Archivi giornalieri: 6 luglio 2015
Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in europa
Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in europa
Un Dossier a cura dell’Osservatorio svela in anteprima i contenuti del cosiddetto Labour Mobility Package, il pacchetto di nuove misure sulla libera circolazione dei lavoratori che la Commissione Juncker si appresta a proporre. Se entrassero davvero in vigore, verrebbero messi in discussione i pilastri della libera circolazione e del coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, e tra questi, il principio fondamentale del diritto sociale secondo il quale le prestazioni previdenziali sono un diritto che appartiene alla persona in virtù dei contributi versati durante la propria carriera lavorativa…
Congedi di maternità. La Commissione ritira la direttiva
La Commissione ha deciso di ritirare la direttiva sul congedo di maternità. Al suo posto, presenterà “un’iniziativa più ampia”, che “continuerà a promuovere gli obiettivi della precedente proposta e assicurerà una protezione minima”. La direttiva era stata presentata nel 2008 dalla Commissione Barroso con lo scopo d’istituire delle regole comuni in tutta l’Unione sui congedi parentali…
Evasione contributiva. Campagna europea contro le società fittizie
I sindacati delle costruzioni di 34 paesi d’Europa hanno lanciato una petizione contro le cosiddette “letterbox companies”, ossia società e filiali di comodo che esistono soltanto sull’etichetta incollata su una cassetta postale, create per eludere i contributi previdenziali. La campagna è coordinata dalla Federazione europeea dei lavoratori delle costruzioni FETTB…
Le prestazioni sociali per l’accesso al mercato del lavoro non possono essere negate ai cittadini UE
Secondo l’avvocato generale Wathelet, della Corte di giustizia dell’UE, ai cittadini dell’Unione che si trasferiscono in un altro Stato membro non possono essere negate le prestazioni sociali rivolte a facilitare l’accesso al mercato del lavoro, neanche durante i primi tre mesi di soggiorno…
Precedenti articoli
Libera circolazione dei lavoratori. Primo rapporto della Commissione europea sulla Croazia
Il 30 giugno 2015 si conclude la prima fase di restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori croati. I flussi di lavoratori verso altri Stati membri sono di lieve entità e non creano perturbazioni sui mercati del lavoro. Anche gli effetti sul fisco e sui sistemi di protezione sociale sono neutri, se non positivi, per le economie dei paesi ospiti…
La lobby dell’industria chimica e alcuni alti funzionari della Commissione europea hanno bloccato l’adozione di una strategia europea relativa alle sostanze che alterano la funzionalità del sistema endocrino e alla definizione di criteri scientifici per l’individuazione di queste sostanze…
OMS. Un europeo su tre ancora esposto all’amianto
15 paesi della regione europea dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) usano ancora le fibre d’amianto. La conseguenza è che, su 900 milioni di persone, 300 milioni sono esposti alla fibra assassina e quasi 15000, in particolare i lavoratori, perdono ogni anno la vita…
Licenziamenti collettivi. La Corte di giustizia chiarisce la definizione di «stabilimento»
Una normativa, come quella spagnola, che in caso di licenziamento collettivo usa come sola unità di riferimento l’«impresa», anziché lo «stabilimento», può ostacolare la procedura di informazione e di consultazione prevista nel diritto dell’Unione…
Un cittadino residente in uno Stato membro, e che lavora per alcuni giorni al mese in un altro Stato membro, è assoggettato alla normativa dello Stato di occupazione anche nei giorni in cui non lavora. Il cittadino in questione può tuttavia ricevere dallo Stato di residenza le prestazioni di vecchiaia e familiari, se queste non sono già fornite dallo Stato di occupazione (come nel caso dei mini-job tedeschi)…
rassegna.it
Newsletter del 04/07/2015
|
Novità e approfondimenti
|
|||
Novità e approfondimenti
|
|||
|
|||
|
|||
|
|||
|
|||
|
|||
|
|||
Altre News
|
|||
|
|||
News regionali
|
|||
|
|||
|
|||
|
|||
Blog
|
|||
|
Pensione integrativa per lavoratori in somministrazione
I lavoratori assunti con contratto di somministrazione possono iscriversi al fondo negoziale di previdenza complementare.
