Archivi giornalieri: 13 giugno 2016
La Stampa
Regione Lazio
Lunedi 13
Giugno 2016
CONTENUTI DELLA PAGINA
FONDO FUTURO: 35 MILIONI PER IL MICROCREDITO E LA MICROFINANZA
La Regione sostiene imprese esistenti, nuovi progetti e nuove esperienze imprenditoriali con 35 milioni di euro di risorse. L’obiettivo è dare un’opportunità a chi ha un’idea imprenditoriale ma ha difficoltà di accesso al credito bancario. La Regione sostiene imprese esistenti, nuovi progetti e nuove esperienze imprenditoriali
A chi si rivolge il programma?
- microimprese, in forma di società cooperative, società di persone e ditte individuali, costituite e già operanti, ovvero in fase di avvio di impresa che abbiano o intendano aprire sede operativa nella regione Lazio;
- soggetti titolari di partita IVA, anche non iscritti ad albi professionali, con domicilio fiscale nella regione Lazio. Sono escluse le società di capitali e i soggetti che negli ultimi cinque anni presentino “anomalie bancarie” .
I giovani sono i primi destinatari di questo progetto. La Regione mette a disposizione 3 milioni di euro per i giovani fino a 35 anni e 2 milioni per gli over 50. Un elemento, importante, inoltre, è rappresentato dalla coerenza con altre azioni promosse dalla Regione per i giovani: altri infatti 5mln sono destinati a progetti d’impresa di chi ha partecipato ad alcune importanti iniziative sostenute dalla Regione in questi mesi, come Torno subito, In Studio e Coworking. Un modo concreto per stare vicino ai giovani e garantire loro un’opportunità anche dopo che hanno terminato esperienze importanti di formazione.
E ancora: 5 milioni per i soggetti economicamente più deboli, con reddito inferiore ai 21.000 euro (per 5mln); 5 milioni per i lavoratori svantaggiati; 15 milioni sono destinati a tutti gli altri.
I progetti idonei potranno beneficiare di prestiti di importo compreso tra 5.000 e 25.000 euro, da restituire al tasso di interesse dell’1%, con una durata da definire caso per caso e comunque non oltre gli 84 mesi, incluso l’eventuale preammortamento. Sono ammissibili le spese relative al progetto presentato, che andrà realizzato entro 12 mesi dall’ottenimento del prestito.
Per consultare il bando e per tutte le info vai qui
“Fondo Futuro è una rivoluzione, perché permette l’accesso al credito a un tasso dell’1% a tutte quelle piccole e nuove imprese che per il sistema attuale non sono bancabili, che non potrebbero mai ottenere un accesso al credito per avviare o sostenere un’impresa – lo ha detto il presidente, Nicola Zingaretti, che ha aggiunto: il fondo non richiede né garanzie personali, né garanzie particolari: si tratta di fondi europei che stavano tornando a Bruxelles e che abbiamo rimodulato per aiutare chi vuole fare impresa in questa Regione forte della propria voglia di produrre, scommettere, creare nuove aziende, locali o attività e che finora non aveva opportunità di poterlo fare, perché il sistema di credito tradizionale non glielo consentiva”.
” Per noi l’apertura alle partite iva, al lavoro autonomo di seconda o di terza generazione, ai creativi del lavoro immateriale è un grande segnale di attenzione. C’è sia il mondo più tradizionale, dal commercio alla manifattura, all’artigianato, ma anche quello delle partite iva- è il commento del vicepresidente, Massimiliano Smeriglio. C’è un’attenzione particolare per le nuove generazioni, una ossessione per la Regione Lazio: c’è una azione sull’inclusione sociale, sugli over 50 che hanno perso il lavoro, ma anche per target più generici. La possibilità di accedere al credito e realizzare un’idea di impresa rafforza le opportunità della singola persona e rafforza anche la Regione Lazio” – ha detto ancora Smeriglio.
Ultimissime Lavoro – Fiscale 13/06/2016
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la Repubblica
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LA RIDUZIONE DEL COSTO DEL LAVORO PER IL 2016 Le opportunità per ridurre il costo del lavoro tra flessibilità e welfare aziendale Parma, il 29 giugno 2016 convegno gratuito |
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Circolari INPS
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CORRIERE DELLA SERA
TuttoSport
Cassazione: per pubblico impiego articolo 18 e niente Fornero
Cassazione: per pubblico impiego articolo 18 e niente Fornero 1
La Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza nr. 11868 del 9 giugno 2016, ha affermato che ai licenziamenti nel pubblico impiego, si applica la normativa prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ( L. 300/70) e non dalla Legge Fornero.
