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Riforma Pensioni

Riforma Pensioni 2019 novità, la Uil avverte il Governo: ‘Con quota 100 rischi preoccupanti’

I sindacati ed in particolare la UIL continuano ad esser preoccupati per la Riforma delle Pensioni 2019 che potrebbe vedere luce con la prossima legge di Bilancio. Quota 100 su cui fa leva il Govenro non convince i sindacati (e nemmeno i lavoratori), ma al momento sembra difficile riuscire a trovare altre soluzioni. Domenico Proietti, segretario confederale Uil ha redatto uno studio che si è soffermato sull’analisi delle conseguenze per alcune categorie di lavoratori dell’introduzione della cosiddetta quota 100 e ha lanciato l’allarme.

Ultime novità Riforma Pensioni 2018 – 2019: lo studio di Proietti della Uil su quota 100

Introdurre quota 100 ed eliminare con la prossima Riforma delle Pensioni i meccanismi di flessibilità in uscita come l’APE Social potrebbe portare alcuni lavoratori a dover lavorare fino a 4 anni in più rispetto ai requisiti della odiata Legge Fornero. Proietti nel suo studio spiega con precisione cosa potrebbe accadere, ecco le sue parole e alla fine il link se siete interessati a scaricare il PDF integrale dello studio effettuato dal Servizio Politiche Previdenziali.

“L’ipotesi annunciata di voler introdurre “quota 100” per essere davvero utile ed efficace, non deve essere sostitutiva della conferma dell’Ape sociale, misura che tutela i lavoratori in condizioni di grave difficoltà. Con quota 100, infatti, questi lavoratori vedrebbero peggiorata la propria situazione, con un ritardo di accesso alle pensioni che può arrivare fino a 4 anni, nel caso di disoccupati e di lavoratrici madri che dovranno attendere la pensione di vecchiaia a 67 anni. Ritardo, poi, che sarebbe ulteriormente aggravato dall’introduzione di requisiti elevati come l’età minima necessaria a 64 anni o un’anzianità contributiva che non tiene pienamente conto di tutti i contributi maturati dai lavoratori, con un’inaccettabile penalizzazione per le donne e per le aree più deboli del Paese”.

Proietti poi prosegue: “Con gli attuali criteri per accedere all’Ape sociale  chi si trova in stato di disoccupazione, chi assiste un familiare disabile e i lavoratori con gravi disabilità possono, dallo scorso anno, accedere a questa misura con “quota 93”, quindi con un notevole anticipo rispetto a un’ipotetica “quota 100”, mentre chi svolge mansioni gravose può accedere all’Ape sociale con “quota 99”, già a partire dall’età di 63 anni.”

Infine il Segretario conclude: “Alla luce di questi dati, “quota 100”, se non attentamente studiata e precisata, non solo “non smonta la Fornero”, ma peggiora quanto di buono fatto negli ultimi due anni per reintrodurre un principio di flessibilità nel nostro sistema pensionistico. Per la UIL  la via maestra, se si vuole veramente continuare a cambiare la Fornero, è quella di estendere l’accesso alla pensione intorno ai 63 anni per tutti i lavoratori e per tutte le lavoratrici”. Qui il link allo studio integrale.

Quota 100 e Riforma Pensioni 2019: Barbagallo avverte il Governo

Dopo aver preso visione dello studio, il Segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, ha lanciato un nuovo appello al Governo, nella speranza che l’esecutivo ed il Ministro del Lavoro Di Maio possano aprire un tavolo con tutti i sindacati sui delicati temi della previdenza e della Riforma delle Pensioni. Questa volta il Governo ascolterà i sindacati o no?

“Quello della previdenza è un tema molto delicato e complesso. È bene ponderare le scelte, dunque, prima di assumere provvedimenti che avranno ripercussioni per la vita di milioni di lavoratori. Il susseguirsi di voci, ipotesi, interpretazioni e contrapposizioni rischia di generare errori le cui conseguenze sociali potrebbero essere davvero preoccupanti. Chiediamo, perciò, al Governo di convocare al più presto le parti sociali: abbiamo delle proposte su cui discutere, insieme, nell’interesse dei lavoratori e del Paese”.

Aran

 

Istat

 

 

Documenti con tag: Povertà relativa e assoluta

La povertà in Italia

Nel 2017 la povertà assoluta coinvolge il 6,9% delle famiglie; la povertà relativa il 12,3%

Periodo di riferimento: Anno 2017

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Data di pubblicazione: 26 giugno 2018

Tipo di documento:

Argomento:

La povertà in Italia

Nel 2016 la povertà assoluta coinvolge il 6,3% delle famiglie e la povertà relativa il 10,6%

Periodo di riferimento: Anno 2016

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Data di pubblicazione: 13 luglio 2017

Tipo di documento:

Argomento:

La povertà in Italia

Nel 2014 la povertà assoluta coinvolge il 5,7% delle famiglie e la povertà relativa il 10,3%

Periodo di riferimento: Anno 2014

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Data di pubblicazione: 15 luglio 2015

Tipo di documento:

Argomento:

La povertà in Italia

Nel 2013 il 12,6% delle famiglie è in povertà relativa e il 7,9% è in povertà assoluta

Periodo di riferimento: Anno 2013

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Data di pubblicazione: 14 luglio 2014

Tipo di documento:

Argomento:

Istat

 
 
 
 
 

Comunicato stampa

La povertà in Italia

 
 
Le stime diffuse in questo report si riferiscono a due distinte misure della povertà: assoluta e relativa, che derivano da due diverse definizioni e sono elaborate con metodologie diverse, utilizzando i dati dell’indagine campionaria sulle spese per consumi delle famiglie.Nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui.

L’incidenza di povertà assoluta è pari al 6,9% per le famiglie (da 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (da 7,9%). Due decimi di punto della crescita rispetto al 2016 sia per le famiglie sia per gli individui si devono all’inflazione registrata nel 2017. Entrambi i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005.

Nel 2017 l’incidenza della povertà assoluta fra i minori permane elevata e pari al 12,1% (1 milione 208 mila, 12,5% nel 2016); si attesta quindi al 10,5% tra le famiglie dove è presente almeno un figlio minore, rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%).

L’incidenza della povertà assoluta aumenta prevalentemente nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%), soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). La povertà aumenta anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord.

L’incidenza della povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%).

A testimonianza del ruolo centrale del lavoro e della posizione professionale, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; nelle famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%).

Cresce rispetto al 2016 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento che ha conseguito al massimo la licenza elementare: dall’8,2% del 2016 si porta al 10,7%. Le famiglie con persona di riferimento almeno diplomata, mostrano valori dell’incidenza molto più contenuti, pari al 3,6%.

Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Nel 2017 riguarda 3 milioni 171 mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368 mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente).

Come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%) o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne.

L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5%) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0%), queste ultime in peggioramento rispetto al 31,0% del 2016.

Si confermano le difficoltà per le famiglie di soli stranieri: l’incidenza raggiunge il 34,5%, con forti differenziazioni sul territorio (29,3% al Centro, 59,6% nel Mezzogiorno).