Archivi giornalieri: 10 settembre 2021

Patto di non concorrenza dei lavoratori: cos’è e come funziona

Patto di non concorrenza dei lavoratori: cos’è e come funziona

Patto di non concorrenza: guida alla clausola di non concorrenza del lavoratore ( art 2125 cc ). Corrispettivo, durata e territorio.

Il patto di non concorrenza dei lavoratori dipendenti nel diritto del lavoro è una clausola contrattuale che può essere apposta nel contratto individuale di lavoro di comune accordo fra datore e lavoratore subordinato (art 2125 cc). Quando un rapporto di lavoro cessa sia per dimissioni che per licenziamento può nascere nel datore di lavoro il sospetto che l’ex dipendente abbia trovato una nuova occupazione presso la concorrenza, portando con sé conoscenze ed esperienze maturate all’interno della sua azienda.

Come può un datore di lavoro tutelarsi e cercare di evitare questa situazione? È ovvio che questo tipo di dubbio si insinua al termine del rapporto di lavoro; questo perchè in costanza di rapporto di lavoro, il lavoratore per legge è assoggettato all’obbligo di fedeltà.

Ecco i dettagli della clausola di non concorrenza, ma prima ricordiamo in breve cos’è l’obbligo di fedeltà del dipendente.

Obbligo di fedeltà del lavoratore dipendente

Questo obbligo consiste nel non trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore; al tempo stesso il lavoratore non può nemmeno divulgare notizie strettamente legate all’organizzazione e alla produzione dell’impresa. Così come recita l’art. 2105 codice civile:

il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio

Va da sé che terminato il rapporto di lavoro per il lavoratore sarà immediato cercare un nuovo impiego nello stesso settore; avendo maturato molteplici capacità e di conseguenza avere contatti con aziende concorrenti.

Leggi anche: Obbligo di fedeltà del lavoratore dipendente: cosa sapere

Patto di non concorrenza lavoratore: cos’è

Come può il datore di lavoro cercare di tutelarsi? Una delle soluzione è quella di stipulare tra le parti un patto di non concorrenza ovvero di inserire nel contratto individuale di lavoro all’atto dell’assunzione del lavoratore una clausola di non concorrenza. Lo stesso può essere approvato anche con una nuova stipula in un periodo successivo, quindi quando il rapporto di lavoro è già avviato.

Lo scopo è proprio quello di regolamentare il periodo successivo alla cessazione del rapporto; i patti di non concorrenza vengono definiti come contratti a prestazioni corrispettive, a titolo oneroso per il quale occorre l’interesse di entrambe le parti, il cui vincolo si perfeziona con la pattuizione e l’effetto finale si spiega dopo la cessazione del rapporto.

Patto di non concorrenza: cosa prevede il codice civile

Il patto in oggetto è disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile il quale recita:

il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.

La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.

Non concorrenza per dirigenti, ma anche per impiegati e operai

È errato pensare che questo tipo di pattuizione valga solo per i dirigenti; in realtà può essere stipulato con qualsiasi lavoratore e per qualsiasi attività che possa essere oggetto di concorrenza con altri imprenditori.

Patto di non concorrenza dipendente: corrispettivo, durata e territorio

Affinché questo patto tra le parti sia valido deve essere previsto in forma scritta e prevedere un’erogazione economica. Il vincolo riguarda l’oggetto del patto, la durata temporale e il territorio.

Vediamo nello specifico le caratteristiche. Considerando che lo scopo principale del patto è quello di salvaguardare l’attività lavorativa del datore di lavoro impedendo fuga di notizie e modalità operative di svolgimento della produzione stessa, deve esserci qualcosa che susciti interesse nel lavoratore che viene limitato nella scelta di una nuova occupazione; l’interesse nasce dal corrispettivo economico pattuito.

Se è vero che il sacrificio del lavoratore viene ricompensato in termini economici è pur vero che i vincoli imposti dal datore di lavoro al termine del rapporto non possono essere illimitati; né in termini di durata temporale né in termini di area geografica.

Allo stesso modo l’ampiezza del vincolo imposto non può essere tale da impedire una nuova ricollocazione nel modo del lavoro.

Durata e territorio nel patto di non concorrenza

Per quanto riguarda la durata del patto di non concorrenza questa non può essere superiore a 5 anni per i dirigenti, 3 anni per tutti gli altri lavoratori. Questo significa che se fosse inserita una pattuizione di durata maggiore, la stessa si riduce automaticamente ai limiti di cui sopra.

La seconda caratteristica da considerare nell’indicazione del patto di non concorrenza è il territorio. Innanzitutto una limitazione geografica deve essere espressamente indicata e allo stesso tempo sono nulle le indicazioni troppo estese o troppo generiche (es. limitazioni riguardanti tutto il territorio europeo), proprio perché si impedirebbe totalmente al lavoratore la possibilità di impiegarsi nuovamente.

Patto di non concorrenza corrispettivo: minimo e a percentuale

La questione più spinosa riguarda il corrispettivo, ma allo stesso tempo è anche la parte più importante. Spinosa da un lato perché sebbene la normativa dia una definizione specifica del concetto non dà alcun riferimento economico per una misura ritenuta idonea.

Abbiamo al contrario indicazione del fatto che l’importo non può essere né simbolico né tanto meno sproporzionato in relazione al sacrificio richiesto. Ciò significa che più è elevato il sacrificio in relazione a territorio, al settore e alla durata del patto e maggiore dovrà essere l’importo erogato al lavoratore.

Questo proprio per riagganciarci al concetto principale: nessun corrispettivo economico può essere considerato congruo alla totale impossibilità di trovare un nuovo impiego.

