Archivi giornalieri: 15 dicembre 2010

Consiglio d’Europa – Le carenze dell’Italia sui diritti

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Sicurezza e salario minimo le note più dolenti

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In Italia i diritti dei lavoratori non sono pienamente rispettati: manca un politica adeguata per la sicurezza sul lavoro e manca un salario minimo per garantire un tenore di vita decente.

Queste, in sintesi, alcuni dei rilievi mossi all’Italia nell’ultimo rapporto redatto dal Comitato europeo dei diritti sociali, l’organo del Consiglio d’Europa, che ha il compito di monitorare come gli Stati membri applicano quanto previsto dalla Carta sociale.

In Italia, secondo il Comitato, manca una politica a livello nazionale per la riduzione dei rischi legati ai lavori pericolosi o dannosi per la salute e le misure sinora adottate per “compensare”i lavoratori dei rischi che corrono non sono in linea con quanto previsto dalla Carta sociale.

Nel rapporto viene poi sottolineato come alcune particolari categorie di lavoratori non godano di tutti i diritti che dovrebbero essere loro garantiti. Uno dei casi evidenziati è quello di chi opera nel settore della pesca, dove per contratto si puo’ lavorare fino a 14 ore al giorno o 72 ore alla settimana. Questo mentre il Comitato indica che giornalmente non si dovrebbero superare le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali.

(ANSA)

Morti sul lavoro

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Morti sul lavoro

Lavorare in sicurezza è un diritto

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Sono 135 le vittime nel settore delle costruzioni rilevate da gennaio a fine novembre dall’Osservatorio sicurezza sul lavoro di Vega Engineering.

Vengono esposti quotidianamente a rischi mortali senza imbragature nè protetti da parapetti. Molto spesso non indossano gli elmetti e le scarpe antinfortunistiche. Questa è molto spesso la prassi lavorativa per chi opera nell’edilizia. Ed ecco che sei decessi su dieci sono dovuti proprio ad una caduta dall’alto. Intanto, dall’inizio dell’anno a fine novembre, i morti nel settore sono stati 135 (il 28 per cento di tutte le morti bianche del Paese).

La regione in cui il dramma è maggiormente sentito è la Campania con 18 vittime delle costruzioni, seguita da Lazio e Lombardia (14), da Veneto ed Emilia Romagna (12) e dalla Sicilia (11).
Nella classifica provinciale invece è Napoli a tenere le fila del dolore con sette morti bianche. Seguono Latina (6), Roma (5), Milano, Belluno e Palermo (4).

A registrare una sola vittima nel settore sono solo Basilicata e Molise. Precedute dal Friuli Venezia Giulia e Umbria (2), Trentino Alto Adige e Sardegna (3), Abruzzo e Liguria (4),  Marche e Toscana (5), Piemonte, Puglia e Calabria (8).

E’ la prima tragica immagine del lavoro nei cantieri edili proiettata dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering di Mestre. Un focus sull’emergenza morti sul lavoro nel settore del mattone necessario per il Presidente dell’Osservatorio Ingegnere Mauro Rossato “poiché aiuta a comprendere quanto sia indispensabile lavorare sul fronte della formazione e, più in generale, della prevenzione. Perché, per ora, dati alla mano, pare si stia facendo ancora poco”.

Una strage pressochè quotidiana quella che emerge nell’edilizia. E a perdere la vita sono anche i lavoratori stranieri (oltre il 15 per cento del totale). Per la precisione i rumeni sono il 28 per cento delle vittime straniere, gli albanesi il 38 per cento.

“Il problema di questo Paese quando si parla di edilizia – spiega il Presidente di Vega Engineering – è la mancanza di formazione e di sensibilità sul tema della sicurezza. A partire proprio dai datori di lavoro”.