Si chiama Fon.te ed è un Fondo pensione negoziale (detto anche “chiuso”, o “contrattuale”, o “di categoria”, o “di riferimento”), un’associazione, senza fini di lucro, il cui unico scopo è quello di fare in modo che gli iscritti maturino un trattamento previdenziale integrativo a quello fornito dal sistema pensionistico di base a carattere obbligatorio. Da ora al Fondo negoziale di previdenza complementare per il settore terziario, il commercio, il turismo e i servizi possono aderire anche i lavoratori assunti con contratto di somministrazione.
=> Previdenza complementare: scegliere la pensione integrativa
Una novità che apre le porte della previdenza complementare di natura contrattuale anche ai lavoratori, sempre più numerosi, che hanno carriere lavorative non continuative e che è frutto dell’accordo sottoscritto dalle agenzie per il lavoro e dalle organizzazioni sindacali del settore (NIdiL CGIL, FeLSA CISL, UILTem.p UIL). L’intesa, in vigore dal 1° luglio, si è resa necessaria per garantire ai lavoratori in somministrazione la previdenza complementare, a fronte della decisione della Covip di sciogliere Fontemp – fondo per i lavoratori in somministrazione che ha iniziato ad operare nel 2011 – per non aver raggiunto un numero minimo di adesioni.
Adesione al Fondo
L’adesione al Fondo, il cui Statuto è stato modificato a fronte del nuovo accordo, come alle altre forme pensionistiche complementari, èlibera e volontaria (art. 1, comma 2, d.lgs. 252/05) ed avviene con il versamento del primo TFR (Trattamento di Fine Rapporto).
Lavoratori somministrati
L’iscrizione a Fon.Te sarà consentita a tutti i lavoratori in somministrazione con contratto a tempo determinato e indeterminato, ai quali la bilateralità del settore della somministrazione garantirà per tutta la vigenza del CCNL della somministrazione il finanziamento delle posizioni individuali secondo quando previsto dall’accordo sottoscritto da NIdiL, FeLSA, UILTem.p e Assolavoro nel febbraio scorso.
=> Staff-leasing nella Riforma Lavoro
Contributi
Ai lavoratori in somministrazione aderenti viene riconosciuto:
- un contributo base pari all’1% della retribuzione per il calcolo del TFR nel periodo di riferimento (a cui si aggiunge l’1% del datore di lavoro anche questo finanziato dalla bilateralità);
- un contributo integrativo pari a quanto già versato in termini di contribuzione base, per tutto il periodo lavorato.
Per i lavoratori somministrati a tempo determinato viene inoltre riconosciuto un contributo forfettario aggiuntivo pari a:
- 320 euro per missioni di lavoro nell’anno fino a 104 giorni;
- 160 euro per missioni di lavoro nell’anno comprese tra 105 e 164 giorni;
- 100 euro per missioni di lavoro nell’anno comprese tra 165 e 334 giorni.
La quota una tantum di iscrizione al fondo è a carico degli enti bilaterali.
Fonte: Fondo Fon.te.
LAVORO – FISCALE06/07/2015
|
|
|
Osservatorio sicurezza sul lavoro
Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering: infortuni e malattie professionali incidono per il 4% sul Pil mondiale
Infortuni e malattie professionali incidono per il 4 per cento sul Pil mondiale per una somma di 1.251.353 milioni di dollari; mentre in Italia si arriva a superare il 3 per cento del Pil italiano che nel 2013, secondo l’Ocse, ammontava a 1.618,9 miliardi di euro. Questo il danno per l’economia sancito in una recente indagine dall’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro).
Un costo elevatissimo ed allarmante che dovrebbe indurre ad una riflessione tutto il mondo produttivo italiano insieme agli amministratori del nostro Paese. L’obiettivo dovrebbe essere quello di trovare una soluzione concreta ed immediata per favorire una politica più penetrante in favore della diffusione della cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro. A tutela della vita dei lavoratori, ma anche per salvaguardare le voci di ‘‘uscita’’ in un’economia italiana già duramente provata da una lunga crisi. E la prima mossa con cui iniziare a tenere in scacco l’emergenza infortuni, malattie professionali e morti sul lavoro dovrebbe essere l’organizzazione aziendale.
In una recente indagine condotta dall’Osservatorio di Accredia in collaborazione con il Censis, infatti, emerge che se ogni azienda fosse certificata con un sistema di gestione a norma Ohsas 18001, si registrerebbero 80.000 incidenti in meno all’anno, con un risparmio in termini di costi sociali pari ad almeno 4 miliardi di euro. Di questi, circa 1,1 miliardi di euro riguarderebbero il settore delle costruzioni, 410 milioni quello tessile, 300 la metallurgia e 270 i trasporti. E alla riduzione del numero degli infortuni farebbe eco ovviamente anche un decremento dei decessi verificatisi in occasione di lavoro.
