Archivi giornalieri: 10 novembre 2011

PER RICORDARE I NOSTRI MARTIRI DI PALABANDA

COSE SARDE

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del 10/11/2011


di FRANCESCO CASULA

Il 30 ottobre scorso, nell’Orto

botanico di Cagliari un folto

gruppo di intellettuali, giovani

e militanti dell’area

nazionalitaria ha voluto

ricordare e onorare, in occasione del

199° anniversario, gli eroi della

congiura di Palabanda: Salvatore

Cadeddu, Raimondo Sotgia,

Giovanni Putzolu,Gaetano Cadeddu,

Giuseppe Zedda, Francesco Garau,

Ignazio Fanni, Giovanni Cadeddu,

Antonio Massa, Giacomo Floris,

Pasquale Fanni e tanti altri.

Cancellati dalla storia e dalla

memoria dei Sardi, dimenticati

completamente, in questi quasi 200

anni, dalle istituzioni –dalla Regione

sarda in primis – come dalla scuola e

dalla loro stessa città. L’unico segno

alla memoria che troviamo a Cagliari

è una lapide collocata all’interno

dell’orto botanico a cura del Rotary

nel 1992 con scritto in calce: “Onore

e memoria eterna a questi cittadini

che hanno sacrificato la loro vita per

difendere la dignità dei sardi”.

Eravamo nel 1812, che sarà poi

tramandato nella storia –e ancor più

nella tradizione popolare che ne ha

narrato poeticamente le

drammatiche conseguenze – come

l’anno della fame, “s’annu de su

famini ”, quando i seminati furono

distrutti dalla siccità. Ebbene, il 30

ottobre di quell’anno nella località

detta di Palabanda – nome che

allora veniva data a una vasta area

cagliaritana compresa fra l’attuale

via fra Ignazio da Laconi, via

Ospedale e l’Anfiteatro romano- un

folto gruppo di intellettuali e di

popolani, capeggiati dall’avvocato

Salvatore Cadeddu, che avevano

preparato una congiura contro il

potere piemontese, famelico e

brutale, vengono scoperti. Verranno

tutti condannati a pene severissime:

Salvatore Cadeddu, Sotgia e Putzolu,

saranno impiccati, ad altri sarà

comminato l’ergastolo, altri ancora

verranno banditi dall’Isola. Con

questa rivolta – dopo il fallimento

del triennio rivoluzionario

angioyano- si spegne

definitivamente la speranza e il

sogno dei Sardi di liberarsi dal

dominio dei Savoia e

dall’oppressione feudale e baronale.

Per celebrare degnamente il

bicentenario della congiura, nel

2012, è stato formalizzato il

“Comitato Pro Palabanda” – aperto

alle adesioni di quanti, storici,

artisti, cittadini, con proposte e

suggerimenti vogliano collaborareche

intende concretizzare l’impegno

di realizzare un Convegno storico e

il progetto di un lavoro teatrale,

forte già dell’adesione di molti

storici e di autori teatrali.

truncare. myblog. it

Contratto di collaborazione a progetto

Forma

Il contratto di collaborazione a progetto deve avere forma scritta e contenere necessariamente:

  1. indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;
  2. indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto;
  3. il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonche’ i tempi e le modalita’ di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;
  4. le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa;
  5. le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall’articolo 66, comma 4.

Il contratto deve inoltre avere ad oggetto uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato.

La mancanza di quanto sopra qualifica il contratto come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Corrispettivo

Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantita’ e qualita’ del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.

Obbligo di riservatezza

  • Salvo diverso accordo tra le parti il collaboratore a progetto puo’ svolgere la sua attivita’ a favore di piu’ committenti.
  • Il collaboratore a progetto non deve svolgere attivita’ in concorrenza con i committenti ne’, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, ne’ compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attivita’ dei committenti medesimi.

Altri diritti del collaboratore a progetto

  • La gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore a progetto non comportano l’estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo.
  • Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il committente puo’ comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile.
  • In caso di gravidanza, la durata del rapporto e’ prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva piu’ favorevole disposizione del contratto individuale.

Estinzione del contratto e preavviso

  • I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto.
  • Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalita’, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale.

Assegni per il nucleo familiare e indennità di disoccupazione

I lavoratori con contratto a progetto hanno diritto a richiedere gli assegni per il nucleo familiare e al termine del contratto, dal 2009, hanno diritto all’indennità di disoccupazione.