La loro prima responsabilità infatti è quella di organizzare preventivamente le attività lavorative scegliendo i sistemi di sicurezza da utilizzare, adeguandoli di volta in volta alle specificità del cantiere. Tutto questo è previsto dalla legge che obbliga ogni azienda a redigere il Pos ovvero il Piano operativo sulla sicurezza.

“In molti casi, però – precisa ancora Rossato – si tratta di documenti non conformi, di “faldoni” interminabili, prestampati con misure mai applicate”, magari elaborati da qualche “consulente” improvvisato.

Lavoro – Politiche attive per uscire dalla crisi in Europa

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 Ripartire dall’occupazione e dai tempi di conciliazione tra vita e lavoro

E’ questa l’indicazione emersa oggi, a Roma, dalla conferenza europea ‘Strategie di uscita dalla crisi e sistemi di governance: Quali sfide per le politiche del lavoro?, organizzata da Italia Lavoro, agenzia tecnica del ministero del Lavoro.

“Siamo consapevoli – ha spiegato Xavier Prats Monnè, direttore Strategia di Lisbona e Affari internazionali della direzione generale Occupazione, affari sociali e pari opportunità della Commissione europea- della situazione difficile e diversa di paese in Paese dell’Europa, ma per guardare al futuro è importante concentrarsi sulle riforme, e per questo motivo cercheremo di elaborare delle raccomandazioni specifiche per ciascun Paese.

Tra i problemi piu’ importanti da affrontare nel 2011, secondo Monnè, c’è di sicuro “la disoccupazione giovanile, che ha un tasso doppio rispetto al tasso generale: noi al riguardo proporremo ai Paesi membri un salario d’ingresso differenziato e degli interventi di formazione”.

Altro tema al centro dell’agenda europea, ha ricordato Monnè, la flessibilità: “E’ fondamentale intervenire su questo tema, ma anche su quello della conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro”.

Immigrati – Nuovi ostacoli sul percorso dell’integrazione

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Le strutture della Cgil e del patronato Inca al fianco degli immigrati per sostenere i loro diritti

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Situazione difficile per gli immigrati in Italia. Al test di lingua italiana obbligatorio per chi chiede il permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo si aggiunge lo sciopero dei lavoratori delle Prefetture e della Questure, impiegati nei servizi all’immigrazione che hanno organizzato una manifestazione a Roma in piazza Santi Apostoli, per chiedere l’immediata proroga dei contratti e la futura stabilizzazione.

Il 31 dicembre 2010 i lavoratori precari del ministero dell’Interno saranno licenziati di fatto e quindi non potrà più essere garantito il servizio agli immigrati che chiedono permessi, carte di soggiorno, ricongiungimenti familiari e cittadinanza. Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Pa e i lavoratori chiedono una risposta immediata, che arrivi entro il 31 dicembre, per il mantenimento in servizio e la garanzia dei diritti degli immigrati.

Ad una situazione già di per sè precaria dunque dal 9 dicembre 2010, gli immigrati che presentano domanda per il rilascio del Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno), devono dimostrare di possedere una conoscenza della lingua italiana pari al livello A2 del quadro di riferimento europeo. Questo ulteriore requisito, introdotto con il pacchetto sicurezza del 2009, oltre a creare un pericoloso legame tra competenza linguistica e diritti,  lascerà nella precarietà e nell’instabilità giuridica chi non riuscirà a soddisfare questo nuovo requisito, pur avendo maturato i 5 anni di regolare presenza in Italia ed un reddito adeguato.
 
La Cgil, l’Inca e il Sindacato scuola umbra che hanno un’incidenza della popolazione immigrata su quella autoctona che colloca l’Umbria al secondo posto tra le regioni italiani, dopo l’Emilia Romagna ha deciso quest’oggi di presentare in una conferenza stampa le problematiche di quella che appare  una procedura macchinosa e complicata: chi non possiede già la certificazione o un titolo di studio conseguito in Italia, dovrà richiedere, in via telematica, allo Sportello Unico della Prefettura, di poter sostenere il test, aspettare la convocazione presso i Centri Territoriali Permanenti entro 60 giorni dalla richiesta, svolgere l’esame ed, infine, attendere l’esito, che sarà valutato insieme agli altri requisiti previsti per l’ottenimento del Permesso per lungo soggiornanti.

