Nell’inferno dei cantieri senza contratto

La testimonianza di un lavoratore

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Sono Sami Outtara, vengo dal Burkina Faso, uno Stato dell’Africa del nord-ovest. Ho lasciato il mio paese e la mia famiglia cinque anni fa, arrivando in Italia da clandestino a bordo di un barcone. Per sfuggire ai controlli mi sono buttato in mare, la fortuna che ho avuto è stata quella di essere ripescato da un peschereccio italiano e di essere aiutato dal capitano che, sentita la mia storia, mi ha accompagnato a terra, dandomi qualche soldo per poter iniziare il mio viaggio. Arrivato a Napoli ho conosciuto alcuni miei compaesani e con loro sono partito per la Calabria, destinazione Piana di Sibari, per raccogliere le arance.

Qui ho conosciuto la realtà dello sfruttamento fatta di dodici ore di lavoro al giorno, di paghe da fame tra i 18 e i 25 euro al giorno e di condizioni di vita disumane, costretto a dormire in casolari di fortuna, magazzini o capannoni, ammassati in centinaia. Arrivato a Cassano Jonio ho avuto la fortuna di incontrare dei ragazzi di Lauropoli, che insieme alla Camera del lavoro locale e all’Associazione la Kasbah mi hanno aiutato a ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Quando ho ricevuto il permesso di soggiorno la mia vita è cambiata, perché finalmente ho potuto circolare liberamente. Finalmente diventavo visibile. Dalla raccolta degli agrumi sono passato a lavorare nel settore edile. Per un lungo periodo ho lavorato in nero, sfruttato e malpagato, guai a parlare di contratti di lavoro, di garanzie e di diritti.

Una condizione che sono in tanti, in troppi, a vivere e di cui ipocritamente molti parlano solo quando qualche operaio muore sul cantiere: questa è la vita di migliaia di esseri umani che quotidianamente si battono contro i soprusi e le ingiustizie, in un mondo in cui le diseguaglianze fra ricchi e poveri sono troppe. Poi l’incontro con la Fillea Cgil, dove mi hanno spiegato i miei diritti e inserito in un percorso di formazione sindacale sul contratto e sulla busta paga, e allora ho cominciato a capire quali sono i miei diritti e a lottare per i diritti dei migranti.

Dopo un po’ di tempo ho avuto finalmente la possibilità di lavorare in una grossa azienda edile,  in un grosso cantiere. Qui sono diventato delegato sindacale e ho conosciuto veramente cosa significa lavorare con diritti e tutele. Arrivato sul cantiere all’inizio non è stato facile, perché in molti mi vedevano come uno che rubava il lavoro ai loro fratelli disoccupati, ma poi conoscendoci e confrontandoci, anche con l’aiuto degli altri operai iscritti alla Fillea, le cose sono cambiate fino al punto di diventare io stesso il loro riferimento sindacale, il loro delegato.

Oggi faccio parte del direttivo comprensoriale della Fillea Cgil di Castrovillari e del direttivo confederale della Camera del lavoro territoriale, dove abbiamo costruito il consiglio territoriale dell’immigrazione e a breve costituiremo il coordinamento migranti.

Rassegna sindacale.it

Nell’inferno dei cantieri senza contrattoultima modifica: 2011-01-28T12:09:00+01:00da vitegabry
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