Archivi giornalieri: 21 luglio 2015
ilsole24ore
Ultimissime lavoro fiscali21/07/2015
|
|
|
Povertà
Povertà: boom Help Center Fs, +26% utenti nel 2014
Chiedono di poter accedere a una mensa, fare una doccia, avere dei vestiti puliti. Hanno bisogno di essere ascoltati, indirizzati verso strutture d’accoglienza o verso un nuovo lavoro. Sono persone senza fissa dimora, italiane e straniere, che vivono un profondo disagio sociale e che per far fronte alla quotidianità si rivolgono agli Help center delle stazioni. Un servizio di solidarietà, che nasce dalla collaborazione di Ferrovie italiane, enti locali e terzo settore e che nel 2014 è stato testimone di un “aumento preoccupante” della povertà nel nostro paese. Rispetto al 2013, gli utenti che hanno chiesto aiuto ai 14 Help center sono aumentati del 26%, arrivando a quota 31.702, pari a circa due terzi dei senza dimora stimati dall’Istat. Di questi, 17.184 sono nuovi utenti, cioè persone costrette a chiedere aiuto ai centri nelle stazioni per la prima volta (+43% in un anno). L’emergenza è soprattutto al Sud e, in generale, per i cittadini stranieri (73% dell’utenza). Anche se un utente su 4 è italiano.
Nel 2014 – rileva il rapporto dell’Osservatorio nazionale sul Disagio e sulla Solidarietà nelle stazioni, presentato oggi nella sede delle Ferrovie dello Stato italiane – sono stati portati a termine 470.822 interventi a favore delle persone in difficoltà (139.978 per orientamento sociale e 330.844 a bassa soglia). Più numerose le azioni sociali svolte nel Mezzogiorno e in particolare nelle stazioni di Catania, Messina e Bari.
Il 25,4% degli utenti è italiano. Tra gli stranieri, il 55,3% è extracomunitario, mentre l’etnia più rappresentata è quella rumena (15,9% del totale degli utenti). In generale, il 66% ha un’età compresa tra i 18 e i 39 anni, pochi gli anziani e i minori. Nel 2014 rispetto al 2013, sono aumentate le donne in difficoltà che si sono rivolte agli Help center, passando dal 20,9% al 26,1% del totale degli utenti.
L’emarginazione sociale “è un problema che esiste ed è in crescita – ha osservato l’ad del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane – le Ferrovie possono essere un punto di riferimento per il disagio, la povertà e l’immigrazione. Anche se non sono la soluzione finale, le stazioni rimangono comunque un punto di partenza e arrivo. Nei giorni scorsi sono state in prima fila nell’assistenza ai migranti”.
Da quest’anno, dopo l’apertura a Reggio Calabria, gli Help Center sono diventati 15: Roma Termini, Milano Centrale, Torino Porta Nuova, Firenze Santa Maria Novella, Genova Cornigliano, Bologna Centrale, Foggia, Napoli Centrale, Catania, Pescara, Chivasso, Messina, Melfi, Bari e, appunto, Reggio Calabria.
A Roma, nel 2014, i nuovi utenti sono aumentati del 58%: 1.722 persone su un totale di 2.927. Una tendenza che si conferma anche nel 2015. Dal primo gennaio a oggi hanno chiesto aiuto 2.700 persone disagiate (650 italiani), di cui 1.600 nuovi utenti.
Nel 2014 – conclude il Rapporto – i centri sono stati aperti complessivamente una media di 104 ore al giorno e i giorni di effettiva apertura sono stati 3.570. Le ore di lavoro sono state in tutto 1.324.052 per un valore economico di intervento pari a 23.104.715 euro.
Pensioni
Pensioni: Cgil, governo dimentica 50mila esodati
“Il governo ha completamente dimenticato che rimangono almeno 50mila esodati da includere nella salvaguardia, intervenga per chiudere definitivamente questa pagina nera”, questa la denuncia di Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil.
