Archivi giornalieri: 4 gennaio 2013

“Morti sul lavoro”

Report “Morti sul lavoro”: nel 2012 1800 vittime. Primato all’agricoltura

Anche il 2012 è stato un anno drammatico per il numero di morti sul lavoro in Italia che si conferma al primo posto fra i paesi europei più industrializzati per questo triste primato. Le cifre fornite dall’Osservatorio Indipendente di Bologna, che ogni anno elabora una stima dei decessi distinguendo fra le morti sui luoghi di lavoro e quelle avvenute in itinere lungo il tragitto casa-lavoro/lavoro-casa, parlano chiaro: 1800 vittime nel 2012, di cui 622 decedute sui luoghi di lavoro e  il resto sulle strade, considerate giustamente, secondo la normativa vigente, morti per infortunio sul lavoro a tutti gli effetti. E si tratta di una stima minima al ribasso.
 
L’Osservatorio considera “morti sul lavoro” tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono un’attività lavorativa, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Molte vittime non hanno nessuna assicurazione  o muoiono lavorando in nero. Questo spiega perché  i dati ufficiali forniti dall’Inail, che sono quelli diffusi e utilizzati anche dal Ministero del Lavoro, non coincidono con quelli dell’Osservatorio: le statistiche dell’Inail, infatti, registrano i dati relativi solo ai lavoratori assicurati, tralasciando necessariamente tutti coloro che non lo sono e riportando così un numero di decessi inferiore del 20-30 per cento rispetto ai dati raccolti dall’Osservatorio.

Morti invisibili insomma, che spariscono dai resoconti ufficiali.  Inoltre le statistiche Inail non distinguono  fra le vittime decedute in itinere e quelle sul luogo di lavoro, ingarbugliando ancora di più il quadro. Il problema è che in questo modo i cittadini e le istituzioni hanno una percezione completamente alterata del fenomeno che è molto più esteso di quanto comunemente, e trionfalisticamente, si pensi: complici anche i mezzi di informazione che si occupano delle morti bianche solo nei casi più eclatanti e che fanno notizia, secondo i dati ufficiali sembrerebbe che ogni anno il numero di morti sul lavoro in Italia stia positivamente calando. In realtà però non è così: a ben guardare i dati parziali dell’Inail si nota che calano solo le morti sulle strade soprattutto grazie ai veicoli di ultima generazione che sono tecnologicamente più sicuri. Sui luoghi di lavoro invece, a causa dei minori controlli e della costante diminuzione di risorse in tema di sicurezza, il trend non è altrettanto positivo.
 
Di solito si ha tende a credere che a morire siano soprattutto gli operai nelle fabbriche, mentre sono “solo” intorno al 7 per cento. E’ il settore dell’ agricoltura, invece a detenere il primato: il 33,3 per cento delle vittime sul totale si registrano in questo comparto, di cui più della metà sono morti schiacciati dal trattore e rappresentano oltre il 17 per cento di tutti i morti sui luoghi di lavoro. Segue l’edilizia con  il 29 per cento sul totale, la maggior parte dei quali morti per cadute dall’alto o per essere stati travolti da un mezzo da loro guidato o da terzi, o uccisi da materiale su cui stavano lavoravano, o, ancora, fulminati. Poi l’industria che fa registrare un 11,4 per cento di decessi, provocati quest’anno in larga misura dal terremoto in Emilia e concentrati  quasi tutti in piccole e piccolissime aziende in cui spesso la prevenzione è insufficiente. Infine i servizi con un 5,8 per cento, il settore degli autotrasporti con il  6,1 per cento, i soldati dell’Esercito Italiano caduti in Afghanistan  che rappresentano il 3 per cento dei decessi e  il 2,7 per cento nella Polizia di Stato, dove prevalgono le morti avvenute in servizio sulle strade.
 
