Archivi giornalieri: 22 dicembre 2010

Pubblica amministrazione – Al via il Fondo Perseo

 

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Il secondo Fondo di previdenza complementare della P.A.

Si chiama “Perseo”, il secondo Fondo di previdenza complementare dei dipendenti della Pubblica Amministrazione e riguarda il personale di Regioni, Enti locali e Sanità, compresa la dirigenza medico-veterinaria, nonchè la dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa del servizio sanitario nazionale, che ha già definito gli atti di adesione da rendere esecutivi a breve. Può contare su un potenziale bacino di utenti di oltre un milione e 260 mila addetti. L’atto costitutivo è stato firmato ieri sera in Aran dal commissario straordinario Antonio Naddeo e dai rappresentanti delle Organizzazioni sindacali presenti.

Si tratta di uno strumento che servirà per l’implementazione del secondo pilastro della previdenza, quella complementare di fonte negoziale, parallela al sistema generale obbligatorio in tutti i comparti e le aree della pubblica amministrazione. Il Fondo si basa su un sistema di finanziamento a contribuzione definita e a capitalizzazione individuale.

Si è conclusa così una lunga vicenda cominciata con l’accordo istitutivo del Fondo nel maggio 2007 e che ha richiesto una ragguardevole opera di completamento della strumentazione normativa, necessaria per adeguare l’impianto giuridico preesistente. Ciò è stato realizzato anche grazie all’impegno di varie istituzioni: Funzione Pubblica, Lavoro ed Economia e Finanze, Comitati di settore di Regioni e Sanità e delle Autonomie locali.

L’Aran, che ha curato tutti gli aspetti di questa vicenda, anche in raccordo con le Organizzazioni sindacali del settore, esprime viva soddisfazione per il risultato acquisito, frutto pure di una costante collaborazione con l’Inpdap e con la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi). L’atto costitutivo prevede la designazione del primo consiglio d’amministrazione, che verrà presieduto dal dottor Bruno Bugli, direttore generale della Fnom (Federazione nazionale ordine dei medici).

A questo Fondo seguirà, si spera a breve, la costituzione del Fondo Sirio per i dipendenti dei ministeri, della presidenza del consiglio dei ministri, degli enti pubblici non economici, dell’Enac e del Bnel e la istituzione dello strumento utile per i dipendenti delle universita’ e della ricerca, assicurando cosi’ l’accesso alla previdenza complementare a tutti i dipendenti contrattualizzati.


(Adnkronos)

73° Congresso SIMLII: rischio occupazionale in agricoltura

 

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Per il riconoscimento delle malattie da lavoro

Il recente 73° Congresso della SIMLII ha dedicato una intera sessione al “rischio occupazionale il agricoltura e nel settore agroalimentare”.

In questa sessione sono state presentate relazioni che rivestono particolare importanza per l’attività di tutela quali:

1) Lucchini R. e coll. ; “Lo sviluppo dell’agricoltura in Italia oggi: necessità di armonizzare aspetti produttivi e di tutela della salute”;
2) Moretto A.: “Valutazione e gestione del rischio chimico in agricoltura”;
3) Sannolo N. e coll. : “I cicli produttivi e i relativi fattori di rischio”;
4) L’Abbate N. e coll.; “I cicli produttivi ed i relativi fattori di rischio nel settore agroalimentare”;
di queste diverse relazioni di seguito vengono ripresi i contenuti che riteniamo importanti nel riconoscimento delle malattie da lavoro.

39° 2010 numero newsletter.doc

Un milione di italiani senza cittadinanza

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La mancanza di certezze crea spazio per le discriminazioni

L’ultimo dossier statistico di “Caritas Migrantes” stima intorno ai cinque milioni il numero di immigrati che risiedono regolarmente in Italia. Di questi, circa 900 mila sono minori. 560 mila sono i nati nel nostro paese da genitori stranieri. Se si aggiungono anche coloro che sono arrivati in Italia da piccoli, si supera il milione di presenze. Parliamo delle seconde generazioni: sono giovani, italiani in tutto e per tutto, tranne che per il diritto alla cittadinanza.

La legge che ne disciplina l’acquisizione è la n. 91 del 1992. Il testo prevede che i nati in Italia possano ottenere la cittadinanza al compimento dei 18 anni se ne fanno richiesta entro un anno, dimostrando altresì di aver risieduto legalmente e ininterrottamente nel nostro territorio. Se dunque la famiglia ha sospeso temporaneamente il proprio soggiorno, se il minore non è stato immediatamente registrato all’anagrafe del Comune di residenza al momento della nascita, o nel caso in cui i genitori non siano in regola con i documenti, l’ottenimento di tale diritto rischia di diventare una chimera.

