Infortuni e malattie professionali: Luci e ombre del rapporto Inail
Da anni l’Inail ci ha abituato a una costante diminuzione degli infortuni sul lavoro. Anche nel 2014 le denunce sono state 663 mila, con una riduzione rispetto al 2013 di circa il 4,6 per cento, ma se si guarda ai soli casi riconosciuti sul lavoro sono poco più di 437 mila, di cui più del 18 per cento verificatisi “fuori dell’azienda”, cioè “con mezzo di trasporto” o “in itinere”, come si dice in gergo; in sostanza durante il tragitto casa-lavoro e viceversa.
L’ultimo rapporto Inail illustrato dal presidente Massimo De Felice questa mattina a Montecitorio indica un sostanziale miglioramento dell’andamento anche per i casi mortali, con una riduzione che supera di poco il 3 per cento.
Nel 2014, infatti, le denunce di infortunio mortale sono state 1.107, a fronte delle 1.215 del 2013, ma i casi finora accertati come riconducibili al lavoro sono 662. Fin qui i dati nudi e crudi elaborati con il sistema informatico open date dell’Inail “sui quali ovviamente – precisa Silvino Candeloro, del collegio di presidenza dell’Inca – non si può che esprimere soddisfazione; ma c’è sempre e comunque da sottolineare che il rapporto Inail nulla dice dell’influenza della forte contrazione della base occupazionale causata dalla crisi e della estesa precarietà degli occupati, né dei tanti eventi non denunciati per paura di perdere il posto di lavoro e camuffati spesso per volontà del datore di lavoro in periodi di malattia”.
Il dato più eclatante e in contro tendenza rispetto all’andamento infortunistico resta sempre quello delle denunce di malattie professionali presentate all’Inail che si attestano nel 2014 a 57.400 (nel 2013 erano 51.900); il 62 per cento ha riguardato patologie del sistema osteomuscolare, aumentate del 78 per cento rispetto al 2010. L’incremento complessivo sfiora il 33 per cento negli ultimi quattro anni. Di queste però – avverte l’Inail nel suo rapporto – soltanto il 35 per cento ha avuto il formale riconoscimento del nesso causale e il 2 per cento è ancora in fase istruttoria.
Ad essere colpite da patologie lavoro correlate sono 43 mila persone, ma solo al 40 per cento di queste l’Inail ha riconosciuto la causa professionale, quasi 20 mila lavoratori, di cui 1.700 colpiti da malattie asbesto-correlate, cioè quelle riconducibili all’esposizione di amianto.
“La difficoltà di dimostrare il nesso tra patologia sofferta e lavoro – osserva Candeloro – prevale molto spesso a scapito della tutela cui si avrebbe diritto”. Non sono migliori i dati sui decessi per malattia: 1.488 casi, circa un terzo (414 casi) investe persone morte a causa della fibra killer. L’85 per cento ha riguardato persone con età maggiore di 74 anni.
“Si fa fatica a non accorgersi che questo andamento offusca in qualche modo l’ottimismo espresso dall’istituto assicuratore – aggiunge Canderolo – e che rivela invece un’altra realtà ben più drammatica. In un contesto di crisi occupazionale così profondo, i lavoratori tendono essi stessi a non far emergere il disagio in cui versano e a rinviare le denunce in prossimità della pensione, quando il ricatto occupazionale si affievolisce o addirittura viene meno. Non sono rari i casi di inidoneità al lavoro, derivanti da infortunio o malattia professionale certificati da medici competenti ai quali non si fa seguire alcun provvedimento per paura di essere licenziati. Si preferisce stringere i denti e andare avanti finché si può, pur di lavorare, anche a costo di compromettere, a volte irreversibilmente, la propria salute”.