Come avviene il pagamento pagamento

Altro aspetto di cui la norma non dice nulla riguarda la modalità di pagamento. In considerazione di ciò si ritiene possa essere lecito un pagamento:

  • con cadenza mensile
  • oppure interamente al momento della cessazione del rapporto di lavoro,
  • o rateale dal momento in cui cessa il rapporto di lavoro per tutta la durata del vincolo stesso.

Difesa del datore di lavoro in caso di mancato rispetto del patto

Sebbene a livello normativo il lavoratore che accetta un patto di non concorrenza e riceve il corrispettivo pattuito debba rispettare il patto stesso, può capitare che qualche lavoratore voglia infrangere le regole e avviare una collaborazione o un’attività in contrasto con il suo patto.

Come può difendersi in questo caso il datore di lavoro? Quando, purtroppo, ci si trova in una soluzione simile il datore di lavoro può fare ricorso d’urgenza secondo l’art. 700 codice procedura civile:

“chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”

ciò significa che se il datore di lavoro riscontra che vi sia pericolo per la propria attività in relazione alla violazione del patto il Tribunale può emanare un’ordinanza di cessazione dell’attività.

Oppure senza ricorrere ad una situazione estrema come quella appena descritta si può prevedere fin dalla stipula del patto di non concorrenza un’apposita penale in caso di inadempimento.

Fondo per le imprese in difficoltà: cos’è e come fare domanda

Fondo per le imprese in difficoltà: cos’è e come fare domanda

A decorrere dal 20 settembre 2021 è possibile fare domanda al Fondo Imprese in difficoltà. Ecco come presentare istanza di finanziamento

Il Fondo per le imprese in difficoltà (GID) è una boccata d’ossigeno per le grandi imprese che si trovano in situazione di temporanea difficoltà a causa dell’emergenza Covid. Questi ultimi, infatti, a decorrere dal 20 settembre 2021, potranno presentare richiesta per accedere al Fondo da 400 milioni di euro istituito al Ministero dello Sviluppo economico. L’obiettivo è quello di sostenere il rilancio e la continuità dell’attività di imprese che operano sul territorio nazionale e che si trovano anche in amministrazione straordinaria.

Ma come funziona? In pratica, il Ministero dello Sviluppo Economico potrà intervenire, attraverso il Fondo gestito da Invitalia, con la concessione di finanziamenti agevolati che saranno rimborsabili in 5 anni, al fine di garantire continuità alle imprese con un numero pari o superiore a 250 dipendenti e che abbiano un fatturato superiore ai 50 milioni di euro o un bilancio superiore ai 43 milioni. La concessione del finanziamento agevolato, inoltre, è vincolata alla presentazione di un piano di rilancio dell’impresa, anche al fine di tutelare l’occupazione.

Fondo Imprese in difficoltàcos’è

Il Fondo per il sostegno alle grandi imprese in temporanea difficoltà finanziaria, con una dotazione 400 milioni di euro, è un fondo, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico. Esso è finalizzato a sostenere la continuità operativa delle grandi imprese che si trovano in situazione di temporanea difficoltà finanziaria connessa all’emergenza epidemiologica da COVID-19, attraverso la concessione di finanziamenti agevolati.

Il Fondo, istituito dall’art. 37 del D.L. n. 41/20201 e disciplinato dal D.M. del 5 luglio 2021, opera ai sensi del Quadro Temporaneo per le misure di aiuto distato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19, di cui alla comunicazione C(2020) 1863 final del 19 marzo 2020 e successive modificazioni e integrazioni.

La Commissione europea, con decisione C(2021) 6125 final del 16 agosto 2021, ha autorizzato il regime di aiuti relativo agli interventi del predetto Fondo.

Fondo Imprese in difficoltà (GID)a chi si rivolge

Possono beneficiare delle agevolazioni le grandi imprese, anche in amministrazione straordinaria, operanti sul territorio nazionale e in qualsiasi settore economico che, alla data di presentazione della domanda di agevolazione:

  • versano in situazione di temporanea difficoltà finanziaria, in relazione alla crisi economica connessa con l’emergenza epidemiologica da Covid-19;
  • presentano prospettive di ripresa dell’attività;
  • sono regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese;
  • hanno una sede legale e operativa ubicata sul territorio nazionale;
  • non rientrano tra le imprese che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato, gli aiuti individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea;
  • non sono sottoposte a procedure concorsuali con finalità liquidatorie;
  • hanno restituito somme dovute a seguito di provvedimenti di revoca di agevolazioni concesse dal Ministero dello sviluppo economico;
  • non sono destinatarie di una sanzione interdittiva;
  • i cui legali rappresentanti o amministratori non sono stati condannati, con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati che costituiscono motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di appalto o concessione ai sensi della normativa in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture vigente alla data di presentazione della domanda.

Fondo GIDcosa finanzia

Ai fini dell’accesso alle agevolazioni, le imprese devono presentare un piano di rilancio, realistico e credibile, dell’azienda o di un suo asset, che illustri:

  • le azioni che si intendono porre in essere per sostenere la ripresa o la continuità dell’attività d’impresa;
  • le prospettive di collocazione dell’impresa sul mercato, fornendo elementi giustificativi sullo stato di difficoltà temporaneo e sulla capacità di rimborso integrale del finanziamento eventualmente concesso;
  • le azioni che saranno individuate per ridurre gli impatti occupazionali connessi alla situazione di temporanea difficoltà finanziaria;
  • le esigenze di liquidità per il prosieguo dell’attività, nonché le eventuali ulteriori azioni che si intendono intraprendere ai fini di una eventuale operazione di ristrutturazione aziendale.

Fondo Imprese in difficoltàle agevolazioni

Le agevolazioni sono concesse nella forma di finanziamento agevolato, definito in conformità con il punto 27, lettera a), del “Quadro temporaneo”, da restituire in cinque anni.