Il minore può acquistare la cittadinanza contestualmente a entrambi i genitori o a uno di essi, per filiazione, se è presente il requisito della convivenza. Non sono rari i casi in cui ciò che la legge dichiara si presta, nella prassi, a interpretazioni contrastanti. È quanto accaduto di recente a Cavallasca, in provincia di Como, dove un cittadino italiano di origine africana è stato costretto ad agire per vie giudiziali, affinché la cittadinanza fosse riconosciuta anche ai figli minori. La vicenda è stata seguita in tutte le sue fasi dal Responsabile del Clas (Coordinamento dei lavoratori stranieri) della Cgil di Como, Ardjan Paçrami, che ne ha evidenziato i passaggi più significativi. Durante il percorso di naturalizzazione l’uomo si stava separando dalla moglie, e i figli erano in affidamento condiviso tra i due. Per questo l’Ufficio Anagrafe aveva ritenuto che non fosse possibile riconoscere la cittadinanza ai minori, mancando il requisito della convivenza con il padre.

Rivoltisi al Tribunale di Como, i ricorrenti hanno vinto la causa. Non solo perché i minori trascorrevano equamente il tempo con entrambi i genitori, ma soprattutto in base a un concetto di convivenza che non è da intendersi come mera coabitazione, ma come condivisione della vita. Sebbene il Tribunale si sia pronunciato a favore della cittadinanza per i minori, resta un’amarezza di fondo. Quella per una vicenda che avrebbe potuto risolversi molto più semplicemente, se ci fosse stata la volontà di rimuovere gli ostacoli che si frapponevano al pieno godimento di un diritto spettante per legge. “La mancanza di un’applicazione omogenea della normativa – commenta Lucia Cassina, segretaria della Cgil di Como – lascia spazio alla discriminazione. In mancanza di certezze, questioni importanti dipendono dalla sensibilità di funzionari che non sempre cercano la migliore interpretazione della legge”.

Rassegna.it

Giovani precari: più lavori, meno salario

 

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Poco più di un terzo fa due o più lavori

Non solo disoccupati o inoccupati, ci sono tanti giovani che per sbarcare il lunario fanno due o più lavori. Spesso con contratti atipici, tante volte in nero. È quanto è emerso dal sondaggio svolto dal magazine bimestrale freepress Walk on Job (sito internet www.walkonjob.it) a cui hanno risposto 500 ragazzi, intervistati tra il 19 ottobre e il 20 novembre 2010 e che è l’argomento dell’inchiesta, a firma di Elisa Di Battista, pubblicata, sul numero appena uscito e distribuito in oltre 41 città italiane. E’ quanto si apprende da un comunicato del magazine.

Poco più di un terzo fa due o più lavori.
Il 38% dei ragazzi che hanno risposto al sondaggio, tramite la pagina Facebook del magazine, la newsletter e il sito Internet, ha ammesso di svolgere due o più lavori. Queste le percentuali nello specifico: a svolgere un solo lavoro è il 48,3%, due lavori contemporaneamente il 24,3%, più di due il 12,1%  mentre il 15,5 ha ammesso di essere inoccupato o disoccupato.

Una situazione, quella da precari multitasking o come li ha chiamati ironicamente il giornale da “polipi professionali” nella quale i ragazzi si sono trovati più volte come ammette il 32,9% degli intervistati. Il 14,7% ha detto di averlo fatto perché spinto dalla necessità e dalla ricerca di maggiore autonomia, l’11% ha ammesso di fare più lavori perché gli piace impegnarsi in ambiti diversi e per il 10,7% si tratta della normale condizione lavorativa, mentre il 14% dice di non averne l’interesse né la necessità.

Due o tre lavori in ambiti affini o completamente diversi?
La maggioranza di chi ha risposto al sondaggio, esattamente il 66,9%, racconta di avere fatto lavori completamente differenti, solo  il 36,7% ha trovato impieghi che avessero un qualche nesso tra loro. C’è chi fa la ricercatrice universitaria e allo stesso tempo fa assistenza al cliente o la promoter. Ancora chi fa l’insegnante, ma nei momenti liberi fa ricevimento in hotel, c’è anche l’impiegata che serve ai tavoli, chi fa la maschera in teatro, l’assistente costumi e collabora con una casa editrice e chi, smessi i panni di avvocato in uno studio legale, lavora in un panificio, solo per citare alcune delle tante risposte date dai ragazzi che hanno partecipato al sondaggio.

