IL MISTERO DEI NURAGHI (romanzo)

 

PRESENTAZIONE DEL LIBRO IL 15 MAGGIO ORE 17,00

presso Jolly hotel (circonvallazione Pirri -Cagliari-)

( Relatore Prof. Francesco Casula )
(Lettore Carmen Salis )

*

In tempi recenti si sono sviluppate alcune teorie che vedrebbero nella Sardegna la mitica isola di Atlantide, abitata, in tempi remoti, da un popolo evoluto in possesso di tecnologie avanzate, alcuni anni fa è avvenuto il ritrovamento delle statue di monte Prama che hanno fatto vacillare alcune certezze acquisite in precedenza; nella zona di Pauli Arbadei, gli abitanti locali riferiscono notizie sul ritrovamento di scheletri di notevole altezza successivamente occultati dalla scienza ufficiale. Seguendo questo filo enigmatico, nasce “Il mistero dei nuraghi”, un romanzo di avventura in terra sarda con personaggi dai nomi tipicamente locali. Tutto il racconto segue una trama fantastica e racchiude molte informazioni della nostra bella e misteriosa isola, informazioni che invitano a pensare e riflettere, esse vengono assimilate, senza diventare noiose, dall’incalzare degli avvenimenti. Chi ha letto, con soddisfazione, i racconti di Indiana Jones, anche qui troverà appagato il suo divertimento in una storia scorrevole e avventurosa dove i lettori sardi riconosceranno i luoghi e potranno identificarsi nel carattere aperto e gioviale dei personaggi, mentre i non sardi avranno modo di apprendere importanti informazioni della nostra cultura. Nel racconto, la fantasia e l’archeologia si fondono insieme lasciando spesso ampio spazio alla descrizione della realtà e dei luoghi.

Riporto di seguito la trama del racconto che si può leggere nella seconda copertina del libro.

Un misterioso filo conduttore collega i fatti di Roswell del 1947 e altri avvenimenti del lontano passato con la Sardegna e i nuraghi; queste vicende porteranno il protagonista, Paolo Maxia, ad iniziare una suggestiva avventura in territorio sardo alla scoperta del segreto dei nuraghi; egli si troverà coinvolto, suo malgrado, insieme all’amico americano George, a giocare una partita senza esclusione di colpi contro i servizi segreti sovietici che vogliono carpire le importanti scoperte archeologiche di George. Dopo una sequenza di peripezie che porteranno Paolo a rischiare la vita insieme al suo fedele cane Furittu, proprio quando egli sta per desistere da questa pericolosa avventura, le stupefacenti rivelazioni sulla base USA di Santo Stefano, uno straordinario concatenarsi di eventi della seconda guerra mondiale e la consapevolezza di lottare per il futuro dell’umanità, lo convinceranno a continuare l’azione insieme a Rosa, agente segreto americano, e ad aiutarla nel compimento della sua missione. I protagonisti avranno a che fare con agenti russi, banditi sardi e carabinieri nella fantastica cornice dei monti del Gennargentu e del Supramonte; tutte le traversie che dovranno affrontare saranno il prezzo da pagare per giungere, finalmente, a svelare il mistero dei nuraghi.