Fonte: Testo coordinato del D.lgs 276/2003 con la L. 248/2006

Fac simile di contratto a progetto
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Schema di contratto di collaborazione a progetto per studio professionale

DISOCCUPAZIONE ORDINARIA

DISOCCUPAZIONE ORDINARIA

Regole generali

Una quota dei contributi versati per i lavoratori regolarmente iscritti all’INPS serve per assicurarsi contro la perdita del lavoro e la disoccupazione, causata dall’estinzione di un rapporto di lavoro per cause non attribuibili alla volontà del lavoratore stesso.

L’indennità spetta a tutti i lavoratori subordinati senza distinzione di qualifica, compresi i lavoratori a domicilio e gli stranieri extracomunitari.

Non è necessario che lo stato di disoccupazione sia assoluto:

  • l’indennità è riconosciuta quando si perde l’attività principale da cui si ricava il reddito maggiore;
  • si può ricevere l’indennità di disoccupazione anche se si sta svolgendo un’attività stagionale.

Esistono diverse forme di indennità di disoccupazione, distinte in base al settore di lavoro e ai requisiti richiesti:

  • indennità ordinaria
  • indennità ordinaria con requisiti ridotti
  • trattamento speciale per l’edilizia
  • trattamento speciale per operai agricoli

I trattamenti sono detti ‘speciali’ in quanto comportano percentuali di indennità superiori a quelle delle altre forme di disoccupazione, rivolgendosi a lavoratori di settori produttivi spesso soggetti a interruzioni del rapporto di lavoro.

Il pagamento delle indennità di disoccupazione cessa quando il lavoratore:

  • ha percepito l’indennità per tutte le giornate previste;
  • viene avviato dalle agenzie di lavoro ad una nuova attività;
  • diventa titolare di un trattamento pensionistico diretto (pensione di vecchiaia, di anzianità, pensione anticipata, pensione di inabilità o assegno di invalidità).

Indennità ordinaria

A chi spetta

L’indennità di disoccupazione ordinaria spetta:

  • ai lavoratori licenziati ( non a quelli che si dimettono volontariamente, a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa);
  • a partire dal 17 marzo 2005, ai lavoratori che sono stati sospesi da aziende colpite da eventi temporanei non causati nè dai lavoratori nè dal datore di lavoro.

Il lavoratore per avere diritto all’indennità deve essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • almeno 52 settimane di contribuzione nei due anni che precedono la data di cessazione del rapporto di lavoro;
  • almeno 2 anni di assicurazione per la disoccupazione involontaria, vale a dire almeno un contributo settimanale versato prima del biennio precedente la domanda;
  • dichiarazione, effettuata presso il Centro per l’Impiego competente, di disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa.

I lavoratori extracomunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro stagionale sono esclusi dall’obbligo assicurativo alla disoccupazione.

Pertanto, non possono ricevere le prestazioni di disoccupazione.

Comunicazione al Centro per l’impiego

In caso di licenziamento individuale o di dimissioni di un lavoratore straniero, l’impresa è tenuta a comunicarlo allo Sportello unico e al Centro per l’impiego entro 5 giorni.
Lo straniero deve presentarsi, se vuole far risultare lo stato di disoccupazione, non oltre il 40° giorno dalla cessazione del rapporto di lavoro, al Centro per l’impiego e dichiarare la disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. Il lavoratore è inserito nell’elenco anagrafico per il periodo residuo di validità del permesso di soggiorno e, comunque, per un periodo non inferiore a 6 mesi (DPR. N. 334/2004).

Quanto spetta

Per la disoccupazione in pagamento dal 1° gennaio 2008, l’indennità di disoccupazione ordinaria è pari al 60% della retribuzione – percepita nei tre mesi precedenti la fine del rapporto di lavoro – per i primi 6 mesi, al 50% per il settimo e ottavo mese e al 40% per i mesi successivi.

Per quanto tempo

Dal 1° gennaio 2008 l’indennità di disoccupazione ordinaria viene corrisposta per un periodo di 8 mesi, che diventano 12 se il disoccupato ha un’età pari o superiorea 50. anni (L’età da considerare è quella posseduta dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro).

Ai lavoratori sospesi spetta nel limite massimo di 65 giorni.

La domanda

La domanda per ottenere l’ indennità di disoccupazione ordinaria non agricola (mod. DS 21), può essere presentata, entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, direttamente alla sede INPS competente per residenza.

