Archivi giornalieri: 6 febbraio 2015

Rassegna stampa del 06/02/2015

Rassegna stampa
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Rassegna stampa del 06/02/2015
 

Ilva

Ilva: Cgil, possibile richiesta risarcitoria a Fintecna

“Anche a fronte di un solo giorno di lavoro alle dipendenze di Fintecna (Ilva pubblica), prima del passaggio a Ilva spa, sarà possibile pretendere la integrale responsabilità dello Stato a garanzia del credito risarcitorio”. Lo affermano in una nota il segretario generale della Cgil di Taranto, Giuseppe Massafra, e l’avv. Massimiliano Del Vecchio, legale del sindacato, citando quale esempio una sentenza del giudice del Lavoro di Taranto del dicembre scorso per il risarcimento del danno patito da un lavoratore del Siderurgico deceduto per neoplasia polmonare, battaglia legale portata avanti dalla Cgil.

La Cgil fa riferimento alla decisione di ieri del gup del tribunale di Taranto, nell’inchiesta ”Ambiente svenduto”, di escludere le società Ilva spa, Riva Fire e Riva Forni Elettrici da responsabili civili per eventuali richieste di risarcimento. La sentenza riguardante il lavoratore, sottolinea Del Vecchio, afferma alcuni importanti principi, ovvero “il riconoscimento della eziologia professionale del tumore, il riconoscimento del diritto al risarcimento, l’inopponibilità agli eredi del lavoratori e, soprattutto, la responsabilità solidale di Ilva e Fintecna per l’intero credito risarcitorio, senza limitazioni discendenti dal rispettivo periodo di lavoro e dall’eventuale differente incidenza dell’apporto causale nella determinazione della patologia”.

La decisione del giudice del Lavoro, aggiunge Massafra, “è un punto dirimente che intenderemo rivendicare con forza e che avevamo cercato e determinato proprio consapevoli dell’imminente avvio dell’amministrazione straordinaria. Una partita intera ancora tutta da giocare, ma che al momento ci consente di conservare una posizione di garanzia per tutti i lavoratori che anche solo per un giorno hanno lavorato per il siderurgico statale. Attraverso il nostro ufficio legale – conclude il segretario della Cgil ionica – non rinunceremo all’accertamento di tutte le responsabilità, sia penali che risarcitorie”.

ansa

Stress

Stress, in Europa ne soffre un lavoratore su quattro

Lo stress, le molestie, la violenza sul luogo di lavoro sono sempre di più temi centrali delle strategie per la salute e la sicurezza. In Europa, un lavoratore su quattro soffre di stress legato all’attività lavorativa per tutto o per la maggior parte dell’orario di lavoro, per altrettanti il lavoro ha un impatto negativo sulla propria salute. A dirlo è l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha), con sede a Bilbao, presentando la relazione “Rischi psicosociali in Europa: diffusione del fenomeno e strategie di prevenzione” (scarica il pdf), realizzata assieme alla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound), di cui ora una sintesi è disponibile anche in italiano (scarica il pdf). Il documento indaga il fenomeno dei rischi psicosociali tra i lavoratori, indicando anche le possibili strategie di intervento attuabili dalle imprese e dai vari governi nazionali.

A impensierire maggiormente gli esperti dell’Agenzia sono le mansioni monotone o complesse, gli orari prolungati e l’alta intensità del lavoro. Preoccupano ovviamente anche violenze e molestie, pur essendo segnalate con minore frequenza. A peggiorare le cose sono intervenuti negli ultimi anni “l’aumento della precarietà del lavoro e della pressione del lavoro, generalmente associate a cambiamenti sul luogo di lavoro riconducibili alla crisi economica”. Esistono, poi, anche caratteristiche di genere: la relazione segnala che “gli uomini lavorano più a lungo e che le donne incontrano maggiori ostacoli nella loro carriera lavorativa”.

I rischi psicosociali rappresentano una fonte di apprensione per la maggior parte delle imprese: quasi l’80 per cento dei dirigenti si dichiara allarmato per lo stress legato all’attività lavorativa, mentre uno su cinque considera la violenza e le molestie sul lavoro la maggiore preoccupazione. Se si considerano singolarmente i vari rischi, il principale problema riferito dai dirigenti riguarda i ritmi di lavoro pressanti e la gestione di clienti, pazienti e studenti difficili. Nonostante tali preoccupazioni, meno di un terzo delle imprese dispone di procedure adatte a gestire questo genere di rischi.

