Sono state depositate poco dopo le 12 al Tribunale di Torino le motivazioni della sentenza del processo Eternit. Il documento spiega, in oltre 700 pagine, le ragioni della condanna in primo grado dei due ex manager della multinazionale dell’amianto, Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier, a 16 anni di carcere pronunciata lo scorso 13 febbraio. I due dirigenti erano accusati di disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
“Emerge tutta l’intensità del dolo degli imputati – si legge nel dispositivo – perchè nonostante tutto hanno continuato e non si sono fermati nè hanno ritenuto di dover modificare radicalmente e strutturalmente la situazione al fine di migliorare l’ambiente di lavoro e di limitare per quanto possibile l’inquinamento ambentale”.
”Perche’ continuare se si moriva di amianto?”. E’ racchiusa in questa ”semplice domanda” posta da una testimone, una donna di Casale Monferrato che ha perso il marito, la sorella, un nipote, la cugina e una figlia, la ragione della condanna a 16 anni di carcere per i vertici dell’Eternit: lo si legge nelle motivazioni della sentenza.
La tesi è che i due imputati fossero da tempo consapevoli dei problemi per la salute e l’ambiente (viene citato in particolare uno studio medico scientifico di Selikoff risalente già al 1968) ma non intervennero e, anzi, minimizzarono i rischi.
I giudici citano le parole di Romana Blasotti, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: ”Non riuscivo a capire come poteva succedere che una persona potesse morire di lavoro”. La donna ”aveva ben compreso – si legge – che di amianto si moriva” e si è chiesta ”perchè continuare?”.
Questa ”semplice domanda”, secondo il tribunale, fa emergere il dolo di elevatissima intensità dei due imputati.
(ansa)