Archivi giornalieri: 3 giugno 2016

Carlo Felice

C’è da spostare una statua

1 giugno 2016

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Francesco Casula

In occasione della ricorrenza di Sa Die de sa Sardigna, il 28 aprile scorso, un gruppo di cittadini (intellettuali, storici, docenti universitari) si sono ritrovati in Piazza Yenne a Cagliari e hanno dato vita a un Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice”.

Nel volgere di qualche settimana arrivano centinaia e centinaia di adesioni: attualmente sono più di quattromila. Nel contempo il Comitato propone la sottoscrizione di una petizione (bilingue, in Sardo e in Italiano) con una proposta-richiesta che intende presentare al Sindaco e all’Amministrazione comunale di Cagliari corredata dalle firme, che a tutt’oggi 29 maggio sono 950.

Ma ecco in estrema sintesi i punti più salienti della proposta:

1. Spostare la statua di Carlo Felice in un museo cittadino, corredandola di adeguata ed esaustiva didascalia che, con richiami bibliografici, permetta ad ogni visitatore del museo, di prendere coscienza della storia dello stesso.

2. Rinominare la strada “Largo Carlo Felice” con qualcosa che richiami un momento positivo della storia dell’Isola e della città, quale per esempio, la data del 28 aprile giorno in cui si celebra Sa Die de Sa Sardigna.

3. Sostituire la statua di Carlo Felice con altro monumento idoneo a ricordare un eroe della lotta per la liberazione del popolo sardo dalle vessazioni dei dominatori succedutisi nei secoli (per esempio Giovanni Maria Angioy i cui seguaci furono perseguitati da Carlo Felice).

4. Concordare, con le istituzioni scolastiche della città, iniziative di informazione e formazione degli studenti sulla storia della città di Cagliari così da favorire la conoscenza e la crescita del senso di identità che oggi appare debole, effimero e non consapevole.

Nella sua proposta-richiesta il Comitato parte da un dato: le gravissime responsabilità politiche della zenia dei savoia, su cui la storia ha emesso giudizi inappellabili di condanna. Per fare qualche esempio penso a Umberto I, soprannominato “re mitraglia” e, non a caso. L’8 maggio 1988 il generale Fiorenzo Bava Beccaris, in qualità di Regio commissario straordinario ordinò di utilizzare i cannoni, per la prima volta nella storia italiana, per sparare sulla folla al centro di Milano, uccidendo 80 cittadini e ferendone altri 450: una vera e propria carneficina. Il re mitraglia “ricompensa” il generale Beccaris con una bella onorificenza: prima la Gran Croce dell’Ordine militare dei Savoia: In seguito lo nominerà pure senatore. Aveva o no infatti compiuto una brillante azione militare?

Altro re savoiardo funesto è stato Vittorio Emanuele III, uno dei responsabili principali di sciagure immani: l’ingresso dell’Italia nella 1° e 2° Guerra mondiale, l’avventura tragica del Fascismo – fu lui in seguito alla cosiddetta Marcia su Roma a nominare Mussolini capo del Governo – conclusasi con una ignominiosa fuga, quando l’Italia, persa la guerra, era nel caos.

Ma il re dei Savoia più funesto – almeno per la Sardegna – è stato Carlo Felice. Di questo sovrano ottuso despota e sanguinario mi piace riportare testualmente quanto scrive Giuseppi De Nur (in Buongiorno Sardegna:da dove veniamo, Ed. La Biglioteca dell’Identità, 2013, pagina 154) :” Partito il re e lasciata l’Isola nelle mani del viceré Carlo Felice, i feudatari continuarono imperterriti a dissanguare i vassalli con l’esosità delle loro gabelle mentre il viceré oziava nella sua villa di Orri, gaudentemente intrattenuto dai cortigiani locali e d’importazione, in conflitto permanente con tutto ciò che poteva affaticarlo non solo fisicamente ma anche intellettualmente, essendo uomo di scarsa cultura che rifuggiva dagli esercizi mentali troppo impegnativi.

