Archivi giornalieri: 28 gennaio 2011

Da Amsicora a Deledda, i grandi dell’isola

 

CAGLIARI. Nel 238 a.c. Roma conquista la Sardegna, nel 1297 Bonifacio VIII crea il regno di Sardegna e Sicilia. L’isola riappare nei libri di storia col regno sardo-piemontese, con un po’ di fortuna si può trovare a margine la Brigata Sassari, e forse due trafiletti su Emilio Lussu e Antonio Gramsci. La storia la scrivono i vincitori e la nuova fatica di Francesco Casula, «Uomini e Donne di Sardegna», presentata martedì nella Biblioteca Regionale di Cagliari, è la risposta che lo studioso intende dare agli storici italiani, che hanno sempre tralasciato di documentare la storia sarda. Il sottotitolo del libro, pubblicato dalla Alfa Editrice, è appunto «le Controstorie» e tra le sue pagine si trovano le 15 biografie dei personaggi che hanno fatto grande questa terra. Quattro donne e undici uomini che hanno saputo eccellere nelle loro arti e scienze, come l’unica donna italiana vincitrice del nobel per la letteratura, Grazia Deledda, paragonata ai prosatori russi, o come Sigismondo Arquer, intellettuale di livello europeo, che cooperò alla stesura della Cosmografia di Sebastian Münster. Fino agli intellettuali contemporanei

Eliseo Spiga e Francesco Masala, i quali hanno collaborato col professor Casula sui temi della sardità e della lingua. Francesco Casula intende smuovere le colonne portanti della metodologia storica italiana, infatti afferma: «Dopo storici come Braudel, Marc Bloch e Lefebvre, i quali ci hanno insegnato che la storia è come il maiale, non si butta via niente, gli studiosi italiani ancora si ostinano a snobbare la storia locale».

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Il professor Casula spiega di aver esaminato 400 libri storici, trovandovi sempre identiche pecche. Durante la conferenza, per buona parte tenuta in limba, Frantziscu Casula ha inoltre sottolineato l’importanza dell’insegnamento della cultura e della lingua sarda alle nuove generazioni, per eliminare quel «senso di straniamento che coglie gli studenti di questa scuola nazionale» a detta dello studioso «nordista, metropolitana e maschilista». Una condizione indispensabile per ricostruire una «statualità» sarda.
Pierluigi Carta

Da La Nuova Sardegna del 27 gennaio 2011 —   pagina 02   sezione: Cagliari


Ilo: nel mondo 200 milioni di disoccupati

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Lo scoraggiamento dei giovani

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Nonostante la ripresa dell’economia mondiale (confermata anche dagli ultimi dati del Fmi), la disoccupazione resta su livelli preoccupanti e non accenna a diminuire. Al mondo ci sono circa 205 milioni di persone senza lavoro, ma questo senza tenere conto di chi ha rinunciato a cercarsi un’occupazione. E’ quanto emerge dal rapporto “Global employment trends 2011” pubblicato dall’Ilo (International Labour Organisation).

Nel 2010 dunque la disoccupazione globale si è attestata al 6,2% della forza lavoro, all’incirca lo stesso livello del 2009. Mentre prima della crisi economica iniziata nel 2007, la disoccupazione globale era al 5,6%.

Il rapporto mostra che il 55% dell’aumento della disoccupazione mondiale verificatosi fra il 2007 e il 2010, è dovuto alle economie sviluppate e all’Unione Europea (UE), sebbene questa regione rappresenti soltanto il 15% della forza lavoro mondiale. In numerosi paesi in via di sviluppo, come Brasile, Kazakistan, Sri Lanka, Thailandia e Uruguay, il tasso di disoccupazione è sceso al di sotto dei livelli registrati prima della crisi.  

