Archivi giornalieri: 15 gennaio 2013

Concessione assegni familiari a cittadini stranieri

 

Sentenze di diversi tribunali  stabiliscono il diritto a percepire la prestazione familiare ai soggiornanti di lungo periodo come la sentenza del Tribunale Roma (7561/2011) patrocinata dall’Inca di Roma Centro in favore di un cittadino extracomunitario titolare di Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, al quale era stato negato “l’assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli minori” erogato dai Comuni (L. 488/98).

Sull’argomento è intervenuto anche il  presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), Graziano Delrio che ha inviato al sottosegretario al lavoro, Guerra una lettera per sollecitare l’emanazione di una specifica direttiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che possa dare espressamente agli Enti locali l’indicazione sulla concessione dell’assegno familiare anche ai cittadini non comunitari.

Il presidente dell’Anci nella sua richiesta evidenzia anche quelli che sono i contenuti di una Direttiva europea che prevede “che il ‘soggiornante di lungo periodo’ goda dello stesso trattamento del cittadino nazionale per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale”.
 
“I Comuni si trovano a tutt’oggi – prosegue Delrio – di fronte al dilemma se riconoscere la provvidenza anche ai cittadini non comunitari ‘soggiornanti di lungo periodo’, in assenza di una formale direttiva del Ministero competente e rischiando eventuali responsabilita’ erariali, o negare la concessione basandosi sul mero dato testuale, pagando con ogni probabilità le spese legali di soccombenza per comportamento razzista e discriminatorio assunto in violazione della Direttiva UE sopra citata”.
 
Da qui la richiesta del presidente dell’Anci onde evitare che i Comuni incorrano nelle spese legali legate ad eventuali contenziosi in relazione ad azioni giudiziarie anti-discriminazioni promosse da cittadini stranieri oppure, in caso di concessione del contributo, in possibili procedimenti dinnanzi alla Corte dei Conti per asseriti danni erariali”.

Assegni invalidità

Assegni invalidità – Retromarcia dell’Inps. Soddisfazione della Cgil e dell’Inca

Marcia indietrodell’Inps e ritiro della circolare 149 del 28 dicembre, quel provvedimento cioè che ha creato scalpore nei giorni scorsi, come denunciato dalla Cgil, perché prevedeva che gli invalidi civili al 100%, per avere la pensione di invalidità, dovessero fare riferimento non più al reddito personale ma anche a quello del coniuge.

Il direttore generale dell’Inps Mario Nori ha infatti diramato oggi un provvedimento dove si prevede che “sia nella liquidazione dell’assegno ordinario mensile di invalidità civile parziale, sia per la pensione di inabilità civile si continuerà a far riferimento al reddito personale dell’invalido” (v. allegato).

Una decisione accolta con favore dalla Cgil, fa sapere la responsabile dell’ufficio politiche della disabilità, Nina Daita, “siamo soddisfatti del risultato raggiunto dopo le pressioni fatte nei giorni scorsi e l’ampia mobilitazione nei confronti di un provvedimento che si prefigurava come palesemente iniquo e vessatorio nei confronti del mondo della disabilità”.

Giudizio positivo è stato espresso anche dalla presidenza dell’Inca che sin da subito aveva sottolineato come il riferimento al reddito del coniuge per l’ottenimento della pensione di invalidità avrebbe escluso  gran parte dei potenziali aventi diritto.

circolare Inps.pdf

Ocse, maternità

Ocse, maternità – Un prezzo troppo alto pagato dalle donne

In tutto il mondo le donne pagano ancora un prezzo troppo alto per la maternità: gli uomini partecipano poco al carico di lavoro domestico, i servizi di assistenza all’infanzia hanno spesso costi troppo alti o semplicemente non sono disponibili, e tutto questo impedisce a molte donne di lavorare di più, o di accedere ad un lavoro giustamente retribuito. Questo, in sintesi, quanto emerge dal Rapporto Closing the Gender Gap: Act Now sulla condizione di genere pubblicato dall’Ocse.

Secondo l’Ocse, l’accesso all’istruzione ha contribuito ad un aumento in tutto il mondo della partecipazione delle donne alla forza lavoro, ma restano notevoli differenze per quanto riguarda l’orario di lavoro e le condizioni di lavoro e di guadagno. Non è soltanto il fisco che “mangia uno stipendio”. In presenza di figli è spesso impossibile che entrambi i genitori lavorino, o che la donna lavori a tempo pieno. Il lavoro part-time tra le donne è più comune in Austria, Germania, Irlanda, Paesi Bassi e Regno Unito. Tenendo conto del lavoro a tempo parziale, il divario salariale tra uomini e donne raddoppia in molti paesi europei, e tripla in Irlanda e nei Paesi Bassi.

Secondo l’Ocse, occorre aumentare il diritto individuale dei padri al congedo parentale su base del criterio “use it or lose it” (prendere o lasciare). Gli uomini sono insomma essenziali per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro: i paesi con il più piccolo divario di genere nella distribuzione del lavoro (paesi scandinavi in testa) non retribuito sono anche quelli con i più alti tassi di occupazione femminile.

