Archivi giornalieri: 10 settembre 2018

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Pensioni, ecco come sono cambiate in 40 anni

Pensioni, ecco come sono cambiate in 40 anni

Tutte le riforme del sistema pensionistico italiano che hanno limato l’assegno dai tempi d’oro del retributivo fino all’arrivo del nuovo metodo di calcolo, il contributivo, che costringe a lavorare per quarantanni e con un vitalizio più ridotto

di GIULIANO BALESTRERI

 
 
 

MILANO – Dall’Eldorado delle baby pensioni con il sistema retributivo, all’incubo di oltre 40 anni di versamenti con il sistema contributivo. La storia del sistema pensionistico italiano che ha fatto dell’Inps uno dei più grandi enti previdenziali d’Europa è in continua evoluzione, ma si scontra quotidianamente con interessi divergenti: da un lato quello dello Stato di far quadrare i conti, prima che l’intero sistema collassi, dall’altro quello dei lavoratori che rivendicano il meritato riposo con assegni dignitosi, dopo una vita di sacrifici.

Di certo si può dividere la storia della previdenza nostrana in due grandi tronconi: una prima fase espansiva che dal 1898 (data di nascita della Cassa nazionale di previdenza) arriva alla fine degli anni Ottanta, allargando la platea degli aventi diritti all’assegno e aumentando le prestazioni. Dopo, a cominciare dalla riforma Amato del 1992, inizia la fase di contrazione con i tagli alla spesa e l’entrata in vigore di requisiti più stringenti per aver diritto alle prestazioni previdenziali che dal 2012 sono due: la pensione di vecchiaia e quella anticipata.

Pensioni di vecchiaia. Le categorie di lavoratori si dividono in due: quanti hanno effettuato il primo versamento entro il 1996 e quanti lo hanno fatto dopo. Per i lavoratori pre-1996, l’accesso alla pensione di vecchiaia è garantito da un’anzianità contributiva minima di 20 anni e una anagrafica che per gli uomini sarà pari a 66 anni e 7 mesi dal 2018. Criterio identico per le donne che però ci arriveranno in maniera graduale partendo dai 62 del 2012. Per i dipendenti post-1996 sono richiesti 20 anni di contributi e gli stessi requisiti anagrafici dei pre-1996, a patto che l’importo della pensione non risulti inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale. In alternativa bisogna arrivare a 70 anni e sette mesi con 5 anni di contribuzione “effettiva”.

Pensione anticipata. Dal 2012 ha sostituito la pensione di anzianità: i requisiti – per i lavoratori pre-1996 – prevedono 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Per chi accede al trattamento con meno di 62 anni si applica una riduzione pari a un punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso alla pensione rispetto all’età stabilita. La percentuale annua aumenta a due punti percentuali per ogni anno di ulteriore anticipo rispetto a due anni. Per i post-1996 i requisiti contributivi non cambiano, ma non scatta alcuna riduzione del trattamento pensionistico in caso di accesso alla pensione ad un’età anagrafica inferiore a 62 anni (si tratta infatti di lavoratori che beneficiano del calcolo contributivo e non retributivo, quindi più conveniente per lo Stato). E’ possibile accedere alla pensione anche al compimento di 63 anni, da adeguare agli incrementi della speranza di vita, a condizione che risultino versati e accreditati almeno 20 anni di contributi e che l’ammontare mensile della prima rata di pensione risulti non inferiore a un importo soglia mensile pari a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale.

Questo è lo stato dell’arte, ma come si è arrivati alla situazione attuale? Per capirlo bisogna fare un salto indietro nel passato, quando gli anni del miracolo italiano e del boom economico avevano convinto il governo Rumor a varare la riforma Brodolini, che nel 1969 addottò la formula retributiva per il calcolo della pensione legando la prestazione previdenziale alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro: spesso gli assegni previdenziali arrivavano all’80% dell’ultima retribuzione. Nel 1973, poi, arrivarono le baby pensioni con la possibilità per le lavoratrici della pubblica amministrazione – sposate e con figli – di lasciare l’impiego dopo 14 anni, sei mesi e un giorno. Dopo 20 anni per gli altri statali e dopo 25 anni per tutti i dipendenti privati. Un privilegio abolito dal governo Amato nel 1992, che sganciò anche gli assegni previdenziali dall’andamento dei salari lasciandoli ancorati solo all’inflazione. 