Il bilancio dello Stato era disastroso ma non quello suo personale, ovviamente, così che poteva permettersi di ostentare elargizioni in beneficenza con ciò che aveva riservato per sé. Fu, il suo, il governo poliziesco, sostenuto efficacemente da quelle anime nere dei feudatari, a formare un sistema di potere dispotico e predatore in danno della popolazione locale, la cui autorità si manifestava delle forche erette per impiccare i trasgressori delle sue leggi, lì imposte con la forza.

E quegli ingenui abitanti di quello sfortunato luogo innalzarono invece per lui non una forca ma una statua, in una bella città capoluogo”. Si tratta di una ricostruzione storica assolutamente veritiera e in linea con quanto scrivono storici come Pietro Martini (peraltro di orientamento monarchico) : “avea poca cultura di lettere e ancor meno di pubblici negozi… servo dei ministri ma più dei cortigiani. O Raimondo Carta Raspi, secondo cui diede carta bianca ai baroni per dissanguare i vassalli. Mentre a personaggi come Giuseppe Valentino affidò il governo: questi svolse il suo compito ricorrendo al terrore, innalzando forche soprattutto contro i seguaci di Giovanni Maria Angioy, tanto da meritarsi, da parte di Giovanni Siotto-Pintor, l’epiteto di carnefice e giudice dei suoi concittadini.

Divenuto re con l’abdicazione del fratello Vittorio Emanuele I, mira a conservare e restaurare in Sardegna lo stato di brutale sfruttamento e di spaventosa arretratezza: “con le decime, coi feudi, coi privilegi, col foro clericale, col dispotismo viceregio, con l’iniquo sistema tributario, col terribile potere economico e coll’enorme codazzo degli abusi, delle ingiustizie, delle ineguaglianze e delle oppressioni intrinseche ad ordini di governo nati nel medioevo”: è ancora Pietro Martini a scriverlo.

La proposta del Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice” dovrebbe a mio parere, essere dunque capita, valutata ed eventualmente sostenuta, partendo da questi corposi e oggettivi dati storici, difficilmente contestabili perché :De evidentibus non est disputandum”!

A decidere se spostare o meno la Statua di Carlo feroce (così, a ragione, fu soprannominato dagli stessi Piemontesi), dovrà essere la nuova Amministrazione comunale di Cagliari che verrà eletta a giorni. Avrà essa un sussulto di orgoglio e dignità o continuerà, a permettere e tollerare che in una Piazza centrale della capitale sarda troneggi, come fosse un eroe, un despota, brutale e sanguinario persecutore dei Sardi?

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archivio del Consiglio della Regione Lazio«L’archivio di un ente costituisce un patrimonio culturale di grande valore, mediante il quale è possibile effettuare studi e ricerche sulla storia dell’ente medesimo e sui suoi legami con il territorio, con i cittadini e con le istituzioni politiche, civili e culturali. Se non organizzato esso nasce e si sedimenta in modo naturale, cioè non volontario, come risultato di un’attività pratica, amministrativa, gestionale.
L’attenzione generalmente posta soltanto alla parte storica degli archivi, senza un adeguato raccordo con il processo di formazione dei documenti, rappresenta una delle cause principali che hanno portato, paradossalmente, proprio alla mancata o insufficiente valorizzazione degli archivi storici. Uno dei più grandi archivisti di tutti i tempi, Giorgio Cencetti, ebbe a scrivere nel 1939: c’è una “impossibilità di differenziare teoricamente l’ufficio di protocollo dall’archivio, l’archivio corrente da quello di deposito: tutto è semplicemente archivio”. La tutela e la valorizzazione dell’archivio storico, dunque, dipende dall’organizzazione e dalla tutela dell’archivio corrente. In proposito giova ricordare un’altra frase della dottrina archivistica ripresa da Leopoldo Sandri, che dovrebbe far riflettere sulla trascuratezza degli archivi correnti: “le fonti documentarie per la storia nascono e si difendono nell’archivio in formazione”».
Quest’ultimo rappresenta il primo anello di una catena che termina di norma quarant’anni più tardi, quando i documenti relativi ai procedimenti conclusi, dopo essere transitati per quel limbo che è l’archivio di deposito ed essere stati opportunamente “depurati” assurgono alla dignità culturale e scientifica che compete all’archivio storico, dove saranno conservati perennemente e resi disponibili agli studiosi”.
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Cassazione: licenziamento in tronco per i furbetti del cartellino

