Archivi giornalieri: 30 novembre 2011

Un Paese … in bilico!

 

Torino non sa che fine farà Mirafiori, la Toscana perde la siderugia, il manifatturiero delle Marche ridotto all’osso. Se scricchiolano pilastri un tempo solidissimi, figuriamoci come se la passano zone storicamente meno produttive come Calabria e Sicilia. Un’istantanea della crisi, in vista dell’assemblea straordinaria convocata dalla Cgil per sabato 3 dicembre, tratta da uno speciale di RadioArticolo1.

Iniziamo dal Nord, Piemonte. Qui la cassa integrazione colpisce 140mila persone. Ben che vada, possono sperare nella deroga, che però inizia a traballare perché le risorse del governo e della Regione non sono infinite. L’incognita maggiore riguarda ovviamente la Fiat. Al momento non dà prospettive credibili di ripresa piena nemmeno Mirafiori, dove quest’anno le settimane effettive di lavoro sono state pochissime. “Da alcuni mesi – racconta la coordinatrice del patronato Inca, Lalla Spione – le domande di disoccupazione e di mobilità aumentano in maniera esponenziale, sono diventate migliaia. Sicuramente c’è un bisogno sempre più diffuso di sostegno e questo crea molte tensioni, a volte anche all’interno dei nostri uffici”.

Rischia grosso la siderurgia in Toscana, a partire dal polo di Piombino. “È un problema grave per l’intera comunità che però non nasce in Toscana – spiega il segretario della Cgil Alessio Gramolati -, ma dal fatto che per anni l’Italia non ha avuto una strategia politica e industriale mentre gli altri ce l’avevano. C’è anche chi ha saputo reagire – aggiunge il dirigente sindacale – grazie a un buon rapporto sul piano della cooperazione con i  lavoratori. Le vicende Gucci, Laica e Pignone dimostrano che c’è spazio per reagire alla crisi con il coraggio degli investimenti”. Ma la lista delle industrie in crisi, putroppo, è lunga e comprende nomi illustri come Breda, Finmeccanica e Selex

Nelle Marche spiccano le difficoltà di Fincantieri e Merloni. Anche il manifatturiero, da sempre la spina dorsale dell’economia regionale, è lontanissimo dai volumi pre-crisi. Un caso per tutti, quello della Best di Montefano, un piccolo comune del maceratese.

Sergio Genco, segretario generale della Cgil Calabria, riferisce di livelli di povertà e disoccupazione mai raggiunti nella sua terra. “La situazione sociale è allarmante e per di più la giunta Scopelliti ha quasi azzerato la sanità pubblica a favore dell’aspetto privato, aggravando i problemi”. Insomma, problemi anche per il pubblico impiego. Il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza, descrive una città dove la disoccupazione giovanile raggiuge livelli record e “i ragazzi se ne vanno, anche quelli che si laureano nelle università calabresi, perché qui non si trova nemmeno un lavoro precario”.

La Puglia è forse il luogo del Sud che se la passa un po’ meglio, anche se i livelli del 2008 sono ancora un miraggio. Ne risente soprattutto l’edilizia, che raccoglie i due terzi della perdita di occupazione. Nella regione sono aumentati gli occupati, come certifica Bankitalia, ma si assiste pure a storie che sembrano d’altri tempi. Come quella della Tecnova, azienda di proprietà spagnola che si occupa di fotovoltaico i cui lavoratori, quasi tutti senegalesi, erano costretti a lavorare 12 ore al giorno per due euro l’ora. Una brutta vicenda finita nel mirino della magistratura con l’accusa di sfruttamento al limite della schiavitù.

Ancora più a Sud, in si vive una situazione drammatica. Dal 2008 c’è una continua emorragia di posti di lavoro. Non si vede una gru, una betoniera, un cantiere aperto”. Il settore edile nell’isola ha perso 17mila posti in un anno.

L’Italia è senza lavoro

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In prossimità dell’assemblea Cgil del 3 dicembre

“Il lavoro in genere ha e avrà un peso determinante per traguardare l’uscita dalla crisi con un modello di sviluppo che sia davvero socialmente sostenibile. Il tema della quantità e della qualità dell’occupazione è una delle due dimensioni fondamentali, insieme all’innovazione che ci dirà se il nostro paese ha una prospettiva. Per questo giovani e donne sono, nel lavoro, – dice Serena Sorrentino, segretaria confederale Cgil – tra quei soggetti sociali che meritano un’attenzione particolare poiché i giovani rappresentano il futuro e le donne, sia demograficamente che per competenze, un soggetto che può moltiplicare l’effetto positivo se presente nel mondo del lavoro colmando i differenziali che sono caratteristici della partecipazione delle donne al mercato del lavoro”.