Nel 1982 una commissione di studio istituita dal ministro del Tesoro presieduta da Onorato Castellino (mentore dell’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero) mise in luce i punti più controversi del sistema previdenziale italiano annunciando che in futuro sarebbero stati necessari pesanti tagli, ma tutti i progetti di riforma che seguirono finirono nel nulla. Lo Stato però aveva messo a fuoco il bisogno di contenere la spesa, riordinare e armonizzare i diversi regimi pensionistici. D’altra per come il sistema è concepito – ovvero senza alcun accumulo di capitale, in quanto tutti i contributi versati sono utilizzati per pagare gli assegni – l’equilibrio c’è solo quando le entrare sono sufficienti a garantire le prestazioni. Anche per questo motivo il governo Renzi ha accelerato sulla flessibilità del mercato del lavoro con l’obiettivo di far salire i versamenti.

Riforma Amato 1992. Per garantire la sostenibilità del sistema, il governo decide il graduale incremento dell’età pensionabile da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini portando la contribuzione minima da 15 a 20 anni. Per la prima volte compare il divieto parziale di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo. Un anno dopo nasce la previdenza complementare.

Riforma Dini 1995. Si passa dal sistema retributivo a quello contributivo (l’assegno si calcola sulla base di quando versato durante la carriera lavorativa) per quanti abbiano iniziato a lavorare dal primo gennaio 1996. Compare la soglia minima dell’età anagrafica da abbinare ai 35 anni di contribuzione per avere la pensione di anzianità. Vengono tagliati gli importi delle pensioni di invalidità e di reversibilità sulla base dei reali redditi dichiarati. Con il sistema contributivo l’importo della pensione annua si calcola moltiplicando il montante contributivo per il coefficiente di trasformazione relativo all’età del lavoratore alla data di decorrenza della pensione. I coefficienti di trasformazione dipendono dalle aspettative di vita e ne è prevista la revisione periodica.

Riforma Prodi 1997. Il taglio dei costi, questa volta, è dettato dalla necessità di agganciare l’Italia all’Eurozona per entrare nella moneta unica come fondatore. Il governo dell’Ulivo, quindi, aumenta i requisiti di accesso alla pensione di anzianità per i lavoratori autonomi e dopo aver parificato i pensionamenti anticipati della Pa alle pensioni di anzianità erogate dall’Inps decide anche il blocco della rivalutazione dei trattamenti superiori a 5 volte minimo.

Riforma Berlusconi 2001. Come promesso in campagna elettorale, il governo di centrodestra adegua le pensioni minime e le pensioni sociali portando l’importo minimo a un milione di lire al mese. Nel 2003, poi, arriva la possibilità di cumulo totale tra pensione di anzianità, liquidata a 58 anni con almeno 37 anni di contributi, con i redditi di lavoro autonomo e dipendente. I lavoratori parasubordinati sono parificati agli autonomi e constestualmente viene soppresso l’Inpdai che viene inglobato dall’Inps.

Finanziaria 2004. Compare per la prima volta il contributo di solidarietà – pari al 3% – sui trattamenti superiori a 25 volte il minimo.

Riforma Maroni 2004. Arriva lo “scalone” con l’inasprimento dei requisiti per la pensione di anzianità ed innalzamento dell’età anagrafica – a partire dal primo gennaio 2008 – da 57 a 60 anni. Per le donne rimane la possibilità di andare in pensione di anzianità a 57 anni di età e 35 anni di contribuzione, a patto di accettare il calcolo integrale del sistema contributivo. Per incentivare i lavoratori a proseguire la loro attività, poi, arriva il super bonus del 32,7% per chi rinvia la pensione di anzianità. Con la Finanziaria 2007 – governo Prodi – aumenta di cinque punti percentuali la contribuzione dovuta dagli iscritto alla gestione separata dell’Inps.

Riforma Damiano-Padoa Schioppa 2007. Addio alla scalone: al suo posto il “sistema delle quote” determinate – dal primo gennaio 2009 – dalla somma dell’età e degli anni lavorati. L’età pensionabile per le donne del pubblico impiego sale, gradualmente, fino a 65 anni. L’aumento decorre dal 2012. Il Tfr, invece, viene rateizzato.

