Archivio mensile:settembre 2021

Riforma pensioni 2022: ai privati lo scivolo, agli statali la Fornero

Riforma pensioni 2022: ai privati lo scivolo, agli statali la Fornero

La fine di quota 100 non significa la fine delle pensioni anticipate. Ma non per tutti: gli statali rischiano di pagare il conto più salato.

di , pubblicato il  alle ore 09:00
La fine di quota 100 non significa la fine delle pensioni anticipate. Ma non per tutti: gli statali rischiano di pagare il conto più salato.

Da studio Iqvia fotografia sulle malattie cardiovascolari nel post Covid-19
 
 
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Col passare dei giorni si fa sempre meno ingarbugliata la vicenda che interessa la riforma pensioni 2022. E’ ormai chiaro a tutti che quota 100 scade a fine anno e non sarà prorogata. Nemmeno ci sarà una nuova opzione che la sostituisca.

Questione di soldi (che non ci sono) e, come ha sempre fatto capire il governo, le prossime pensioni anticipate non potranno che essere con penalizzazione. In altre parole, dal 2022 si tornerà alla regole della Fornero.

Le pensioni anticipate

Non per tutti. Saranno potenziate le vie d’uscita con Ape Sociale (in pensione a 63 anni) che verrà estesa a una più vasta platea di lavoratori usuranti. Magari in maniera flessibile, a seconda della gravosità e della durata del lavoro. Ma si tratterà pur sempre di una indennità economica, di uno scivolo pubblico verso la pensione, con tetto massimo di 1.500 euro lordi mensili e senza tredicesima.

Si prolungherà anche opzione donna (in pensione a 58 o 59 anni per le lavoratrici dipendenti e autonome), ma il sistema di calcolo resterà penalizzante e la pensione nettamente più bassa rispetto a quella di vecchiaia.

Forse sarà introdotto anche un sistema di pensionamento flessibile per tutti a 62-63 anni, ma con liquidazione della pensione in due tranches. Ma anche in questo caso ci sarà un taglio degli assegni. Insomma, andare in pensione in anticipo rispetto ai 67 anni della vecchiaia non converrà più.

Per autonomi e statali, rischio scalone

Resta però il fatto che molti lavoratori dipendenti del settore privato godranno anche nel 2022 degli scivoli pensionistici. Potranno lasciare il lavoro 5 anni prima grazie ai contratti di espansione che i datori di lavoro stipuleranno col governo. Lo stesso dicasi per gli assegni straordinari a valere sui fondi esuberi di banche e assicurazioni e per altri settori industriali.

Per finire con l’isopensione che consente l’uscita dal lavoro fino a 7 anni prima.

A pagare pegno con la fine di quota 100 saranno però tutti gli altri lavoratori, dagli autonomi ai professionisti, fino ai dipendenti del pubblico impiego. Per costoro la fine di quota 100, in mancanza di alternative, significa il ritorno alle regole Fornero e quindi uno scalone di ben 5 anni.

Potrebbero salvarsi le donne se dal 2022 potranno rientrare in opzione donna, ma per gli uomini c’è il rischio di restare in servizio fino alla veneranda età di 67 anni. O forse più con l’aumento delle aspettative di vita.

San Girolamo

 

San Girolamo


San Girolamo

autore Guercino anno 1641 titolo Visione di san Girolamo
Nome: San Girolamo
Titolo: Sacerdote e dottore della Chiesa
Nascita: 347, Stridone, Dalmazia
Morte: 30 settembre 420, Betlemme
Ricorrenza: 30 settembre
Tipologia: Memoria liturgica

È il Santo che pose tutta la sua vasta erudizione a servizio della Sacra Scrittura. Nacque nel 347 a Stridone in’ Dalmazia, da famiglia patrizia e cristiana. Giovane di natura irrequieta, venne a Roma per approfondirsi negli studi, per i quali sentiva innata attrattiva. Quantunque cattolico praticante, si lasciò sedurre dallo studio dei classici pagani, pei quali nutriva grande venerazione. Amante della cultura fu nelle Gallie, a Costantinopoli, ad Antiochià, ecc., apprendendo il greco, il latino, l’ebraico, il siriaco e il caldaico.