Per quanto riguarda la nazionalità dei lavoratori deceduti, il 10,8 per cento dei morti sui luoghi di lavoro sono stranieri e di questi oltre il 30 per cento sono romeni, mentre la fascia di età più colpita risulta essere, prevedibilmente, quella maggiormente produttiva: il 21,1 per cento dai 40 ai 49 anni, il 18,4  per cento dai 50 ai 59 anni mentre  il 13,8 per cento ha oltre 70 anni, dato interpretabile alla luce del fatto che in più in là con gli anni spesso non si ha un perfetto stato di salute e riflessi  si fanno meno pronti.
 A livello territoriale invece l’unico parametro ritenuto valido  dall’Osservatorio di Bologna nella valutazione dell’andamento di una provincia e di una regione, è il rapporto tra il numero di morti e la popolazione residente. Gli altri parametri, infatti, non hanno nessuna importanza ai fini della prevenzione e questo perché a morire per una percentuale elevatissima sono lavoratori che non hanno nessuna assicurazione, che lavorano in nero e che nulla hanno a che fare con l’indice occupazionale di una regione o provincia.

In numeri assoluti la Lombardia ha registrato 80 morti e ha già superato del 2,5 per cento i morti dell’intero 2011 con la provincia di Brescia che risulta prima in questa triste classifica, come negli ultimi anni. Al secondo posto l’ Emilia Romagna  con 63 morti, compresi i lavoratori deceduti sotto le macerie del terremoto del 20 e 29 maggio. Poi è la volta del Piemonte con 43 morti e la provincia di Torino che risulta in questo momento con 21 vittime la prima in Italia, assieme a quella di Brescia. In cifre assolute le regioni più sicure risultano invece la Valle d’Aosta con 2 vittime, il Molise con 4 morti e la Basilicata con 7 morti. Al contrario, se si considera l’incidenza delle morti bianche rispetto al numero dei residenti, la classifica è del tutto diversa: i primi tre posti spettano a Trentino Alto Adige, Abruzzo e Valle d’Aosta mentre le regioni più virtuose, in relazione sempre al numero di abitanti, sono il Lazio, la Campania e la Puglia.
 
Non sono segnalati a carico delle province i lavoratori morti sul lavoro che utilizzano un mezzo di trasporto e i lavoratori deceduti in autostrada: agenti di commercio, autisti, camionisti e lavoratori pendolari che muoiono in itinere, a causa del traffico, dello stress, della fretta, della velocità. Tutte queste morti, che corrispondono ogni anno al 50-55 per cento di tutte le vittime, sfuggono alle rilevazioni e sono genericamente classificate come morti per incidenti stradali andando ad ingrossare le fila di quelle morti invisibili che, assieme ai tanti lavoratori in nero, non compaiono da nessuna parte.

Redattore sociale

Occupazione

Occupazione – Una previsione sempre più nera anche per il 2013

Una previsione allarmante quella contenuta nel rapporto della società di consulenza Ernst & Young secondo cui il mercato del lavoro in Europa subirà un’altra forte contrazione. I disoccupati arriveranno a toccare i 20 milioni nell’area euro, stabilendo un nuovo record negativo, bgen peggiore rispetto a quello toccato nel 2012 quando i disoccupati erano 18.7milioni.

Per dare un’idea concreta della nefasta previsione basti pensare che nel 2010 i senza lavoro erano 15,9milioni di persone. I Paese più colpiti saranno la Grecia, la Spagna e il Portogallo.

Tassi di crescita del Pil ancora molto bassi – secondo la ricerca – sono attesi per il resto del decennio. E mentre la recessione conitnuerà a colpire Italia, Spagna e Portogallo, la solida Germania, continuerà a non avere problemi, nonostante una disoccupazione in salita (dal 6.5% al 6.7%…).

Pensioni

Pensioni: dal primo gennaio 6 milioni senza aumenti

Dal primo gennaio scattano gli aumenti del 3% per adeguare le pensioni al costo della vita ma, anche il prossimo anno, la rivalutazione non sarà valida per le pensioni superiori tre volte la soglia minima. Lo ricorda la Spi Cgil, affermando che il blocco della rivalutazione riguarda sei milioni di pensionati. Con la rivalutazione prevista una pensione minima passera’ da 481 euro a 495,43, mentre una da 1.000 euro arrivera’ a quota 1.025 euro.