L’importo complessivo non può essere superiore, alternativamente:

  • al doppio della spesa salariale annua dell’impresa proponente per il 2019 o per l’ultimo esercizio disponibile, compresi gli oneri sociali e il costo del personale che lavora nel sito dell’impresa ma che figura formalmente nel libro paga dei subcontraenti. Nel caso di imprese create a partire dal 1°gennaio 2019, l’importo massimo del finanziamento non può superare i costi salariali annui previsti per i primi due anni di attività;
  • al 25% del fatturato totale dell’impresa proponente nel 2019.

L’importo del finanziamento concesso alla singola impresa o al gruppo di imprese beneficiare non può, in ogni caso, eccedere, 30 milioni di euro.

Fondo Grandi Imprese in difficoltà: come e quando fare domanda

Con il Decreto Direttoriale 3 settembre 2021, sono stati definiti i termini e le modalità di presentazione delle domande di accesso al Fondo.

Le domande possono essere presentate a decorrere dalle ore 12:00 del giorno 20 settembre 2021 e fino alle ore 11:59 del giorno 2 novembre 2021, attraverso apposita procedura informatica, accessibile dal sito dell’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. – Invitalia.

Buoni pasto 2021

Buoni pasto 2021: novità, importi e tassazione del buono pasto

Buoni pasto: normativa, importi e novità per i ticket pasto elettronici e cartacei per i dipendenti: come funzionano, a chi spettano.

Buoni pasto 2021: quali sono gli importi, a chi spettano e qual è la loro tassazione? L’ultima importante novità in ordine di tempo riguarda l’uso dei buoni pasto in smart working; mentre la Legge di Bilancio 2020 aveva variato agli importi esclusi dalla tassazione relativamente ai ticket pasto elettronici e cartacei. La norma era stata prevista per spingere all’uso dei buoni pasto elettronici (tracciabili) a discapito di quelli cartacei.

Partiamo col dire che i ticket buoni pasto sono una delle modalità con cui il datore di lavoro può riconoscere servizi di ristoro ai propri dipendenti in sostituzione della mensa aziendale. Consistono in documenti cartacei o elettronici che danno al lavoratore il diritto di ottenere, in esercizi convenzionati, la somministrazione di alimenti, bevande e prodotti alimentari pronti per il consumo per un importo pari al valore del buono medesimo.

Oltre a dover sottostare a precise regole di utilizzo, la normativa prevede che i ticket godono di una tassazione di favore, con la previsione di una soglia giornaliera esclusa da contributi e tasse, con evidenti benefici per dipendenti e aziende.

Vediamo quindi cosa c’è da sapere su questo importante benefit per il lavoratore dipendente e quali sono le novità previste in materia.

Buoni pasto: come funzionano e a chi spettano

In alternativa al buono pasto, il datore può mettere a disposizione dei dipendenti un servizio pasti attraverso:

  • Mensa aziendale con gestione propria o affidata in appalto a società esterne;
  • Mensa esterna presso apposite strutture;
  • Indennità sostitutiva della mensa, riconosciuta in assenza del servizio mensa o corrisposta comunque quando il lavoratore non se ne avvale.

L’azienda è libera di scegliere (Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E del 23/12/97), tra le modalità citate, quella più idonea alle proprie esigenze, con la possibilità di una compresenza tra le stesse.

Ad esempio, per una categoria di dipendenti si può istituire il servizio mensa, per un’altra si concedono i ticket. E’ da escludere, da parte dello stesso dipendente e nella medesima giornata lavorativa, l’utilizzo sia del servizio mensa che del ticket ristorante, ottenendo peraltro la tassazione di favore riconosciuta agli stessi. I più famosi e più usati sono: day buoni pasto, buoni pasto pellegrini, sodexo ecc.

Normativa buoni pasto

La normativa sui buoni pasto è di recente cambiata con il Decreto Ministero dello Sviluppo Economico n. 122/2017. Questi possono essere dati ad oggi a:

  • Lavoratori subordinati, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario giornaliero non preveda una pausa per il pasto;
  • Chi ha instaurato con il committente un rapporto di collaborazione (esempio co.co.co.).

Le aziende comunque non sono obbligate ad erogarli, a meno che questi non siano espressamente previsti nei contratti collettivi o nella contrattazione di secondo livello o individuale. I ticket ristorante rientrano pertanto nella categoria dei cosiddetti fringe benefit concessi dal datore di lavoro.

Secondo una sentenza della Cassazione (sentenza n. 22702/2014) il diritto ai buoni sussiste anche nel caso in cui il dipendente abbia terminato il lavoro, ma i tempi di percorrenza non gli permettono di raggiungere l’abitazione entro l’esaurirsi della pausa.

I ticket sono utilizzabili esclusivamente dal titolare, non sono cedibili né commercializzabili o convertibili in denaro. Inoltre il Decreto MISE 122/2017 ha stabilito che non possono essere usati più di 8 ticket per volta. Tuttavia una recente nota dell’Agenzia delle Entrate ha specificato che la tassazione non deve essere applicata neanche se si usano in numero superiore ad 8 (vedi paragrafo a fondo pagina).

Come funziona il buono pasto

Buono pastoL’utilizzo del buono pasto non differisce a seconda che lo stesso sia in formato cartaceo o elettronico (tranne che per il suo uso). Il ticket è acquistato dal datore di lavoro direttamente dalla società emittente, legittimata all’esercizio di questa attività.

Una volta assegnati al dipendente (con eventuale addebito di una quota parte del loro valore se previsto da accordi aziendali) i buoni danno allo stesso (in qualità di titolare) il diritto ad ottenere un servizio di mensa di importo pari al valore del ticket, presso esercizi convenzionati con la società emittente. Possono essere utilizzati (art. 285 del D.P.R. n. 207/2010) durante la giornata lavorativa, anche se domenicale o festiva.