“Le misure per favorire l’occupazione femminile – prosegue Sorrentino – contenute nel maxiemendamento presentato dallo scorso governo che prevede la diffusione dei contratti di inserimento, la possibilità di ricorrere al part-time senza obbligatorietà di dichiarazione all’ufficio provinciale del lavoro e l’apprendistato per tre anni senza obbligo di conversione del contratto sono in realtà tutte misure che vanno verso l’indebolimento del lavoro femminile e non verso la sua promozione né tantomeno verso quei fattori quali i servizi e la parificazione salariale e di progressione di carriera che oggi potrebbero rafforzare la presenza delle donne al lavoro. Per la Cgil tutto ciò è una priorità della propria agenda che ribadiremo il 3 dicembre e che sarà oggetto di confronto con il nuovo governo”.

“Eloquenti – dice la segretaria confederale – sono i dati sulla forbice di disparità di reddito (anno 2009, in Emilia-Romagna il reddito familiare disponibile era pari a 21.014 euro mentre in Campania raggiungeva i 12.432 secondo l’Istat); quelli sulla sofferenza economica (tra le donne occupate dichiara di avere difficoltà ad arrivare a fine mese il 6,6 per cento nel Centro-Nord e il 16,9 nel Sud, percentuali che salgono proporzionalmente in entrambe le aree per la condizione di disoccupazione e inattività secondo i dati Ires 2009)”.

“Se non riprende una strategia di sviluppo che punta alla buona occupazione, non avremo mai quella crescita che tanto si auspica per risollevare l’economia, – conclude la Sorrentino – perché il circuito virtuoso reddito-consumi-servizi che con l’immissione di donne nel mercato del lavoro produce un effetto moltiplicatore, si innesca solo se ripartono gli investimenti pubblici e privati. Il presidente Monti nel suo discorso di insediamento ha parlato di una questione meridionale e di una questione settentrionale che vanno affrontate nell’ottica di una maggiore coesione e in tal senso avere un ministero dedicato è certamente un passo avanti. Però se tutto si dovesse risolvere con una rimodulazione delle risorse che ci sono, si commetterebbe l’errore degli ultimi anni”.

rassegna sindacale.it

Le malattie professionali dei lavoratori edili: i dati di una indagine congiunta Inca – Fillea

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Nel corso di un  convegno pubblico, svoltosi recentemente a Roma,  sono stati presentati i risultati dell’indagine condotta dalla Fillea del Lazio in collaborazione con la consulenza medico legale dell’Inca Nazionale in tema di emersione delle patologie professionali del settore edile.

Per questo studio ci si è avvalsi di una metodologia d’indagine che come Inca Nazionale utilizziamo da oltre un decennio.L’indagine ha interessato anche l’area tecnico-amministrativa ed i dati, stante la trasversalità del settore, saranno oggetto di una specifica trattazione.

Dai dati rilevati si è accertato che ogni 4,5 secondi, un lavoratore della UE-27 è coinvolto in un incidente che lo costringe a casa per almeno tre giorni e che ogni anno avvengono più di 7 milioni di incidenti (con tre giorni di assenza o più).

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che ogni anno 159.500 lavoratori dell’Unione Europea  a 27 muoiano a causa di malattie professionali, se a questo numero si aggiungono le 5.580 persone che, secondo Eurostat, muoiono sempre nell’Unione Europea a causa di infortunio sul lavoro arriviamo a definire che ogni tre minuti e mezzo qualcuno nell’Unione Europea muore a causa del lavoro.

Analizando il contesto italiano, i morti per infortunio sul lavoro rappresentano una quota minoritaria di quanti ogni anno muoiono a causa del lavoro. Secondo una stima ISPESL, ogni anno sono oltre 6.000 i lavoratori morti per un tumore dovuto alle esposizioni lavorative.
A questi dati occorre aggiungere gli oltre 40.000 lavoratori che ogni anno divengono degli invalidi permanenti  e che per questo spesso devono affrontare gravi problemi a livello occupazionale.

27° 2011 numero newsletter.doc