Poichè nel 2013 sarà ancora in vigore il blocco della rivalutazione annuale introdotto con la riforma Fornero, spiega lo Spi-Cgil, sei milioni di pensionati vedranno invariato il valore della propria pensione per il secondo anno di fila. Il blocco – segnala il sindacato pensionati della Cgil – riguarda soprattutto pensionati che hanno un reddito mensile di 1.217 euro netti (1.486 euro lordi).

Un pensionato che si trova in questa fascia ha già’ perso 363 euro nel 2012 e ne perderà 776 nel 2013. Un pensionato con un reddito mensile di 1.576 euro netti (2.000 lordi) nel 2012 ha perso invece 478 euro e nel 2013 ne perderà 1.020. La mancata rivalutazione della pensione, sommandosi a quella dell’anno precedente, porterà quindi – sempre secondo lo Spi-Cgil – quei sei milioni di pensionati a ritrovarsi nel biennio 2012-2013 complessivamente con 1.135 euro in meno.
 
‘In questo anno – ha detto il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone – abbiamo assistito a un accanimento senza precedenti sui pensionati, che più di tutti hanno dovuto pagare sulla propria pelle il conto della crisi. L’aumento annuale delle pensioni che scatterà nei prossimi giorni – ha continuato Cantone – è risibile e non garantisce il pieno recupero del loro potere d’acquisto. Oltretutto da questo meccanismo automatico sono stati estromessi per decreto sei milioni di pensionati, la maggior parte dei quali non possono di certo essere considerati ricchi o privilegiati. Il governo – conclude – ha scelto deliberatamente di colpire la categoria dei pensionati lasciandone in pace tante altre che potevano e dovevano contribuire al risanamento dei conti, ed è per questo che per noi la cosiddetta Agenda Monti non può di certo essere la ricetta giusta per la crescita e lo sviluppo del Paese”.

Malattie professionali

Emersione e riconoscimento delle malattie professionali in Europa

EUROGIP ha pubblicato gli atti della Conferenza annuale che quest’anno è stata dedicata  al tema “Emersione e riconoscimento delle malattie professionali in Europa”,  a dibattere del tema insieme a rappresentanti degli Istituti Assicurativi di Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Belgio, Spagna, della Commissione Europea, dell’OSHA  è stato chiamato anche il nostro Patronato con la sua Consulenza Medico-Legale nazionale.

I dati disponibili confermano che siamo in presenza di un aumento delle malattie professionali sia segnalate che riconosciute dagli Istituti Assicuratori dei diversi paesi , anche se, al contrario di quanto avviene per gli infortuni sul lavoro, i dati nazionali non sono confrontabili tanto che Eurostat dal 2008 ha cessato di pubblicare statistiche sul tema delle malattie professionali.

Le nuove malattie professionali portano l’attenzione immediatamente ai cambiamenti nelle condizioni di lavoro e alle modificazioni delle postazioni di lavoro ma occorre non dimenticare che siamo in presenza di nuove malattie professionali che sono legate a rischi antichi i cui effetti non si era stati fino ad ora in grado di definire. Esemplificativa delle nuove malattie professionali in attività storicamente date è certamente la polineuropatia dei macelli, diagnosticata per la prima volta negli Stati Uniti. Fra l’altro questa nuova patologia dimostra come sia fondamentale un sistema di registrazione dei casi sospetti e come questo sia ancora più importante nel caso di una epidemiologia dei piccoli numeri.

Diviene fondamentale a questo riguardo  la collaborazione internazionale fra istituti specializzati  con lo scambio rapido  dei risultati delle ricerche.

Rispetto al tema dei nuovi rischi l’OSHA ha svolto una ricerca nelle PMI (piccole e medie imprese) intervistando i datori di lavoro ed i quadri con risultati che la stessa Agenzia definisce sorprendenti. Infatti se alcuni rischi tradizionali continuano ad essere presenti pur tuttavia sempre più i rischi sono funzione della dimensione aziendale del carico di lavoro, dell’età del lavoratore (livello nella gerarchia aziendale, assenza di una forte pressione ecc) ma stante il loro carattere multifattoriale il loro riconoscimento rimane assai difficile.