Il rapporto Ocse presenta anche nuove prove del divario di genere in ambito imprenditoriale. La percentuale di imprese femminili è di circa il 30% nei paesi Ocse. Anche nel lavoro autonomo le donne guadagnano 30-40% in meno rispetto ai colleghi maschi. Migliorare l’accesso delle donne al finanziamento delle imprese è fondamentale, dice l’Ocse.

In materia di istruzione, le donne hanno fatto grandi passi in avanti in tutto il mondo nel corso degli ultimi due decenni, anche se soffrono ancora di disparità di accesso in alcuni paesi in via di sviluppo. Nei paesi dell’Ocse, le ragazze hanno spesso risultati scolastici migliori dei maschi e hanno maggiori probabilità di rimanere a scuola fino a 18 anni e oltre. Ma le ragazze hanno meno probabilità di scegliere corsi di studio più utili ai fini del lavoro e della retribuzione.

L’Italia è il terz’ultimo paese Ocse per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media Ocse del 65%, peggio di noi soltanto India e Turchia.

Una maggiore partecipazione femminile al lavoro non solo aiuta a sostenere il reddito familiare, ma contribuisce anche a mitigare la pressione che deriva dall’invecchiamento della popolazione. Le proiezioni Ocse mostrano che – a parità di altre condizioni – se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l’anno.

Le differenze di genere nei salari, nel settore di occupazione e nella progressione professionale sono meno pronunciate in Italia che in altri paesi Ocse poiché, più che altrove, le donne con salari più bassi hanno maggiore probabilità di lasciare il mercato del lavoro.

L’introduzione dei voucher attribuiti alle madri lavoratrici che riprendono l’attività lavorativa, in alternativa al congedo parentale, oltre ad offrire ai genitori lavoratori più scelta per la cura dei figli, potrebbe portare ad una più equa distribuzione del lavoro retribuito e non retribuito tra uomini e donne. Tuttavia l’effetto complessivo della riforma deve essere valutato anche sulla base dei tagli ai fondi pubblici allocati per i servizi all’infanzia, che si aggiungono ad una probabile riduzione nella cura informale fornita dai nonni legata all’innalzamento dell’età di pensionamento. 

Il testo completo su www.osservatorioinca.org

Casalinghe

Assicurazione infortuni per le casalinghe

Scade a fine mese il termine per il pagamento dell’assicurazione contro gli infortuni domestici. Il premio assicurativo è di 12,91 euro al mese e assicura una rendita in caso di incidente domestico con le conseguenze di un’invalidità permanente di almeno il 27%. La rendita è per tutta la vita e oscilla da circa 167 euro al mese per un’invalidità al 27% fino ad arrivare a circa 1.160 euro al mese per un’invalidità al 100%. In caso di morte è prevista una rendita ai superstiti.

Sono obbligati ad assicurarsi tutti coloro che nell’età compresa tra i 18 e i 65 anni svolgono in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alla cura della propria famiglia e dell’ambiente in cui si vive.

Sono invece esclusi coloro che svolgono altra attività lavorativa con iscrizione a forme di previdenza obbligatoria.

Sono esonerati dall’assicurazione chi non supera i 4.648 euro di reddito annuo personale e i 9.296 euro di reddito familiare. In questi casi, a seguito di una dichiarazione all’Inail, in cui si comunica la propria situazione reddituale, il premio assicurativo sarà pagato dallo Stato.

Contributi precari

Cgil, Inca e categorie – Scomparsi contributi per molti precari

Numerosi lavoratori precari, iscritti alla gestione separata dell’Inps, lamentano che una parte dei contributi previdenziali versati non compaia nel proprio estratto conto e che tali contributi siano letteralmente ”scomparsi”: è quanto denuncia la Cgil in una lettera inviata oggi al presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua.

”Si tratta in particolare di precari che operano presso grandi amministrazioni pubbliche, Università ed Enti di ricerca”, afferma il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, facendo sapere che, interpellate, ”è emerso un malfunzionamento relativo al sistema di versamento e di accredito delle singole posizioni contributive. Pertanto i contributi di moltissimi lavoratori iscritti alla gestione separata potrebbero non essere stati registrati dal sistema, nonostante le amministrazioni li abbiano versati”.

La Cgil fa inoltre sapere di aver quindi scritto oggi al presidente dell’Istituto di previdenza, Antonio Mastrapasqua, sostenendo la necessità che ”si faccia chiarezza sulla vicenda e che vengano adottati interventi urgenti per garantire l’accredito di tutti i contributi pregressi, oltre che futuri” e che ci sia a breve un incontro ”per ricevere tutte le informazioni sulla vicenda”. 

Secondo Lamonica, ”si tratta di una lesione gravissima a danno di lavoratori precari la cui pensione rischia già di essere molto bassa. Non solo, questi lavoratori hanno già subito prime ripercussioni: infatti alcuni denunciano di aver ricevuto indennità di maternita’ e malattia inferiori agli importi spettanti (e gia’ particolarmente miseri)”.

La Cgil, l’Inca e le categorie di riferimento invitano i lavoratori iscritti alla gestione separata a verificare la propria posizione contributiva.

ansa