Molti aspetti appaiono assolutamente confusi: non è chiaro, ed esempio, se la richiesta della carta di soggiorno e la prenotazione del test possano avvenire contestualmente o se prima occorre superare il test e, solo successivamente, presentare la domanda di carta di soggiorno.

In quest’ultimo caso, in attesa del test, l’immigrato potrebbe rischiare di perdere gli altri requisiti quali, ad esempio, il lavoro. E’ evidente che i tempi di attesa per il rilascio del titolo di soggiorno a tempo indeterminato si allungheranno notevolmente. Ciò desta preoccupazione, anche in ragione del fatto che, in Umbria, questo sistema potrebbe compromettere il lavoro svolto fino ad oggi dalle Questure nella riduzione dei tempi di rilascio dei permessi di soggiorno. A riguardo va detto anche che, se da gennaio il Ministero degli Interni non rinnoverà il contratto dei dipendenti a tempo determinato delle Questure e delle Prefetture, gli uffici si paralizzeranno ulteriormente.
Inoltre, altro elemento di criticità è che l’esito del test sarà visualizzabile su internet e l’immigrato non riceverà neanche un attestato che certifica la conoscenza della lingua. Peraltro, non sappiamo ancora, né in cosa consisterà il test, né le sue modalità di somministrazione. L’auspicio è che lo svolgimento della prova e il suo contenuto siano omogenei in tutta Italia.

La CGIL monitorerà le modalità di applicazione a livello locale di questo meccanismo così farraginoso, fiduciosa della collaborazione con le Questure e le Prefetture.

Inca – Dalla sorveglianza sanitaria al riconoscimento dei tumori professionali

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Corso di formazione per i medici

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Nell’ambito delle iniziative dell’Inca, volte a far emergere il fenomeno dei tumori professionali, il 14 e il 15 dicembre prossimi, si svolgeranno a Bari, in collaborazione con l’Università “Aldo Moro”, due giornate seminariali, con la partecipazione di specialisti e esperti, nazionali e internazionali.

Si tratta di un evento importante che vuole sottolineare come l’impegno dell’Inca sia determinante per contribuire a far crescere nel nostro Paese una nuova cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e assicurare un’adeguata tutela ai malati oncologici.

La collaborazione con il mondo accademico, che si esprime con la partecipazione del Magnifico Rettore dell’Università di Bari e di alcuni docenti, nonché il riconoscimento dei crediti ECM per i medici, ci consente di indicare come questa iniziativa assuma una valenza autorevole.

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Immigrati – Nel Rapporto Ires-Fillea aumenta il lavoro in nero e i falsi part time

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La “crescita malata”….

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La crisi economica non frena l’aumento dei lavoratori immigrati nel settore delle costruzioni, ma la loro è una “crescita malata”, caratterizzata cioè da un aumento dell’irregolarità, tra falsi part time, lavoro nero e forme di lavoro autonomo sospette.

E’ questa la fotografia delle condizioni degli immigrati addetti nelle costruzioni in Italia, scattata dal quinto studio Ires-Fillea Cgil sui lavoratori stranieri nel settore, presentato oggi a Roma. Secondo lo studio, a cura di Emanuele Galossi e Maria Mora, sulla base di dati Istat e Cnce, il settore delle costruzioni si conferma come quello con la maggiore presenza di lavoratori stranieri, con rumeni, albanesi e marocchini che rappresentano il 67% degli stranieri iscritti alle Casse edili.