DAL 1° CAPITOLO
Vista dal finestrino dell’aereo, Cagliari appariva al viaggiatore come una ridente, ordinata e operosa cittadina di provincia, disposta su alcune alture che si affacciavano sul mare e sul colle più alto era stata costruita la parte più antica della città, circondata da vecchie mura di cui si potevano intravedere ancora i resti, si capiva che era la parte più antica anche per via delle strade molto strette e per l’altezza degli edifici piuttosto contenuta. Fuori da quelle antiche mura si era sviluppata la città più moderna le cui strade si allargavano sempre più, proporzionalmente all’allontanamento dalla parte vecchia. La città era ubicata al centro di un golfo i cui bracci si intravedevano facilmente attraverso una leggera foschia mattutina e possedeva un porto dove erano attraccate alcune navi. L’aereo compiva lenti giri circolari sulla città in attesa dell’assenso all’atterraggio e si poteva notare, adiacente al nucleo urbano, una lunga spiaggia bianchissima su cui si riflettevano i raggi del sole, una spiaggia lunga alcuni chilometri la cui battigia sprofondava in un mare verde smeraldo incorniciato da una curiosa montagna a forma di sella, protesa sul mare. La prima impressione che Paolo ne ricavò corrispondeva esattamente ai racconti di suo padre e sua madre durante le tranquille serate sonnacchiose trascorse nella loro casa in riva all’oceano Indiano sulla costa del Madagascar ma lo smeraldino colore del mare che vedeva non aveva eguali in nessun altro luogo che egli avesse visitato. Si chiamava Paolo Maxia e aveva 38 anni, dopo la morte dei genitori avvenuta 4 mesi prima in un incidente d’auto, decise di vendere il villaggio turistico fondato dal padre dopo una vita di sacrifici trascorsa lavorando su una piattaforma petrolifera al largo dalla costa del Madagascar e ritornare nella terra dei genitori che, pur avendo conosciuto solo in giovanissima età, sentiva di amare, quasi che la nostalgia che spesso traspariva dai loro racconti si fosse materializzata in lui e avesse acceso nel suo animo il desiderio di tornare nella terra natia.

DAL 2° CAPITOLO
–Sono venuto in quest’isola—disse George mentre cercava di tenere il passo – perché fra i miei studi di archeologia la Sardegna sembra essere il fulcro di alcune mutazioni nella cultura egizia e sto seguendo le tracce di questo misterioso popolo, nativo dell’isola, che furono gli Shardana, lungo le rotte frequentate nell’antichità. Ho trovato reperti in Mesopotamia, in Grecia, a Creta, in Egitto, in Palestina e a Simbabhwes dove essi arrivarono circumnavigando l’Africa per sfruttare le miniere di stagno necessarie a produrre il bronzo. È un popolo misterioso che mi ha sempre affascinato per il suo ingegno nel costruire navi veloci ed all’avanguardia rispetto a quelle dei nemici, le loro, infatti, erano velocissime e prive di timone e potevano manovrare grazie ad uno strano attrezzo montato sulla tolda delle navi insieme ad un albero e di cui ancora non si è scoperta la struttura. Il museo egizio del Cairo ha incaricato il professor Blair, di cui sono amico e collaboratore, di svolgere ricerche sul regno di Amenophe IV e Nefertiti poiché a quel tempo vi fu un contatto con gli Shardana che riportò gli egizi ad un culto monoteista; si tratta di un periodo vicino al 1400 a.C., io sto svolgendo alcuni studi preliminari in attesa di essere raggiunto dal professore fra circa 20 giorni.-  Gli occhi di Paolo si illuminarono di interesse.  —Ho sentito spesso parlare della popolazione marinara che viveva in questi territori, mio padre mi descriveva spesso i resti degli insediamenti di quelle genti e anche delle spettacolari soluzioni architettoniche con cui costruirono i nuraghi assemblando enormi massi senza alcun tipo di malta, e vorrei vedere da vicino questi capolavori di ingegneria.-