Altro tema con cui siamo chiamati a confrontarci nel ragionare di malattie professionali è certamente quello della globalizzazione e della conseguente difficoltà di controllare l’intera catena come dimostrato dai casi di patologie neurologiche nei dockers tedeschi ed olandesi ma anche dalle attuali esposizioni ad amianto nei paesi (e sono molti)  in cui non si è ancora avuta la messa al bando di questo materiale.

n 36° 2012 numero newsletter-1.doc

Invalidità totale

Invalidità totale: per mantenere la pensione conterà anche il reddito del coniuge

Il 2013 si apre all’insegna della novità per gli invalidi civili al 100% titolari di una pensione di invalidità. Se infatti fino a ieri il limite di reddito considerato utile al conseguimento della pensione era individuale, da oggi viene considerato anche quello del coniuge. Per il conseguimento della pensione di invalidità dunque sarà necessario che la coppia non superi il limite dei 16.127, 30 euro lordi l’anno. La novità riguarda solo gli invalidi al 100 per con coniuge. Per gli invalidi parziali, i non vendenti e i sordi il limite di reddito resta personale. Immutata anche la situazione per l’erogazione di indennità di accompagnamento e di comunicazione continua: nessun limite reddituale è considerato.

 A dirlo è la Direzione Centrale delle Prestazioni dell’Inps che, con la circolare n. 149 del 28 dicembre 2012, fissa per il 2013 gli importi per le provvidenze (pensioni, assegni, indennità) e i limiti reddituali. Ogni anno vengono infatti ridefiniti dall’Inps a seconda dell’inflazione e del costo della vita non solo gli importi delle pensioni, degli assegni e delle indennità che vengono erogati a invalidi civili, sordi e non vendenti, ma anche i limiti reddituali per accedere ad alcune provvidenze economiche. Per il 2013 appunto, l’Inps ha deciso di introdurre una grande novità, ovvero procedere con il cumulo dei reddito nei casi in cui la persona con disabilità totale goda della compagnia di un coniuge. Il cumulo così previsto non deve superare il limite dei 16.127, 30 euro lordi l’anno, pena la perdita del diritto alla pensione di invalidità (275, 87 euro al mese).

La decisione dell’Inps, su cui tante associazioni a difesa dei diritti delle persone con disabilità stanno già promettendo battaglia, non si basa su un dettato normativo, ma su una Sentenza della Corte di Cassazione del 2011 (n. 4677). In data 25 febbraio 2011, infatti, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha respinto l’impugnazione di una cittadina contro Inps e ministero delle Finanze che in precedenza le avevano respinto la domanda di inabilità civile. A sostegno della decisione presa, la Corte rilevava infatti che, cumulando i redditi del coniuge, la signora superava i limiti di redditi previsti per il requisito economico.

Welfare

Welfare. Piccinini (Inca): “polarizzazione della condizione reddituale degli anziani”

“Anche tra gli anziani assistiamo a una polarizzazione rispetto al reddito: chi ha avuto una vita lavorativa gratificante da pensionato riesce a godersi la vecchiaia. Ma come patronato assistiamo a un progressivo impoverimento del potere d’acquisto”. E’ quanto sostiene in un’intervista al Corriere della sera, Morena Piccinini, presidente Inca, sulla condizione degli anziani in Italia.

“Per effetto della crisi economica buona parte dei pensionati – afferma la Presidente dell’Inca – non può sciegliere di allontanarsi perché di aiuto per la famiglia, specie per i nipoti senza lavoro”.

 Non stupisce dunque il risultato di un’indagine europea sulle abitudini degli ultracinquantenni che dice che gli italiani con un figlio che abita nell’arco di un chilometro sono il 60-70 per cento, contro il 10 per cento degli svedesi.  

da “il Corriere della sera” del 3 gennaio 2013, pag.33