La crisi economica non frena l’aumento dei lavoratori immigrati nel settore delle costruzioni, ma la loro è una “crescita malata”, caratterizzata cioè da un aumento dell’irregolarità, tra falsi part time, lavoro nero e forme di lavoro autonomo sospette.
E’ questa la fotografia delle condizioni degli immigrati addetti nelle costruzioni in Italia, scattata dal quinto studio Ires-Fillea Cgil sui lavoratori stranieri nel settore, presentato oggi a Roma. Secondo lo studio, a cura di Emanuele Galossi e Maria Mora, sulla base di dati Istat e Cnce, il settore delle costruzioni si conferma come quello con la maggiore presenza di lavoratori stranieri, con rumeni, albanesi e marocchini che rappresentano il 67% degli stranieri iscritti alle Casse edili.
Il rapporto, sulla base dei dati sulle forze di lavoro Istat nel 2009, sottolinea infatti che i lavoratori immigrati occupati nelle costruzioni sono complessivamente 313.000, con una percentuale pari a circa il 16% del totale (19% tra i dipendenti). E, rispetto al 2008, mentre complessivamente gli occupati in edilizia calano del 3%, per i lavoratori stranieri si assiste a una crescita occupazionale del circa 9%. Ma, secondo Ires e Fillea, questo aumento di addetti immigrati tra il 2007 e il 2009 si può senz’altro definire come una “crescita malata”. Visto che, secondo l’istituto di ricerca e il sindacato degli edili della Cgil, il numero di lavoratori irregolari è cresciuto tra gli stranie è aumentato del 9% per gli immigrati a fronte del 5% per gli italiani e il lavoro autonomo (in molti casi in realta’, secondo il sindacato, lavoro dipendente mascherato) è cresciuto del 44% in più tra gli immigrati rispetto ai colleghi italiani.
Un fenomeno, quello del lavoro autonomo “sospetto”, che, spiegano Ires e Fillea, si può evidenziare anche dai dati Unioncamere, secondo cui il settore delle costruzioni è quello che caratterizza maggiormente l’imprenditoria immigrata, con una crescita solo nell’ultimo anno del 10%. Ma, secondo il rapporto, accanto ai lavoratori dipendenti stranieri che riescono a mettersi in proprio, sono tanti i loro colleghi e connazionali che sono costretti a fingersi autonomi per continuare a lavorare per lo stesso datore di lavoro, senza tutele e garanzie, ma anche senza costi per le imprese.
E per cercare di stimare la presenza di lavoratori “finti autonomi”, secondo Ires e Fillea, “si possono prendere in considerazione alcuni indizi quali l’assenza di dipendenti, la monocommittenza e la mancanza di autonomia di orario”.
“Finti” autonomi e senza tutele, gli immigrati nelle costruzioni sono i più colpiti, secondo lo studio Ires-Cgil, “da tutti i fenomeni devianti che inquinano il settore. Oltre ai problemi legati alla forma contrattuale, gli stranieri sono maggiormente vittime della dequalificazione professionale, dei differenziali retributivi e degli infortuni”.
Per quanto riguarda i differenziali retributivi”si osserva una vera e propria graduatoria a seconda se si lavori al Nord o al Sud e se il lavoratore sia italiano o straniero”. Se, infatti, un lavoratore italiano nel Centro-Nord percepisce 1.200 euro mensili, agli addetti stranieri negli stessi territori ne vanno 1.179, 21 in meno (-1,8%) rispetto ai colleghi italiani.
E nel Mezzogiorno, mentre agli italiani vanno 1.100 euro, e cioè 100 euro in meno rispetto ai connazionali del Centro-Nord, a passarsela peggio di tutti sono gli immigrati, che al Sud portano a casa appena 907 euro, il 24,4% in meno rispetto ai colleghi italiani del Centro-Nord.
Per quanto riguarda gli infortuni subiti dai lavoratori stranieri, Ires e Fillea sottolineano come, secondo i dati del rapporto Inail 2008, il settore delle costruzioni continui a essere tra i più rischiosi tanto da concentrare circa il 13,7% degli infortuni registrati tra tutti i lavoratori immigrati. Nel caso specifico degli infortuni mortali, nonostante questi siano leggermente calati nel corso del 2008, il settore delle costruzioni, con 43 vittime straniere, mantiene il triste primato di “settore killer”. E gli stranieri stanno peggio degli italiani, con circa 44 infortuni ogni 1.000 lavoratori stranieri contro i 39 circa dei lavoratori nel complesso. Il mestiere più pericoloso per i lavoratori stranieri di sesso maschile è quello di muratore.
Secondo Ires e Fillea, alla luce dei dati dello studio, “il rischio è quelli di ritrovare a crisi finita una struttura produttiva nelle costruzioni inadeguata, non competitiva e che rappresenti la parte peggiore del settore”.
(Adnkronos)