DAL 2° CAPITOLO
Vicino ai due amici, sedeva un uomo anziano dell’apparente età di 70 anni, di statura bassa e con il ventre pronunciato, vestiva pantaloni e casacca di velluto marrone con il tipico cappello che i nativi chiamavano “su berrittu ” e che aveva la foggia caratteristica della “coppola” siciliana, anch’esso, rigorosamente in velluto, leggermente calato sulla fronte rugosa e bruciata dal sole, rughe vistose che si potevano notare anche sul viso e sulle mani, segni tipici di chi lavora all’aria aperta e in campagna. Il vecchietto masticava l’estremità di un sigaro spento e guardava fuori del finestrino con l’aria sonnacchiosa di chi è abituato alla vista di quel paesaggio, ormai monotono, di quel tratto di ferrovia percorso innumerevoli volte, pareva quasi che dormisse con gli occhi aperti, come ipnotizzato dallo scorrere regolare degli alberi ai lati della linea ferrata. Quando il treno fischiò, il vecchio ebbe un sussulto e distolse lo sguardo che andò ad incollarsi sulla figura di George con aria indagatrice e un poco sdegnata dall’abbigliamento inusuale, come ebbe terminato l’ispezione ritornò ai suoi pensieri con l’espressione di chi cerca risposte ai propri quesiti mentali. George starnutì vigorosamente -saluri!!!—gli augurò l’uomo. -Sarà magari l’odore del sigaro che da fastidio? -No, non si preoccupi, spesso i pollini primaverili fanno quest’effetto e quando mi va male soffro anche di forti mal di testa.- Il vecchio annuì e vedendo che George aveva un’aria sofferente, volle dare un consiglio -Voi siete forestieri, vero? Per curare i vostri malanni andate a sedervi sulle pietre delle “tombe dei giganti” e ogni dolore vi passerà, in paese lo facciamo in tanti e vengono anche da fuori per curarsi in questo modo. Dovete sapere che alla mia età, i dolori, spesso, si fanno sentire insistentemente, allora io vado in campagna e mi siedo sulle pietre degli antichi e i dolori vanno via-
Paolo guardò George che aveva dipinta sul volto l’espressione accondiscendente tipica di chi asseconda un pazzo. -Dalle vostre facce vedo che non mi credete, eppure è così. – Dove si trovano le pietre che hanno questi effetti?—incalzò Paolo. – Non ci sono delle pietre speciali, funzionano tutte, qualcuna più delle altre, hanno un’energia vitale che si trasmette alle persone che soffrono eliminando il male. Io vado a sedermi vicino ai menhir de “ su putzu” a Orroli, la zona si chiama così perché c’è un villaggio nuragico attorno ad un pozzo sacro risalenti a circa 5000 anni fa.

DAL 3° CAPITOLO
Percorsero di gran lena quei pochi chilometri di sentiero che li portò a salire sensibilmente di quota. Fu una passeggiata impegnativa che la bellezza dei luoghi e dei paesaggi ripagava ampiamente della fatica e poiché non potevano giungere a destinazione in anticipo sull’orario della chiusura pomeridiana, si concessero alcune soste in prossimità di occasionali corsi d’acqua che durante l’estate si sarebbero asciugati diventando scoscesi sentieri per capre. Quei luoghi erano immersi in un silenzio secolare, interrotto sporadicamente dal grido dei falchetti a caccia di prede o dal suono delle campanelle appese al collo di lontane pecore al pascolo; tutto pareva immutato nei secoli e provenire da un passato identico al futuro. Come Paolo apprese dai commenti uditi occasionalmente, la vita di quelle popolazioni montane non doveva essere molto variegata senza l’intervento di uno stimolo esterno, ma non pareva che quell’isolamento fosse disprezzato, anzi, negli ultimi anni con l’avvento del turismo di massa, fortunatamente, assiduo solo in alcuni periodi, si avvertiva spesso la necessità di un occasionale distacco. Erano ormai trascorse le 13,30 quando tziu Peppeddu, appena salito su una grossa roccia, esclamò: -ragazzi, ci siamo, ecco il nuraghe Arrubiu, potete vedere che è rosso perché è ricoperto di una minuta vegetazione rossiccia e infatti il suo nome “Arrubiu” significa proprio questo. La sua maestosità riesce sempre ad emozionarmi perché ai miei occhi appare come un’opera di grande genialità e abilità di cui erano capaci gli antichi e noi sardi ne siamo orgogliosi come gli egiziani lo sono delle piramidi.- Mentre si avvicinavano, l’insediamento nuragico si mostrava in tutta la sua grandezza, si sviluppava in alcune migliaia di metri quadri e il colore rossiccio risaltava immediatamente ma non era uniformemente distribuito sui blocchi di granito che ne costituivano i mattoni bensì, questo strano lichene che ne conferiva il curioso colore, ricopriva le pietre in modo disomogeneo infatti il colore naturale del granito affiorava spesso in quel mare di tenue vegetazione che, a dire il vero, non era di un rosso acceso ma tendeva all’arancio cupo.

