Archivi giornalieri: 11 dicembre 2013

Censis

De Rita, Censis: «Laddove c’è il blocco della dinamica sociale, c’è il germe dell’infelicità»

de rita Censis: Italia un Paese “sciapo e infelice”

Come ogni anno, a dicembre, all’Italia viene consegnato il suo “referto” socioeconomico.  Le «Considerazioni generali» del 47° Rapporto Censis sulla nostra situazione sociale, quest’anno, ci dicono che siamo una società “sciapa ed infelice”.

Il presidente dell’istituto, Giuseppe De Rita, ogni anno cerca di inquadrare la nostra situazione usando due aggettivi: nel 2010 siamo stati un’Italia “apatica e depressa”, un Paese privo di entisiamo, senza speranza verso il futuro, nel quale erano sempre più evidenti, sia a livello di massa che a livello individuale, «comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, prigionieri delle influenze mediatiche». Italiani condannati al presente, senza slancio né speranza verso il futuro, vittime di fittizi «desideri mai desiderati», come l’ultimo cellulare alla moda e in preda spesso a «narcisismo autolesionistico». Insomma, una società sospesa e pericolosamente identificata dalla paura del vuoto, dell’incertezza.

L’anno successivo siamo stati, invece, italiani “violenti e depressi”. Ancora depressione. Il 2011è stato l’anno del boom dei network, e questa esplosione di virtualità ha destabilizzato il nostro rapporto con la quotidianità, nel modo di pensare e di agire, ci ha fatto uscire fuori dalla realtà e da noi stessi. Una pericolosa destabilizzazione, che ha fatto dell’anno 2011 l’anno degli antidepressivi. Sono aumentati l’impulso alla violenza, la pulsione a una relazionalità virtuale e, di contro, scesi in picchiata i riferimenti ai valori e agli ideali. Contro la crisi dell’autorità, il declino del desiderio, la riduzione del controllo sulle pulsioni, il Censis ci raccomandò di «tornare a desiderare». Nobile consiglio, ma l’anno successivo si scoprì che il desiderio non serviva a molto, l’Italia, secondo il Censis, nel 2012 era “più povera e arrabbiata”. Desiderare un futuro migliore ha finito per diventare una formula di scongiuro contro la maledizione di una crisi che non solo non accennava a frenare la sua corsa ma, anzi, minacciava di peggiorare. E così è stato. Il 2011 si è chiuso con la Riforma Fornero, aprendo le porte a una pessima annata.

Il 2012 è stato l’anno della crisi. Una crisi peggiore delle altre, “perfida“, la definì il Censis nel “referto” 2012. Ci hanno costretto a ingoiare parole amare come spread default, che hanno travolto la nostra vita, le nostre certezze. Nella lotta alla sopravvivenza gli italiani hanno reagito trincerandosi nella fromula “risparmio-rinuncia-rinvio”, chiamate dal Censis le tre “r”. E lo spirito con cui l’Italia si è chiusa in questa resistenza, in questa “restanza” – termine preso in prestito dal filosofo Jacques Derrida – è stato: la rabbia. Rabbia verso la crisi della classe politica, indicata come la causa principale del disastro.

Il “governo tecnico”, venuto a galla l’anno precedente, come un sottomarino militare, per salvarci dalla crisi del governo Berlusconi IV – il Cavaliere aveva dato le dimessioni il 12 novembre 2011 -, si è rivelato una toppa peggiore del buco e ha finito per peggiorare la crisi economica: famiglie stremate, licenziamenti, fuga dei cervelli, aumento della povertà, crisi del ceto medio, cassintegrati, esodati, disoccupati, ecc. Insomma, uno scenario apocalittico, che ancora oggi non cessa di inquietare e generare mostri di fantasmi futuri, per ciò che dovrà ancora accadere. Ma come sono gli italiani alla fine di questo anno? Come abbiamo già detto sopra, nel “referto” 2013 siamo un’Italia “sciapa ed infelice”. Siamo “sciapi”, perchè ci manca il fervore.

Il presidente De Rita, usando una metafora alchemica, ha parlato del “fervore del sale”: «il fervore del sale secondo gli alchimisti crea il mutamento degli elementi, se non c’è il fervore del sale l’elemento non si trasforma, non cambia». Siamo una società sciapa perchè manca questo elemento, essenziale al cambiamento. Ma è difficile cambiare quando mancano i presupposti. È inutile condire una portata se il piatto è vuoto. È illogico parlare di fervore se solo nei primi due mesi di quest’anno, nel settore del commercio, si sono polverizzati tremila posti di lavoro. È difficile parlare di fervore se chiudono mille imprese al giorno, se una famiglia su due non arriva a fine mese, mentre Letta, con un sorriso tra in bonario e l’infingardo, parla di crescita, ripresa, di riforme e di segnali positivi. Ma non è così. Secondo un recente sondaggio dell’associazione romana Confesercenti, nel 2013 l’87% degli italiani ha tagliato la spesa. Il 5% in più rispetto al 2012  e addirittura il 18% in più rispetto al 2010.