In prospettiva, l’Ilo prevede che nel 2011 la disoccupazione resterà sostanzialmente stabile (al 6,1%) e questo perché “molte economie semplicemente non generano sufficienti opportunità occupazionali per assorbire l’ingresso di nuovi soggetti in età da occupazione”. Ed è chiaro, secondo l’organizzazione internazionale, che “l’attuale ripresa economica non sta ancora portando ad una sufficiente espansione delle opportunità di lavoro in molti Paesi”.

Il rapporto aggiunge che nel 2009 circa 630 milioni di lavoratori (il 20,7 per cento della manodopera mondiale) vivevano insieme alle loro famiglie al di sotto della soglia di povertà estrema di 1,25 dollari al giorno. Inoltre, la crisi ha creato circa 40 milioni di nuovi lavoratori “estremamente poveri”. Questo è anche dovuto ad un ritorno di molte persone verso l’occupazione agricola, mentre quella industriale è in declino.

Particolare preoccupazione desta la situazione dell’occupazione giovanile che, seppure in lieve ripresa nel 2010, è ancora ben al di sotto dei livelli del 2007. “Nei 56 Paesi presi in considerazione – scrive l’Ilo – mancano all’appello 1,7 milioni di giovani lavoratori rispetto alle stime basate su trend di lungo periodo. E questo indica che lo scoraggiamento tra i giovani è aumentato fortemente”.

In alcuni paesi la situazione da questo punto di vista è particolarmente grave. La Spagna ad esempio ha una disoccupazione giovanile al 40%, mentre nel sud est asiatico e nell’area del Pacifico i giovani sono 4,7 volte più portati alla disoccupazione degli adulti. E sempre l’Ilo sottolinea come una delle cause della rivoluzione in Tunisia sia stata il crescente numero di giovani disoccupati: l’Ilo stima infatti che in nord Africa ci sia “un allarmante” 23,6% di giovani disoccupati.

Un altro dato allarmante offerto dall’Ilo è quello sul “lavoro vulnerabile”. Sulla base dei dati disponibili, scrive l’organizzazione, l’attuale stima di lavoratori con occupazione vulnerabile è di 1,53 miliardi, ovvero il 50,1% del totale dei lavoratori mondiali. In altre parole un lavoratore su due al mondo è “precario”, nel senso che il suo lavoro è a rischio.

Secondo l’Ilo dunque, “è essenziale impostare una ripresa che sia ricca di lavoro e sostenibile”, si legge nel rapporto. E questo perché “i ritardi nella ripresa del mercato del lavoro aggravano i tremendi costi umani della recessione, da un punto di vista economico, sociale e di salute”.

 

rassegna.it

Pubblico impiego – Permessi e disabilità

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Pubblico impiego – Permessi e disabilità

Sì ai permessi retribuiti anche se il disabile è lontano

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Il dipendente pubblico ha diritto ai permessi mensili retribuiti anche se il familiare disabile cui bisogna prestare assistenza non solo non è convivente, ma risiede in una città lontana da quella in cui opera l’impiegato dell’amministrazione. E la situazione non cambia laddove il lavoratore afferisca a una categoria comunque legata ad una sede di servizio stabile come accade agli appartenenti alle forze di polizia. Lo precisa la sentenza n. 63/2011 del Tar Puglia, sezione terza.

Il requisito per la concessione del beneficio è che il dipendente si occupi del congiunto disabile con “continuità”. Il che, tuttavia, non significa che l’assistenza debba essere per forza quotidiana. E’ invece sufficiente che l’opera di supporto al familiare sia prestata dal pubblico impiegato in modo sistemativo: non risulta dunque di ostacolo la distanza chilometrica, pure rilevante, tra la casa del portatore di handicap e la sede di servizio del lavoratore tenuto a prendersi cura del congiunto.

Secondo il comando generale della Guardia di finanza, l’interpretazione del presupposto della continuità che esclude il requisito della quotidianità dell’impegno di assistenza non varrebbe per i pubblici dipendenti appartenenti alle forze di polizia che sono comunque legati a una sede di servizio stabile. Così facendo, tuttavia, prevarrebbe una lettura delle norme discriminatoria nei confronti di questa categoria di lavoratori.