Papa Damaso gli chiese di tradurre in latino il Vecchio Testamento, e rivedere il Nuovo. Girolamo accettò l’arduo compito, e per soddisfarvi meglio stimò opportuno fissare la dimora nella Giudea. Si stabili a Betlemme in una grotta presso quella dove nacque il Salvatore, e quivi consacrò tutta la vita e la sua vasta erudizione alla traduzione e commento delle Sacre Scritture.

Tentato a desistere dall’impresa e ad abbandonare la solitudine, riuscì a vincersi mediante prolungati digiuni, assidua preghiera e pene corporali, tanto che poteva scrivere più tardi: « Serbi per sè Roma i suoi tumulti, scorra il sangue nelle sue arene, risuoni il circo delle grida insensate,’ siano riboccati di lussuria i suoi teatri… Qui noi pensiamo solamente quanto sia salutare rimanere uniti con Dio e mettere in Lui tutta la nostra speranza, affinchè un giorno possiamo scambiare la nostra povertà col regno dei cieli… ».

Il rigore morale di Girolamo, lo rendeva decisamente favorevole all’introduzione del celibato ecclesiastico e all’eradicazione del fenomeno delle cosiddette agapete, vergini cristiane che consacravano la propria vita a Dio con un voto di castità e conducevano vita in comune, non era ben visto da buona parte del clero, fortemente schierato su posizioni giovinianiste. In una lettera ad Eustochio, Girolamo si esprime contro le agapete nei seguenti termini: «Oh vergogna, oh infamia! Cosa orrida, ma vera! Donde viene alla Chiesa questa peste delle agapete? Donde queste mogli senza marito? E donde in fine questa nuova specie di puttaneggio?»

Superate difficoltà d’ogni genere e sopportate con pazienza le critiche, dopo un lungo ed estenuante lavoro, terminava finalmente l’opera monumentale della traduzione della Sacra Scrittura. I dotti del tempo la stimarono un prodigio, ed ancor oggi la traduzione di S. Girolamo è ufficiale nella Chiesa. Combattè vigorosamente tutti quelli che snaturavano il dogma o spargevano scissioni nel gregge di Cristo: le sue lettere immortali ne sono prova. Benchè infermo e ridotto a pelle e ossa, non risparmiò mortificazione alcuna al suo corpo, ripetendo che intendeva consumare il sacrificio della sua vita sulla vetta del Golgota.

Si spegneva nel Signore il 30 settembre 420, dopo una lunga vita di lotta, di lavoro e di preghiere. La Chiesa riconobbe in lui uno dei più fermi e sicuri testimoni della verità, e ornò la sua fronte coll’aureola dei Dottori.

PRATICA. Procuratevi una copia del S. Vangelo e leggetelo.

PREGHIERA. O Dio, che ti sei degnato provvedere la tua Chiesa del beato Girolamo confessore, Dottore Sommo nell’esporre le Sacre Scritture, fa’, ti preghiamo, che per sua intercessione e col tuo aiuto possiamo praticare quello che egli insegnò colla parola e coll’esempio.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa: nato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, uomo di grande cultura letteraria, compì a Roma tutti gli studi e qui fu battezzato; rapito poi dal fascino di una vita di contemplazione, abbracciò la vita ascetica e, recatosi in Oriente, fu ordinato sacerdote. Tornato a Roma, divenne segretario di papa Damaso e, stabilitosi poi a Betlemme di Giuda, si ritirò a vita monastica. Fu dottore insigne nel tradurre e spiegare le Sacre Scritture e fu partecipe in modo mirabile delle varie necessità della Chiesa. Giunto infine a un’età avanzata, riposò in pace.

