dalle dimissioni, ivi compreso il recesso al termine del periodo formativo comunicato dal datore di lavoro, è dovuto a carico di quest’ultimo il contributo pari al 50% del trattamento mensile iniziale dell’ASpI, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.

Il Testo Unico contempla tre tipi di contratti di apprendistato: quello per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, quello professionalizzante o di mestiere e infine quello di alta formazione e ricerca.

  • Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale (art.3 Testo Unico). Possono essere assunti con contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, in tutti i settori di attività e anche per l’assolvimento dell’obbligo scolastico, i soggetti della fascia d’età compresa tra i 15 e i 25 anni. La regolamentazione dei profili normativi di questa tipologia di apprendistato è demandata alle Regioni previo accordo in Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, sentite le associazioni dei datori di lavoro secondo i seguenti criteri:Apprendistato professionalizzante o contratti di mestiere (art.4 Testo Unico). E’ finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali. Possono essere assunti i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Per chi è in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del D. Lgs. 226/2005 il contratto può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età. Alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche in funzione del profilo professionale stabilito, si affianca l’acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte ore complessivo di 120 ore di formazione per la durata del triennio: il primo tipo di formazione è disciplinato dagli accordi interconfederali e dai contratti collettivi; il secondo dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista. Le Regioni e le associazioni di categoria dei datori di lavoro possono definire, nell’ambito della bilateralità, le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere;
    1. definizione della qualifica o diploma professionale;
    2. previsione di un monte ore di formazione;
    3. rinvio ai contratti collettivi di lavoro delle modalità di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli standard generali fissati dalle Regioni.
  • Apprendistato di alta formazione e di ricerca (art.5 Testo Unico). Possono essere assunti in tutti i settori di attività i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. La finalità è il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore, di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca. Questa tipologia può essere utilizzata anche per la specializzazione tecnica superiore, per il praticantato per l’accesso alle professioni che hanno un ordine professionale o per esperienze professionali. La regolamentazione e la durata del periodo di apprendistato di alta formazione sono stabilite dalle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni dei datori di lavoro più rappresentative, le Università, gli Istituti tecnici. In assenza di regolamentazioni regionali l’attivazione dell’apprendistato è rimessa ad apposite convenzioni stipulate tra i datori di lavoro e le istituzioni formative.

Per la regolamentazione e la durata del periodo di Apprendistato e della formazione le competenze sono rimesse alle Regioni, in accordo con le parti sociali e una serie di altri organi istituzionali tra cui le università e le altre istituzioni scolastiche.

La Legge 99/2013, di conversione del D. L. 76/2013, in merito all’apprendistato professionalizzante, introduce alcune semplificazioni, derogatorie del Testo Unico, riguardanti il piano formativo individuale, la registrazione della formazione e la formazione nel caso di imprese multilocalizzate. Tali semplificazioni potranno essere accolte nellelinee guida adottate dalla Conferenza Stato-Regioni entro il 30 settembre 2013. A partire dal 1 ottobre 2013, in assenza di accordo in sede di Conferenza unificata, tali previsioni trovano diretta applicazione, “salva la possibilità di una diversa disciplina in seguito all’adozione delle richiamate linee guida ovvero in seguito all’adozione di disposizioni di specie da parte delle singole regioni”.

Inoltre, il contratto di apprendistato per la qualifica o il diploma professionale, una volta conseguito il titolo, potrà essere trasformato in contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere. In questo caso la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non potràeccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva.

La Circolare ministeriale n. 35/2013 ha fornito le prime indicazioni operative sull’applicazione delle novità introdotte dalla L. 99/2013.