Lamonica ricorda inoltre che “l’Inps non ha ancora ottemperato all’impegno preso con il Parlamento di rendere noto il numero esatto di lavoratori effettivamente salvaguardati e le risorse finora spese al riguardo. Si tratta di dati indispensabili – spiega – perché proprio a partire dalle risorse impegnate ma non spese si può procedere alla settima salvaguardia, completando così una vicenda che è scandalosamente ancora in piedi. Anche il ministero del Lavoro – sottolinea la dirigente sindacale – non comunica i dati, e i due soggetti continuano a rimpallarsi la responsabilità. Siamo con i lavoratori che oggi manifestano davanti a Montecitorio – sostiene Lamonica – e riconfermiamo il nostro impegno per far sì che la questione si possa definitivamente chiudere, assicurando – conclude – che a eguale condizione corrispondano eguali diritti”.
ansa
Malattie professionali
Progetto Cgil-Inca Catania per riduzione malattie professionali
“Solo nel 2014, in Italia sono state presentate 663.000 denunce di infortunio e ben 57.000 di malattie professionali. Il nostro obiettivo è quello di ridurre i rischi nei luoghi di lavoro e di tutelare le migliaia di lavoratori che ogni giorno si rivolgono a noi”. È il direttore dell’Inca Cgil di Catania, Vincenzo Cubito a segnalare i dati che la dicono lunga sulla necessità di tutelare i dipendenti delle strutture ospedaliere pubbliche, comprese quelle della provincia di Catania esposti quotidianamente a rischi derivanti dal lavoro che svolgono.
Nei giorni scorsi è stato presentato dal Patronato Inca e dalla Funzione Pubblica Cgil Catania, dipartimento Sanità, il progetto “Dignità nel Lavoro, diritto alla salute” alla presenza del medico legale dell’Inca nazionale Marco Bottazzi e del responsabile regionale Inca Vito Ciulla. Per l’occasione saranno formati i delegati della aziende ospedaliere che intervisteranno i colleghi attraverso un questionario. Obiettivo: far emergere eventuali danni da lavoro o malattie professionali.
Il segretario generale della Fp Cgil di Catania, Gaetano Agliozzo commenta che : “Gli infortuni sul lavoro nelle strutture ospedalieri sono spesso il frutto dello stress eccessivo, a sua volta collegato a turni massacranti e a carichi di lavoro impensabili, anche nei pronto soccorsi. Abbiamo più volte denunciato queste verità con dati e testimonianze e torneremo ancora una vota sull’argomento non appena avremo a disposizione i risultati delle interviste somministrate attraverso i questionari. Non appena avremo chiara la fotografia del reale, la divulgheremo all’opinione pubblica”.
Istat
Istat: 13 mln persone con limitazioni nel lavoro e nello studio
Circa 13 milioni di persone dai 15 anni in su hanno nella loro quotidianità limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi. Si tratta del 25,5% della popolazione residente in Italia. Lo afferma l’Istat nel report sull’inclusione sociale delle persone con queste limitazioni relativo al 2013. Nel 54,7% dei casi sono donne e il 61,1% anziani. Circa 5 milioni di persone non sono iscritte a corsi di alcun tipo (scolastici, universitari o di formazione professionale). Appena il 44% (a fronte del 55,1% del totale della popolazione) ha un’occupazione.
Circa 2 milioni e 600 mila nel nostro paese le persone con grave riduzione dell’autonomia. Si tratta
del 34% di coloro che soffrono di limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi che dichiarano – rileva l’Istat – di non essere in grado di svolgere da solo almeno una delle attività essenziali della vita quotidiana (come sdraiarsi ed alzarsi dal letto, vestirsi e spogliarsi, lavarsi le mani). Oltre tre milioni e mezzo di persone con limitazione funzionali, invalidità o cronici gravi, hanno difficoltà ad uscire di casa per le condizioni di salute. Si tratta dei due terzi dei casi (76,2%) con limitazioni gravi. Lievemente più bassa è la quota di quanti, sempre per motivi di salute, hanno difficoltà ad accedere agli edifici (22,3%) e ad utilizzare mezzi di trasporto pubblici (19,7%). 400 mila persone con problemi di salute non sono iscritte ad alcun corso di studio. Inoltre, lavora appena una persona su cinque con limitazioni
funzionali gravi.
In generale, fra chi ha limitazioni, gravi e non, è occupato il 44% contro il 55,1% registrato fra l’intera popolazione; la percentuale in cerca di occupazione è lievemente inferiore (12,6% contro 14%). Risulta occupato il 52,5% degli uomini (contro 64,6%) contro il 35,1% delle donne (45,8%). La quota di occupati è molto più bassa nel mezzogiorno (34,1%) rispetto al Nord (51,7%). Fra l’altro, oltre la metà delle persone con limitazioni gravi ha restrizioni nel lavoro (53,1%, il 12,3% di chi soffre di limitazioni).
Secondo l’Istat “nell’ostacolare l’integrazione nel mondo del lavoro c’è la mancanza di opportunità indicata come il motivo principale dal 22,5% della popolazione residente in Italia.