Riforma Fornero 2011. Il Salva Italia cancella il sistema delle quote ed estende a tutti il sistema contributivo pro-rata. Viene innalzata l’età minima per la pensione e le donne sono equiparate agli uomini. Arriva la fascia flessibile di pensionamento per i lavoratori con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre dopo il 1996: 63-70 anni. La Stabilità 2014 introduce il contributo di solidarietà sugli importi di pensione superiori a quattordici volte il trattamento minimo Inps.

Nel 2015, la Corte Costituzionale dichiara illegittima la “Riforma Fornero” nella parte in cui prevedeva che “la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 100 per cento”. La legge di Stabilità 2016 avvia

 

una sperimentazione – per il triennio 2016-2018 – in base alla quale i lavoratori dipendenti del settore privato a cui manchino non più di tre anni alla pensione di vecchiaia possono andare in part-time al 40-60%, senza che la busta paga e l’assegno pensionistico subiscano detrazioni.

Previdenza e Pensioni

La storia

Nato oltre cento anni fa allo scopo di garantire i lavoratori dai rischi di invalidità, vecchiaia e morte, l’Istituto ha assunto nel tempo un ruolo di crescente importanza, fino a diventare il pilastro del sistema nazionale del welfare.

Nel 1898 la previdenza sociale muove i primi passi con la fondazione della Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Si tratta di un’assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori.

Nel 1919, dopo circa un ventennio di attività, l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di lavoratori. È il primo passo verso un sistema che intende proteggere il lavoratore da tutti gli eventi che possono intaccare il reddito individuale e familiare.

Nel 1933 la CNAS assume la denominazione di Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma che, dal 1943, diviene definitivamente Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

Nel 1939 sono istituite le assicurazioni contro la disoccupazione e la tubercolosi e vengono istituiti gli assegni familiari. Vengono altresì istituite le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a orario ridotto. Il limite di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia viene ridotto a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne; viene istituita la pensione di reversibilità a favore dei superstiti dell’assicurato e del pensionato.

Nel 1952, superato il periodo post-bellico, viene introdotta la legge che riordina la materia previdenziale: nasce il trattamento minimo di pensione.

Nel periodo 1957-1966 vengono costituite tre distinte Casse, una per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, una per gli artigiani e una per i commercianti.

Nel periodo 1968-1969 il sistema retributivo, basato sulle ultime retribuzioni percepite, sostituisce quello contributivo nel calcolo delle pensioni. Nasce la pensione sociale. Viene cioè riconosciuto ai cittadini bisognosi che hanno compiuto 65 anni di età una pensione che soddisfi i primi bisogni vitali. Vengono predisposte misure straordinarie di tutela dei lavoratori ( Cassa integrazione guadagni straordinaria e pensionamenti anticipati) e per la produzione (contribuzioni ridotte e esoneri contributivi).

Nel 1980 viene istituito il Sistema Sanitario Nazionale. Sono affidati all’INPS la riscossione dei contributi di malattia e il pagamento delle relative indennità, compiti assolti in precedenza da altri enti.

Nel 1984 il legislatore riforma la disciplina dell’invalidità, collegando la concessione della prestazione non più alla riduzione della capacità di guadagno, ma a quella di lavoro.

Nel 1989 entra in vigore la legge di ristrutturazione dell’INPS, che rappresenta un momento di particolare importanza nel processo di trasformazione dell’Ente in una moderna azienda di servizi.

Nel 1990 viene attuata la riforma del sistema pensionistico dei lavoratori autonomi. La nuova normativa, che ricalca per vari aspetti quella in vigore per i lavoratori dipendenti, lega il calcolo della prestazione al reddito annuo di impresa.

Nel 1992 l’età minima per la pensione di vecchiaia viene elevata a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne.

Nel 1993 viene introdotta in Italia la previdenza complementare, che si configura come un sistema volto ad affiancare la tutela pubblica con forme di assicurazione a capitalizzazione di tipo privatistico.

