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Prestito pensioni, Ferrero (RC): “Un favore a banche e assicurazioni. E’ molto peggio degli 80 euro”
Prestito pensioni, Ferrero (RC): “Un favore a banche e assicurazioni. E’ molto peggio degli 80 euro”
15 giugno 2016 ore 13:36, Lucia BigozziFacebookTwitterGoogl
“La misura del governo è una bugia, perché si configura come un taglio sulle pensioni e al contrario di quello che dice Renzi, come una penalizzazione per i lavoratori e un favore a banche e assicurazioni”. Netto il giudizio di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista che nella conversazione con Intelligonews spiega dove sta quello che definisce “l’inghippo” delle pensioni anticipate ma col “prestit
In pensione in anticipo ma col prestito: come valuta la proposta governativa? Punti di forza e di debolezza
“Il primo elemento è che quella del governo si configura come una bugia, perché il governo dice si va in pensione prima senza penalizzazioni, invece è evidente che le persone interessate sarebbero indebitati per venti anni, cioè dovrebbero pagare fino al 15 per cento della pensione alle banche. Quindi, questo si configura come un taglio sulle pensioni e al contrario di quello che dice il governo come una penalizzazione ai lavoratori e un favore alle banche e alle assicurazione: è veramente una presa in giro galattica. L’altro elemento iper-negativo è che il governo dice che non bisogna modificare la Fornero: in pratica, rimane la legge Fornero, i lavoratori ci perdono non potendo andare in pensione prima e le banche e le assicurazioni ci guadagnano. In sostanza, questo è un provvedimento a favore di banche e assicurazioni. Invece, il tema è che bisogna modificare la Fornero per permettere alla gente di andare in pensione prima ed effettivamente senza penalizzazioni
Prestito pensioni, Ferrero (RC): “Un favore a banche e assicurazioni. E’ molto peggio degli 80 euro”
C’è chi parla di truffa politica, perché si sostiene che così si rende debitore una persona che magari non lo è mai stato. E’ una lettura corretta? E’ come con gli 80 euro?
“E’ molto peggio degli 80 euro e spiego la ragione: è una truffa politica perché rende debitore il lavoratore e rendere debitori i pensionati è una cosa pazza; è una truffa che si somma a un furto perché già oggi ogni anno il governo spende complessivamente per le pensioni 20 miliardi in meno di quanti sono gli introiti dell’Inps; questo attraverso il meccanismo delle tasse e cioè il governo riprende parte delle pensioni che versa attraverso le tasse; in questo modo il saldo è positivo per il governo di 20 miliardi. In sostanza il governo dai pensionati ogni anno ci guadagna 20 miliardi. Quindi a questo “furto di Stato” che c’è già, si somma la truffa di far diventare i pensionati debitori verso le banche”.
Le banche dicono che per gli eredi non ci saranno problemi perché a coprire possibili insolvenze ci penserà l’Inps. Ma se poi non accade per problemi tecnici o per eventuali difficoltà da parte dell’Inps che succede? I figli s troveranno a pagare i debiti dei genitori?
“In Italia non si sa mai come va a finire ed è chiaro che se metti in piedi un meccanismo così, il rischio che rimangano impelagati i figli è evidente. Quando uno fa una roba del genere, il rischio di casini è altissimo. Bisogna seguire la via maestra, il resto sono tute cianfrusaglie: ridurre l’età per andare in pensione tornando ai 40 anni di anzianità, tenere i 60 anni per le pensioni di vecchiaia per le donne e a 65 per i maschi. Dunque la strada è: abolizione della Fornero e costruzione di un sistema chiaro che permetta di mandare la gente di pensione normalmente e di avere i giovani che lavorano”.
L’idea di mettere in correlazione banche e pensioni non è rischioso? In passato Berlusconi mostrò la sua contrarietà: aveva visto lungo? Lei che ne pensa?
“Non solo Berlusconi, anche noi non siamo mai stati d’accordo perché questo è un modo per fare un favore alle banche; cioè questi cercano di infilare nel tritacarne dell’economia finanziaria la gente normale; lo fanno in questo modo ma l’hanno già fatto coi fondi pensione privati. Sono tutti modi con cui cercano di rendere i lavoratori interni finanziatori del sistema della speculazione finanziaria. Quindi va evitato totalmente questa roba. C’è un’ingiustizia sui lavoratori e poi c’è una furbizia di favorire il sistema delle banche. Renzi fa il contrario di quello che dice: lui afferma che è contro la speculazione, in realtà questa è una misura per favorire la speculazione”.