Ma come intervenire? Secondo l’Agenzia, nelle aziende questi rischi si possono aggredire soltanto con un processo strutturato, a diverse fasi, che comprenda cambiamenti nell’ambiente di lavoro e il coinvolgimento attivo dei lavoratori. A livello politico generale, servono iniziative legislative ad hoc, un rafforzamento delle ispezioni e il coinvolgimento delle parti sociali. Si insiste, in particolare, sull’adozione del “dialogo sociale a vari livelli, dall’Unione Europea al luogo di lavoro”, perché contribuisce “alla sensibilizzazione sui rischi psicosociali e favorisce lo sviluppo di politiche e interventi a livello aziendale”

San Paolo Miki e compagni

San Paolo Miki e compagni


San Paolo Miki e compagni

Nome: San Paolo Miki e compagni
Titolo: Martiri
Ricorrenza: 06 febbraio

Paolo Miki è il primo martire giapponese, o meglio il primo giapponese caduto martire per la propria fede cristiana. Va chiarito infatti che non si tratta di un missionario caduto in Giappone, ma di un cristiano del Giappone, esemplare nella vita ed esemplare soprattutto nella morte.

La sua vita del resto fu molto semplice, lineare. Egli appartenne allo stuolo, veramente imponente, dei primi convertiti giapponesi dopo il più antico tentativo di evangelizzazione di quel lontanissimo paese, legato, come si sa, alla storia e alla gloria del grande San Francesco Saverio.
Francesco Saverio era stato in Giappone verso il 1550, e vi aveva gettato i primi fertili semi dell’apostolato cristiano. Dopo di lui, l’opera venne proseguita dai suoi confratelli della Compagnia di Gesù, con successo davvero sorprendente, se si pensa alle difficoltà di quell’ambiente e di quella mentalità così diversa dall’occidentale, e anche alla complicatissima lingua giapponese.
Meno di trent’anni dopo, nel 1587, si contavano in Giappone più di duecentomila cristiani. Uno di questi era il giovane Paolo Miki, nato a Kioto – la capitale dell’arte e della cultura nel paese del Sol Levante – nel 1556. Battezzato a cinque anni, Paolo Miki era entrato ventenne nel seminario dei Gesuiti, ad Anzuciana. Presto era diventato novizio nella Compagnia, aggregandosi poi, con i voti solenni, al manipolo dei seguaci di Sant’Ignazio.

Per lui, giapponese di lingua e di cultura, lo studio del latino fu, comprensibilmente, irto di difficoltà. In compenso divenne un ottimo conoscitore delle dottrine e delle usanze buddiste, e ciò gli permise di sostenere utilmente le discussioni con i dotti del luogo, ottenendo numerose conversioni.

Il Padre Miki, gesuita giapponese, fu infatti ottimo e suadente predicatore. Venne considerato il migliore del proprio tempo, e fu scritto di lui che « mostrava il suo zelo più con i sentimenti affettuosi che con le parole ».
Fino al 1590, i missionari cristiani furono circondati, in Giappone, da un clima di tolleranza e spesso di benevolenza. Ma improvvisamente, per diversi e complessi motivi, lo shagun Taicosama decretò l’espulsione dai suoi stati dei missionari gesuiti. Gran parte dei religiosi restò, nascondendosi e proseguendo la loro opera di apostolato in modo semiclandestino. Ma l’arrivo di nuovi missionari e il loro troppo clamoroso preselitismo urtò Taicosama il quale, nel 1596, decretò l’arresto di tutti i missionari.

Paolo Miki venne catturato ad Osaka, con due compagni. Trasferito in carcere a Meaco, vi trovò altri cristiani e missionari, ventisei in tutto: 6 francescani, 3 gesuiti giapponesi e 17 laici giapponesi, tra i quali due ragazzi di 11 e 13 anni. Subirono tutti raffinate e umilianti torture, tra le quali il taglio dell’orecchio sinistro, e l’esposizione allo scherno della popolazione. I persecutori tentarono anche di farli rinnegare, ma nessuno dei ventisei disertò.
Finalmente, il 5 febbraio 1597, vennero messi a morte su una collina presso Nagasaki, chiamata poi « la santa collina ». Legati con funi sulle croci, vennero trafitti da due lance incrociate, trapassanti il cuore.

Il ragazzo di 13 anni intonò, sulla croce, l’inno Laudate pueri Dominum; Paolo Miki, prima di morire, parlò un’ultima volta con eloquenza divinamente ispirata, perdonando i propri carnefici. Sulla croce eretta sopra la collina di Nagasaki, il primo martire giapponese apparve veramente come un vessillo, non di sconfitta, ma di perenne vittoria.