Con questa pronuncia, la Suprema Corte torna a trattare l’annoso problema della disciplina giuridica da applicare ai licenziamenti degli statali anche e soprattutto in seguito alle riforme della Fornero prima e del jobs act di Renzi poi.
Il caso è giunto in Cassazione a seguito del ricorso presentato dal ministero dei Trasporti contro la sentenza d’appello riguardante un funzionario licenziato perchè svolgeva il doppio lavoro al quale, la Corte d’appello di Roma aveva riconosciuto 6 mesi di indennità risarcitoria, come previsto la legge Fornero nel caso di licenziamenti ‘legittimi’ ma effettuati in violazione delle procedure di contestazione disciplinare.
Una sentenza questa, di effetto contrario a quella di fine 2015 dove la Cassazione affermava l’esatto contrario, ossia che, anche ai licenziamenti dei pubblici dipendenti doveva essere applicata la riforma Fornero. Una divergenza di interpretazione che dovrà portare necessariamente ad un’intervento delle Sezioni Unite o, all’emanazione da parte del legislatore di una norma di interpretazione autentica.
Gli Ermellini affermano chiaramente che: “Ai rapporti di lavoro del pubblico impiego disciplinati dal d. lgs n.165/2001, non si applicano le modifiche apportate dalla legge Fornero – L. 92/2012 – all’articolo 18 della dello Statuto dei lavoratori, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n. 92 del 2012 resta quella prevista dall’articolo 18 della legge n. 300 del 1970 nel testo antecedente alla riforma“. Questo, prosegue la Corte, fino ad un intervento di armonizzazione.
La Suprema Corte quindi, con la sentenza n. 11868/2016 conferma quanto sempre sostenuto dal Ministro Madia ossia che l’articolo 18 per il pubblico impiego non è cambiato con le riforme di questi anni.
In pratica, per i pubblici dipendenti, in caso di licenziamento valgono ancora le vecchie regole previste dallo Statuto dei lavoratori prima della riforma Fornero, successivamente modificata dal Job Act del Governo Renzi e così, in caso di licenziamento senza giusta causa, è ammessa, per il pubblico impiegato, la reintegra nel posto di lavoro anzichè la sola tutela risarcitoria prevista per il lavoratore privato.
Si viene a creare un “doppio disciplina” parallela tra licenziamento del lavoratore privato, assoggettato alle modifiche introdotte dalla legge Fornero e dal Jobs Act e, il licenziamento del pubblico dipendente che continua ad essere disciplinato dall’originario art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Una diverso trattamento dovuto proprio alla particolare natura del datore di lavoro pubblico. Il principio è quello previsto dall’Art. 97 Cost di “buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministra” che implica, come affermano i giudici che, “un’eventuale modulazione delle tutele nel pubblico impiego richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l’impiego privato” poiché, come stabilito dalla Consulta, nel settore pubblico ci sono “garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi“.
Sant’ Antonio di Padova
Sant’Antonio nacque a Lisbona nel 1195 da genitori favoriti da Dio di ricchezze spirituali e di un certo benessere. Dopo la prima educazione ricevuta nella casa paterna da uno zio canonico, continuò la sua istruzione nella scuola vescovile annessa alla Curia. Con l’età cresceva pure nell’umiltà, unita al disprezzo per le glorie mondane; virtù che, unitamente alla fama di taumaturgo, lo distingueranno sempre.
Sentendosi portato alla solitudine, il Santo pensò presto di ritirarsi in un convento e scelse i Canonici Regolari di S. Agostino. Quivi si diede con tale fervore alla mortificazione della carne, alla ritiratezza e ad un silenzio operoso, da divenire uno specchio per i suoi confratelli.
Ma le sue brame non erano ancora pienamente appagate: il Santo desiderava di ricevere il martirio, se cosi fosse piaciuto al Signore; e a questo scopo, abbandonato il convento di S. Croce, si ritirò tra i Frati Minori ai quali erano permesse le Missioni.
Ma chi può scrutare i disegni altissimi dell’Onnipotente? Antonio, appena giunto in terra di Missione, è assalito da una malattia tale che lo costringe alla più assoluta inazione, e lo inchioda inesorabilmente in un letto, tanto che è costretto al ritorno. Si imbarca allora per ritornare in Portogallo, ma la nave, sbattuta da violenta tempesta, dopo una fortunosa navigazione, viene a sfasciarsi contro il litorale della Sicilia.