Attenzione. I lavoratori extracomunitari, in attesa di rilascio del primo permesso di soggiorno o di rinnovo, devono presentare anche la seguente documentazione:

se in attesa di rilascio del primo permesso

  • copia del modello di richiesta del permesso di soggiorno, rilasciata dallo Sportello Unico per l’immigrazione al momento dell’ingresso in Italia;
  • ricevuta dell’avvenuta presentazione della richiesta del permesso stesso, rilasciata dall’ufficio postale.

se in attesa di rinnovo del permesso

  • ricevuta dell’avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo, rilasciata dall’ufficio postale;
  • copia del permesso di soggiorno in scadenza o scaduto.

Il pagamento

L’indennità può essere riscossa:

  • con assegno circolare;
  • con bonifico bancario o postale;
  • allo sportello di un qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale.

Indennità di disoccupazione ordinaria per l’agricoltura

A chi spetta

L’indennità ordinaria per l’agricoltura spetta:

  • agli operai iscritti negli elenchi dei lavoratori agricoli a tempo determinato;
  • agli operai agricoli a tempo indeterminato che hanno lavorato per parte dell’anno.

Requisiti necessari

Il richiedente deve

  • essere iscritto negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli dipendenti per l’anno cui si riferisce la domanda;
  • avere almeno 2 anni di assicurazione per la disoccupazione involontaria;
  • avere 102 giorni di contribuzione nel biennio formato dall’anno per il quale si fa domanda e da quello precedente.

Quanto spetta e per quanto tempo

L’indennità è corrisposta:

  • nella misura del 30% della retribuzione convenzionale o, se superiore, del salario medio giornaliero;
  • per un numero di giorni pari a quello di effettivo lavoro nell’anno.

La domanda

La domanda va presentata alla sede INPS competente dal 1° gennaio al 31 marzo dell’anno successivo a quello della disoccupazione.

La lotta ai falsi invalidi? Risparmi insignificanti e un welfare peggiore

NEWS

 

“Un enorme sforzo organizzativo per produrre risparmi di spesa privi di significato, un sistema di welfare peggiore, un netto arretramento nella percezione collettiva della disabilità”. È questa la pesante eredità che lascia la lotta ai falsi invalidi condotta in Italia secondo quanto riporta un dossier sul tema contenuto nel prossimo numero di Welfare Oggi, rivista diretta da Cristiano Gori, docente di Politica sociale alla Cattolica di Milano.

“Considerando la forza con cui è stata condotta la ‘lotta ai falsi invalidi’ e l’elevata circolazione dei relativi messaggi nei media generalisti – spiegano Cristiano Gori e Carlo Giacobini, autori di uno degli approfondimenti sul tema -, è questa la principale eredità destinata a rimanere negli anni: un peggioramento nella cultura della disabilità”.
 
 La spesa pubblica. Secondo i due autori, nel 2010-2011 il tasso annuo di crescita della spesa è stato del 3.5%, rispetto al 5.9% del 2002-2009. Il dato dell’ultimo anno, sostengono gli autori, è causato anche da un effetto “deterrente” dovuto a un mix di controlli e clima di maggiore attenzione verso le possibili frodi che ha scoraggiato in diversi a presentare domanda. C’è anche la procedura telematica introdotta nel 2010 ad aver rallentato accertamenti e risposte. Ma quanto hanno permesso di risparmiare le revoche? Sono 31.083 le provvidenze revocate in due anni e 300 mila controlli. “Ipotizzando il massimo del risparmio – spiegano -, si giunge a circa 70 milioni di spesa annua in meno nel 2009/2010. Nel 2011/2012 poco meno di 100 milioni di euro. In poche parole l’1% della spesa per le invalidità”. Una situazione che non cambia se si ampliassero i controlli. “I controlli a tappeto porterebbero a risparmiare circa 50 milioni di euro l’anno, senza contare i numerosi disagi per i cittadini chiamati a visita. Una cifra assolutamente marginale rispetto alla spesa di 17 miliardi di euro annui”. 
 