La crisi economica ci sta deteriorando come un cadavere in decomposizione, come si può essere positivi? Siamo condannati senza appello a una triste sopravvivenza a tempo indeterminato, con vaghi margini di resistenza per il futuro. Secondo i dati dell’Istat, ladisoccupazione giovanile avrebbe raggiunto il suo record storico, fissandosi al 41,2%. Una situazione talmente tragica che due milioni di discoccupati non cercano nemmeno più lavoro. A fare da tampone a questa situazione ci sarebbe il sostegno degli immigrati. Coloro che, alle volte, guardiamo con scetticismo. Gli imprenditori extracomunitari che lavorano in Italia sono379.584 e cioè il 16,5% in più negli ultimi tre anni. Secondo un sondaggio condotto dal Club dell’Economia, in collaborazione con il Censis, i cinque milioni di stranieri che oggi operano e vivono in Italia, hanno, infatti, trovato nel nostro Paese opportunità che hanno saputo cogliere più e meglio di tanta parte degli italiani, aiutando a muovere la nostra economia. Tra i dati allarmanti, invece: quasi la metà dei pensionati ha una pensione inferiore ai 1000 euro, mentre il 14,3% del totale non arriva neanche a 500 euro. Per non parlare del numero di persone che fugge all’estero: il 2013 ha registrato un aumento dei trasferimenti all’estero del 28%. A quanto sembra,  in piena crisi, vince chi fugge.

E mentre famiglie, imprese, aziende, giovani, anziani stanno tirando la cinghia per la lotta alla sopravvivenza, la classe politica si crogiola nella formula delle “larghe intese” per legittimare la loro presenza-assenza  contro l’anatema del baratro. Proprio sulla questione della classe politica, il presidente De Rita si è espresso in maniera molto netta, giudicando questo atteggiamento come regressivo parlando di “reinfetazione”, affidandosi – come usa spesso fare – al linguaggio psicoanalitico: «Abbiamo tentato di calmare il mare e in Italia lo abbiamo fatto con un meccanismo politicamente corretto, ma sociologicamente e sociopoliticamente scorretto: abbiamo “reinfetato” il conflitto politico». E quando sarebbe avvenuto ciò?  «Quando– continua De Rita – siamo “reinfetati” nel presidente della Repubblica. […] La reinfetazione è una riduzione, una regressione delle energie, è un rifiuto del conflitto, non si diventa da bambini ad adulti se regredisci e ti reinfeti nella Grande Mamma. E noi l’abbiamo fatto. Abbiamno calmato il mare e ci siamo reinfetati». La regressione politica ha tirato con sé anche il resto del Paese, è per questo che siamo sciapi, senza sapore, frustrati, infelici. «Siamo infelici per la nostra collocazione sociale ferma» – conclude De Rita – «Laddove c’è il blocco della dinamica sociale, c’è il germe dell’infelicità».

Scomparsa di Mandela

Messaggio del Direttore Generale dell’ILO, Guy Ryder per la scomparsa di Nelson Mandela

 

 wcms_215604Oggi, un paese, un continente e il mondo intero sono uniti nel dolore e piangono la morte di Nelson Mandela, un essere umano eccezionale. Personalmente e da parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), desidero rivolgere le mie più sincere condoglianze alla sua famiglia e la mia vicinanza a tutto il popolo e il Governo del Sudafrica.
Abbiamo perso un campione di libertà, di tolleranza e di dialogo. Con grazia, umiltà e dignità si è distinto per la sua incessante ricerca di pace e giustizia sociale. La sua passione, il suo impegno, perseveranza, integrità e, soprattutto, la sua umanità hanno reso il mondo migliore.

Nelson Mandela ha dimostrato il suo grande coraggio a favore della libertà, equità e dignità nella sua lotta contro l’apartheid. 

Nel 1990, l’ILO ha avuto il privilegio di accogliere il Signor Mandela, Vice Presidente del Congresso Nazionale Africano, alla 77ma sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro. In questa occasione, il Signor Mandela ha voluto ringraziare i delegati della Conferenza per il sostegno nella battaglia contro il regime di apartheid ed ha dichiarato «Tutti noi a Robben Island e in altre carceri abbiamo potuto sentire molto chiaramente le vostre voci che chiedevano la nostra liberazione. Questo è stato per noi fonte di ispirazione». E ci ha chiesto di «fare l’ultimo pezzo di strada insieme». Siamo onorati di avere avuto un piccolo ruolo nel suo lungo viaggio.

