Archivi giornalieri: 10 maggio 2011

Isfol – Occupazione e maternità

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Il lavoro delle donne inizia dall’asilo (… con l’aiuto dei nonni)

La propensione da parte delle donne ad uscire dal mercato del lavoro in corrispondenza della nascita dei figli caratterizza il nostro Paese ma varia profondamente da regione a regione. In alcune realtà territoriali vi è un significativo virtuosismo, come emerge dal volume Isfol “Occupazione e maternità: modelli territoriali e forme di compatibilità”, che mette in relazione gli andamenti dell’occupazione femminile con l’offerta di servizi per l’infanzia.

In Italia solo il 12,7% di bambini riesce ad accedere alla rete pubblica dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, ma in alcune regioni questa percentuale raggiunge il 28%.

L’occupazione delle madri è fortemente condizionata dalla disponibilità di strumenti di conciliazione che consentano una gestione flessibile degli orari di lavoro, opportunità che in Italia risulta ancora poco diffusa. Un fondamentale aiuto giunge quindi dai nonni, che offrono spesso il massimo di garanzia nelle cure, soprattutto quando un bambino si ammala.

Per il 37% delle donne la decisione di avere figli dipende dalla disponibilità di familiari non conviventi nell’accudimento dei bambini e generalmente si tratta appunto dei nonni.

Nell’attesa che l’offerta di posti in asili nido riesca a soddisfare le richieste, le famiglie ricorrono alla disponibilità dei nonni quotidianamente nel 27,5 % dei casi, a cui si aggiunge un ricorso quantomeno settimanale per un ulteriore 46%.
 
L’indagine Isfol conferma che una maggiore diffusione dei servizi per l’infanzia potrebbe incentivare le donne a fare più figli, con un conseguente aumento della fecondità in Italia, che ad oggi non riesce a garantire un adeguato ricambio generazionale. Le donne che vivono in contesti in cui sono presenti strutture per l’infanzia hanno il 2,5% in più di probabilità di fare figli.

Nelle Regioni che hanno specifici ed articolati servizi per l’infanzia il tasso di occupazione femminile si colloca sui livelli indicati dalla Strategia europea per l’Occupazione: in Emilia Romagna e in Trentino Alto Adige supera addirittura il 60% (contro il 46% della media nazionale).

www.isfol.it

Cassazione – Riconoscimento aggravamento malattia professionale dopo 15 anni

Il cammino dei diritti

A  marzo di quest’anno ben due sentenze di Cassazione  (n. 5548 del 9 marzo 2011 e n. 5550 del 9 marzo 2011) hanno confermato il principio sancito dalla Corte Costituzionale che con sentenza n. 46/2010 ha affermato la possibilità di riconoscimento di aggravamento di una malattia professionale, anche dopo i 15 anni previsti per la revisione, nelle ipotesi in cui il peggioramento della inabilità dipenda dal protrarsi del rischio morbigeno.

Nei casi presi in esame dalla Cassazione sia l’Inail in prima istanza, che il Tribunale in sede di giudizio, avevano respinto la “nuova” domanda di valutazione del danno da ipoacusia professionale presentata dagli interessati, trattandosi di già titolari di rendita per la stessa patologia ed essendo trascorsi i 15 anni – di cui all’art. 137 T.U. – per il riconoscimento dell’aggravamento.

La Cassazione invece, in sintonia con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, ha affermato che,  nelle fattispecie in esame, l’aspetto da tenere in considerazione non concerne l’evoluzione della patologia, causata dal fattore morbigeno accertato e valutato dall’Inail,  ma la concorrenza con il primo di altro fattore costituito dalla prosecuzione dell’esposizione lavorativa al medesimo.

Si tratta cioè  di situazioni che devono ritenersi estranee all’ipotesi di cui all’art. 137 citato   che, come è noto, si riferisce esclusivamente  all’aggravamento eventuale e consequenziale dell’inabilita’ derivante dalla naturale evoluzione della  originaria malattia. 
Quando  invece, il maggior grado di  inabilità  dipenda dalla protrazione dell’esposizione a rischio patogeno,  si è  in  presenza  di  una “nuova” malattia, seppure della  stessa  natura della  prima.

Se l’aggravamento della tecnopatia si manifesta a cavallo dei due regimi (T.U. 1124/1965 e D.Lgs. 38/2000), non potendosi procedere ad una complessiva valutazione del danno, ai sensi dell’art. 80 T.U., si determinerà il concorrere di due prestazioni, dovendosi costituire altra rendita, ovvero erogare l’indennizzo del danno biologico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 D.Lgs 38/2000, “senza tener conto delle preesistenze”.

Immigrati e permanenza temporanea

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Evitare l’effetto “sradicamento”

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I “gravi motivi” richiesti dal Testo unico sull’immigrazione per consentire la permanenza temporanea in Italia del familiare del minore non impongono l’esistenza di una situazione di emergenza o di un problema di salute del piccolo: è infatti sufficiente che l’allontanamento del genitore crei un serio problema al figlio. Lo precisa una sentenza emessa il 6 maggio scorso dalla prima sezione civile della Cassazione.