Una flessione fortemente auspicabile dal momento che nel primo quadrimestre 2015 l’Osservatorio Sicurezza Vega Engineering, sulla base di dati Inail, segnala un incremento della mortalità del 13,8 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per un totale di 223 infortuni mortali rilevati in occasione di lavoro. Erano 196 lo scorso anno. Un bilancio che diventa ancor più drammatico e che sale a 305 vittime includendo le morti bianche avvenute in itinere. Erano 269 nel primo quadrimestre 2014. Autodisciplina e certificazione volontaria diventano, dunque, sinonimi di maggior sicurezza, affidabilità e una più elevata propensione alla formazione e all’aggiornamento continui per i lavoratori.
E, proprio su questo fronte, giungono dei segnali confortanti da un altro illustre Osservatorio, ovvero quello di Expo Training che ha condotto una rilevazione su un campione qualificato di imprese che hanno partecipato a Milano alla Fiera della Formazione e dalla quale risulta che il 51 per cento delle aziende ha ridefinito la propria organizzazione aziendale; il 40 per cento ha effettuato assunzioni inserendo nuove professionalità in azienda e il 30 per cento ha riqualificato il personale esistente.
“Aumenta poi – come spiegano all’Osservatorio Expo Training – la percentuale delle grandi aziende che investono in formazione, ma si avverte una scarsa fiducia nella formazione tra le piccole e medie imprese”. Di contro, sappiamo che le micro e piccole medie imprese rappresentano la maggioranza delle imprese nel nostro Paese e in Europa. Una situazione che come esperti di sicurezza nei luoghi di lavoro siamo costretti a confermare anche sulla base dell’esperienza quinquennale delle rilevazioni del nostro Osservatorio che individua luoghi, settori e cause degli infortuni mortali.
Rimane, quindi, evidente ed urgente una riflessione collettiva che parta dalla politica e passi attraverso gli organi di sorveglianza affinché i controlli e le ispezioni vengano intensificati e gli evasori della sicurezza sanzionati.
Bonus bebè
Bonus bebè, domanda entro il 27 luglio p.v.
Per i figli nati o adottati nel periodo dal 1° gennaio al 27 aprile 2015, la domanda deve essere presentata entro il 27 luglio p.v., per non perdere il diritto alla misura piena dell’assegno, ossia per 36 mensilità (ciascuna di 80/160 euro) dal mese di nascita /adozione e fino al terzo compleanno.
L’eventuale presentazione in ritardo, cioè oltre 90 giorni, determina la perdita del diritto all’assegno per i mesi di ritardo: e questo anche in riferimento agli eventi (nascita/adozione) successivi al 27 aprile.
L’assegno spetta ai cittadini italiani, comunitari e stranieri (extracomunitari), con un Isee non superiore a 25 mila euro.
Le sedi dell’Inca, dislocate su tutto il territorio nazionale (www.inca.it) sono a disposizioni per fornire utili e più dettagliate informazioni al riguardo.
Cassazione
Cassazione: illegittimo il licenziamento del lavoratore invalido non preceduto dall’accertamento della Commissione medica
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8450 del 10 aprile 2014, ha ricordato che “il licenziamento dell’invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale sol quando è motivato dalla comuni ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre, quando è determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza delle condizioni previste dalla L. n. 482 del 1968, art. 10 ossia la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall’apposita commissione medica”.
Tale principio di specialità – hanno precisato i giudici di legittimità – va ribadito anche in relazione alla nuova normativa, con riguardo alle condizioni e modalità ivi previste.
“La verifica di tali condizioni, poi, è categoricamente riservata alla competenza della apposita commissione, che valuta le condizioni stesse in funzione della maggior tutela riservata ai disabili (per i quali ai fini della risoluzione del rapporto è necessaria la definitiva impossibilità di reinserimento all’interno dell’azienda anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro)”.
Nel caso preso in esame dai giudici di Piazza Cavour, la Corte di Appello, riformando la pronuncia di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato da una Società nei confronti di un lavoratore invalido, condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a risarcirgli il danno subito.La Corte territoriale aveva riformato la sentenza del primo giudice per non aver considerato che il lavoratore era stato assunto come soggetto invalido avviato al lavoro tramite le apposite liste di collocamento dei disabili e che, per tale qualità, il recesso poteva ritenersi legittimo solo in presenza delle condizioni previste dall’art. 10 della L. n. 68 del 1999.