Il pubblico esercizio una volta ricevuti i buoni pasto dal lavoratore:

  • dovrà emettere e rilasciare apposito scontrino o ricevuta fiscale;
  • fatturerà i buoni ricevuti dai clienti alla società che li ha emessi.

Buoni pasto cartacei

buoni pasto cartaceiI buoni pasto cartacei sono ticket rilasciati al lavoratore in forma cartacea. Normalmente ogni buono pasto cartaceo ha un valore di 5,00 e può essere speso dal lavoratore per mangiare presso un ristorante o self-service convenzionato.

Il buono pasto cartaceo può essere usato anche per fare la spesa presso i negozi convenzionati. Tutti i negozi seguono regole proprie per accettare i buoni pasto (numero massimo, percentuale di buoni pasto rispetto alla spesa complessiva ecc.); tuttavia il massimo di buoni pasto spesi in unica spesa è 8 come vedremo in seguito.

Nel caso di buono pasto cartaceo la detassazione può arrivare ad un importo giornaliero massimo di 5.29 euro (dal 2020 4 euro).

Buoni pasto elettronici

buoni pasto elettroniciI buoni pasto elettronici hanno lo stesso funzionamento di quelli cartacei. La differenza però è che questi sono dematerializzati: non vengono cioè rilasciati sotto forma di ticket, ma vengono caricati su una sorta di carta di credito magnetica, che potrà poi essere usata dal lavoratore.

Anche in questo caso quindi il buono pasto elettronico può essere speso dal lavoratore per mangiare presso un ristorante o self-service convenzionato oppure può essere usato per fare la spesa presso i negozi convenzionati.

Nel caso di ticket pasto elettronico la detassazione può arrivare ad un importo giornaliero massimo di 7 euro (dal 2020 8 euro).

Leggi anche: Buoni pasto elettronici: come funzionano e dove usarli

Buoni pasto busta paga

Altro metodo previsto dalla normativa è quello di inserire in busta paga l’indennità sostitutiva di mensa. Non sono veri e propri buoni pasto in busta paga, ma si tratta di una erogazione ovvero di una voce aggiuntiva del cedolino che rientra tra i servizi sostitutivi di mensa e che l’azienda può erogare ai propri dipendenti.

L’indennità sostitutiva di mensa è quindi un importo che viene versato direttamente nella busta paga del lavoratore, come forma di indennizzo per l’assenza di una mensa aziendale dove poter consumare i pasti durante l’orario di lavoro. Questa indennità non rientra fra i fringe benefit e pertanto non è soggetta a tassazione agevolata, ma viene tassata per il suo intero importo; ovvero come se si trattasse di ore di lavoro ordinarie per intenderci (con relativa tassazione IRPEF, INAIL e INPS).

Caratteristiche dei ticket pasto e assegnazione

Le caratteristiche del buono pasto differiscono naturalmente a seconda del formato. Il buono cartaceo deve contenere:

  • Codice fiscale o ragione sociale del datore e della società emittente;
  • Valore del buono (cosiddetto “valore facciale”) espresso in euro;
  • Termine di utilizzo;
  • Spazio per apporre data di utilizzo, firma del lavoratore / titolare, timbro dell’esercizio convenzionato in cui il buono è stato utilizzato;
  • Dicitura che riporta “il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di 8 buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”.

Nel buono elettronico i dati relativi al datore, alla società di emissione e al titolare sono memorizzati direttamente nel supporto utilizzato (la forma comune è quella del tesserino con banda magnetica simile ad un bancomat o carta di credito).

In materia di assegnazione dei buoni pasto è opportuno considerare che la loro tassazione di favore è legata al riconoscimento degli stessi alla generalità dei dipendenti o a loro categorie omogenee (Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E del 23/12/97).

In entrambi i casi è consigliabile un apposito accordo aziendale che contenga una sintesi della normativa in materia, le condizioni di utilizzo e il valore del singolo buono, oltre a fornire un’apposita informativa al dipendente all’atto dell’assunzione.

Ticket pasto: quanto vale

Il valore del singolo buono pasto è attribuito dalla società emittente, generalmente nel limite di 10 euro cadauno, permettendo ai datori di scegliere tra ticket con differenti fasce di importo.

Importi ticket buoni pasto: novità Legge di Bilancio 2020

I buoni pasto sono soggetti a tassazione e contribuzione solo per la parte che eccede euro 5,29 complessivi giornalieri ovvero euro 7 nel caso in cui gli stessi siano in formato elettronico.

Dal 2020 tuttavia, per effetto delle novità apportate dall’ultima Legge di Bilancio, gli importi esclusi dalla tassazione variano così come segue:

Importi buoni pasto 2021 esclusi dalla tassazione
Buoni pasto cartacei detassati fino a 4 euro (in precedenza 5,29)
Buoni elettronici detassati fino a 8 euro (in precedenza 7)

L’eventuale concessione dei buoni pasto nei giorni non lavorativi rende gli stessi interamente soggetti a tassazione. Ad ogni modo, anche se soggetto in parte a contributi e tasse, il valore dei buoni pasto, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi (anche aziendali), non è considerato retribuzione.

Buoni pasto lavoratori in smart working

Buoni pasto lavoratori in smart working: con un recente interpello l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche per i lavoratori in smart working si applica la tassazione agevolata prevista per i buoni pasto sia cartacei che elettronici (interpello numero 956-2631/2020 Direzione Regionale del Lazio).

Leggi anche: buoni pasto smart working

Uso cumulativo di 8 ticket pasto

Secondo le ultime disposizioni (Decreto Ministero Sviluppo Economico n. 122/2017) i buoni pasto sono cumulabili nel limite di 8; si tratta tecnicamente del limite all’uso cumulativo di ticket pasto.

Tuttavia una recente nota dell’Agenzia delle Entrate ha specificato che il datore di lavoro è tenuto non applicare la tassazione se gli importi dei singoli ticket rimangono entro i limiti dei 5.29 e dei 7 euro come detto sopra. Nulla cambia quindi per la tassazione se questi vengono usati in unica spesa in un numero superiore agli 8.