Contratti?
Vincono gli atipici, ma anche il lavoro nero. Aspetto contratti. In questo caso, i dati sono tutt’altro che incoraggianti.  Alla domanda “Che contratto regola il tuo rapporto di lavoro?” ecco le risposte:

Contratto a tempo indeterminato 26,3%
Contratto a tempo determinato/agenzia interinale 30,9%
Partita IVA 6,9%
Contratto a progetto 37,2%
Contratto di collaborazione occasionale/ritenuta d’acconto/a chiamata 39,4%
Contratto a diritto d’autore 1,9%
Contratto professionalizzante/apprendistato 10,4%
“Contratto in nero” 33,2%

Molto alta la percentuale di chi lavora in nero e di chi invece ha un contratto a collaborazione occasionale e a progetto. Il contratto atipico vince sull’indeterminato che, comunque con il 26,3%, rappresenta una percentuale interessante.

Altro che generazione mille euro.

E i guadagni? Anche in questo caso, prospettive tutt’altro che rosee:

meno di 500 euro/mese 18,8%
tra 500-800 euro/mese  22,9%
tra 800-1000 euro/mese 14,7%
tra 1100-1200 euro/mese 13,6%
oltre 1200 euro/mese 19,9%
oltre 1800 euro/mese 6,8%
oltre 2500 euro/mese 3,3%

Dai dati emerge che la maggior parte degli utenti (il 56,4% in totale) guadagna meno di 1000 euro al mese, altro che generazione 1000 euro.

walkonjob.it

La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna Italia

 

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Processi troppo lenti

I processi in Italia sono troppo lunghi e per avere un risarcimento si può attendere fino a 4 anni. Dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo arriva una condanna nei confronti del nostro Paese per i ritardi con cui vengono pagati gli indennizzi legati alla lentezza dei processi.

La Corte ha adottato 475 sentenze che danno ragione ad altrettanti ricorsi presentati da soggetti che hanno dovuto attendere dai 9 mesi ai 4 anni per incassare il risarcimento che gli era stato riconosciuto, in base alla legge Pinto, per l’eccessiva lunghezza del processo.

Istat: disoccupazione giovanile al 24,7%

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Dati allarmanti sulla disoccupazione nel Paese

I dati sulla disoccupazione in Italia, diffusi oggi dall’Istat, sono allarmanti e dovrebbero far riflettere. E’ l’invito che i presidenti di Federconsumatori e Adusbef, Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, rivolgono soprattutto a coloro che vedono il Paese già fuori dalla crisi, alimentando menzogne e mistificazioni del tutto dannose e fuorvianti”. Particolarmente impressionante l’avanzata della disoccupazione giovanile, che ha raggiunto il 24,7%. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione generale, ad ottobre 2010 si è toccato il picco dell’8,7%. La media del tasso di disoccupazione del terzo trimestre 2010, è dell’8,3% con un aumento di tre decimi rispetto al terzo trimestre 2009.

“Queste rilevazioni forniscono un quadro allarmante – scrivono in una nota le Associazioni dei consumatori – al quale si aggiungono i risultati delle ricerche e degli studi effettuati dall’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, che hanno registrato, dal 2007 ad oggi, un crollo del potere di acquisto delle famiglie di ben il -9,6%; nonché un forte calo dei consumi (-1,5% nel 2008, -2,5% nel 2009 e, in previsione, -2% nel 2010, per una caduta complessiva del -6% negli ultimi 3 anni)”.

“Tale situazione desta forte preoccupazione circa le prospettive future dell’Italia, sia sul piano economico che su quello sociale, confermando, ancora una volta, il profondo disagio in cui si trovano le famiglie. Del resto come potrebbe essere altrimenti, dal momento che il Governo non ha fatto nulla per arginare questo andamento, se non avviare manovre sbagliate ed inique che hanno determinato e continueranno a determinare gravi ripercussioni per i cittadini”.