Furbetti del cartellino, licenziamento disciplinare in 30 giorni
Furbetti del cartellino, licenziamento disciplinare in 30 giorni 0
Ieri, mercoledì 15 Giugno 2016, alle ore 17.50 a Palazzo Chigi, si è tenuta la seduta 120 del Consiglio dei Ministri sotto la presidenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Al termine il PdC Renzi ed il Ministro Madia hanno tenuto una conferenza stampa con la quale annunciano le nuove regole sul licenziamento sprint per i cosiddetti furbetti del cartellino.
Nello specifico è stato approvato, in esame definitivo, un decreto legislativo recante modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera s) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare.
Leggi anche: Furbetti del cartellino, sospensione in 48 ore con la riforma
Rispetto al testo approvato in prima istanza a gennaio ci sono due importanti correzioni, annuncia il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione Madia:
- i cavilli non bloccheranno più l’iter di licenziamento, in quanto questo viene scandito da tempi certi, 48 ore per la sospensione, contraddittorio entro 15 giorni (con proroga al massio di 5 giorni) e chiusura della pratica entro 30 giorni; ma la violazione dei termini non determina la decadenza dell’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata se non nei casi più gravi;
- è stata prevista la responsabilità disciplinare del dirigente (o del responsabile del servizio) che non proceda alla sospensione e all’avvio del procedimento che può arrivare fino al licenziamento dello stesso, ma è stato soppresso l’automatismo per il reato di omissione d’atti d’ufficio.
Furbetti del cartellino, nota stampa rilasciata dal Governo
Modifiche in materia di licenziamento disciplinare (decreto legislativo – esame definitivo)
Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Maria Anna Madia, ha approvato, in esame definitivo, un decreto legislativo recante modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera s) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare.
Nello specifico, il decreto interviene sulla disciplina prevista per la fattispecie di illecito disciplinare denominata falsa attestazione della presenza in servizio. Al dipendente colto in flagrante sarà applicata la sospensione cautelare entro 48 ore e attivato il procedimento disciplinare che dovrà concludersi entro 30 giorni. E’ prevista la responsabilità disciplinare del dirigente (o del responsabile del servizio) che non proceda alla sospensione e all’avvio del procedimento.
Sono state accolte le condizioni poste dalle commissioni parlamentari nei loro pareri e sono state recepite gran parte delle osservazioni avanzate dalla Conferenza unificata e dal Consiglio di Stato. In particolare, è stato precisato che la fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio comprende anche quella realizzata mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento; è stato garantito al dipendente il diritto alla percezione di un assegno alimentare – nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti – durante il periodo di sospensione cautelare dal lavoro; al fine di garantire un’opportuna scansione temporale delle diverse fasi del procedimento e per assicurare idonee garanzie di contraddittorio a difesa del dipendente, è stato previsto che con il provvedimento di sospensione si procede anche alla contestuale contestazione dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari; il dipendente sarà convocato per il contraddittorio con preavviso di almeno 15 giorni e potrà farsi assistere da un procuratore o da un rappresentante sindacale; nei casi in cui il dirigente abbia avuto notizia dell’illecito e non si sia attivato senza giustificato motivo è prevista la responsabilità per omessa attivazione del procedimento disciplinare e omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare e ne viene data notizia all’Autorità giudiziaria.
Fonte: www.governo.it
Prestito pensioni, Ferrero (RC):”Un favore a banche e assicurazioni.
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n. 734 del 16 giugno 2016
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La Repubblica
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Ma i Sardi sono pocos locos y mal unidos?
Ma i Sardi sono pocos locos y mal unidos?
16 giugno 2016
Francesco Casula
Il filosofo e politico inglese Francesco Bacone li aveva definiti Idola fori : sono i pregiudizi, i luoghi comuni. Essi si creano e si sedimentano nel tempo e sono frutto per lo più dell’ignoranza. Molti attengono alla lingua sarda, uno in particolare: sarebbe grezza, arretrata, premoderna.
Scava scava e scopri che tale “pregiudizio” più che dalla piazza però ha una precisa origine e provenienza storica. Carlo Baudi di Vesme, imprenditore e storico, invitato da Carlo Alberto a scrivere una “memoria” sulla nostra Isola pubblicò Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna (Stamperia reale, Torino 1848) in cui propone di “proibire severamente l’uso dei dialetti sardi per incivilire quella nazione”.
L’italiano dunque al posto del sardo per “incivilirci”. Il via dunque a che noi sardi stessi ripetessimo il refrain della lingua sarda arretrata.Altro becero e trito luogo comune è quello sui sardi pocos, locos y mal unidos, attribuito addirittura a Carlo V, ma mai verificato in alcun documento o altra fonte storica.
Del resto l’imperatore poco doveva conoscere la Sardegna se non dai dispacci “interessati” dei vice re: solo due volte la visitò direttamente. Nel 1535 quando durante la spedizione contro Tunisi e i Barbareschi sbarcò a Cagliari trattenendosi alcune ore e nell’ottobre del 1541, nella seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il più attivo nido dei Barbareschi.