Fondo per le imprese in difficoltà: cos’è e come fare domanda

Il Fondo per le imprese in difficoltà (GID) è una boccata d’ossigeno per le grandi imprese che si trovano in situazione di temporanea difficoltà a causa dell’emergenza Covid. Questi ultimi, infatti, a decorrere dal 20 settembre 2021, potranno presentare richiesta per accedere al Fondo da 400 milioni di euro istituito al Ministero dello Sviluppo economico. L’obiettivo è quello di sostenere il rilancio e la continuità dell’attività di imprese che operano sul territorio nazionale e che si trovano anche in amministrazione straordinaria.

Ma come funziona? In pratica, il Ministero dello Sviluppo Economico potrà intervenire, attraverso il Fondo gestito da Invitalia, con la concessione di finanziamenti agevolati che saranno rimborsabili in 5 anni, al fine di garantire continuità alle imprese con un numero pari o superiore a 250 dipendenti e che abbiano un fatturato superiore ai 50 milioni di euro o un bilancio superiore ai 43 milioni. La concessione del finanziamento agevolato, inoltre, è vincolata alla presentazione di un piano di rilancio dell’impresa, anche al fine di tutelare l’occupazione.

Fondo Imprese in difficoltàcos’è

Il Fondo per il sostegno alle grandi imprese in temporanea difficoltà finanziaria, con una dotazione 400 milioni di euro, è un fondo, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico. Esso è finalizzato a sostenere la continuità operativa delle grandi imprese che si trovano in situazione di temporanea difficoltà finanziaria connessa all’emergenza epidemiologica da COVID-19, attraverso la concessione di finanziamenti agevolati.

Il Fondo, istituito dall’art. 37 del D.L. n. 41/20201 e disciplinato dal D.M. del 5 luglio 2021, opera ai sensi del Quadro Temporaneo per le misure di aiuto distato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19, di cui alla comunicazione C(2020) 1863 final del 19 marzo 2020 e successive modificazioni e integrazioni.

La Commissione europea, con decisione C(2021) 6125 final del 16 agosto 2021, ha autorizzato il regime di aiuti relativo agli interventi del predetto Fondo.

Fondo Imprese in difficoltà (GID)a chi si rivolge

Possono beneficiare delle agevolazioni le grandi imprese, anche in amministrazione straordinaria, operanti sul territorio nazionale e in qualsiasi settore economico che, alla data di presentazione della domanda di agevolazione:

  • versano in situazione di temporanea difficoltà finanziaria, in relazione alla crisi economica connessa con l’emergenza epidemiologica da Covid-19;
  • presentano prospettive di ripresa dell’attività;
  • sono regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese;
  • hanno una sede legale e operativa ubicata sul territorio nazionale;
  • non rientrano tra le imprese che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato, gli aiuti individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea;
  • non sono sottoposte a procedure concorsuali con finalità liquidatorie;
  • hanno restituito somme dovute a seguito di provvedimenti di revoca di agevolazioni concesse dal Ministero dello sviluppo economico;
  • non sono destinatarie di una sanzione interdittiva;
  • i cui legali rappresentanti o amministratori non sono stati condannati, con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati che costituiscono motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di appalto o concessione ai sensi della normativa in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture vigente alla data di presentazione della domanda.

Fondo GIDcosa finanzia

Ai fini dell’accesso alle agevolazioni, le imprese devono presentare un piano di rilancio, realistico e credibile, dell’azienda o di un suo asset, che illustri:

  • le azioni che si intendono porre in essere per sostenere la ripresa o la continuità dell’attività d’impresa;
  • le prospettive di collocazione dell’impresa sul mercato, fornendo elementi giustificativi sullo stato di difficoltà temporaneo e sulla capacità di rimborso integrale del finanziamento eventualmente concesso;
  • le azioni che saranno individuate per ridurre gli impatti occupazionali connessi alla situazione di temporanea difficoltà finanziaria;
  • le esigenze di liquidità per il prosieguo dell’attività, nonché le eventuali ulteriori azioni che si intendono intraprendere ai fini di una eventuale operazione di ristrutturazione aziendale.

Fondo Imprese in difficoltàle agevolazioni

Le agevolazioni sono concesse nella forma di finanziamento agevolato, definito in conformità con il punto 27, lettera a), del “Quadro temporaneo”, da restituire in cinque anni.

L’importo complessivo non può essere superiore, alternativamente:

  • al doppio della spesa salariale annua dell’impresa proponente per il 2019 o per l’ultimo esercizio disponibile, compresi gli oneri sociali e il costo del personale che lavora nel sito dell’impresa ma che figura formalmente nel libro paga dei subcontraenti. Nel caso di imprese create a partire dal 1°gennaio 2019, l’importo massimo del finanziamento non può superare i costi salariali annui previsti per i primi due anni di attività;
  • al 25% del fatturato totale dell’impresa proponente nel 2019.

L’importo del finanziamento concesso alla singola impresa o al gruppo di imprese beneficiare non può, in ogni caso, eccedere, 30 milioni di euro.

Fondo Grandi Imprese in difficoltà: come e quando fare domanda

Con il Decreto Direttoriale 3 settembre 2021, sono stati definiti i termini e le modalità di presentazione delle domande di accesso al Fondo.

Le domande possono essere presentate a decorrere dalle ore 12:00 del giorno 20 settembre 2021 e fino alle ore 11:59 del giorno 2 novembre 2021, attraverso apposita procedura informatica, accessibile dal sito dell’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. – Invitalia.

La modulistica necessaria per la presentazione della domanda sarà resa disponibile sul sito internet della medesima Agenzia prima dell’apertura dei termini di presentazione delle domande.

