Archivi giornalieri: 29 luglio 2009

Amianto

amianto1.jpgAmianto – Denuncia lavoratori Bridgestone di Bari

Esposizione al rischio amianto

 

Per l’Inail non ci sarebbe stato alcun “rischio amianto”, ma più di 100 sentenze della sezione Lavoro del Tribunale di Bari avrebbero attestato il contrario. Si basa su questa presunta incongruenza la denuncia-querela depositata alla procura della Repubblica di Bari, al presidente del Tribunale di Bari, alla procura regionale della Corte dei Conti e alla Guardia di finanza da due persone che sino al 2004-2005 sono state dipendenti della Bridgestone Italia spa, ex Firestone Brema di Modugno. Uno dei due lavoratori, in particolare, è stato dal 1980 al 2003 rappresentante della sicurezza dei lavoratori in azienda. I fatti denunciati riguardano il periodo 1992-2008.

L’esposto verte su presunte omissioni nel rispetto delle norme poste a “tutela del diritto alla salute nel luogo di lavoro” e su una presunta “evasione del pagamento del sovrapremio silicosi-asbestosi a titolo di asbestosi”.

Al centro dell’esposto c’è il riconoscimento a fini previdenziali, in favore dei lavoratori esposti all’amianto, dei benefici previsti ex lege 257/92 (norma che mette al bando l’amianto). Numerose consulenze tecniche d’ufficio e sentenze della sezione Lavoro del tribunale di Bari si sono espresse in favore dei lavoratori. L’Inail invece, sostengono i due denuncianti, dopo le relazioni dei suoi organi tecnici (Contarp) ha sempre negato il “superamento della soglia minima” prevista per legge per ottenere i benefici. Almeno fino al gennaio 2008, quando ha riconosciuto il beneficio ad un lavoratore che prestava la propria attività nello stabilimento per conto di una ditta esterna e che è morto nel 2001 per “asbestosi pleurica bilaterale”.

(ANSA)

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NEWS

Amianto – Segnalati 28 casi di insegnanti malati

A scuola di …..amianto

 

Riguarda non solo Torino ma anche altre citta’ italiane l’indagine sugli insegnanti delle scuole pubbliche malati o morti per esposizione all’amianto. Il totale dei casi raccolti dalla procura del capoluogo piemontese è salito a 28 (l’ultimo si e’ aggiunto questa mattina); non tutti riguardano Torino e, per questo, il pm Raffaele Guariniello ha già disposto la trasmissione delle carte ai colleghi delle località interessate.

Gli atti, relativi a sette vicende, saranno inviati a Ivrea (Torino), Ravenna, Como, Messina (uno dei malati, infatti, risulta avere insegnato per quasi l’intera carriera in un liceo scientifico a Milazzo) e altrove.

Le segnalazioni sono raccolte dall’Osservatorio tumori professionali, una struttura allestita a Torino alcuni anni fa per iniziativa della magistratura, sulla base di quanto comunicato da medici e Asl. I pazienti sono stati visitati nel capoluogo piemontese, ma non tutti hanno lavorato nella Regione. Per alcuni casi, secondo quanto si è appreso, il collegamento fra le patologie e l’esposizione all’amianto nelle scuole è già stato accertato.

Umbria Olii – Una tragedia senza fine

Nuovo colpo di scena al processo per la tragedia di Campello sul Clitunno

 

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La Umbria Olii di Campello sul Clitunno (Perugia), l’azienda di raffinazione divenuta tristemente famosa il 25 novembre del 2006 per la morte di quattro lavoratori causata dall’esplosione di un silos pieno di olio e successivamente per la clamorosa richiesta di risarcimento di 35 milioni di euro avanzata dal titolare dell’azienda nei confronti dei parenti delle vittime, torna ancora una volta a far parlare di sé.

Il titolare dell’azienda, l’imprenditore spoletino Giorgio del Papa, è l’unico rinviato a giudizio per la strage, con l’accusa di omicidio colposo plurimo e l’aggravante della colpa cosciente. Secondo l’accusa, infatti, Del Papa avrebbe dovuto avvertire i lavoratori della ditta Manili, impegnati a montare una passerella sui sili pieni d’olio, della pericolosità delle sostanze contenute nei serbatoi (in particolare il gas esano). Un’omissione che sarebbe, secondo i giudici e i periti dell’accusa, alla base dell’incidente, causato dall’utilizzo di saldatori sulla superficie metallica dei sili.