Oggi la giurisprudenza di legittimità offre un’interpretazione meno restrittiva che in passato. Affinchè sia accordato il permesso temporaneo al genitore, infatti, non è necessario che l’allontanamento del familiare abbia in qualche modo effetti negativi sulle condizioni di salute del minore: risulta invece sufficiente che la mancata presenza del genitore cagioni un danno effettivo al complessivo equilibrio psifisico del bambino.

Cassazione.net

Invalidità civile: raccontiamola giusta

La protesta delle Associazioni umbre

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Il 23 maggio alle ore 10 è stato indetto un  sit in, davanti alla sede regionale dell’Inps sita a Perugia in Via Canali, dal Coordinamento di Associazioni umbre  per il rispetto dei diritti delle persone con disabilità (Cittadinanzattiva, Tribunale per i diritti del malato, Fish, Acu Umbria, Forum Terzo settore, Inca Cgil, Spi Cgil, Lega consumatori, Unione nazionale consumatori).

Le Associazioni protestano  per “la diffamatoria campagna di stampa che in questi ultimi mesi è stata orchestrata da alcuni settimanali  e quotidiani con l’avallo dell’INPS e che tende a far transitare l’idea che l’Umbria sia il Paradiso dei falsi invalidi (da Panorama del 24/3/2011: “Delle 100.000 verifiche straordinario dello scorso anno ne sono state definite finora 47.000 con il 23 % delle revoche ma con punte del 53 % in Sardegna e del 47 % in Umbria”  o ancora “L’Umbria con il 6,8 % e la Sardegna con il 6,6 % sono le regioni con le maggiori percentuali di invalidi civili rispetto alla popolazione”). Nello stesso giornale si è persino arrivati a mettere in copertina una  vignetta con un  Pinocchio in carrozzina con l’epiteto “scrocconi”.

“Denunciamo  – si legge ancora nel comunicato delle Associazioni umbre – l’assoluta non veridicità di queste affermazioni, dovute ad un modo falso di fare statistica. Ma soprattutto contestiamo la strisciante operazione culturale che vuole minare dalle fondamenta la  normativa in materia, stravolgendo di fatto i principi ispiratori della  Convenzione ONU sui diritti delle Persone con disabilità.

Delle 417 indennità revocate in Umbria nell’anno 2010, pari all’8,4 %  dei 3.857 casi esaminati (e non al 47 % come dice Panorama), il 50 % riguardava malati oncologici, sottoposti a trattamenti chemioterapici, in  seguito fortunatamente guariti. Sul   rimanente 50 % si aprirà un contenzioso giudiziario, di cui si vedranno gli sviluppi.

E qui si apre il discorso sull’INPS che continua ad applicare dei propri criteri di valutazione  nel riesaminare in modo sistematico tanti casi di invalidità civile, in modo difforme dalla normativa vigente, con il solo obiettivo di tagliare le prestazioni economiche e fare cassa.
Così può accadere, come è effettivamente accaduto, che un giovane cerebroleso di bell’aspetto si veda togliere l’indennità di accompagnamento perché “non sembra un malato”,  o che decine di persone vadano a sottoporsi a visita INPS in ambulanza, tanto stanno bene. E si continuano a sottoporre a visita disabili dalla nascita e a chiedere le mappe cromosomiche a persone affette da sindrome di Down.

Esiste un diritto dei disabili che non può essere abbattuto dal fuoco delle bugie : i Pinocchi sono loro!

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Cassazione – Percezione dei ratei di rendita per morte

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Una nuova sentenza favorevole per l’Inca

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La sentenza della Cassazione n. 8249/2011, ottenuta dal consulente legale dell’Inca di Taranto, avv. Del Vecchio,   costituisce una importante precisazione sul diritto alla percezione dei ratei di rendita per morte dal momento del decesso e non da quello successivo alla presentazione della domanda amministrativa da parte degli eredi aventi diritto, anche nel caso in cui la domanda sia stata legittimamente presentata oltre il termine di tre anni e centocinquanta giorni dalla morte del lavoratore assicurato.
Il caso riguarda un lavoratore che nel dicembre 1991 muore per neoplasia polmonare da esposizione lavorativa a sostanze cancerogene. I superstiti aventi diritto presentano la domanda di rendita solo nel 2003, ben oltre  dodici anni dalla morte del dante causa, per essere sopravvenuta la conoscibilità degli elementi costitutivi del diritto, in momento successivo

La Corte di Cassazione, con sentenza dell’aprile 2011, rigetta il ricorso dell’Inail  che contestava l’individuazione della decorrenza del diritto alla prestazione affermando che “il diritto dei superstiti sorge alla data della denuncia, ma con effetto retroattivo al momento del decesso, per quanto disposto dall’art. 105 del T.U. 1124/1965 che testualmente recita: “Le rendite ai superstiti decorrono dal giorno successivo a quello della morte.” Trattasi di disposizione di carattere speciale, che come tale, deroga al principio di carattere generale della decorrenza delle prestazioni previdenziali dalla proposizione della relativa domanda”.

La decisione, quindi, nell’ambito delle prestazioni Inail, per le motivazioni sopra esposte, supera lo sbarramento del termine decennale per la prescrizione dei ratei di rendita; nella fattispecie, infatti, gli eredi hanno ottenuto il riconoscimento del diritto a tutti i ratei di rendita dal momento del decesso, intervenuto, come detto, circa dodici anni prima della proposizione della domanda.