Per l’accesso alla piattaforma, è richiesta l’identificazione del compilatore della domanda, legale rappresentante del soggetto proponente, tramite l’utilizzo del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID).


Patto di non concorrenza dei lavoratori: cos’è e come funziona

Il patto di non concorrenza dei lavoratori dipendenti nel diritto del lavoro è una clausola contrattuale che può essere apposta nel contratto individuale di lavoro di comune accordo fra datore e lavoratore subordinato (art 2125 cc). Quando un rapporto di lavoro cessa sia per dimissioni che per licenziamento può nascere nel datore di lavoro il sospetto che l’ex dipendente abbia trovato una nuova occupazione presso la concorrenza, portando con sé conoscenze ed esperienze maturate all’interno della sua azienda.

Come può un datore di lavoro tutelarsi e cercare di evitare questa situazione? È ovvio che questo tipo di dubbio si insinua al termine del rapporto di lavoro; questo perchè in costanza di rapporto di lavoro, il lavoratore per legge è assoggettato all’obbligo di fedeltà.

Ecco i dettagli della clausola di non concorrenza, ma prima ricordiamo in breve cos’è l’obbligo di fedeltà del dipendente.

Obbligo di fedeltà del lavoratore dipendente

Questo obbligo consiste nel non trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore; al tempo stesso il lavoratore non può nemmeno divulgare notizie strettamente legate all’organizzazione e alla produzione dell’impresa. Così come recita l’art. 2105 codice civile:

il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio

Va da sé che terminato il rapporto di lavoro per il lavoratore sarà immediato cercare un nuovo impiego nello stesso settore; avendo maturato molteplici capacità e di conseguenza avere contatti con aziende concorrenti.

Leggi anche: Obbligo di fedeltà del lavoratore dipendente: cosa sapere

Patto di non concorrenza lavoratore: cos’è

Come può il datore di lavoro cercare di tutelarsi? Una delle soluzione è quella di stipulare tra le parti un patto di non concorrenza ovvero di inserire nel contratto individuale di lavoro all’atto dell’assunzione del lavoratore una clausola di non concorrenza. Lo stesso può essere approvato anche con una nuova stipula in un periodo successivo, quindi quando il rapporto di lavoro è già avviato.

Lo scopo è proprio quello di regolamentare il periodo successivo alla cessazione del rapporto; i patti di non concorrenza vengono definiti come contratti a prestazioni corrispettive, a titolo oneroso per il quale occorre l’interesse di entrambe le parti, il cui vincolo si perfeziona con la pattuizione e l’effetto finale si spiega dopo la cessazione del rapporto.

Patto di non concorrenza: cosa prevede il codice civile

Il patto in oggetto è disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile il quale recita:

il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.

La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.

Non concorrenza per dirigenti, ma anche per impiegati e operai

È errato pensare che questo tipo di pattuizione valga solo per i dirigenti; in realtà può essere stipulato con qualsiasi lavoratore e per qualsiasi attività che possa essere oggetto di concorrenza con altri imprenditori.

Patto di non concorrenza dipendente: corrispettivo, durata e territorio

Affinché questo patto tra le parti sia valido deve essere previsto in forma scritta e prevedere un’erogazione economica. Il vincolo riguarda l’oggetto del patto, la durata temporale e il territorio.

Vediamo nello specifico le caratteristiche. Considerando che lo scopo principale del patto è quello di salvaguardare l’attività lavorativa del datore di lavoro impedendo fuga di notizie e modalità operative di svolgimento della produzione stessa, deve esserci qualcosa che susciti interesse nel lavoratore che viene limitato nella scelta di una nuova occupazione; l’interesse nasce dal corrispettivo economico pattuito.

Se è vero che il sacrificio del lavoratore viene ricompensato in termini economici è pur vero che i vincoli imposti dal datore di lavoro al termine del rapporto non possono essere illimitati; né in termini di durata temporale né in termini di area geografica.

Allo stesso modo l’ampiezza del vincolo imposto non può essere tale da impedire una nuova ricollocazione nel modo del lavoro.

Durata e territorio nel patto di non concorrenza

Per quanto riguarda la durata del patto di non concorrenza questa non può essere superiore a 5 anni per i dirigenti, 3 anni per tutti gli altri lavoratori. Questo significa che se fosse inserita una pattuizione di durata maggiore, la stessa si riduce automaticamente ai limiti di cui sopra.

La seconda caratteristica da considerare nell’indicazione del patto di non concorrenza è il territorio. Innanzitutto una limitazione geografica deve essere espressamente indicata e allo stesso tempo sono nulle le indicazioni troppo estese o troppo generiche (es. limitazioni riguardanti tutto il territorio europeo), proprio perché si impedirebbe totalmente al lavoratore la possibilità di impiegarsi nuovamente.

Patto di non concorrenza corrispettivo: minimo e a percentuale

La questione più spinosa riguarda il corrispettivo, ma allo stesso tempo è anche la parte più importante. Spinosa da un lato perché sebbene la normativa dia una definizione specifica del concetto non dà alcun riferimento economico per una misura ritenuta idonea.

Abbiamo al contrario indicazione del fatto che l’importo non può essere né simbolico né tanto meno sproporzionato in relazione al sacrificio richiesto. Ciò significa che più è elevato il sacrificio in relazione a territorio, al settore e alla durata del patto e maggiore dovrà essere l’importo erogato al lavoratore.

Questo proprio per riagganciarci al concetto principale: nessun corrispettivo economico può essere considerato congruo alla totale impossibilità di trovare un nuovo impiego.

Come avviene il pagamento pagamento

Altro aspetto di cui la norma non dice nulla riguarda la modalità di pagamento. In considerazione di ciò si ritiene possa essere lecito un pagamento:

  • con cadenza mensile
  • oppure interamente al momento della cessazione del rapporto di lavoro,
  • o rateale dal momento in cui cessa il rapporto di lavoro per tutta la durata del vincolo stesso.