SAN GIROLAMO E IL LEONE

San Gerolamo nello studio

titolo San Gerolamo nello studio
autore Colantonio anno 1445-46 ca

Un giorno un leone ferito si presentò nel monastero di San Girolamo e i confratelli fuggirono spaventati ma San Girolamo lo accolse coraggiosamente. Egli ordinò ai confratelli di lavare le zampe al leone e curarle scoprendo così che i rovi avevano dilaniato le piante delle zampe. Quando il leone guarì, rimase nel monastero. Su di esso i monaci confidarono per garantirsi la custodia dell’asino del convento.

Un giorno, mentre l’asino stava pascolando, il leone si addormentò e alcuni mercanti, ne approfittarono per appropriarsi dell’equino. Al rientro al monastero, il leone venne accusato dai monaci di aver divorato l’asino, cosicché gli vennero affidati tutti i lavori che normalmente venivano svolti da quest’ultimo.

I mercanti che avevano rubato l’asino chiedono perdono al Santo

titolo I mercanti che avevano rubato l’asino chiedono perdono al Santo
autore Maestro dei Gesuati anno 1450-1459

Un giorno il felino incrociò sul suo cammino la carovana dei mercanti che avevano portato via l’asino dove riconobbe il medesimo asino. Si precipitò verso di loro ruggendo terribilmente e mettendoli in fuga. Dopo di che condusse l’asino ed i cammelli, carichi di mercanzia, al convento. Quando i mercanti tornarono, si recarono al convento a chiedere a San Girolamo il perdono e la restituzione delle loro mercanzie, cosa che San Girolamo fece, raccomandando loro di non rubare più le proprietà altrui

Ticket licenziamento 2021: importo aggiornato del contributo ASpI (oggi NASpI)

 

Ticket licenziamento 2021: importo aggiornato del contributo ASpI (oggi NASpI)

Ticket licenziamento 2021: importi del contributo ASpI (oggi NASpI) dovuto per le cessazioni che danno diritto alla disoccupazione.

Il ticket licenziamento o contributo ASpI (oggi NASpI) è quel contributo che il datore deve versare all’INPS in caso di cessazione di rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato che danno diritto alla NASpI. Il suo importo annuo per il 2021 è fissato in 503,30 euro (41% del massimale disoccupazione) e varia a seconda del periodo di permanenza in azienda da 1/12 fino a raggiungere un massimo di 3 annualità. Per il 2021 l’importo massimo di contributo licenziamento è di 1509,90 euro per i lavoratori con un’anzianità di servizio pari o superiore a 36 mesi.

Aggiornamento del 17 settembre 2021: con la circolare numero 137 del 17 settembre 2021 l’INPS aggiorna le modalità di calcolo del ticket NASpI andando di fatto a ricalcolare gli importi. Pertanto alla luce di questa circolare, come vedremo in seguito, il nuovo ticket licenziamento 2020 e 2021 ammonta a € 547,51 annuali, per un importo massimo pari a € 1.642,53 per il triennio di anzianità.

Il contributo NASpI (ex ASpI) dev’essere versato anche quando il datore ricorre a licenziamenti collettivi, con un importo peraltro triplicato se la dichiarazione di eccedenza del personale non è stata oggetto di accordo sindacale. Il ticket è dovuto anche in caso di licenziamento a seguito di accordo collettivo aziendale escluso dal blocco dei licenziamenti covid.

Il contributo è destinato a finanziare l’indennità di disoccupazione (e a scoraggiare i licenziamenti) e il datore deve provvedere al pagamento, con modello F24 insieme agli altri contributi previdenziali e assistenziali entro il 16 del mese successivo, a prescindere se il il dipendente cessato chieda o meno la NASPI.

Analizziamo nel dettaglio quando è dovuto, come si calcola l’importo del contributo ASpI e i casi particolari (licenziamenti collettivi, part-time e imprese edili).