Conseguenze per le persone con disabilità, famiglie e operatori. Innegabile il disagio per le persone con disabilità chiamate a visita, ma il clima creatosi intorno ai controlli ha affondato la lama nella piaga. “Il sentirsi sospettato risulta particolarmente doloroso per chi già subisce quotidianamente altri disagi – spiegano -. In questi due anni, le associazioni, i patronati, le Asl, gli stessi vertici dell’Inps hanno ricevuto costanti segnalazioni di migliaia di persone convocate a visita nonostante fossero affette da gravissime patologie irreversibili”. “L’impatto dei 100 mila controlli nel 2010 e dei 250 mila controlli nel 2011 ha interessato pesantemente lo stesso Inps nella gestione degli accertamenti ordinari, cioè quelli che esulano i controlli straordinari. Non a caso, in numerose realtà sono stati segnalati malumori da parte di operatori di Aziende Asl così come di medici Inps”.
 
Welfare. “Se si fosse dedicato anche solo un decimo dell’energia impegnata nella lotta ai ‘falsi invalidi’ alla progettualità per il welfare si sarebbero ottenuti risultati di rilievo”, spiegano gli autori, ma la realtà degli interventi realizzati sulle politiche rivolte alle persone con disabilità sono diversi. “Il welfare italiano ha due problemi. Primo, la capacità delle prestazioni e dei servizi erogati di rispondere ai bisogni delle persone con disabilità è debole sotto molti profili. Il secondo problema è che un certo numero di persone che non ne avrebbero bisogno riceve impropriamente le prestazioni monetarie; il nodo, appunto, dei ‘falsi invalidi’. Nel periodo considerato la progettualità del Governo per la disabilità è stata interamente assorbita dal secondo problema mentre il primo non è stato affrontato”.
 
Gli effetti della campagna. La lotta ai falsi invalidi lascerà il segno, spiegano Gori e Giacobini. La campagna, affermano, vanificherà i miglioramenti realizzati in passato rafforzando la “cultura retrograda della disabilità insita nella campagna mediatica contro i falsi invalidi”. La prospettiva lontana dall’assistenzialismo e proiettata verso una cultura della persona con disabilità come cittadino è a rischio. “Le analisi di questo speciale mostrano che la retromarcia culturale dell’ultimo biennio si è sedimentata nella popolazione – aggiungono – ed è destinata a esercitare i propri effetti negli anni. La retromarcia si è tradotta, innanzitutto, nel consolidamento dello stereotipo della disabilità come malattia e come costo sociale”.

da Redattore Sociale

Vittime sangue infetto: sì della Consulta alla rivalutazione dell’intero indennizzo

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Accolto il ricorso presentato dall’Inca  

Alle vittime da sangue infetto spetta la rivalutazione completa dell’indennizzo, previsto dalla legge n. 210/92. E’ quanto ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 293/2011, che ha accolto le ragioni sollevate dall’Inca e dai consulenti legali Vittorio Angiolini e Paola Soragni, stabilendo l’illegittimità dell’interpretazione restrittiva autentica fornita dal Governo.

Perciò, per le persone che hanno contratto una patologia derivante da sangue infetto la Consulta ha riconosciuto il diritto alla rivalutazione completa della provvidenza già corrisposta, comprensiva anche della parte relativa all’indennità integrativa speciale, che il Governo aveva invece escluso. 

Si tratta di una vittoria importante poiché, in base al pronunciamento della Suprema Corte, le vittime da sangue infetto potranno beneficiare di un effettivo, quanto completo adeguamento della provvidenza riconosciuta dalla legge, sotto forma di risarcimento di un danno subito, non per propria colpa.

Il contenzioso giudiziario si è reso necessario perché finora le vittime da sangue infetto hanno ricevuto dallo Stato la rivalutazione solo della parte meno consistente dell’indennizzo, che di fatto rendeva sempre più magro il risarcimento complessivo dovuto.

Assegno nucleo familiare – Grazie all’Inca ottenuta una sentenza in favore di un cittadino extracomunitario

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Un’importante sentenza (Tribunale Roma 7561/2011) patrocinata dall’Avv. Luca Santini, è stata ottenuta a seguito di un intervento di tutela dell’INCA di Roma Centro, in favore di un cittadino extracomunitario titolare di Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, al quale era stato negato “l’assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli minori” erogato dai Comuni (L. 488/98).

L’accesso a questa prestazione era consentito esclusivamente ai cittadini italiani, e dal 2000, con la L. 388 è stato esteso ai cittadini comunitari.Pertanto i titolari di permesso CE-SLP sono esclusi dal beneficio, anche se la Direttiva 2003/109/CE relativa allo status di lungo soggiornante, stabilisce la parità di trattamento dello straniero in possesso di questo titolo di soggiorno, con i cittadini nazionali in materia di prestazioni sociali, assistenza sociale e la protezione sociale. La Direttiva stabilisce inoltre che gli Stati membri possono limitare tale parità di trattamento alle prestazioni essenziali.