In questo caso la flotta imperiale sostò in Sardegna: ma non – come ebbe a sostenere Carlo V – per visitare Alghero, dove passò la notte del 7, bensì per esserne abbondantemente approvvigionato, a spese della popolazione della città catalana e dell’intero sassarese.In realtà quel giudizio malevolo non Carlo V lo pronunciò ma Martin Carrillo, Visitador del Reyno de Cerdeña.Questi, ambasciatore del re Filippo IV nel 1641, in un resoconto stilato per il sovrano spagnolo in merito alla situazione linguistica e culturale della Sardegna scriverà: Il Catalano e lo Spagnolo vengono utilizzati e capiti nelle città, mentre il Sardo è la lingua comunemente utilizzata nei villaggi.
E a tal proposito definirà appunto i Sardi: pocos, locos y mal unidos. E si riferiva ai sardi in relazione alla situazione linguistica, non in quanto tali. Ma tant’è: tale luogo comune, è stato interiorizzato da molti sardi, con effetti deleteri e devastanti, specie a livello psicologico e culturale (vergogna di sé, complessi di inferiorità, poca autostima, voglia di autocommiserazione e di lamentazione) ma con riverberi in plurime dimensioni: tra cui quella socio-economica.
I Sardi certo sono pocos: e questo di per sé non è necessariamente un fattore negativo. Ma non locos: ovvero stolti, stolidi e men che meno imbecilli. Certo le esuberanti creatività e ingegnosità popolari dei Sardi furono represse e strangolate dal genocidio e dal dominio romano. Ma la Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico Piero Meloni. E non fu annientata. La resistenza continuò. I Sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos.
Certo con catalani, spagnoli e piemontesi furono di nuovo dominati e repressi: ma dopo secoli di rassegnazione, a fine Settecento furono di nuovo capaci ai alzare la schiena e di ribellarsi dando vita a quella rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale che porrà la base della Sardegna moderna.
Certo, si è tentato in ogni modo di scardinare e annientare lo spirito comunitario, la solidarietà popolare, quella pluralità di reti sociali e di relazione che avevano caratterizzato da sempre le Comunità sarde con variegati sistemi e costumi solidaristici di aiuto reciproco e di forte unità: basti pensare a s’ajudu torrau o a sa ponidura: costumanza che colpirà persino un viaggiatore e visitatore come La Marmora che [in Viaggio in Sardegna di Alberto Della Marmora, Gianni Trois editore, Cagliari 1955, Prima Parte, Libro primo, capitolo VII., pagine 207-209] scriverà ”Fra le usanze dei campagnuoli della Sardegna, alcune sono degne di nota e sembrano risalire all’antichità più remota: citeremo le seguenti:
Ponidura o paradura. – Quando un pastore ha subito qualche perdita e vuol rifare il suo gregge, l’usanza gli dà facoltà di fare quel che si dice la ponidura o paradura. Egli compie nel suo villaggio, e magari in quelli vicini, una vera questua. Ogni pastore gli dà almeno una bestia giovane, in modo che il danneggiato mette subito insieme un gregge d’un certo valore, senza contrarre alcun obbligo, all’infuori di quello di rendere lo stesso servizio a chi poi lo reclamasse da lui…”
Così le identità etnico-linguistiche, le specialità territoriali e ambientali, le peculiarità tradizionali, pur operanti in condizioni oggettive di marginalità economica sociale e geopolitica permangono. I Sardi infatti, nonostante le tormentate vicende storiche costellate di invasioni, dominazioni e spoliazioni, hanno avuto la capacità di metabolizzare gli influssi esterni producendo una cultura viva e articolata che ha poche similitudini nel resto del mediterraneo. Basti pensare al patrimonio tecnico-artistico, alla cultura materiale e artigianale, alla tradizione etnico-musicale connessa alla costruzione degli strumenti, alla complessa e stratificata realtà dei centri storici e delle sagre, agli studi sulla realtà etno-linguistica, alla straordinaria valenza mondiale del patrimonio archeologico e dei beni culturali, all’arte: da quella dei bronzetti a quella dei retabli medievali; dagli affreschi delle chiese ai murales, sparsi in circa duecento paesi; dalla pittura alla scultura moderna.
Ma soprattutto basti pensare alla lingua, spia dell’Identità e substrato della civiltà sarda. Entrambe non totem immobili (sarebbero state così destinate a una sorte di elementi museali e residuali) ma anzi estremamente dinamiche. La poesia, la letteratura, l’arte, la musica, pur conservando infatti le loro radici in una tradizione millenaria, non hanno mai cessato di evolversi, aprirsi e contaminarsi, a confronto con le culture altre. Soprattutto questo avviene nei tempi della modernità, a significare che la cultura sarda non è mummificata.
E’ segno di un popolo stolto e diviso?