Cassazione.net

Fondo vittime amianto

Fondo vittime amianto

Firmato il decreto interministeriale

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Il 13 gennaio 2011 è stato finalmente firmato il Decreto interministeriale relativo al Fondo vittime amianto.

Il decreto (non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che,  per alcuni aspetti non brilla per chiarezza, ha definito i destinatari e la misura della prestazione per gli anni 2008-2009-2010.

I beneficiari sono i titolari di rendita Inail (e del soppresso Ipsema), anche unificata, che hanno contratto patologie asbesto-correlate per esposizione all’amianto e alla fibra fiberfrax (materiale di coibentazione degli altiforni) e i superstiti di cui all’art. 85 T.U.1124/1965.

La prestazione è aggiuntiva alla rendita, erogata dall’INAIL, con decorrenza 1 gennaio 2008.

Per gli anni 2008 e 2009 è corrisposta in un’unica soluzione nella misura, per ciascun anno, del 20% della rendita, entro il  il 31 dicembre 2011; per l’anno 2010, nella misura del 15% entro il 30 giugno 2012.

A decorrere dal 2011 il regolamento stabilisce un meccanismo più contorto; innanzitutto si prevede l’erogazione di due acconti e un conguaglio, calcolati sulla base del rapporto tra le risorse annue effettivamente disponibili nel Fondo e la spesa sostenuta per le rendite erogate nell’anno di riferimento.

Il primo acconto è fissato nella misura del 10% dell’importo di ciascun rateo di rendita, il secondo, fino ad esaurimento delle risorse disponibili del Fondo provenienti dal bilancio dello Stato, in un unica soluzione, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento.

Il conguaglio poi, entro sei mesi dalla fine dell’esercizio successivo a quello in cui è stato erogato il primo acconto e sempre utilizzando le risorse annue disponibili nel Fondo, derivanti dagli oneri delle imprese.

La misura complessiva della prestazione aggiuntiva sarà determinata con decreto interministeriale.

Per il 2008 e 2009 l’onere a carico delle imprese è determinato in 10 milioni di euro annui  e, a decorrere dal 2010, in sette milioni e 333 mila euro.
A tali oneri si provvede con un’addizionale sui premi assicurativi da versare in un’unica soluzione per questi due anni.

Per gli anni successivi al 2010 la misura dell’addizionale potrà essere variata con decreto interministeriale  per effetto anche della eventuale crescita dei beneficiari di competenza Inail e del soppresso Ipsema.

Nel caso in cui agli aventi diritto non venga erogata dall’INAIL la prestazione, o venga erogata in misura non corretta, è prevista la possibilità di proporre ricorso secondo quanto disposto dall’art.104 del T.U.1124/1965.

Per ulteriori informazioni ci si può rivolgere alle sedi dell’Inca presenti su tutto il territorio nazionale.

Tagliola sui precari, 10 mila vertenze aperte

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Collegato lavoro

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“Abbiamo già registrato migliaia e migliaia di impugnazioni contro il collegato lavoro. Sono vertenze aperte solo tramite le strutture della Cgil al netto dei ricorsi collettivi della scuola. A queste si devono aggiungere altre migliaia di impugnazioni di altre organizzazioni sindacali”.

A proposito dei ricorsi contro gli effetti del cosiddetto collegato lavoro il segretario confederale Cgil Fulvio Fammoni dice “E tutto questo è avvenuto  nonostante i termini capestro di 60 giorni imposti dal governo e nonostante il ricatto occupazionale in questo periodo di crisi. In questa situazione sfavorevole, migliaia di lavoratori hanno deciso di non lasciar cadere i loro diritti e così la tagliola è scattata per il governo, responsabile di una legge sbagliata, ma anche per le tante imprese che hanno pensato di poter lucrare su questo colpo di spugna”.