Dopo una serie infinita di peripezie legali nel corso dell’udienza preliminare, il processo vero e proprio dovrebbe iniziare il prossimo 24 novembre, proprio un giorno prima del terzo anniversario della tragedia. Ma il condizionale è d’obbligo perché l’imprenditore e la sua difesa hanno per l’ennesima volta impugnato la decisione del giudice e chiamato in causa la corte di Cassazione (che già in un’occasione ha respinto i ricorsi della difesa). Questo, con buona probabilità, dilaterà ulteriormente i tempi, già lunghissimi, di questo procedimento . Intanto, sul piano civile, la richiesta di risarcimento che aveva scatenato l’indignazione di molti (“richiesta inaccettabile e assurda” avevano detto a suo tempo in una nota unitaria Cgil, Cisl e Uil) era decaduta dopo l’annullamento deciso dal giudice spoletino Augusto Fornaci.

Ma ora il titolare dell’azienda torna all’attacco.I familiari delle vittime e l’unico sopravvissuto alla strage,  si sono visti recapitare un “atto di riassunzione del procedimento civile”. Stavolta però  a chiedere il risarcimento non è la Umbria Olii Spa, ma la “Gestoil Srl, società in liquidazione, già Umbria Olii”, azienda con sede a Roma, rappresentata legalmente dallo stesso Del Papa.

È  questa una novità che desta non poca preoccupazione per due motivi. Prima di tutto perché conferma la volontà di Del Papa di farsi risarcire dai famigliari delle vittime, per i danni causati dall’esplosione dei silos  e quindi di riaffermare il principio della colpevolezza delle vittime stesse. In secondo luogo, ci si interroga sulle conseguenze che la messa in liquidazione dell’azienda potrebbe avere in caso di condanna della stessa al risarcimento dei danni. Insomma, se il giudice deciderà che le famiglie delle vittime dovranno essere risarcite (e non viceversa), chi salderà il debito?

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NEWS

Amianto. Benifici previdenziali per i lavoratori marittimi

le modalità per ottenere il curriculum

Con una direttiva inviata il 23 Luglio 2009 al Presidente della Regione Liguria Ing. Claudio Burlando, il ministro Sacconi chiarisce le modalità per ottenere il curriculum lavorativo utile al fine del riconoscimento dei “benefici previdenziali legati all’esposizione da amianto” per i lavoratori marittimi qualora non siano riusciti ad ottenerlo dalle proprie aziende.

La direttiva stabilisce che il lavoratore si deve recare presso la Capitaneria di Porto competente per ottenere la validazione dell’estratto matricolare oppure la validazione del proprio libretto  di navigazione attraverso l’autentico della Capitaneria.

Con tale documentazione  ci si deve recare presso la Direzione Provinciale del Lavoro competente e richiedere l’emissione del proprio curriculum di cui è bene ottenere copia.

A sua volta, la Direzione Provinciale del Lavoro competente deve, dandone comunicazione al lavoratore, trasmettere il documento alla sede dell’IPSEMA competente per consentire l’integrazione della domanda già presentata e l’avvio delle procedure per il riconoscimento dell’esposizione all’amianto e della sua durata.

In base alla vigente normativa, l’IPSEMA dovrà certificare l’avvenuta esposizione e darne notizia al lavoratore attraverso propria certificazione. Qualora tale certificazione ai sensi delle vigenti leggi, consentisse al lavoratore di godere dei benefici previdenziali attesi, egli potrà avviare le pratiche pensionistiche susseguenti.

Si tratta di informazioni importanti, secondo l’Inca, che consentono di avviare  tutte le procedure necessarie per soddisfare la crescente domanda presente tra i lavoratori marittimi.

“Ci piace sottolineare – si legge in una circolare del patronato – come il lavoro svolto da questa sede FILT-CGIL in rapporto  con alcuni Parlamentari Liguri  e con il Presidente della nostra Regione, sia stato capace di superare quegli inadempimenti burocratici che non consentivano ai lavoratori marittimi di poter avviare le pratiche per ottenere il riconoscimento di un diritto da molti anni, e da molti promesso, dovuto”.

