Archivi giornalieri: 10 maggio 2010

Donne inattive, la famiglia è il primo motivo

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La risposta: orari family friendly

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“Perchè non lavori?”. Questo il titolo dell’indagine presentata dall’Isfol, sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro. Lo studio, a cura di Roberta Pistagni, ricercatrice dell’area analisi e valutazione delle politiche per l’occupazione, è stato iniziato nel 2007 su proposta del ministero del Lavoro, con l’obiettivo di analizzare gli elementi determinanti il fenomeno dell’inattività femminile in Italia. La ricerca è stata condotta su un campione di 6mila donne tra i 25 e i 45 anni d’età.

I risultati – a quanto riferisce l’Isfol – indicano che le cause dell’inattività femminile ruotano per il 49,5% intorno alla famiglia (divisione dei compiti tra i coniugi e carichi di lavoro legati alla cura dei figli e dei parenti non autosufficienti), poi c’è il modello di welfare (carenza di servizi per l’infanzia, presenza di reti familiari e informali) e all’organizzazione del lavoro (bassi livelli di conciliazione tra lavoro e famiglia, rigidità degli orari di lavoro). “Le donne inattive si caratterizzano, si legge nel comunicato, la presenza di figli, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 0 e i 5 anni”, a cui si aggiungono il grado e le modalità di divisione del lavoro di cura con il partner, l’assenza di un aiuto nella gestione della casa e il possesso di un basso titolo di studio.

La ricerca individua anche elementi di natura culturale tra le cause che favoriscono l’inattività. Tendono a non lavorare donne che hanno avuto madri non lavoratrici. Confermata inoltre l’ipotesi che vede il riproporsi, in età adulta, di scelte simili a quelle compiute dalle donne presenti nelle famiglie d’origine, che “inevitabilmente hanno trasmesso modelli comportamentali sia attraverso le proprie scelte che nei discorsi di tutti i giorni”, specifica Myriam Trevisan antropologa che ha collaborato all’indagine.

Sulla bassa partecipazione al lavoro, inoltre, hanno un peso non trascurabile il livello d’istruzione e il luogo di residenza. “Ci sono meno inattive fra le donne maggiormente istruite” spiegano Tindara Addabbo e Donata Favaro, economiste che hanno collaborato alla ricerca. “Al Nord – dicono – l’inattività è più bassa fra le donne che non hanno titolo di studio o hanno la licenza elementare (17,2%) e fra chi è in possesso della laurea o di specializzazione post laurea per le quali il tasso di inattività risulta pari al 10,9%”. Nelle altre parti d’Italia la quota delle inattive diminuisce al crescere del livello di studi conseguito pur rimanendo sensibilmente più elevato, a parità di livello di istruzione, al Sud.

La risposta al nodo dell’inattività, secondo lo studio, sta nella possibilità di scegliere un orario ridotto o flessibile con un salario che superi le spese per le attività di cura familiare affidate a terzi. Si tratta sostanzialmente di un part time fino a 25 ore settimanali con un reddito fra i 500 e i 1.000 euro al mese. Questa possibilità, spiega ancora l’indagine, “dovrebbe avere un carattere di reversibilità in modo da essere adattata al ciclo di vita familiare e non risultare penalizzante rispetto alla carriera. Quello che manca per ridurre il fenomeno dell’inattività femminile sono politiche in grado di diminuire il peso dei lavori domestici, fra cui la disponibilità di servizi pubblici per bambini ed anziani e un adeguamento dei tempi lavorativi, adottando orari family friendly”.