Congedo parentale
Prolungamento congedo parentale figli in situazione di handicap grave
Il D.lgs. 80/2015 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro), interviene e modifica le disposizioni contenute nel DLgs. 151/2001 ridefinendo, in via sperimentale, per il solo anno 2015, il limite di età del figlio, in situazione di handicap grave, entro cui i genitori possono fruire del prolungamento del congedo parentale.
Per gli anni successivi al 2015 l’eventuale estensione rimane subordinata all’introduzione di norme che forniscano adeguate coperture finanziarie.
L’art.33 del d.lgs.151/2001 prevedeva che il prolungamento del congedo parentale per figli con disabilità in situazione di gravità potesse essere fruito, entro il compimento dell’ottavo anno di vita del bambino, per un periodo massimo di tre anni, dalla conclusione del periodo di “normale congedo parentale” “teoricamente” fruibile dal genitore richiedente;
mentre, per effetto della modifica operata dal decreto 80/2015, si stabilisce la possibilità per i genitori di fruire del predetto beneficio entro il dodicesimo anno di vita del figlio con HANDICAP in situazione di gravità; compresi anche i casi di adozione nazionale, internazionale e affidamento.
Per l’anno 2015, quindi, in via sperimentale, il prolungamento del congedo parentale potrà essere fruito, qualunque sia l’età del minore, non oltre la maggiore età, dai genitori adottivi o affidatari entro i dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia.
Il periodo massimo di prolungamento del congedo parentale (fino al dodicesimo anno di età o fino al dodicesimo anno dall’ingresso in famiglia), fruibile dalla madre lavoratrice o, in alternativa, dal padre lavoratore, per ogni figlio in situazione di handicap grave, resta ancorato a 36 mesi, compresivi del “normale congedo parentale” e, come in precedenza, decorre sempre dalla conclusione del periodo di normale congedo parentale teoricamente fruibile.
Per tutto il periodo è riconosciuta una indennità economica pari al 30% della retribuzione. Conditio sine qua non è che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.
L’entrata in vigore del nuovo dettato normativo fa si che i genitori (anche adottivi o affidatari) con figli in situazione di handicap grave possano beneficiare in alternativa:
fino a tre anni di età del bambino: tre giorni di permesso; ore di riposo giornaliere; prolungamento del congedo parentale.
Oltre i tre anni e fino ai dodici anni del bambino: tre giorni di permesso; prolungamento del congedo parentale.
Oltre i dodici anni del bambino: tre giorni di permesso mensile.
La norma, come più volte sottolineato nel messaggio Inps (n. 4805/15), si applica per l’anno 2015 in via sperimentale e potranno trovare accoglimento solo le richieste presentate dopo il 24 giugno 2015.
In attesa, che l’Inps renda possibile la presentazione delle domande in modalità telematica, i genitori, che intendano avvalersi del beneficio, potranno produrre la domanda in forma cartacea solo per tutto il mese di luglio.
Le sedi dell’Inca, dislocate su tutto il territorio nazionale, sono a disposizione per fornire eventuali, ulteriori informazioni.
Eternit
Processo Eternit bis?
Il 24 luglio 2015 a Torino il Gup dovrà decidere se accogliere la richiesta della Procura di Torino per il rinvio a giudizio di Stephan Smidheiny (ultimo proprietario della multinazionale Eternit) per “omicidio volontario” (doloso), dopo che la Corte di Cassazione con la sentenza del 19.11.2014 , non ha assolto Smidheiny, ma ha dichiarato prescritto il reato di “disastro ambientale doloso”.
“Un disastro Eternit che – commenta un comunicato dell’AfeVa (Associazione Familiari Vittime Amianto) – è invece ancora in corso: solo a Casale i mesotelioma hanno superato i 50 casi all’anno! Questa sentenza della Cassazione è sconcertante – prosegue il comunicato – ed ha inferto un duro colpo al diritto alla giustizia delle migliaia di vittime ed alle aspettative delle migliaia di cittadini che hanno partecipato con mille iniziative a questa battaglia di civiltà, assieme a tutte le scuole ed istituzioni del territorio, ai medici, a tanti legali, al mondo culturale e sportivo e, in particolare, alle vittime ed associazioni di tanti altri Paesi”.
L’OSSERVATORE ROMANO
La truffa dell’Unità d’Italia e il mito di Garibaldi.
