Archivi giornalieri: 16 febbraio 2011

Congedi di maternità, gli Stati membri tirano il freno

Speriamo che …..

donnaincinta1.jpgNella sessione plenaria del 18-21 ottobre 2010 il Parlamento europeo aveva approvato a larga maggioranza il progetto di direttiva che dovrebbe fissare nuove regole minime per i congedi di maternità. Il testo licenziato dall’Europarlamento porta il periodo di congedo obbligatorio da 14 a 20 settimane, tutte remunerate al 100% dell’ultima retribuzione o della retribuzione mensile media, e prevede che nei paesi con regimi di congedo parentale per entrambi i genitori, le ultime 4 settimane debbano essere considerate come congedo di maternità, retribuite almeno al 75% dello stipendio.  Il progetto di direttiva approvato a Strasburgo va quindi oltre la proposta della Commissione europea, che era di 18 settimane, con pagamento al 100% dello stipendio soltanto nelle prime 6 settimane.  Gli Stati membri devono inoltre garantire ai padri un congedo di paternità retribuito, di almeno 2 settimane.

La proposta del Parlamento europeo si è però scontrata a dicembre 2010 con il forte disaccordo espresso dagli Stati membri durante il Consiglio Occupazione, affari sociali e pari opportunità, dove la maggior parte dei ministri ha espresso grandi preoccupazioni per il costo eccessivo di queste misure. La Presidenza belga, che aveva caldeggiato l’esito positivo di questo dossier, ne ha quindi affidato le sorti alle successive presidenze di Ungheria e Polonia. È probabile, a questo punto, che venga abbandonata la proposta dell’Europarlamento, che era stata salutata con una certa soddisfazione dai sindacati europei, per tornare al testo originario della Commissione.

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Servizi sociali: arriva la scure, nessuno protesta

NEWS

Tagli, tagli, tagli……

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I “tagli” hanno colpito pesantemente la spesa pubblica, negli ultimi anni. E hanno soprattutto colpito la spesa per i servizi sociali. E ciò è avvenuto in un periodo in cui i bisogni sono in aumento, come nel caso degli anziani non autosufficienti, e, appunto, le risorse diminuiscono, creando così notevoli difficoltà soprattutto alle Regioni e agli altri enti locali.

E stupisce il silenzio che regna intorno a questi tagli. Rispetto ad altri paesi la comunicazione pubblica sul welfare dei servizi è molto carente e frammentaria. Quello dei tagli di spesa sembra essere un tema troppo tecnico per essere affrontato dai media nazionali. Non c’è stato un vero dibattito sui tagli possibili: in quale modo esercitarli, chi preservare dalle scelte più difficili, che cosa mantenere e che cosa sacrificare.

Persino sull’azzeramento del fondo per la non autosufficienza, 400 milioni di euro che vengono a mancare da quest’anno, le reazioni sono state a dir poco modeste da parte di sindacati, associazioni del terzo settore e soprattutto dell’associazione dei Comuni. Sono loro infatti che più di tutti pagheranno il taglio, perché prevalenti beneficiari di un fondo a destinazione sociale, che l’anno scorso ha rappresentato un quarto della loro spesa sociale per la terza età.

L’unico “successo” si è registrato per il non profit, con i fondi in parte ripristinati sul 5 per mille. Per il resto il panorama è desolante. A partire dal fondo nazionale per le politiche sociali che quest’anno è stato ridotto a 275 milioni di euro (erano più del triplo solo tre anni fa). Il fondo per la famiglia è passato dai 185 milioni dell’anno scorso a 51. Poi ci sono i fondi letteralmente svuotati: dopo il piano straordinario per i nidi è toccato al fondo per la non autosufficienza.