 

Infortuni

Infortuni

Processi Eternit e Thyssen. Guariniello: “La gente più vicina alla giustizia”

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28 luglio 2009. Intervista dell’INAIL al procuratore aggiunto che ha condotto le due inchieste: “Oggi c’è più sensibilità ai temi della sicurezza sul lavoro. Entrambi i procedimenti sono stati caratterizzati da un’innovativa impostazione metodologica delle indagini”

ROMA – E’ il magistrato italiano che ha condotto, quest’anno, le due inchieste più eclatanti in materia di infortuni sul lavoro: quella contro Thyssen ed Eternit, ottenendo in entrambe il rinvio a giudizio degli imputati. Raffaele Guariniello, Procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Torino, analizza in questa intervista concessa all’INAIL i significati di due dibattimenti che, per la loro significatività, sembrano destinati a lasciare un segno nella storia della giustizia italiana.

Procuratore, da un punto di vista giuridico, in cosa caratterizza in modo particolare questi due processi?
“C’è un tema che li accomuna entrambi: la contestazione, sia nell’uno che nell’altro caso, di reati commessi con dolo. Per Thyssen si tratta di un dolo eventuale (una forma indiretta che si ha quando chi agisce pone in essere una condotta nella quale sa esservi concrete possibilità che produca un evento integrante un reato, eppure accetta il rischio di cagionarlo, ndr), per Eternit, invece, di disastro doloso e omissione dolosa. Ciò che caratterizza i due procedimenti non è stata tanto la novità normativa, quanto una sua innovativa applicazione giurisprudenziale ricollegata a una diversa impostazione metodologica delle indagini”.

Ovvero?
“Ovvero, non è che prima di questi due processi il Codice penale non prevedesse questi reati: quello che abbiamo cercato di fare è stato dimostrare se, nella politica aziendale messa in atto da Thyssen ed Eternit, vi fossero degli elementi di fatto che giustificassero le contestazioni di reato. Noi crediamo che tali elementi ci fossero, naturalmente e, se il gup, sia nell’uno che altro caso, ci ha dato ragione, ora bisognerà vedere cosa dirà alla fine il giudice. L’accusa che abbiamo mosso, dunque, è che vi siano dei fattori che dimostrano come le imprese abbiano ‘messo nel conto’ il rischio infortunistico e che non sono state prese le misure per evitarlo”.

In cosa si è tradotta l’impostazione delle indagini?
“L’acquisizione di quegli elementi che, secondo noi, giustificano le contestazioni è stata possibile solo grazie a un approccio completamente diverso. Faccio un esempio: il ricorso alle perquisizioni. Per spiegarmi meglio, se la procura presenta una semplice richiesta di documenti a un’azienda, in generale è molto probabile che ciò che otterrà non potrà mettere davvero in evidenza quella che è stata la reale politica aziendale. Se, invece, viene compiuta una perquisizione – magari andando anche a leggere i messaggi che si sono scambiati i dirigenti mediante i computer – sarà possibile cogliere quello che io chiamo “il foro interno dell’impresa” e comprendere se un infortunio o una malattia professionale siano il possibile esito di una specifica strategia, se vadano considerati degli episodi isolati o si iscrivano nel quadro di una politica precisa. Questo tipo di indagine è stato un approccio comune a entrambi i processi”.

Oggi il tema degli infortuni sul lavoro viene percepito con più sensibilità da parte dell’opinione pubblica rispetto al passato. Questo a cosa è dovuto, secondo lei?
“Che la gente manifesti una consapevolezza più concreta su queste tematiche è, secondo me, una realtà assai positiva e hanno contato, a tale fine, diversi fattori. Il primo dei quali è sicuramente rappresentato dal presidente della Repubblica Napolitano che, con la sua azione, ha portato maggiore attenzione a questo problema, permettendogli di avere un risalto che eventi drammatici successi in passato non hanno avuto. Esiste, poi, un elemento specifico che riguarda il caso Eternit: e, cioè, che a morire non sono stati solo dei lavoratori ma i cittadini, in una tragedia che ha coinvolto tutta la popolazione. Ma vorrei evidenziare anche un altro aspetto: sia il processo Thyssen che quello Eternit sono casi che hanno riavvicinato la gente alla giustizia. In un clima generale caratterizzato in passato – a torto o a ragione – da un sentimento di larga sfiducia, questi procedimenti hanno fatto capire alla gente che la giustizia può ancora, e davvero, servire e che il rapporto tra Stato e cittadino possa essere solido e reale. Non è casuale che in entrambe le udienze in cui c’è stato il rinvio a giudizio degli imputati molte persone mi abbiano aspettato al di fuori del tribunale per esprimere la soddisfazione di avere visto, finalmente, la giustizia dare loro risposta”.