Contributo NASpI: quando deve essere pagato

Il ticket licenziamento (introdotto con l’articolo 2, commi 31-35, della legge n. 92/2012) va pagato in tutti i casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato che darebbero potenzialmente diritto all’indennità di disoccupazione in favore del cessato.

Oltre che per i licenziamenti (giustificato motivo oggettivo, soggettivo, giusta causa) il contributo è dovuto in caso di:

  • Dimissioni per giusta causa;
  • Dimissioni nel periodo tutelato per maternità;
  • Risoluzione consensuale a seguito della conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro nei casi in cui il datore voglia licenziare per giustificato motivo oggettivo;
  • Risoluzione consensuale del rapporto a seguito del rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra unità produttiva distante oltre 50 km dalla sua residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico;
  • Mancata trasformazione dell’apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

Il contributo è dovuto a prescindere dalla richiesta del cessato dell’indennità di disoccupazione. Inoltre il contributo è dovuto anche a seguito di abbandono del posto di lavoro da parte del lavoratore ed anche per licenziamento per cessazione dell’attività.

Ticket licenziamento 2021: importi (da aggiornare alla circolare INPS 137/2021)

L’importo del ticket licenziamento è fissato in misura pari al 41% del massimale mensile di disoccupazione (il cui importo è comunicato con apposita circolare INPS ogni anno) per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del cessato negli ultimi tre anni. Per quest’anno si considera la circolare INPS numero 7 del 21/01/2021.

  • Considerato che per il 2021 il massimale è pari ad euro 1.227,55, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale è dovuto un contributo di:
    • 1.227,55 * 41% = 503,30
  • Per chi ha un’anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo è pari a:
    • 503,30 * 3 = 1.509,90
  • Se il rapporto ha avuto una durata inferiore all’anno il contributo è riproporzionato in mesi:
    • 503,30 / 12 = 41,94 euro mensili

Per poi essere moltiplicato per i mesi in cui il dipendente è stato in forza (si considera come mese intero quello in cui la prestazione si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario).

Ricalcolo del ticket licenziamento dopo la Circolare INPS 137/2021

Come detto sopra alla luce della circolare INPS 137/2021 la base di calcolo del contributo NASPI è più alta in quanto non si dovrà prendere a base di calcolo non la retribuzione imponibile (1227,55 €), ma il massimale di NASpI, che per il 2021 è fissato in euro 1.335,40.

Pertanto i calcoli aggiornati comportano un aumento del contributo NASpI dovuto dall’azienda, correggendo l’esempio di calcolo di cui sopra come segue:

  • 1.335,40 * 41% = 547,51
  • Per chi ha un’anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo è pari a:
    • 547,51 * 3 = 1642,53
  • Se il rapporto ha avuto una durata inferiore all’anno il contributo è riproporzionato in mesi:
    • 547,51 / 12 = 45,62 euro mensili

Circolare INPS numero 137 del 17-09-2021

Riforma fiscale 2021: fatturazione elettronica obbligatoria per i forfettari? I dettagli

Riforma fiscale 2021: fatturazione elettronica obbligatoria per i forfettari? I dettagli

La riforma fiscale sarà assai articolata e molto probabilmente includerà anche l’estensione della fatturazione elettronica ai forfettari.

Con la Riforma fiscale 2021 è in arrivo anche la fatturazione elettronica obbligatoria per i forfettari? Come è ben noto, questo è un periodo in cui il mondo delle istituzioni si sta interrogando su quali riforme dare al paese, in una pluralità di settori. Non solo lavoro, pensioni, ammortizzatori sociali e giustizia, ma anche ovviamente riforma fiscale. In particolare, come segnalato dai principali osservatori del mondo delle tasse, a breve dovremmo assistere all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica anche ai forfettari.

Ricordiamo che per regime forfettario si deve intendere un particolare regime fiscale per le partite IVA individuali che consente di fruire di diverse semplificazioni fiscali e contabili. Il regime forfettario è stato introdotto da una legge ad hoc nel 2014.