La truffa dell’Unità d’Italia e il mito di Garibaldi.
di Francesco Casula
Il 4 luglio scorso ricorreva il 208° Anniversario della nascita di Garibaldi. Fortunatamente, ci sono state risparmiate le ondate patriottarde che negli anni scorsi avevano alluvionato giornali e media. Ma covano sicuramente sotto la cenere. Quando invece, quello che occorre è iniziare a far le bucce al “Risorgimento” italiano e alla conseguente “Unità”, senza essere tacciati di leghismo o, peggio, di essere etichettati come clericali, filoborbonici e dunque arretrati, regressivi e premoderni..
A questo proposito voglio ricordare – anche perché mi sembra molto illuminante – un curioso episodio. Negli anni ’70 escono una serie di saggi, prevalentemente di giovani intellettuali e storici meridionali ( Nicola Zitara, Edmondo Maria Capecelatro, Antonio Carlo e altri).
Nei loro saggi attraverso una puntuale e rigorosa analisi socio-economica del Meridione preunitario, sostengono e dimostrano con dati e numeri inoppugnabili, (per esempio sull’industria agro-alimentare ma anche siderurgica nel Napoletano ma non solo) che al momento dell’Unità il divario Nord-Sud non esistesse (o comunque non fosse determinante) sicché a determinare il sottosviluppo del Sud sia stata l’azione politica dello Stato unitario, In altre parole sostengono che la dialettica sviluppo–sottosviluppo si sia instaurata nell’ambito di uno spazio economico unitario – quindi a unità d’Italia compiuta – dominato dalle leggi del capitale.
Tale tesi – che si ricollega fra l’altro a una serie di studi sullo sviluppo ineguale del capitalismo, in modo particolare di Paul A. Baran, di Andre Gunter-Frank e Samir Amin – tende a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell’altra e viceversa e dunque il sottosviluppo del Sud è il risultato dello sviluppo capitalistico e non della sua assenza.
Zitara, Capecelatro e Antonio Carlo furono accusati e tacciati di “nostalgie borboniche”. Perché? Per le differenti analisi – parzialmente anche rispetto a Gramsci – sulla Questione Meridionale?
No: semplicemente perché avevano osato dissacrare quanto tutti avevano divinizzato: il movimento e il processo, considerato progressivo e progressista, del Risorgimento. Avevano osato mettere in dubbio e contestare le magnifiche sorti e progressive dello Stato unitario, sempre celebrato da chi a destra, a sinistra e a centro aveva sempre ritenuto che tutto si poteva criticare in Italia ma non l’Italia Unita e i suoi eroi risorgimentali.
Come spiegare diversamente – ma è solo un esempio – l’atteggiamento nei confronti di Garibaldi? Durante il ventennio fu santificato ed eletto “naturalmente” come padre putativo di Mussolini e del regime e dunque fu “fascista”. Dopo il fascismo, prima nel ’48, alle elezioni politiche, la sua icona fu scelta come simbolo elettorale del Fronte popolare e dunque divenne socialcomunista. Negli anni 80 fu osannato da Spadolini – e dunque divenne repubblicano – “come il generale vittorioso, l‘eroico comandante, l’ammiraglio delle flotte corsare e l’interprete di un movimento di liberazione e di redenzione per i popoli oppressi”. Fu poi celebrato da Craxi – e dunque divenne socialista – “come il difensore della libertà e dell’emancipazione sociale che univa l’amore per la nazione con l’internazionalismo in difesa di tutti i popoli e di tutte le nazioni offese”. Infine fu persino rivendicato da Piccoli che lo fece dunque diventare democristiano.
Ecco, è proprio questo unanimismo, questa unione sacra – destra, sinistra centro, tutti d’accordo – intorno al Risorgimento e ai suoi personaggi simbolo, che non convince. E’ questa intercambiabilità ideologica dei suoi “eroi” che rende sospetti. Ecco perché bisogna iniziare a fare le bucce al Risorgimento, ecco perché occorre iniziare a sottoporre a critica rigorosa e puntuale tutta la pubblicistica tradizionale – ad iniziare dunque dai testi di storia – intorno a Garibaldi, liquidando una buona volta la retorica celebrativa del Risorgimento. Per ristabilire, con un minimo di decenza un po’ di verità storica occorrerebbe infatti, messa da parte l’agiografia e l’oleografia patriottarda italiota, andare a spulciare fatti ed episodi che hanno contrassegnato, corposamente e non episodicamente, il Risorgimento e Garibaldi: Bronte e Francavilla per esempio. Che. non sono si badi bene, episodi né atipici né unici né lacerazioni fuggevoli di un processo più avanzato. Ebbene, a Bronte come a Francavilla vi fu un massacro, fu condotta una dura e spietata repressione nei confronti di contadini e artigiani, rei di aver creduto agli Editti Garibaldini del 17 Maggio e del 2 Giugno 1860 che avevano decretato la restituzione delle terre demaniali usurpate dai baroni, a chi avesse combattuto per l’Unità d’Italia. Così le carceri di Franceschiello, appena svuotate, si riempirono in breve e assai più di prima. La grande speranza meridionale ottocentesca, quella di avere da parte dei contadini una porzione di terra, fu soffocata nel sangue e nella galera. Così la loro atavica, antica e spaventosa miseria continuò. Anzi: aumentò a dismisura. I mille andarono nel Sud semplicemente per “traslocare” manu militari, il popolo meridionale, dai Borboni ai Piemontesi. Altro che liberazione!