Sia nel processo Thyssen che in quello Eternit l’INAIL si è costituita parte civile, contribuendo in modo importante allo sviluppo delle indagini dei magistrati. Che giudizio dà di questa modalità di rapporto?
“Senza dubbio questi procedimenti hanno comportato un grande e nuovo compito per l’INAIL e credo che l’Istituto, per certi aspetti, debba ancora abituarsi al cambiamento. Si tratta, per gli avvocati, di fare un salto di mentalità: più abituati a fare cause civili, adesso dovranno approcciarsi ai dibattimenti con gli strumenti del penale. E’ un passaggio che richiede una notevole difficoltà e confido, al proposito, nelle leve più giovani che, forse – proprio per la loro carriera ancora relativamente recente – sono più idonee ad acquisire questa nuova mentalità. Certo, per l’INAIL si apre una grande sfida e l’Istituto deve saperla raccogliere, svolgendo in questo tipo di processo un ruolo non solo passivo e non associandosi semplicemente alle conclusioni del pubblico ministero. E’ importante, infatti, che l’INAIL porti al dibattimento quanti più elementi possibile e che sia in grado di contare al massimo grado sulle proprie competenze più autentiche – a partire da quelle garantite dal Contarp – sia di tipo tecnico che medico”.

(ls/roma)

Thyssen, le competenze dell’INAIL al servizio della magistratura

 

2 luglio 2008. Tra i motivi che hanno spinto l’Istituto a costituirsi come parte civile nel processo in corso a Torino anche la possibilità di offrire il proprio supporto tecnico

TORINO – Il contributo dell’INAIL per accertare la verità nel dramma della Thyssen Krupp: la costituzione dell’Istituto come parte civile nel processo che vede imputati, a Torino, sei dirigenti della multinazionale tedesca per il rogo che, lo scorso 6 dicembre, è costato la vita a sette operai, ha una finalità che va oltre la pur legittima obbligatorietà dell’azione di regresso (ovvero, quell’azione che consente all’INAIL di ottenere dal datore di lavoro responsabile dell’incidente il rimborso delle prestazioni erogate agli infortunati o ai loro superstiti: in questo caso quelli dei sette dipendenti morti tra le fiamme).

Il diritto di costituirsi come parte civile, infatti, – storicamente riconosciuto dal legislatore in rispondenza ai principi generali dell’ordinamento dell’INAIL e rafforzato dall’articolo 2 della legge 123/2007 (che introduce l’obbligo per il Pubblico ministero di dare all’Istituto immediata notizia dell’esercizio dell’azione penale) – è motivato in modo sensibile anche dal qualificato contributo di conoscenze tecniche sul fenomeno infortunistico che l’Istituto può mettere al servizio della magistratura. Un contributo che spesso può essere determinante ai fini dell’esito processuale.

Sono tanti, infatti, i casi di infortunio o di malattia professionale in cui la rilevanza di ogni singola violazione in materia di sicurezza emerge in maniera più precisa se adeguatamente contestualizzati rispetto alla loro genesi. Compito che per sua natura l’INAIL è in grado di svolgere.

Ecco, dunque, che la costituzione come parte civile – al di là dell’essere un diritto dell’INAIL in quanto persona offesa dal reato (perché soggetto che contribuisce istituzionalmente alla tutela della integrità psicofisica dei lavoratori) – si qualifica anche come uno strumento attraverso il quale l’Istituto può fornire un importante supporto tecnico ai magistrati. Affermando, al tempo stesso, con pienezza, le proprie funzioni istituzionali. La diffusione della cultura della sicurezza, infatti, trova una delle sue modalità di espressione anche nel contributo alla scoperta della verità dei fatti: un’evidenza che, in un caso emblematico come quello della Thyssen Krupp, ha spinto l’INAIL a muoversi in questa direzione col massimo dell’impegno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Thyssen Krupp. Guariniello: “Sentenza al più presto”

1 luglio 2008. L’udienza preliminare è stata aggiornata al prossimo 23 luglio. Il Gup, Francesco Gianfrotta, ha ascoltato le numerose  richieste di costituzione di parte civile avanzate dall’INAIL, dalla Regione Piemonte, da Provincia e Comune di Torino, dai sindacati e dal Codacons. In aula anche i familiari delle vittime

TORINO – “Stop alla guerra dei padroni – basta morti sul lavoro”: recita così uno degli striscioni appesi  all’esterno del  palazzo di giustizia di Torino, nel giorno dell’avvio del processo alla Thyssen Krupp di Torino per l’ incidente del 6 dicembre scorso, costato la vita a sette operai. A sostenere l’accusa contro sei manager della multinazionale tedesca il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, da oggi procuratore capo vicario di Torino, che rispondendo ai giornalisti ha escluso ogni ipotesi di patteggiamento. “‘Penso non sia nelle cose”, ha detto. Mentre sull’eventualità di una richiesta da parte della difesa del rito abbreviato ha aggiunto: “Per noi va bene farlo con qualsiasi rito. L’importante è arrivare alla sentenza al più presto. Per fortuna abbiamo chiuso le indagini velocemente e così, dopo sette mesi, si è giunti al risarcimento delle famiglie delle vittime. Però per la difesa e anche per l’accusa l’obiettivo del processo è un altro: accertare se ci sono responsabilità per quanto è accaduto”.