Altri, come quello per gli affitti, sono ridotti a una cifra simbolica: giovani coppie e famiglie in crisi potranno sperare quasi soltanto negli aiuti che Regioni e Comuni hanno deciso di mantenere. Mentre le riduzioni sul servizio civile rischiano di mortificare un’esperienza il cui valore è riconosciuto a livello europeo. Nel complesso, se nel 2008 per i principali fondi sociali lo stanziamento superava i due miliardi di euro, quest’anno siamo a meno di un quarto. I tagli colpiscono la rete dei servizi, erogati a livello locale. Prestazioni gestite a livello nazionale, preponderanti in termini di spesa, non sono state minimamente sfiorate da alcuna ipotesi di riforma. Valga per tutti l’esempio dell’indennità di accompagnamento: una misura granitica per cui verranno spesi quest’anno tredici miliardi di euro.

Tutti i servizi sociali dei comuni italiani costano la metà di questa sola misura: 6,6 miliardi nel 2008 secondo l’Istat. Il messaggio che il governo manda è esplicito: ci disimpegniamo dal welfare dei servizi, mentre manteniamo salda la gestione del welfare monetario, quello che riguarda i vari assegni familiari, per l’assistenza e l’invalidità. Un insieme di misure ingessate, poco efficienti e perequative, che assorbono i quattro quinti della nostra spesa sociale. Il divario tra domanda di aiuti e risorse disponibili si allarga particolarmente per i non autosufficienti. Per loro oggi l’offerta di assistenza poggia essenzialmente su due colonne portanti.

Da una parte, la rete dei servizi domiciliari, residenziali e intermedi, che Regioni ed altri enti locali erogano. Per mantenere e sviluppare questa rete, ancora sotto-dotata rispetto a molti paesi europei, le Regioni dovranno sempre più attingere risorse dalla sanità e dal socio-sanitario, che presentano disponibilità ben maggiori del sociale. Con il rischio di “sanitarizzare” l’assistenza, di spostarla verso le situazioni più gravi e di ridurne i contenuti più propriamente sociali, di accompagnamento, promozionali, preventivi.

Dall’altra, un’erogazione monetaria nata trent’anni fa e da allora mai migliorata, l’indennità di accompagnamento, insensibile alle condizioni economiche di chi la percepisce e priva di alcun vincolo di utilizzo, quindi votata a essere la fonte primaria del welfare fai-da-te, quello del mercato sommerso delle assistenti familiari.

Sarebbe necessaria invece una vera ristrutturazione della spesa sociale: per riformare le erogazioni monetarie nazionali di tipo sociale, superandone i crescenti limiti; per rafforzare un sistema dei servizi penalizzato in Italia a favore dei trasferimenti economici; per qualificare in modo non episodico il lavoro privato di cura.

Spot Inca Cgil

Disorientamento

disorientamento1.jpgLo spot della nuova campagna istituzionale Inca Cgil si intitola “Disorientamento”. E’ una parodia del disorientamento dei giovani, i più esposti alla precarietà del lavoro e alle incertezze del futuro, dove tutto diventa possibile, anche una strana quanto comica “rivolta delle macchine”, che incute sconcerto, timore e poi la rassegnazione, interrotta da voce fuori campo che avverte: “Il mondo del lavoro sta cambiando. Non rassegnarti alle sorprese”.

Lo spot, in un incessante susseguirsi di situazioni che richiamano la sfiducia e il timore di non essere più capaci di riconoscere il confine tra realtà e fantasia, vuole essere la provocazione dell’Inca, il patronato della Cgil, per incitare i giovani a lottare per difendere la loro identità, i loro diritti, sia nel lavoro che nella vita.

Lo spot sta uscendo sulla La7 e prossimamente lo si potrà vedere nella pagine di repubblica.it e corriere.it e, nel prossimo mese di marzo, nelle sale cinematografiche di tutta Italia.

Ma lo spot sta girando anche su you tube e sulla pagina Facebook IncaGiovani. Se ne parla anche sulle pagine del Corriere della Sera di ieri nella rubrica di Enrico Marro e sul blog http://summonte.splinder.com/.