Il rapporto, sulla base dei dati sulle forze di lavoro Istat nel 2009, sottolinea infatti che i lavoratori immigrati occupati nelle costruzioni sono complessivamente 313.000, con una percentuale pari a circa il 16% del totale (19% tra i dipendenti). E, rispetto al 2008, mentre complessivamente gli occupati in edilizia calano del 3%, per i lavoratori stranieri si assiste a una crescita occupazionale del circa 9%. Ma, secondo Ires e Fillea, questo aumento di addetti immigrati tra il 2007 e il 2009 si può senz’altro definire come una “crescita malata”. Visto che, secondo l’istituto di ricerca e il sindacato degli edili della Cgil, il numero di lavoratori irregolari è cresciuto tra gli stranie è aumentato del 9% per gli immigrati a fronte del 5% per gli italiani e il lavoro autonomo (in molti casi in realta’, secondo il sindacato, lavoro dipendente mascherato) è cresciuto del 44% in più tra gli immigrati rispetto ai colleghi italiani.

Un fenomeno, quello del lavoro autonomo “sospetto”, che, spiegano Ires e Fillea, si può evidenziare anche dai dati Unioncamere, secondo cui il settore delle costruzioni è quello che caratterizza maggiormente l’imprenditoria immigrata, con una crescita solo nell’ultimo anno del 10%. Ma, secondo il rapporto, accanto ai lavoratori dipendenti stranieri che riescono a mettersi in proprio, sono tanti i loro colleghi e connazionali che sono costretti a fingersi autonomi per continuare a lavorare per lo stesso datore di lavoro, senza tutele e garanzie, ma anche senza costi per le imprese.

E per cercare di stimare la presenza di lavoratori “finti autonomi”, secondo Ires e Fillea, “si possono prendere in considerazione alcuni indizi quali l’assenza di dipendenti, la monocommittenza e la mancanza di autonomia di orario”.

“Finti” autonomi e senza tutele, gli immigrati nelle costruzioni sono i più colpiti, secondo lo studio Ires-Cgil, “da tutti i fenomeni devianti che inquinano il settore. Oltre ai problemi legati alla forma contrattuale, gli stranieri sono maggiormente vittime della dequalificazione professionale, dei differenziali retributivi e degli infortuni”. 

Per quanto riguarda i differenziali retributivi”si osserva una vera e propria graduatoria a seconda se si lavori al Nord o al Sud e se il lavoratore sia italiano o straniero”. Se, infatti, un lavoratore italiano nel Centro-Nord percepisce 1.200 euro mensili, agli addetti stranieri negli stessi territori ne vanno 1.179, 21 in meno (-1,8%) rispetto ai colleghi italiani.

E nel Mezzogiorno, mentre agli italiani vanno 1.100 euro, e cioè 100 euro in meno rispetto ai connazionali del Centro-Nord, a passarsela peggio di tutti sono gli immigrati, che al Sud portano a casa appena 907 euro, il 24,4% in meno rispetto ai colleghi italiani del Centro-Nord.

Per quanto riguarda gli infortuni subiti dai lavoratori stranieri, Ires e Fillea sottolineano come, secondo i dati del rapporto Inail 2008, il settore delle costruzioni continui a essere tra i più rischiosi tanto da concentrare circa il 13,7% degli infortuni registrati tra tutti i lavoratori immigrati. Nel caso specifico degli infortuni mortali, nonostante questi siano leggermente calati nel corso del 2008, il settore delle costruzioni, con 43 vittime straniere, mantiene il triste primato di “settore killer”. E gli stranieri stanno peggio degli italiani, con circa 44 infortuni ogni 1.000 lavoratori stranieri contro i 39 circa dei lavoratori nel complesso. Il mestiere più pericoloso per i lavoratori stranieri di sesso maschile è quello di muratore.

Secondo Ires e Fillea, alla luce dei dati dello studio, “il rischio è quelli di ritrovare a crisi finita una struttura produttiva nelle costruzioni inadeguata, non competitiva e che rappresenti la parte peggiore del settore”.

(Adnkronos)