La prima sessione dell’udienza preliminare si è svolta questa mattina a porte chiuse ed è durata circa un’ora. Il Gup, Francesco Gianfrotta, ha ascoltato le numerose  richieste di costituzione di parte civile avanzate dall’INAIL (come previsto dalla legge 123/2007 e dal nuovo Testo unico sulla sicurezza), dalla Regione Piemonte, da Provincia e Comune di Torino, dai sindacati (Fim, Fiom e Uilm) e dal Codacons.  Anche 70 tra lavoratori ed ex lavoratori della sede torinese della multinazionale hanno deciso di costituirsi parte civile nel processo, insieme ai sette operai che cercarono di prestare i soccorsi ai loro compagni (e che ora lamentano danni da stress post-traumatico) e a due cognati di una delle vittime che non hanno ricevuto il risarcimento da parte della Thyssen , perchè considerati dall’azienda “non aventi diritto”.

In aula erano presenti anche i familiari delle vittime, che indossavano magliette bianche con la foto dei propri cari morti nell’incidente. “Abbiamo firmato l’accordo per il risarcimento e dunque non possiamo costituirci parte civile, ma speriamo lo stesso in una giustizia esemplare”, ha detto la mamma di uno degli operai deceduti, Roberto Scola. “Sono venuta qui oggi per vedere se c’erano gli imputati, per guardarli negli occhi, ma purtroppo non c’erano. Avrei voluto dire loro tante cose, anche se in momenti come questi non si può dire nulla. Basta solo lo sguardo per far capire cosa una mamma sta provando. Nessuno mi ridarà mio figlio, nessuno di quei ragazzi ritornerà più indietro”. Dopo aver ascoltato tutte le richieste il Gup ha aggiornato l’udienza preliminare al prossimo 23 luglio.

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Thyssen, via al processo. L’INAIL pronta a costituirsi parte civile

30 giugno 2008. Nell’udienza preliminare l’Istituto chiederà l’indennizzo delle prestazioni concesse a favore dei superstiti del rogo del 6 dicembre scorso. I familiari delle sette vittime hanno accettato la transazione offerta dalla multinazionale, rinunciando ai danni in cambio di 13 milioni di euro

TORINO – L’accordo raggiunto questa mattina tra Thyssen Krupp e i familiari delle sette vittime del rogo dello scorso 6 dicembre non cambia comunque la linea d’azione dell’INAIL che, domani, all’apertura dell’udienza preliminare del processo, si costituirà parte civile contro la multinazionale tedesca (insieme a Regione Piemonte, Provincia e Comune di Torino, sindacati, un’ottantina di dipendenti dell’azienda e i sei sopravvissuti la notte dell’incidente). L’Istituto, dunque, – secondo quanto previsto dall’articolo 2 della legge n. 123 del 3 agosto 2007 (“Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”) – chiederà l’indennizzo di quanto fino a ora erogato a titolo di prestazioni a favore dei superstiti.

Questa mattina, negli uffici della direzione provinciale del lavoro di Torino, in un clima di grande commozione, le famiglie degli operai morti tra le fiamme divampate nella linea 5 dello stabilimento della Thyssen – dopo avere avuto dai propri legali l’assicurazione che la transazione non ha alcun effetto sul processo penale – hanno accolto l’offerta avanzata dalla dirigenza. In cambio della rinuncia ai danni, a 33 familiari delle sette vittime andranno circa 12,7 milioni di euro. “Non si tratta di soldi perché niente e nessuno potrà ridarmi mio figlio”, ha dichiarato la signora Isa, madre dell’operaio trentaduenne Roberto Scola. “I nostri avvocati lo spiegano bene, si tratta di diritti da rispettare, e sarà anche così. Ma è vero che molti di noi non erano d’accordo, e che se hanno accettato è stato solo pensando al futuro dei loro bambini”.