Tecnicamente, il regime forfettario consiste in uno dei regimi fiscali sostitutivi dell’IRPEF al quale possono avere accesso i titolari di partita IVA che, se in possesso dei requisiti previsti dalla normativa, possono sfruttare una tassazione agevolata del 15 %, che si abbassa al 5% per le nuove attività.

Ciò che qui preme ricordare è che dal 2022 la riforma fiscale potrebbe aprire le porte alla fattura elettronica anche per coloro che sfruttano questo regime di favore e che al momento non ne sono obbligati. Vediamo qualche ulteriore dettaglio.

Riforma fiscale 2021: cosa prevede

Come appena accennato, abbiamo di fronte una novità che probabilmente verrà messa in campo a partire dal prossimo anno. Al momento, l’assetto normativo vigente prevede l’obbligo di fatturazione elettronica per la maggior parte dei privati dal primo gennaio 2019; ma è pur vero che non riguarda le piccole partite IVA. A queste ultime, come è ben noto, si applica il cd. regime forfettario, il quale al momento implica l’esclusione dall’obbligo citato.

In verità la notizia dell’estensione non è di ieri: è circa un biennio che gli ‘addetti ai lavori’ ipotizzano una possibile estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica. E se finora la proposta sembrava destinata a rimanere tale, adesso la concretizzazione pare essere quasi certa.

Insomma, come opportunamente osservato dagli esperti in materia fiscale, alla luce di tutte le novità in arrivo con la riforma fiscale, dalla riduzione dell’IRPEF ai tagli all’IRAP, sembra proprio questo il momento più idoneo per apportare anche questa modifica alla platea dei destinatari dell’obbligo di fatturazione elettronica. Tra l’altro in questi giorni è molto chiacchierata la probabile riforma del catasto, che introdurrebbe un diverso meccanismo di calcolo delle tasse sulle proprietà immobiliari.

D’altronde, ben sappiamo che la riforma fiscale risponde anche a quelli che sono gli obiettivi di cui al PNRR. In buona sostanza, è opportuno sfruttare l’occasione per apportare quante più novità possibili al sistema fiscale italiano che, come ben noto, è per molti versi antiquato e farraginoso.

Leggi anche: Regime forfettario 2021: requisiti, adempimenti e percentuali di tassazione

Fatturazione elettronica per i forfettari: atteso l’ok delle istituzioni UE

A questo punto vi è però da fare una importante precisazione: infatti, l’obbligo di usare il meccanismo della fattura elettronica anche da parte dei forfettari ha bisogno dell’autorizzazione UE. Serve insomma il via libera da parte della Commissione Europea, circa l’estensione dell’applicazione della disciplina sulla fatturazione elettronica, anche alle piccole p. IVA. Ciò in ragione del fatto che si tratta di una deroga alla disciplina comunitaria in materia di IVA.

Inoltre, non bisogna dimenticare questo aspetto: nel caso vi sia dal 2022 l’effettiva estensione della fatturazione elettronica, anche i forfettari saranno tenuti ad operare i dovuti adeguamenti a livello tecnologico. In pratica, le cose si complicano un poco: vero è che l’Amministrazione finanziaria mette a disposizione dei possessori di partita IVA un software gratuito; ma è altrettanto vero che nella maggior parte delle situazioni pratiche, gli interessati saranno di fatto costretti a fare riferimento a software di mercato. Ciò all’evidente fine di articolare e spedire le fatture elettroniche in modo più agevole e rapido.

Leggi anche: Fattura elettronica, come funziona: guida Agenzia delle Entrate (video)

E’ da rimarcare altresì che l’accesso e la permanenza nel cd. regime agevolato dei forfettari è condizionata ad un tetto massimo di ricavi o compensi per le p. IVA fissato in 65mila euro.