“Per prestazioni essenziali – ha ssostenuto il Tribunale di Roma – vanno intese quelle relative a un reddito minimo, all’assistenza per malattia, per gravidanza, l’assistenza parentale e l’assistenza di lungo termine, comprendendo pertanto anche l’assistenza genitoriale, ed è evidente la natura oggettiva di prestazione di assistenza sociale essenziale dell’assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli minori, che ha come finalità quella di garantire un ausilio economico alle famiglie numerose in forte stato di disagio.
Eventuali deroghe al principio di parità – sostiene il Tribunale – devono essere dotate di una specifica e ragionevole causa giustificatrice, pena la violazione dell’art. 3 della nostra Costituzione”.

Il Tribunale di Roma ha pertanto condannato l’INPS, quale ente erogatore, al pagamento dell’assegno al nucleo familiare con almeno tre figli minori al cittadino straniero in possesso di permesso CE per soggiornanti di lungo periodo (ovviamente in possesso degli ulteriori requisiti richiesti), sulla base del principio di parità stabilito dalla Direttiva Comunitaria 109/2003.

Anche il Tribunale di Gorizia con l’ordinanza 351 di ottobre 2010 aveva accolto un ricorso presentato da un cittadino del Kosovo e dall’ASGI sullo stesso argomento.

Gli immigrati? Ecco perchè sono un valore economico per la società

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Rapporto Fondazione Moressa

Gli immigrati rappresentano una risorsa per il territorio nazionale. In Italia si contano oltre 2 milioni di lavoratori stranieri , in sede di dichiarazione dei redditi notificano al fisco 40 miliardi di euro e pagano di Irpef quasi 6 miliardi di euro.

Sono, però la parte di popolazione che aggiormente ha subìto gli effetti negativi della crisi, mostrano livelli di povertà più elevati e le loro retribuzioni sono inferiori di 300 € rispetto ai lavoratori italiani.
 
Questi alcuni dei risultati raccolti nel Rapporto Annuale sull’Economia dell’Immigrazione 2011 realizzato dalla Fondazione Leone Moressa e patrocinato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dal Ministero degli Affari Esteri, presentato oggi presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Milano Bicocca nel convegno “Gli stranieri: quale valore economico per la società?”.
 
Il mercato del lavoro. Dal 2008 al 2010 si è assistito in Italia ad un aumento del tasso di disoccupazione straniera di 3,5 punti percentuali passando dall’8,1% all’11,6% e raggiungendo 274mila immigrati senza lavoro. Questo significa che nel biennio considerato un nuovo disoccupato su quattro ha origini straniere.
 
Retribuzioni dei dipendenti. Un dipendente straniero guadagna al mese una cifra netta di 987€, quasi 300€ in meno rispetto al collega italiano.
 
Redditi dichiarati e Irpef pagato. In Italia si contano complessivamente 3,2 milioni di contribuenti nati all’estero  che dichiarano oltre 40 miliardi di €: tradotto in termini relativi, si tratta del 7,9% di tutti i contribuenti e del 5,1% del reddito complessivo dichiarato in Italia.
 
Livelli di povertà. Il 37,9% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà, contro il 12,1% delle famiglie italiane. Il reddito percepito non permette loro di risparmiare, dal momento che i consumi superano, anche se di poco, le entrate familiari.
 
“La raccolta e l’analisi dei dati sull’impatto economico dell’immigrazione” affermano i ricercatori della Fondazione Leone Moressa “permette di delineare un profilo il più possibile oggettivo del fenomeno migratorio, affinché questo non faccia parte esclusivamente delle agende politiche sulla sicurezza ma che sia riconosciuto come vero e proprio strumento di sviluppo economico, prosperità e competitività: in sostanza un valore economico per la società.”

Pensioni: SPI CGIL, continua caduta dei redditi, pagano solo i poveri

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Prosegue la caduta dei redditi dei pensionati. Il colpo più pesante, tra il 2008 e il 2014, toccherà 1.108 euro (il 4,3%) sulle pensioni basse, peserà per 1.584 euro (il 2,2%) su quelle medie e per 1.722 euro (l’1,8%) su quelle relativamente alte. E’ quanto emerge da  uno studio del FIPAC Confesercenti su tre assegni-tipo da 564, 762 e 1.160 euro che analizza gli effetti del mancato recupero del fiscal drag (l’aumento della pressione fiscale dovuto all’inflazione) e le addizionali territoriali del federalismo. Questi due fattori sono costati, nel 2007-2009, rispettivamente 2,4 miliardi e quasi un miliardo.