Questo esito non era obbligato. “Si poteva fare diversamente – spiega Fammoni – la Cgil aveva chiesto di cambiare i termini con il milleproroghe e aveva spiegato alle associazioni delle imprese che cosa sarebbe successo”.

“Come avevamo previsto – dice Fammoni – questa prima fase si rivela un boomerang per chi l’ha pensata, ma restano gravi i problemi per il futuro. Non bisogna scordarsi di chi, non raggiunto dall’informazione, da lunedì vedrà decadere il suo diritto. Tuteleremo queste persone e anche questo tema finirà per arrivare rapidamente in Corte Costituzionale come è già successo per l’indennità onnicomprensiva di risarcimento per chi vince la causa per contratti a termine irregolari”.

La Cgil, ricorda ancora Fammoni, ha organizzato una mobilitazione straordinaria in questi mesi, ma da lunedì proseguirà nella sua battaglia a tutela dei lavoratori precari e contro le altre norme sbagliate e incostituzionali del collegato lavoro come la certificazione, l’arbitrato, l’apprendistato a 15 anni”. 

L’Osservatorio Cig della Cgil rielabora i dati Inps

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Nel 2010 580mila in cig, 8mila euro in meno a lavoratore

disoccupazione3.jpgPoco più di 1,2 miliardi di ore di cassa integrazione autorizzate, con più di un quarto delle quali in deroga, che tradotte vogliono dire circa 580mila lavoratori coinvolti e un taglio netto del reddito per oltre 4,6 miliardi di euro, pari a più di 8 mila euro per ogni singolo lavoratore. Queste alcune delle cifre contenute nelle nuove elaborazioni delle rilevazioni Inps da parte dell’Osservatorio cig del dipartimento Settori produttivi della Cgil Nazionale nel rapporto di dicembre. Il rapporto chiude il 2010 tracciandone quindi un bilancio. In termini di ricorso alla cassa integrazione l’anno passato fa registrare, secondo il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, “il risultato peggiore di sempre, andando oltre il punto più basso della crisi produttiva toccato nel corso del 2009, e che va letto in parallelo al tonfo degli ordinativi nell’industria registrato dall’Istat”. Da gennaio dello scorso anno a dicembre, nell’arco quindi dei 12 mesi, l’aumento complessivo delle ore di cig è stato del +31,7% sul 2009 per un totale di 1.203.638.249 ore di cassa autorizzate.

Il numero di lavoratori in cassa integrazione delinea, inoltre un’ampia area di “forzata inattività produttiva” che può essere calcolata all’interno della platea dei disoccupati. Sommando quindi i cassintegrati insieme agli ‘scoraggiati’ l’indice di disoccupazione complessivo oscilla tra il 10,7% (prendendo come riferimento il tiraggio presunto di Cig, ovvero 409.283 lavoratori) e l’11,4% (alla luce dei 580mila in cig a zero ore). Per quanto riguarda la platea di scoraggiati il rapporto di Corso d’Italia ricorda che lo scorso anno 114.562 persone hanno rinunciato ad iscriversi alle liste di collocamento. Secondo il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, “il debole segnale di ripresa sta tutto in queste cifre: senza un autorevole intervento del governo sulla politica fiscale, a vantaggio dei redditi medio bassi, e scelte politiche per la ripresa industriale, il paese non uscirà dalla attuale situazione, dove ormai sta, prepotentemente, aumentando la componente strutturale della crisi”.

Il Rapporto integrale su www.cgil.it

Lavoro sommerso

Caporalato: 550mila nuovi schiavi

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Il caporalato è una piaga che infetta sempre più il nostro paese. Tra campi e cantieri sono circa 550.000 le persone che in Italia lavorano sotto caporale. Queste le stime diffuse dalla Flai-Cgil, che per il settore agricolo calcola 400 mila sfruttati, e della Fillea-Cgil, che per l’edilizia ne conta almeno 150 mila. Per questo il sindacato lancia una campagna dal titolo ‘Stop caporalato’, con l’obiettivo di inserire nell’ordinamento penale il reato di caporalato.