La Società nel ricorso in Cassazione, obietta che, su iniziativa del lavoratore, la Commissione medica non l’aveva dichiarato completamente inabile al lavoro, bensì abile con la limitazione di evitare la “prolungata stazione eretta”. Poiché però nell’organizzazione aziendale non vi erano posizioni lavorative compatibili con tale limitazione era stato necessario licenziare il lavoratore.
Il motivo – si legge nella sentenza – è infondato per le ragioni correttamente richiamate dalla Corte territoriale poiché nella specie “è pacifico che il licenziamento del lavoratore non è stato preceduto da un accertamento effettuato dalla Commissione di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 4,(….) , la definitiva impossibilità di reinserire il lavoratore all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro.”
Labour Mobility Package
Labour Mobility Package – Una truffa europea ai danni dei lavoratori mobili e dei loro paesi d’origine
La Commissione europea sta svelando, poco a poco, i contenuti del cosiddetto Labour Mobility Package, ossia il pacchetto di nuove misure sulla libera circolazione dei lavoratori, incluso nel programma della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker e annunciato ancora in primavera dalla stessa Commissione.
A parole, l’obiettivo principale della Commissione europea è quello di costruire un mercato interno più recettivo e più equo nei confronti dei lavoratori mobili e migranti.
Le linee generali erano state presentate dalla Commissaria europea per l’occupazione, gli affari sociali e la mobilità del lavoro, la cristiano-democratica belga Marianne Thyssen, il 23 aprile scorso all’università di Cracovia. Secondo la Thyssen, il Labour Mobility Package servirà a sostenere le autorità nazionali nella lotta contro gli abusi e le frodi, e le regole europee sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale saranno riviste per fare in modo che le regole riflettono i cambiamenti dell’economia e della società.
Ma il Vice-Presidente della Commissione europea, il socialdemocratico olandese Frans Timmermans, ne aveva già anticipato la filosofia un mese prima, spiegando – con termini più schietti – che l’accesso al mercato del lavoro e alla previdenza sociale non sono la stessa cosa, l’accesso al mercato del lavoro non significa un accesso automatico alla previdenza sociale.
Un Dossier a cura dell’Osservatorio, basato su informazioni e dati in gran parte inediti, svela come le modifiche attualmente al vaglio della Commissione europea tendano a ridurre non le frodi e gli abusi, ma i diritti previdenziali dei lavoratori mobili, e come questo obiettivo sarà perseguito attraverso un alleggerimento delle responsabilità sociali dei paesi ospitanti e maggiori oneri, invece, per i paesi di origine, normalmente meno forti sul piano economico, politico e sociale.
In maniera quasi accidentale, nel mese di maggio abbiamo infatti potuto intercettare uno “studio d’impatto” che la Commissione europea ha affidato a tre istituti di ricerca per misurare “i costi amministrativi e di adeguamento alla normativa” che incomberebbero sulle amministrazioni nazionali, sui lavoratori mobili, nonché sulle loro famiglie, a fronte di una possibile revisione delle disposizioni europee in materia di prestazioni familiari e di indennità di disoccupazione, attualmente previste dai regolamenti 883/2004 e 987/2009, relativi al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Si badi bene: “i costi amministrativi e di adeguamento alla normativa”, non i costi economici e sociali per gli Stati membri e per i singoli lavoratori.
Le ipotesi di revisione dei regolamenti sono riassunte nel Dossier qui allegato, e riguardano, in questa fase, le prestazioni familiari e le indennità di disoccupazione.
Come dimostrano gli esempi riportati nel Dossier dell’Osservatorio, se entrassero davvero in vigore, queste nuove norme metterebbero in discussione i pilastri stessi della libera circolazione delle persone e del coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.
E scardinerebbero, soprattutto, un principio fondamentale del diritto sociale, secondo il quale le prestazioni contributive sono un diritto assicurativo soggettivo, che appartiene alla persona in virtù dei contributi versati durante la propria carriera lavorativa.
Per saperne di più (dossier a cura del’Osservatorio, Tabella assegni familiari, Indennità di disoccupazione) su www.ossservatorioinca.org
Grecia
Grecia – Cgil-Cisl-Uil, ora trovare una via d’uscita solidale
“Cgil, Cisl, Uil, nell’esprimere vicinanza ai lavoratori ed al popolo Greco, chiedono a tutti i leader politici di trovare una via di uscita alla crisi in linea con lo spirito dell’integrazione Europea basata su solidarietà, interdipendenza e rispetto delle decisioni democratiche. A tal riguardo, occorre far convergere tutti gli sforzi per rafforzare la permanenza della Grecia nell’Unione, consentendo una ristrutturazione del debito con tempi più flessibili così da consentire e ristabilirne un percorso di crescita sostenibile”.