Lo studio “conferma uno scenario che lo SPI CGIL sta denunciando da anni e testimonia il progressivo e drammatico impoverimento dei pensionati italiani” avverte il sindacato dei pensionati della CGIL in una nota. Secondo il FIPAC Confesercenti i pensionati, infatti, contribuiscono oggi a un terzo del gettito nazionale, quasi 52 miliardi di euro ed entro il 2014, le loro tasse aumenteranno di poco meno di 2 miliardi di euro.
 
Secondo lo SPI CGIL quello che emerge dallo studio “è un impoverimento che ha portato milioni di persone in una condizione di reale indigenza, con circa 3 milioni di pensionati che non ricevono più di 400 euro al mese e ben 8 milioni che vivono con un reddito che non supera la miseria di 1.000 euro al mese. “Come se non bastasse – avverte Ivan Pedretti, Segretario nazionale SPI CGIL – a tutti questi vengono regolarmente fatte pagare le tasse mentre gli evasori vengono lasciati liberi di defraudare il nostro paese”. Secondo il dirigente sindacale “tutto questo è profondamente ingiusto e dimostra in modo estremamente evidente come le scelte del governo siano state caratterizzate da un segno di iniquità e di diseguaglianza facendo leva – prosegue Pedretti – solo sui poveri e lasciando in pace i ricchi, i privilegiati e le caste”.
 
Per lo SPI CGIL, dunque, “è davvero giunta l’ora di intervenire, di proteggere i redditi da pensione ma anche – conclude la nota – di adoperarsi per introdurre una patrimoniale sulle grandi ricchezze e  dare vita ad una straordinaria lotta contro l’evasione”.

Italia, il Paese dei neet

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Sono ormai quasi uno su quattro, per la precisione il 23,4%. Un esercito da 2,2 milioni. Sono i neet (Not in Education, Employment or Training) che in italiano suona molto meno elegantemente “nullafacenti”, una fetta importante degli under trenta italiani, quelli che molto spesso non rientrano nelle statistiche dei disoccupati Istat perché un lavoro nemmeno lo cercano più. Quelli che magari hanno preso una laurea, ma non sanno come impiegarla. Quelli che fanno qualche lavoretto in nero per tirare a campare, ma non hanno prospettive, se non quella della fuga all’estero, per chi può permettersela.

Il dato è preoccupante in sé, naturalmente, ma ancora più preoccupante forse è la tendenza che vede un aumento notevole di questa categoria di giovani rispetto a fine maggio, quando secondo l’Istat si attestavano a quota 22,1%, una percentuale che comunque già risultava in rialzo a confronto con l’anno precedente. E ancora più forte è lo stacco con il periodo pre crisi. Basti pensare che tra il 2005 e il 2008 la soglia dei ‘giovani che restano a casa’ era pari al 20%, sotto i 2 milioni. Insomma, con la crisi i ragazzi sono stati spinti ancora più ai margini della società.

Alla crescita della disoccupazione, certificata dall’aumento di chi tra i neet è in cerca di un posto (dal 30,8% del 2008 al 33,8% del 2010), si uniscono anche fenomeni di scoraggiamento, che portano i ragazzi fuori da ogni circuito sia occupazionale che formativo.

Al solito, è il Mezzogiorno a mostrare i numeri più allarmanti, dei 2,2 milioni di neet tra i 15 e i 29 anni ben 1,2, ovvero oltre la metà (54,5%), si trova nell’Italia meridionale, anche se la crisi ha visto aumentare i giovani che né sono occupati né studiano soprattutto al Nord e al Centro.

Un’altra differenza marcata passa tra le donne e gli uomini, le ragazze neet sono il 26,4%, mentre tra i maschi la percentuale è decisamente più bassa (20,5%). Non stupisce che tra gli under 30 fuori dai luoghi di lavoro ei di studio (scuole, università, master o altri tipi di percorsi formativi) la grande maggioranza risieda con almeno un genitore, soprattutto nel Mezzogiorno, dove è così in tre casi su quattro. Inoltre, il 25% vive in un nucleo in cui nessun componente lavora.

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