Nell’edilizia durante “gli ultimi anni abbiamo assistito ad una forte espansione degli interessi delle organizzazioni criminali. A causa della crisi, dell’assenza di investimenti, della frammentazione e del sistema di gare al massimo ribasso, esse hanno potuto investire indisturbate denaro da ripulire e proprie imprese”, spiega la Fillea-Cgil in una nota. E aggiunge: ‘L’ultimo grande business è quello della gestione della manodopera. Si stima che almeno 150 mila siano i lavoratori gestiti dai caporali”.

Il sommerso colpisce oltre all’edilizia, anche l’agricoltura, dove si fa sentire soprattutto al Sud. Ci sono “400 mila lavoratori che vivono sotto caporale”, afferma la Flai-Cgil, e “60 mila lavoratori vivono in condizioni di assoluto degrado, in alloggi di fortuna e sprovvisti dei minimi requisiti di vivibilità ed agibilità”. A questi vanno aggiunti anche i lavoratori a cui “viene chiesto-imposto di aprire partita Iva, di accettare contratti part time (ovvero tempi pieni mascherati, con fuoribusta in nero), di accettare sottoinquadramento, di dichiarare meno ore lavorate (con fuoribusta in nero), di ricorrere ai permessi in caso di infortunio non grave”.

Secondo i sindacati, “a nulla servono, se non a confermare la gravità della situazione, iniziative come il Piano straordinario di vigilanza per l’agricoltura e l’edilizia nelle regioni Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, avviato nella scorsa estate dal Governo”. Per la Cgil “quel piano prevedeva una sinergica attività ispettiva ad opera delle forze dell’ordine, dell’Inps e dell’Inail ed aveva l’obiettivo di controllare un massimo di 10 mila aziende in territori dove solo di aziende agricole ce ne sono 600 mila.

I risultati di quel Piano sono giunti in questi giorni: “in agricoltura irregolarità nel 44 per cento delle aziende ed il 49 per cento dei lavoratori in nero; in edilizia irregolarità in oltre il 62 per cento delle imprese ed il 53 per cento di lavoratori in nero”. Secondo Flai e Fillea, dunque, “quel piano ha avuto l’effetto di una pagliuzza nell’occhio di un ciclope, c’é bisogno di molto altro per farlo vacillare”.

Le categorie Cgil degli edili e dell’agricoltura, Fillea e Flai, insieme alla Confederazione lanciano dunque la campagna ‘Stop caporalato’, per inserire nell’ordinamento penale il reato di caporalato, che, invece, oggi “è punito in caso di flagranza – fanno sapere le due organizzazioni – con una sanzione amministrativa di appena 50 euro per ogni lavoratore ingaggiato”. A questo scopo Fillea e Flai hanno messo a punto una proposta di legge: “l’affidiamo alle forze politiche ed alle commissioni parlamentari – spiegano – con la convinzione che si possa in breve tempo giungere ad un testo condiviso e alla sua rapida approvazione”.

Rassegna sindacale

Nell’inferno dei cantieri senza contratto

La testimonianza di un lavoratore

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Sono Sami Outtara, vengo dal Burkina Faso, uno Stato dell’Africa del nord-ovest. Ho lasciato il mio paese e la mia famiglia cinque anni fa, arrivando in Italia da clandestino a bordo di un barcone. Per sfuggire ai controlli mi sono buttato in mare, la fortuna che ho avuto è stata quella di essere ripescato da un peschereccio italiano e di essere aiutato dal capitano che, sentita la mia storia, mi ha accompagnato a terra, dandomi qualche soldo per poter iniziare il mio viaggio. Arrivato a Napoli ho conosciuto alcuni miei compaesani e con loro sono partito per la Calabria, destinazione Piana di Sibari, per raccogliere le arance.