DAL 5° CAPITOLO
L’auto sfrecciava veloce verso Desulo che si trovava più a valle; neppure le strette curve dei tornanti fecero desistere Paolo dal premere sull’acceleratore, l’aveva scampata per un soffio e la corsa l’aiutava a scaricare le tensione che aveva accumulato. Dopo pochi minuti incominciò a rilassarsi e poté analizzare meglio tutta la situazione; era evidente che i due assassini si erano separati a Lanusei non avendo alcuna cognizione del luogo dove lui fosse diretto e poiché le ipotesi erano tre come le strade che si dipartivano da Lanusei, dovettero, probabilmente, scartare quella ad est che conduceva ad Arbatax perché, se quella fosse stata la sua meta, avrebbe proseguito il viaggio con il trenino verde che aveva il capolinea proprio in quel paese sulla costa; quindi rimanevano due possibilità: una diretta a nord verso Fonni ed una a sud verso Barisardo, per questo motivo si erano separati, ognuno aveva seguito una probabile via di fuga… Erano ipotesi abbastanza plausibili che balenarono nella mente di Paolo, ora veniva il momento di preparare le prossime mosse visto che, al paese di Desulo, mancavano pochi chilometri, l’uomo che aveva ingannato non avrebbe perso tempo nel salire sull’autobus al bivio con il Monte Spada, o peggio per chiedere un passaggio agli automobilisti; quindi, in breve, se lo sarebbe ritrovato tra i piedi, pronto a fargli la pelle. Non gli era concesso di rilassarsi, doveva assolutamente trovare subito la ragazza. Paolo svoltò in una stradina campestre poco prima di entrare in paese, vi si inoltrò per circa 500 metri, fermò l’auto in uno spiazzo di lato, inoltrandosi nel sottobosco con lo scopo di celarla alla vista, strappò alcuni cespugli e li sistemò per ricoprire il sentiero tracciato dalle ruote, prese i bagagli e aprì la portiera posteriore per far scendere Furittu che era intento a deliziarsi nel rosicchiare le cinture di sicurezza e si avviò verso le prime case del paese tenendosi lontano dalla strada statale.

DALL’ 8° CAPITOLO
Rimasero alcuni minuti in silenzio come ipnotizzati da quella calda fiamma che, scoppiettando, ardeva gli ultimi frammenti di legno bagnati dall’umidità condensata; padre Antioco gettò nel fuoco un grosso ceppo e per primo ruppe il silenzio – Non hai detto se sei venuto in Sardegna per la prima volta o sei ritornato dopo avere trascorso del tempo fuori dall’isola, perchè in quest’ultimo caso, ancora non ne sei cosciente, ma ti sei ammalato da quell’angoscia nostalgica che si chiama ” mal di Sardegna “, esattamente come ne sono ammalato anch’io. Dicono che questo sentimento lo prova chi ha vissuto in Africa ma ti assicuro che non esiste solo il “mal d’Africa”; questa meravigliosa e suggestiva isola canta, emette in tutte le terre del mondo un canto singolare percettibile solo da chi vi è già stato, che si sente irresistibilmente attratto a ritornarvi e a non partire più come le sirene di Ulisse. Mi sono ammalato di Sardegna in una situazione curiosa: fui mandato qui per punizione e per espiare la mia intemperanza, i miei superiori mi trasferirono nel lontano 1945 ed ero molto giovane, a quei tempi si usava la terra sarda come fosse un luogo d’esilio, venivano trasferite tutte le persone che nell’Italia del dopo guerra erano mal viste o mal sopportate per un qualsiasi motivo, per più di un secolo è stata prerogativa di quest’isola accogliere coloro che venivano rifiutati da altre zone, ebbene, queste persone dopo un iniziale inquietudine e risentimento si innamoravano perdutamente e non andavano via mai più. Sono stato missionario in varie parti del mondo, ho stretto amicizie, organizzato servizi e cure nei paesi del terzo mondo ma ho chiesto sempre di ritornare qui; anche in Brasile mi sembrava di udire l’ululare del vento sulle cime del Gennargentu, lo stridio delle aquile in volo fra le millenarie rocce di granito, l’infrangersi delle onde verde smeraldo sulle rocce rosse di Arbatax o sui faraglioni del ” pan di zucchero “, lo sciacquio della risacca sulla spiaggia rosa di Budelli, il frusciare delle foglie nelle immense foreste di lecci e tutti i suoni della natura mi sussurravano un insistente invito a ritornare.

IL MISTERO DEI NURAGHI (romanzo)ultima modifica: 2010-05-12T07:19:36+02:00da vitegabry
Reposta per primo quest’articolo