Difesa del datore di lavoro in caso di mancato rispetto del patto

Sebbene a livello normativo il lavoratore che accetta un patto di non concorrenza e riceve il corrispettivo pattuito debba rispettare il patto stesso, può capitare che qualche lavoratore voglia infrangere le regole e avviare una collaborazione o un’attività in contrasto con il suo patto.

Come può difendersi in questo caso il datore di lavoro? Quando, purtroppo, ci si trova in una soluzione simile il datore di lavoro può fare ricorso d’urgenza secondo l’art. 700 codice procedura civile:

“chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”

ciò significa che se il datore di lavoro riscontra che vi sia pericolo per la propria attività in relazione alla violazione del patto il Tribunale può emanare un’ordinanza di cessazione dell’attività.

Oppure senza ricorrere ad una situazione estrema come quella appena descritta si può prevedere fin dalla stipula del patto di non concorrenza un’apposita penale in caso di inadempimento.


Buoni pasto 2021: novità, importi e tassazione del buono pasto

Buoni pasto 2021: quali sono gli importi, a chi spettano e qual è la loro tassazione? L’ultima importante novità in ordine di tempo riguarda l’uso dei buoni pasto in smart working; mentre la Legge di Bilancio 2020 aveva variato agli importi esclusi dalla tassazione relativamente ai ticket pasto elettronici e cartacei. La norma era stata prevista per spingere all’uso dei buoni pasto elettronici (tracciabili) a discapito di quelli cartacei.

Partiamo col dire che i ticket buoni pasto sono una delle modalità con cui il datore di lavoro può riconoscere servizi di ristoro ai propri dipendenti in sostituzione della mensa aziendale. Consistono in documenti cartacei o elettronici che danno al lavoratore il diritto di ottenere, in esercizi convenzionati, la somministrazione di alimenti, bevande e prodotti alimentari pronti per il consumo per un importo pari al valore del buono medesimo.

Oltre a dover sottostare a precise regole di utilizzo, la normativa prevede che i ticket godono di una tassazione di favore, con la previsione di una soglia giornaliera esclusa da contributi e tasse, con evidenti benefici per dipendenti e aziende.

Vediamo quindi cosa c’è da sapere su questo importante benefit per il lavoratore dipendente e quali sono le novità previste in materia.

Buoni pasto: come funzionano e a chi spettano

In alternativa al buono pasto, il datore può mettere a disposizione dei dipendenti un servizio pasti attraverso:

  • Mensa aziendale con gestione propria o affidata in appalto a società esterne;
  • Mensa esterna presso apposite strutture;
  • Indennità sostitutiva della mensa, riconosciuta in assenza del servizio mensa o corrisposta comunque quando il lavoratore non se ne avvale.

L’azienda è libera di scegliere (Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E del 23/12/97), tra le modalità citate, quella più idonea alle proprie esigenze, con la possibilità di una compresenza tra le stesse.

Ad esempio, per una categoria di dipendenti si può istituire il servizio mensa, per un’altra si concedono i ticket. E’ da escludere, da parte dello stesso dipendente e nella medesima giornata lavorativa, l’utilizzo sia del servizio mensa che del ticket ristorante, ottenendo peraltro la tassazione di favore riconosciuta agli stessi. I più famosi e più usati sono: day buoni pasto, buoni pasto pellegrini, sodexo ecc.

Normativa buoni pasto

La normativa sui buoni pasto è di recente cambiata con il Decreto Ministero dello Sviluppo Economico n. 122/2017. Questi possono essere dati ad oggi a:

  • Lavoratori subordinati, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario giornaliero non preveda una pausa per il pasto;
  • Chi ha instaurato con il committente un rapporto di collaborazione (esempio co.co.co.).

Le aziende comunque non sono obbligate ad erogarli, a meno che questi non siano espressamente previsti nei contratti collettivi o nella contrattazione di secondo livello o individuale. I ticket ristorante rientrano pertanto nella categoria dei cosiddetti fringe benefit concessi dal datore di lavoro.

Secondo una sentenza della Cassazione (sentenza n. 22702/2014) il diritto ai buoni sussiste anche nel caso in cui il dipendente abbia terminato il lavoro, ma i tempi di percorrenza non gli permettono di raggiungere l’abitazione entro l’esaurirsi della pausa.

I ticket sono utilizzabili esclusivamente dal titolare, non sono cedibili né commercializzabili o convertibili in denaro. Inoltre il Decreto MISE 122/2017 ha stabilito che non possono essere usati più di 8 ticket per volta. Tuttavia una recente nota dell’Agenzia delle Entrate ha specificato che la tassazione non deve essere applicata neanche se si usano in numero superiore ad 8 (vedi paragrafo a fondo pagina).

Come funziona il buono pasto

Buono pastoL’utilizzo del buono pasto non differisce a seconda che lo stesso sia in formato cartaceo o elettronico (tranne che per il suo uso). Il ticket è acquistato dal datore di lavoro direttamente dalla società emittente, legittimata all’esercizio di questa attività.

Una volta assegnati al dipendente (con eventuale addebito di una quota parte del loro valore se previsto da accordi aziendali) i buoni danno allo stesso (in qualità di titolare) il diritto ad ottenere un servizio di mensa di importo pari al valore del ticket, presso esercizi convenzionati con la società emittente. Possono essere utilizzati (art. 285 del D.P.R. n. 207/2010) durante la giornata lavorativa, anche se domenicale o festiva.

Il pubblico esercizio una volta ricevuti i buoni pasto dal lavoratore:

  • dovrà emettere e rilasciare apposito scontrino o ricevuta fiscale;
  • fatturerà i buoni ricevuti dai clienti alla società che li ha emessi.