Qui ho conosciuto la realtà dello sfruttamento fatta di dodici ore di lavoro al giorno, di paghe da fame tra i 18 e i 25 euro al giorno e di condizioni di vita disumane, costretto a dormire in casolari di fortuna, magazzini o capannoni, ammassati in centinaia. Arrivato a Cassano Jonio ho avuto la fortuna di incontrare dei ragazzi di Lauropoli, che insieme alla Camera del lavoro locale e all’Associazione la Kasbah mi hanno aiutato a ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Quando ho ricevuto il permesso di soggiorno la mia vita è cambiata, perché finalmente ho potuto circolare liberamente. Finalmente diventavo visibile. Dalla raccolta degli agrumi sono passato a lavorare nel settore edile. Per un lungo periodo ho lavorato in nero, sfruttato e malpagato, guai a parlare di contratti di lavoro, di garanzie e di diritti.

Una condizione che sono in tanti, in troppi, a vivere e di cui ipocritamente molti parlano solo quando qualche operaio muore sul cantiere: questa è la vita di migliaia di esseri umani che quotidianamente si battono contro i soprusi e le ingiustizie, in un mondo in cui le diseguaglianze fra ricchi e poveri sono troppe. Poi l’incontro con la Fillea Cgil, dove mi hanno spiegato i miei diritti e inserito in un percorso di formazione sindacale sul contratto e sulla busta paga, e allora ho cominciato a capire quali sono i miei diritti e a lottare per i diritti dei migranti.

Dopo un po’ di tempo ho avuto finalmente la possibilità di lavorare in una grossa azienda edile,  in un grosso cantiere. Qui sono diventato delegato sindacale e ho conosciuto veramente cosa significa lavorare con diritti e tutele. Arrivato sul cantiere all’inizio non è stato facile, perché in molti mi vedevano come uno che rubava il lavoro ai loro fratelli disoccupati, ma poi conoscendoci e confrontandoci, anche con l’aiuto degli altri operai iscritti alla Fillea, le cose sono cambiate fino al punto di diventare io stesso il loro riferimento sindacale, il loro delegato.

Oggi faccio parte del direttivo comprensoriale della Fillea Cgil di Castrovillari e del direttivo confederale della Camera del lavoro territoriale, dove abbiamo costruito il consiglio territoriale dell’immigrazione e a breve costituiremo il coordinamento migranti.

Rassegna sindacale.it

Welfare: Cgil chiede il ripristino del fondo per la non autosufficienza

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“E’ una scelta di civiltà”

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“Ripristinare il Fondo nazionale per la non autosufficienza come scelta di civiltà”. A chiederlo, in una nota, è il dipartimento Welfare della Cgil che fa sapere di “condividere e sostenere la proposta di emendamento al decreto milleproroghe per il ripristino del Fondo nazionale per la non autosufficienza, votato all’unanimità dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni”.

Secondo la Cgil, infatti, “la decisione del Governo di azzerare nel 2011 il Fondo, tagliando 400 milioni di euro da trasferire alle regioni a sostegno delle persone non autosufficienti, è una delle scelte più pesanti compiute con l’ultimo Patto di stabilità”.

Tale decisione, sostiene il sindacato, “se venisse confermata, comporterebbe inevitabilmente un aumento dei sacrifici economici e del lavoro di cura per milioni di famiglie che già sostengono la gran parte del carico assistenziale necessario a garantire una vita accettabile a chi non può più essere autonomo”.

“Ripristinare il Fondo Nazionale per la non autosufficienza – conclude la nota della Cgil -, garantendo anche nel 2011 i 400 milioni, è innanzitutto una scelta di civiltà”.

 

      (AdnkronoWs