Sono le parole usate dai segretari generali di Cgil, Cisl, Uil, Susanna Camusso, Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo alla vigilia del voto greco. I tre segretari generali hanno voluto infatti diffondere una nota unitaria (disponibile sul sito nazionale della Cgil) in cui si dice che “è necessario individuare una soluzione bilanciata che, lungi dallo scaricare tutti gli i costi su lavoratori, pensionati e famiglie, sia basata su piani solidi ed efficaci di investimento per crescita e occupazione che non possono non trovare a livello europeo un centro di propulsione e sostegno”.
“Solo un contesto di stabilità politica, economica e sociale fortemente integrato – proseguono i tre leader sindacali nella nota – è in grado di assicurare investimenti, crescita e occupazione e capace di far fronte alle speculazioni dei mercati: lasciare la Grecia al proprio destino sarebbe pericoloso anche per la stabilità geopolitica dell’intera area creando possibili ripercussioni ed effetti speculativi a catena. La Confederazione europea dei sindacati ha il compito di creare il massimo di solidarietà e di consenso attorno ai lavoratori e ai sindacati greci, anche attraverso apposite iniziative di coordinamento e di mobilitazione”.
Camusso, Furlan e Barbagallo nel ricostruire i passaggi che hanno portato la Grecia alle scelte drammatiche di questi giorni (una crisi che non passa, politiche di austerità che hanno strozzato l’economia, una crisi occupazionale senza precedenti, misure sociali che hanno penalizzato le famiglie e le fasce più deboli della popolazione) hanno voluto evidenziare anche le debolezze della governance europea. Alla luce dei risultati referendari, ora “l’’insieme degli Stati europei, a partire dai paesi economicamente più forti, deve dimostrare nei confronti della Grecia un atteggiamento meno inflessibile e improntato alla cooperazione, alla considerazione della gravità della situazione economica, al consolidamento dell’area dell’euro”. Per questo Cgil, Cisl, Uil “chiedono ai leader politici un cambio di passo volto all’assunzione di decisioni che tutelino gli interessi dei lavoratori e cittadini europei nello spirito originario del progetto europeo”.
Congedo maternità
Congedo maternità – Cgil, l’Europa fa un passo indietro
“L’Europa fa un grave passo indietro sui diritti delle donne”. Così Loredana Taddei, responsabile politiche di genere della Cgil nazionale, commenta il ritiro da parte della Commissione Ue della direttiva che era stata presentata nel 2008 dalla Commissione Barroso, con lo scopo d’istituire delle regole comuni in tutta l’Unione sui congedi parentali. L’obiettivo era di aumentare il periodo di congedo di maternità volontario da 14 a 18 settimane, di cui sei obbligatorie immediatamente dopo la nascita del figlio.
“Oggi – sottolinea Taddei – il congedo di maternità è regolato da una direttiva che risale a più di vent’anni fa e che assicura alla lavoratrice madre un periodo di riposo di almeno 14 settimane, retribuito completamente o anche solo in parte”. “Nonostante le pressioni del Parlamento europeo e della Ces (la Confederazioni Europea dei Sindacati) – prosegue la sindacalista della Cgil – la Commissione ha ritirato il testo sul congedo di maternità, che dal 2010 giace sulle scrivanie degli stati membri. Con la promessa di presentare un’iniziativa più ampia e di continuare a promuovere gli obiettivi della precedente proposta e che assicurerà una protezione minima, ma non prima del 2016”.
“Il Parlamento, nel 2010 – ricorda Taddei – aveva chiesto di modificare alcune parti della direttiva, chiedendo l’estensione a 20 settimane del congedo di maternità totalmente retribuito. Da allora, però, si è bloccato l’iter legislativo e i negoziati non sono mai partiti per il veto di alcuni Paesi”. “Ci troviamo di fronte – conclude Taddei – ad uno scandaloso passo indietro per i diritti delle donne, definito dalla segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces-Etuc), Bernadette Segol, ‘’un fallimento imbarazzante durato sette anni, al termine del quale i governi europei hanno abbandonato le donne e le loro famiglie”.