Buoni pasto cartacei

buoni pasto cartaceiI buoni pasto cartacei sono ticket rilasciati al lavoratore in forma cartacea. Normalmente ogni buono pasto cartaceo ha un valore di 5,00 e può essere speso dal lavoratore per mangiare presso un ristorante o self-service convenzionato.

Il buono pasto cartaceo può essere usato anche per fare la spesa presso i negozi convenzionati. Tutti i negozi seguono regole proprie per accettare i buoni pasto (numero massimo, percentuale di buoni pasto rispetto alla spesa complessiva ecc.); tuttavia il massimo di buoni pasto spesi in unica spesa è 8 come vedremo in seguito.

Nel caso di buono pasto cartaceo la detassazione può arrivare ad un importo giornaliero massimo di 5.29 euro (dal 2020 4 euro).

Buoni pasto elettronici

buoni pasto elettroniciI buoni pasto elettronici hanno lo stesso funzionamento di quelli cartacei. La differenza però è che questi sono dematerializzati: non vengono cioè rilasciati sotto forma di ticket, ma vengono caricati su una sorta di carta di credito magnetica, che potrà poi essere usata dal lavoratore.

Anche in questo caso quindi il buono pasto elettronico può essere speso dal lavoratore per mangiare presso un ristorante o self-service convenzionato oppure può essere usato per fare la spesa presso i negozi convenzionati.

Nel caso di ticket pasto elettronico la detassazione può arrivare ad un importo giornaliero massimo di 7 euro (dal 2020 8 euro).

Leggi anche: Buoni pasto elettronici: come funzionano e dove usarli

Buoni pasto busta paga

Altro metodo previsto dalla normativa è quello di inserire in busta paga l’indennità sostitutiva di mensa. Non sono veri e propri buoni pasto in busta paga, ma si tratta di una erogazione ovvero di una voce aggiuntiva del cedolino che rientra tra i servizi sostitutivi di mensa e che l’azienda può erogare ai propri dipendenti.

L’indennità sostitutiva di mensa è quindi un importo che viene versato direttamente nella busta paga del lavoratore, come forma di indennizzo per l’assenza di una mensa aziendale dove poter consumare i pasti durante l’orario di lavoro. Questa indennità non rientra fra i fringe benefit e pertanto non è soggetta a tassazione agevolata, ma viene tassata per il suo intero importo; ovvero come se si trattasse di ore di lavoro ordinarie per intenderci (con relativa tassazione IRPEF, INAIL e INPS).

Caratteristiche dei ticket pasto e assegnazione

Le caratteristiche del buono pasto differiscono naturalmente a seconda del formato. Il buono cartaceo deve contenere:

  • Codice fiscale o ragione sociale del datore e della società emittente;
  • Valore del buono (cosiddetto “valore facciale”) espresso in euro;
  • Termine di utilizzo;
  • Spazio per apporre data di utilizzo, firma del lavoratore / titolare, timbro dell’esercizio convenzionato in cui il buono è stato utilizzato;
  • Dicitura che riporta “il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di 8 buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”.

Nel buono elettronico i dati relativi al datore, alla società di emissione e al titolare sono memorizzati direttamente nel supporto utilizzato (la forma comune è quella del tesserino con banda magnetica simile ad un bancomat o carta di credito).

In materia di assegnazione dei buoni pasto è opportuno considerare che la loro tassazione di favore è legata al riconoscimento degli stessi alla generalità dei dipendenti o a loro categorie omogenee (Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E del 23/12/97).

In entrambi i casi è consigliabile un apposito accordo aziendale che contenga una sintesi della normativa in materia, le condizioni di utilizzo e il valore del singolo buono, oltre a fornire un’apposita informativa al dipendente all’atto dell’assunzione.

Ticket pasto: quanto vale

Il valore del singolo buono pasto è attribuito dalla società emittente, generalmente nel limite di 10 euro cadauno, permettendo ai datori di scegliere tra ticket con differenti fasce di importo.

Importi ticket buoni pasto: novità Legge di Bilancio 2020

I buoni pasto sono soggetti a tassazione e contribuzione solo per la parte che eccede euro 5,29 complessivi giornalieri ovvero euro 7 nel caso in cui gli stessi siano in formato elettronico.

Dal 2020 tuttavia, per effetto delle novità apportate dall’ultima Legge di Bilancio, gli importi esclusi dalla tassazione variano così come segue:

Importi buoni pasto 2021 esclusi dalla tassazione
Buoni pasto cartacei detassati fino a 4 euro (in precedenza 5,29)
Buoni elettronici detassati fino a 8 euro (in precedenza 7)

L’eventuale concessione dei buoni pasto nei giorni non lavorativi rende gli stessi interamente soggetti a tassazione. Ad ogni modo, anche se soggetto in parte a contributi e tasse, il valore dei buoni pasto, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi (anche aziendali), non è considerato retribuzione.

Buoni pasto lavoratori in smart working

Buoni pasto lavoratori in smart working: con un recente interpello l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche per i lavoratori in smart working si applica la tassazione agevolata prevista per i buoni pasto sia cartacei che elettronici (interpello numero 956-2631/2020 Direzione Regionale del Lazio).

Leggi anche: buoni pasto smart working

Uso cumulativo di 8 ticket pasto

Secondo le ultime disposizioni (Decreto Ministero Sviluppo Economico n. 122/2017) i buoni pasto sono cumulabili nel limite di 8; si tratta tecnicamente del limite all’uso cumulativo di ticket pasto.

Tuttavia una recente nota dell’Agenzia delle Entrate ha specificato che il datore di lavoro è tenuto non applicare la tassazione se gli importi dei singoli ticket rimangono entro i limiti dei 5.29 e dei 7 euro come detto sopra. Nulla cambia quindi per la tassazione se questi vengono usati in unica spesa in un numero superiore agli 8.