Soccorso da alcuni pescatori, viene trasportato a braccia al più vicino convento. Antonio adora la volontà di Dio, ed appena è in grado di camminare si reca ad Assisi. Quivi ebbe la grazia di vedere il suo caro padre S. Francesco, e di assistere al capitolo delle stuoie. Ma in questa circostanza il nostro Santo non parlò, nè fu notato. Dopo l’umiliazione però la Provvidenza, in modo inaspettato, gli apriva la via della predicazione.
Fu una rivelazione: in poco tempo divenne celebre e dovette passare a Montpellier, a Tolosa, a Bologna, a Rimini e a Padova. Nella quaresima che tenne in quest’ultima città, i frutti della grazia divina furono copiosissimi: riconciliò nemici, ridusse i dissoluti a vita migliore, persuase gli usurai alla restituzione. La sua parola era come un dardo che trapassava i cuori e li infiammava d’amore alla virtù.
Il Signore confermava la santità del Santo con numerosissimi miracoli.
Conoscendo per rivelazione che suo padre era accusato ingiustamente della morte di un nobile, pregò Dio e si trovò miracolosamente a Lisbona accanto al padre. Quivi richiamò a vita l’ucciso che indicò Pomici_da: suo padre fu salvo.
Sentendosi vicino al termine della vita ottenne il permesso di ritirarsi nel romitorio di Camposampiero; ,qui passò i suoi ultimi giorni nella contemplazione e nell’esercizio sempre più puro dell’amor di Dio. Morì ad Arcella, presso Padova, il 13 giugno del 1231 a 36 anni di età.
Dopo la sua morte i fanciulli di Padova e dei dintorni andavano gridando: «È morto il Santo, è morto il Santo ». Ed era veramente morto un santo ed un grande santo, che lasciò tracce indelebili di ogni virtù.
PRATICA. Mentre ammiriamo il Santo, cerchiamo di imitarlo nella corrispondenza alla. divina grazia e nel disprezzo delle cose terrene e nell’amore delle celesti.
PREGHIERA. L’annua solennità del tuo beato confessore Antonio allieti, o Dio, la tua Chiesa, affinchè munita sempre e di aiuti spirituali, meriti di godere le gioie eterne.
S. Antonio da Padova
Il Santo del giorno, 13 Giugno: S. Antonio da Padova
Padova ha tre cose strane, cioè: “senza”: un Caffè senza porte, il Pedrocchi, perchè una volta era perennemente aperto. Un Prato senza erba, perchè il Prato della Valle, prima era una palude epoi divenne una piazza lastricata. E un santo senza nome! Perchè basta dire e non solo qui, il Santo per intendere Sant’antono da Padova, uno dei più celebri e miracolosi della storia della Chiesa! |
di Daniele Vanni
13 giugno Sant’Antonio da Padova, dottore della Chiesa, patrono di Brasile e Portogallo e di molti comuni fra cui Lisbona e Padova.
Padova ha tre cose strane, cioè: “senza”: un Caffè senza porte, il Pedrocchi, perchè una volta era perennemente aperto. Caffè storico, tra i più belli e famosi al mondo che ha ospitato eroi risorgimentali, intellettuali, poeti di tutto il mondo! Ed anche giocatori che spesso sono “al verde” e spiantati che quando volevano un caffè enon avevano i soldi per pagarlo, andavano nella sal “verde” ed ordinavano, palesando così illoro stato di bisogno a cui la benevolenza patavina non rifiutava almeno un caffè!
Poi Padova ha un Prato senza erba, perchè il Prato della Valle, prima era una palude epoi divenne una piazza lastricata.
E un santo senza nome! Perchè basta dire e non solo qui, il Santo per intendere Sant’antono da Padova, uno dei più celebri e miracolosi della storia della Chiesa!
Fernando Martins de Bulhões (Lisbona, 15 agosto 1195 – Padova, 13 giugno 1231) fu un religioso francescano portoghese, proclamato dottore della Chiesa.
Da principio fu monaco agostiniano a Coimbra, poi dal 1220 frate francescano. Viaggiò molto, vivendo prima in Portogallo quindi in Italia e in Francia.
Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove vide e ascoltò di persona san Francesco d’Assisi. Terminato il capitolo, Antonio fu inviato prima, nei pressi di Forlì. Poi, viste le sue doti di grande umiltà, ma anche di grande sapienza e cultura, per le sue valenti doti di predicatore, fu incaricato dell’insegnamento della teologia e inviato dallo stesso san Francesco (strano per il Poverello di Assisi!) a contrastare la diffusione dell’eresia catara in Francia, cioè di coloro che massimamente predicavano la povertà, d’animo e di corpo!
Fu poi trasferito a Bologna e quindi a Padova. Morì all’età di 36 anni. Rapidamente canonizzato (in meno di un anno!) il suo culto è fra i più diffusi del cattolicesimo.