Concludendo, la fatturazione elettronica in Italia è stata prevista per gli operatori economici a partire da alcuni anni, nella specifica finalità di combattere l’evasione fiscale in materia di IVA. In concreto, la fattura elettronica è una fattura in formato digitale e per ‘fatturazione elettronica”, il legislatore fa riferimento all’iter con il quale sono gestite le fasi di:

  • emissione;
  • spedizione;
  • tenuta
  • e conservazione digitale del documento di fatturazione elettronica.

Smart working dipendente straniero in Italia: dove pagare le “tasse”

 

Smart working dipendente straniero in Italia: dove pagare le “tasse”

Il reddito da lavoro in smart working può essere tassato in Italia, solo qualora soggiorni in Italia per più di 183 giorni

Se un lavoratore in smart working residente fiscalmente all’estero è stato costretto a prolungare il periodo di soggiorno in Italia a causa del Covid-19, qual è il Paese in cui il reddito assume rilevanza fiscale? La risposta è dipende. Infatti, laddove il dipendente straniero soggiorni nel nostro Paese per meno di 183 giorni, allora in tali casi può tassare le somme relative al lavoro agile svolto in Italia esclusivamente nel Paese estero. In caso contrario, ossia laddove il dipendente stranieri in smart working in Italia, abbia trascorso nel nostro Paese per più di 183 giorni, allora vige il reddito è imponibile in entrambi gli Stati.

È questo il chiarimento fornito dall’Agenzia con la risposta n. 626 del 27 settembre 2021.

Imposizione fiscale: assoggettamento dei redditi

Ai fini dell’assoggettamento ad imposizione in Italia dei redditi in esame, l’art. 3, co. 1, del TUIR prevede che:

“l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.

Inoltre, l’art. 23, co. 1, lett. c), del TUIR stabilisce che si considerano prodotti in Italia “i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato”.

Tuttavia, tale disposizione non trova applicazione qualora il nostro Paese abbia stipulato, con lo Stato di residenza del lavoratore, una convenzione per evitare le doppie imposizioni che riconosca a quest’ultimo Stato la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia.

Italia-Lussemburgo: convenzione contro le doppie imposizioni

Con riferimento al caso in esame, occorre far riferimento alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra l’Italia e il Granducato di Lussemburgo. In particolare, l’articolo 15 della citata Convenzione prevede, al paragrafo 1, che:

“i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”.

In altre parole è prevista la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario. Ciò avviene a meno che l’attività lavorativa, a fronte della quale sono corrisposti i redditi, sia svolta nell’altro Stato contraente: ipotesi in cui i predetti emolumenti sono assoggettati a imposizione concorrente in entrambi i Paesi.

Tassazione esclusiva nello Stato di residenza: quando avviene

Il menzionato articolo della Convenzione prevede, inoltre, la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche per i redditi erogati in corrispettivo di un’attività di lavoro subordinato svolta nell’altro Stato sempreché ricorrano congiuntamente le seguenti tre condizioni:

  • il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso di un qualsiasi anno fiscale;
  • le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato;
  • l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.

Smart working dipendente straniero in Italia: cosa s’intende per luogo di prestazione

Ai fini della corretta imposizione fiscale, assume un ruolo dirimente precisare che cosa si intenda per “luogo di prestazione” dell’attività lavorativa.

Al riguardo, un utile riferimento interpretativo è fornito dal commentario all’articolo 15, paragrafo 1, del modello OCSE di convenzione per eliminare le doppie imposizioni. Secondo tale articolo per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato.

Si aggiunge che il reddito percepito dal lavoratore dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell’altro Stato contraente, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato.

Quindi, il reddito percepito dall’istante e residente in Lussemburgo per l’attività di lavoro dipendente svolta in Italia nel 2020, rilevi fiscalmente anche nel nostro Paese.

La conseguente doppia imposizione sarà risolta attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte del Lussemburgo, Stato di residenza del lavoratore dipendente.