Così l’Unità d’Italia si risolverà sostanzialmente nella “piemontesizzazione” della Penisola e fu realizzata dal Regno del Piemonte, dalla Casa Savoia, dai suoi Ministri – da Cavour in primis – dal suo esercito in combutta con gli interessi degli industriali del Nord e degli agrari del Sud – il blocco storico gramsciano – contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord; contro gli interessi del popolo, segnatamente del popolo-contadino del Sud; contro i paesi e a vantaggio delle città, contro l’agricoltura e a favore dell’industria.
Ammortizzatori sociali
Inps, i dati sui nuovi ammortizzatori sociali
Oggi l’Inps ha pubblicato un comunicato stampa sull’andamento, a giugno 2015, della Cassa Integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga dai cui dati si deduce una flessione delle richieste rispetto allo stesso mese del 2014. Il calo più sensibile viene rilevato per la cassa integrazione ordinaria che rispecchia l’andamento degli ordinativi delle imprese, mentre la riduzione è notevolmente più contenuta per la cassa straordinaria che è normalmente sinonimo di una crisi strutturale, quindi più grave e risulta significativa del fatto che la forte crisi economica e produttiva che ha investito da oltre sette anni il nostro paese non è ancora finita.
Ci interessa maggiormente commentare i primi dati pervenuti sulla NASpI( Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego ) che è entrata in vigore solo dal 1° maggio 2015 per i licenziamenti involontari successivi alla data di entrata in vigore, mentre per i licenziamenti fino al 30 aprile erano ancora in vigore l’ASpI e la MiniASpI. Sono pervenute fin qui all’INPS solo 28.078 domande di NASpI mentre le domande di ASpI e MiniASpI ammontano a circa 53.000. Sommando le domande di mobilità alle precedenti l’Inps registra una diminuzione del 29% in meno rispetto al mese di maggio 2014.
Secondo il nostro parere tale forte diminuzione è ascrivibile alla novità del nuovo ammortizzatore sociale che ha cambiato i requisiti di accesso per cui molti lavoratori e lavoratrici che hanno perso il lavoro, soprattutto presenti nelle piccole imprese, potrebbero non esserne a conoscenza; riteniamo quindi opportuno che a cura dell’Inps e del Ministero del lavoro si attui una campagna informativa sul nuovo ammortizzatore sociale.
Ricordiamo, infatti, che dopo essere stati licenziati si hanno solo 68 giorni di tempo per richiedere la Naspi e se non lo si fa, si perde il diritto che non è più recuperabile. Il Patronato INCA ha da tempo avviato una campagna informativa/ formativa rivolta ai propri operatori, ai delegati di categoria, ai lavoratori e alle lavoratrici ma riteniamo d’obbligo un maggior impegno divulgativo a livello istituzionale.
Notiamo infine che nel comunicato stampa dell’Istituto non troviamo traccia della DIS-COLL il nuovo ammortizzatore sociale rivolto a coloro che lavorano con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto, in vigore dal 1° gennaio di quest’anno e che, nelle dichiarazioni del Governo, doveva servire a coprire le assenze di tutela verso i cosiddetti “parasubordinato”. Come Patronato siamo molto interessati a conoscere questi dati, anche perché ci risulta che nei nostri uffici siano arrivate parecchie richieste.
Infine un appello a tutti coloro che vengono licenziati o che hanno un contratto che non viene più rinnovato: recatevi alla sede più vicina del Patronato Inca (http://www.inca.it/DoveSiamo/Italia.aspx) per avere tutte le informazioni utili a far valere i vostri diritti.