Nel 2007, l’ILO ha conferito a Nelson Mandela il Premio per il lavoro dignitoso e in questa occasione egli ha definito il lavoro dignitoso come «il diritto non solo di sopravvivere ma di prosperare e di avere una vita soddisfacente e dignitosa».

Mentre piangiamo la sua scomparsa, noi ne celebriamo anche la vita, la saggezza e la generosità di spirito di quest’uomo così umile. Mandela sarà per sempre una fonte di ispirazione.

ilo

Messaggio di Guy Ryder, Direttore Generale dell’ILO in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani

In questa Giornata l’ILO riafferma il suo impegno a proteggere e promuovere i diritti umani nel lavoro.

 
 
Tipo: Dichiarazione
Quando: 10 dicembre 2013
Dove: Ginevra
Oggi celebriamo l’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Quest’anno ricordiamo un’altra data storica, il 20° anniversario della Dichiarazione e Programma di Azione di Vienna che chiede la fine della povertà estrema e dell’esclusione sociale e pone la giustizia sociale al centro degli sforzi tesi a rafforzare l’impegno universale a favore dei diritti umani.Nel 1919 la Costituzione dell’ILO affermava che «una pace universale e duratura non può che essere fondata sulla giustizia sociale». Essa riconosce inoltre che la povertà ovunque essa sia costituisce un pericolo per la prosperità di tutti e, in un mondo sempre più interconnesso come quello attuale, questo principio non è mai stato così vero.

Nonostante i progressi, c’è ancora molto lavoro da fare. Ancora oggi 870 milioni di lavoratori e le loro famiglie vivono nella povertà con meno di 2 dollari al giorno, di questi 400 milioni si trovano in un condizioni di povertà estrema; tra il 2002 e il 2011, circa 20,9 milioni di persone erano vittime del lavoro forzato ed oggi ci sono ancora 168 milioni di bambini costretti a lavorare, di cui la metà è coinvolta nelle peggiori forme di lavoro minorile. 

Allo stesso tempo, nel corso degli anni, è cresciuta la consapevolezza su questi temi. Molti paesi che vent’anni fa negavano l’esistenza di gravi violazioni come il lavoro forzato o il lavoro minorile, stanno ora facendo passi concreti per la loro eliminazione. Oggi è più diffuso il riconoscimento secondo il quale il lavoro dignitoso, con i suoi diritti e principi, è la strada più sostenibile per uscire dalla povertà.

Le Convenzioni relative ai principi e ai diritti fondamentali del lavoro che riconoscono il diritto ad essere liberi dal lavoro minorile, dal lavoro forzato e dalla discriminazione nonché il diritto alla libertà di associazione sono state riconosciute dalla comunità internazionale come aventi particolare valore come diritti umani. Nel 1993, sono state registrate 769 ratifiche di queste Convenzioni — oggi siamo arrivati a 1.352. C’è un forte impegno sul quale dobbiamo costruire ancora.

Attraverso la promozione del lavoro dignitoso, che è riconosciuto come diritto umano in sé e fornisce un programma fondato sui diritti per il mondo del lavoro, l’ILO cerca di promuovere il raggiungimento della giustizia sociale. Oggi, la possibilità di avere un lavoro dignitoso è forse la richiesta più diffusa di donne e uomini ovunque nel mondo. La creazione di posti di lavoro dignitosi rimane, e continuerà a rimanere, una delle priorità globali di sviluppo più pressanti. Affrontare la povertà, e la discriminazione e le disuguaglianze ad essa connesse, come riconosce la Dichiarazione di Vienna, è urgente e di vitale importanza. È chiaro che i principi dei diritti umani devono essere intrecciati nella creazione di un programma di sviluppo sostenibile incentrato sull’occupazione. 

In questa Giornata mondiale dei diritti umani l’ILO riafferma il suo impegno a proteggere e promuovere i diritti umani nel lavoro. La nostra priorità è la protezione dei lavoratori da forme di lavoro che negano i principi e i diritti fondamentali del lavoro, che mettono a rischio le vite, la salute, la libertà, la dignità umana e la sicurezza dei lavoratori o che tengono famiglie intere in condizioni di povertà estrema. E gli sforzi per promuovere il lavoro dignitoso devono raggiungere tutti i lavoratori, compresi i lavoratori rurali e quelli nell’economia sommersa.

È significativo che in questa Giornata mondiale il mondo commemori la vita di Nelson Mandela. Anche noi onoreremo la sua memoria e la sua eredità continuando la sua battaglia e sostenendo i diritti fondamentali per far si che ogni donna e ogni uomo ovunque nel mondo possano vivere e lavorare in condizioni di libertà, dignità, sicurezza economica e pari opportunità.