Cassazione: licenziamento in tronco per i furbetti del cartellino 0

di in 3 giugno 2016 Cassazione
Sentenza della Cassazione

Sentenza della Cassazione

La Cassazione con sentenza nr. 10842 del 25 maggio 2016 ha dichiarato legittimo il licenziamento in tronco per i furbetti del cartellino

La Cassazione, con sentenza nr. 10842 del 25 maggio 2016 ha dichiarato la legittimità del licenziamento in tronco per i cosiddetti furbetti del cartellino, ovvero nel caso in cui il lavoratore, anche solo per una volta, si fa strisciare il badge dal collega.

Il Caso ha riguardato un dipendente di Poste Italiane che, coinvolto in un incidente stradale, si era fatto strisciare il badge dal collega, al fine di far risultare l’entrata in ufficio alle ore 11.35 ed essersi, invece, effettivamente presentato in ufficio alle ore 12.25.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello, avevano confermato la legittimità del licenziamento imposto al dipendente ritenendo tale comportamento giustificativo della massima sanzione disciplinare del licenziamento, in considerazione “dell’intensità dell’elemento soggettivo della condotta del lavoratore il quale, all’esito dell’evento imprevedibile occorsogli, ben avrebbe potuto comunicare alla parte aziendale possibile ritardo in entrata invece di predisporre l’articolato meccanismo con il quale, coinvolgendo un collega a ciò aduso, ha provveduto ad alterare il sistema di registrazione dell’nizio della propria attività lavorativa”.

Dello stesso avviso è la Cassazione la quale ribadisce che tale comportamento, oltre a rappresentare  un cattivo esempio per tutti i dipendenti ed essere “gravemente irregolare, assolutamente anomalo, inadempiente agli obblighi inerenti il proprio ufficio, e contrario agli interessi del datare di lavoro” viene  a ledere in misura significativa il vincolo fiduciario che deve esistere tra il datore e il lavoratore e, come tale, giustificativo del licenziamento.

Per consolidata giurisprudenza, la ricostruzione del concetto di giusta causa nell’ambito del licenziamento disciplinare, “deve essere svolto in base agli specifici elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, quali tipo di mansioni affidate al lavoratore, il carattere doloso o colposo dell’infrazione, le circostanze di luogo e di tempo, le probabilità di reiterazione dell’illecito, il disvalore ambientale della condotta quale modello diseducativo per gli altri dipendenti”.

 

 

In particolare, si legge nella sentenza,  in merito all’alterazione del cartellino marcatempo, la Suprema Corte ha più volte confermato la valutazioni di gravità rese dai giudici di merito,” ritenendo che la falsa timbratura del cartellino può rappresentare una condotta grave che lede irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e può giustificare il licenziamento (vedi Cass. n. 24796/2010 e Cass. n. 26239/2008)”.

Per gli Ermellini dunque, giusta è l’interpretazione data a questa vicenda dalla  Corte d’appello che,ha confermato la “legittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro attraverso un’attenta valutazione da un lato della gravita dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro della proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, rilevando che la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro è stata in concreto tale da giustificare la massima sanzione disciplinare, in conformità con il costante orientamento di giurisprudenziale in materia di licenziamento”.