Antonio si trovò a vivere la tumultuosa fine del Medioevo europeo: nascevano i Comuni e la nuova società borghese, con il crescere dei poteri dei banchieri, dei mercanti, dei ceti medi produttivi ed intellettuali.
La Chiesa sembrava arroccata nelle crociate contro gli eretici, le streghe, i Musulmani, la costruzione di grandi cattedrali, che sostituivano i monasteri come centro di sapere. Così come i laici erano passati dal castello alla città.
Fernando nacque a Lisbona da nobile e ricca famiglia. Forse avviato alla vita militare dal padre che si diceva fosse discendente di Goffredo di Buglione. A 15 anni entrò dai Frati agostiniani a Coimbra, e vi rimase per otto anni, finché non incontrò una missione di cinque fratelli mandati da San Francesco in Marocco, a convertire i musulmani d’Africa.
Riportati decapitati a Coimbra, il fatto scosse Antonio che decise di farsi francescano.
Partì per l’Africa, dove contrasse una malattia. Poi ancora in viaggio, naufragò in Sicilia. Soccorso da pescatori, Antonio e i suoi confratelli vennero portati in un vicino convento francescano. Qui i frati furono informati che a maggio, in occasione della Pentecoste, Francesco d’Assisi aveva radunato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale. L’invito a parteciparvi era esteso a tutti e nella primavera del 1221 Antonio e i frati di Messina cominciarono a risalire l’Italia a piedi.
Il viaggio durò parecchie settimane. Il capitolo, presieduto dal cardinale cistercense Rainiero Capocci, ebbe luogo nella valle attorno alla Porziuncola, dove si raccolsero più di tremila frati. per riparo, si costruirono delle capanne di stuoie e per tale motivo fu ricordato come il Capitolo delle Stuoie.
Si discuteva di un ordine troppo cresciuto e quindi diventato un grande potere, che doveva far i conti con le regole di stretta povertà iniziale ed il ruolo assunto dai Francescani.
E così Antonio inviato a Forlì si trovò a fianco dei “riformati” Francescani, a combattere chi si richiamava ad una stretta povertà evangelica, come i Patarini della Padania, gli Albigesi, i Catari, che attaccavano tutti il potere temporale della Chiesa.
In queste lotte, ecco i suoi primi miracoli.
Sull’Adriatico, forse a Rimini, dove forti erano i Catari, non seguito per niente nella sua predica, fece venire a rive una moltitudine di pesci ad ascoltarlo! E qui accettò la sfida di un eretico che tenne tre giorni digiuna una mula in una stalla e poi la portò da Antonio, per vedere se questa preferiva del fieno o l’ostia che il santo dava in Comunione. Antonio si mise davanti alla mula, che tralasciò le biade e s inginocchiò davanti all’ostia!
Poi in Francia, a Montpellier, addirittura ebbe fenomeni di bilocazione predicando nella città universitaria, in due luoghi diversi! Ad Arles, apparve addirittura San Francesco (che stava morendo in quei mesi) in volo, benedicente la folla che ascoltava Antonio.
Morto Francesco, il 3 ottobre 1226, l’anno dopo Antonio arrivò ad Assisi per un nuovo Capitolo Generale. Eletto il successore, nella persona di Giovanni Parenti questi che già aveva conosciuto Antonio in Spagna, gli assegnò la seconda carica come ministro provinciale per l’Italia settentrionale. Qui passava di città in città e di miracolo in miracolo, di predica in predica e nelle confessioni delle migliaia di persone che lo seguivano per un consiglio. Affollando la cità dei commerci che era Padova e che Antonio aveva scelto per sua sede quando non viaggiava nel Friuli, In Illiria, fondando nuove comunità.
Due viaggi fece a Roma e Assisi, per dirimere le infinite dispute fra l’ala conservatrice e quella conservatrice dei Francescani, predicando ancora contro l’usura, la povertà naturale, facendo modificare a Padova le leggi contro i debitori senza colpa. Tanta la gente che accorreva che fu istituito un gruppo di guardie del corpo per salvarlo dalla folla! Forse malato di cuore e sfinito per la vita intensa, sentendosi morire, volle essere portato a Padova su un carro, dove morì a 36 anni al quartiere Arcella. I suoi confratelli dovettero lottare e combattere per difenderne il corpo che diversi luoghi pretendevano e che la gente voleva come reliquia!
Appena qualche lustro dopo la morte, per l’afflusso di pellegrini, si dovette dare il via alla costruzione di una grande Basilica, dove fu translato il corpo.