Osservatore Romano

Parroco di tutti

 

​A Vercelli la beatificazione di don Giacomo Abbondo ·

10 giugno 2016

 
 

 

Un autentico parroco, padre e pastore, annunciatore del Vangelo e premuroso nei confronti dei suoi fedeli fino all’esercizio eroico della carità. È don Giacomo Abbondo, il sacerdote di Tronzano Vercellese che il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, beatifica in rappresentanza di Papa Francesco, sabato 11 giugno, a Vercelli.

Nato a Salomino, frazione di Tronzano Vercellese, il 27 agosto 1720, assecondando il desiderio del vescovo, Abbondo rinunciò al prestigioso incarico di insegnante nella scuola statale e accettò la nomina a parroco di Tronzano, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 9 febbraio 1788. Ereditò una difficile situazione dopo la morte del teologo Naya, simpatizzante del giansenismo e del rigorismo sacramentale. Fin dall’inizio nel 1757 don Abbondo s’impegnò come ministro della Parola, premuroso cultore della vita sacramentale e generoso dispensatore della carità parrocchiale. Nel 1759 unì le compagnie della dottrina cristiana e del rosario, impegnando quasi tutti i genitori nell’insegnamento del catechismo e nella preghiera in famiglia. La dottrina cristiana era spiegata ogni festa di precetto al pomeriggio. In Quaresima la catechesi si faceva ogni giorno: al mattino nel capoluogo, al pomeriggio nelle cascine. Nel mese di gennaio, dopo la messa dell’Ave Maria, don Abbondo a cavallo, avvolto in un grande mantello, si recava nelle cascine per insegnare il catechismo ai ragazzi impegnati nella custodia delle mucche. I testi in uso erano quelli del cardinale Roberto Bellarmino, del padre Boriglioni e di monsignor Casati.

Amava i suoi parrocchiani uno ad uno, con una speciale predilezione per i poveri e i malati. Insieme con il medico, segnalava coloro che necessitavano di un particolare sostegno da parte della congregazione di carità. A essi garantiva la distribuzione gratuita del pane, del latte, della verdura, della legna per il riscaldamento. La popolazione dimostrò di apprezzare tale interessamento con l’istituzione di lasciti e legati. Le famiglie più generose si prendevano cura degli orfani. La casa parrocchiale era nota per l’ospitalità dei sacerdoti di passaggio, provenienti dalle limitrofe diocesi di Casale Monferrato e Ivrea. 

di Mario Capellino

Osservatore Romanoultima modifica: 2016-06-10T21:31:49+02:00da vitegabry
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