Per questo è ormai improrogabile un determinato intervento teso a rilanciare il Paese attraverso:
una detassazione per le famiglie a reddito fisso, di almeno 1200 euro annui e un piano di rilancio degli investimenti per lo sviluppo tecnologico e la ricerca, indispensabile per l’occupazione e per la competitività sul piano internazionale.


helpconsumatori

Salute e sicurezza

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Stress da lavoro, gli anelli deboli della norma

La scadenza si avvicina, ma lo scetticismo è alle stelle. L’adempimento dell’obbligo di misurazione dello stress da lavoro correlato nella aziende italiane (nessuna esclusa), così come è stato teorizzato dalla recente circolare ministeriale firmata dal direttore generale della Tutela delle condizioni di lavoro, Giuseppe Umberto Mastropietro, non convince su molti punti alcuni esperti del settore.

Il documento, stilato in armonia con le attuali norme comunitarie, farebbe acqua da tutte le parti. A partire dalla data del termine ultimo, il prossimo 31 dicembre, per l’elaborazione del documento di valutazione “preliminare”, ovvero quella che in una prima fase è mirata alla rilevazione di indicatori “oggettivi e verificabili” attraverso modelli ufficiali di rilevazione (come quello dell’Ispesl, ad esempio). Gli indicatori riguardano eventi sentinella (indici infortunistici, assenze per malattia, turnover, specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori); fattori di contenuto del lavoro (ambiente di lavoro e attrezzature, carichi e ritmi di lavoro, orario e turni, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali); fattori di contesto (ruolo nell’ambito organizzativo, autonomia decisionale e controllo, conflitti interpersonali).

Annarita Proietti, responsabile dell’Ente bilaterale lavoro e ambiente (Ebla) costituito da Federlazio, Cgil, Cisl e Uil, si chiede se le aziende ce la faranno, riferendosi alla circolare che non è riuscita a fare chiarezza e che, di fatto, non prende direttamente in causa il lavoratore. I dubbi si concentrano nella sostanza del provvedimento che “appare un po’ di facciata, non preoccupandosi troppo di far passare davvero, nelle aziende, una consapevolezza profonda di cosa rappresenti questo tipo di rischio, elemento che peraltro indebolisce la capacità produttiva. La stragrande maggioranza dei responsabili del servizio protezione e prevenzione (90%) pensa che il problema dello stress non sia tra quelli prioritari”.

Secondo Daniele Danieli, responsabile Cgil Roma e Lazio per la sicurezza nei luoghi di lavoro, le  varie fasi di valutazione previste nella circolare renderebbero molto marginale il coinvolgimento del lavoratore: “Nella prima fase, per il datore non c’è l’obbligo di sentire il lavoratore, preso in causa solo se le eventuali azioni correttive, nel caso di esistenti fattori di stress, si siano rivelate fallimentari. E dal momento che è molto probabile che nelle aziende ci si fermerà solo a quest’ultima, temo che anche un punto di vista scientifico sarà difficile stabilire il rischio senza il coinvolgimento dei lavoratori con colloqui, interviste o questionari. Se non si ha la percezione di come il lavoratore vive l’attività che svolge, nella sua organizzazione, così come nelle relazioni che contempla – aggiunge Danieli – sarà molto complicato capire e mettere insieme qualcosa di concretamente efficace, su un tema già di per sé oggettivamente complesso e delicato da misurare. Non stiamo parlando di inquinamento da rumore, registrabile con un congegno elettronico”.

Non solo. Al centro della fase “preliminare”, che la circolare non prevede, dovrebbe esserci la formazione lavoratore: “Nelle linee guida dell’Ispesl – chiarisce il sindacalista – c’è scritto che sarebbe bene istruire il lavoratori su cosa sia lo stress correlato al lavoro. L’assenza di questa, a mio avviso, indebolisce molto l’accertamento finale e le contromisure che dovrebbero essere messe in campo”.

Se d’altro canto, la norma così come recepita dall’Italia, di fatto rappresenta un oggettivo passo in avanti nella tutela del lavoratore, l’altro aspetto che resta appeso è, secondo Raffaele Nardoianni, avvocato esperto in diritto del lavoro, “la sua reale e corretta applicazione, con relativi controlli ed eventuali sanzioni”. Cruciale, infatti, si rivela la questione vigilanza che dovrà essere adempiuta dalle Asl, “organi che – aggiunge Proietti – non in tutti i territori hanno a disposizione sufficienti ispettori dedicati. Anzi nella stragrande maggioranza dei casi sono in sotto organico da questo punto di vista. Un fattore che costringe le istituzioni preposte a fare una lista di priorità. E temo che lo stress non sarà in cima”.

Rassegna.it