Nel 1995 viene emanata la legge di riforma del sistema pensionistico (legge Dini) che si basa su due principi fondamentali: il pensionamento flessibile in un’età compresa tra i 57 e 65 anni (uomini e donne); il sistema contributivo per il quale le pensioni sono calcolate sull’ammontare dei versamenti effettuati durante tutta la vita lavorativa.

Nel 1996 diviene operativa la gestione separata per i lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi, professionisti e venditori porta a porta) che fino a quella data non avevano alcuna copertura previdenziale.

Nel 2003 è approvata la legge e il conseguente decreto legislativo che danno vita alla riforma del mercato del lavoro, ispirata alle idee e agli studi del professor Marco Biagi. Dal 1° gennaio, l’INPDAI (Istituto Nazionale Previdenza per i Dirigenti di Aziende Industriali) confluisce nell’INPS con il conseguente trasferimento all’Istituto di tutte le sue funzioni.

Nel 2004 è approvata la legge delega sulla riforma delle pensioni ed entra in vigore il provvedimento relativo all’incentivo per il posticipo della pensione.

Nel 2007 viene approvata una legge che modifica nuovamente i requisiti richiesti per l’accesso al trattamento pensionistico e le finestre di uscita dal lavoro. Tra i punti salienti della riforma la revisione automatica dei coefficienti di trasformazione che incidono sul calcolo della pensione e l’introduzione, a partire dal 2009, del cosiddetto “sistema delle quote” in base al quale il diritto alla pensione di anzianità si perfeziona al raggiungimento di una quota data dalla somma tra l’età anagrafica minima richiesta e l’anzianità contributiva.

Nel 2009 una nuova legge di riforma dispone che i requisiti di età per ottenere la pensione vengano adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT. La diffusione del nuovo strumento dei buoni lavoro per il pagamento del lavoro occasionale accessorio e nuove norme e sinergie istituzionali rafforzano il ruolo dell’Istituto nel contrasto al lavoro nero e nel recupero dei crediti contributivi.

Nel 2010 vengono adottate ulteriori misure per stabilizzare il sistema pensionistico. Viene confermato e accelerato il meccanismo di adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e viene introdotta una finestra “mobile” per l’accesso alla pensione in sostituzione dei precedenti termini di decorrenza. Dal 31 maggio, l’IPOST (Istituto Postelegrafonici) viene soppresso e tutte le sue funzioni vengono trasferite all’INPS.

Nel 2011 vengono soppressi INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica) ed ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo) e viene disposto, al 31 marzo 2012, il trasferimento all’INPS di tutte le competenze dei due enti al fine di rendere più efficiente ed efficace il servizio pubblico, assicurando così ai cittadini un unico soggetto interlocutore per i servizi di assistenza e previdenza.

San Nicola da Tolentino

 
San Nicola da Tolentino

Nome: San Nicola da Tolentino
Titolo: Sacerdote
Ricorrenza: 10 settembre

I suoi genitori, pii cristiani e senza figli, fecero un pellegrinaggio a S. Nicola di Bari per ottenere di avere un figliuolo. E l’anno 1245 a S. Angelo, presso. Fermo, nasceva loro il piccolo Nicola, così chiamato in ossequio al Santo pugliese.

Fin dai primi anni ebbero cura di infondergli sentimenti cristiani, e Nicola crebbe buono, ubbidiente, mortificato: lo Spirito Santo lavorava in quell’anima innocente; più volte occorse ritrarlo dalla preghiera e frenarlo nella mortificazione e nella liberalità verso i poveri.

Assisteva e serviva volentieri la S. Messa; ascoltava la parola di Dio e studiava le cose sacre.

Quando incominciò a studiare fece rapidi progressi nella scienza, onde i genitori gli provvidero un canonicato nella chiesa del SS. Salvatore a Tolentino. Un giorno nella chiesa, udì un religioso di S. Agostino che predicava sulla vanità del mondo e ripeteva quel passo del Vangelo: « Cosa giova all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde l’anima sua? » e l’altro: « Chi vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ». Nicola non attese altro: subito fece domanda di essere ammesso tra i figli di S. Agostino in quella città. Fu accettato, prese l’abito religioso, e dopo un anno di noviziato si consacrò al Signore mediante i santi voti religiosi: aveva 18 anni. Nel convento riconfermò il proposito che fin da piccolo si era prefisso: rinnegare se stesso. Perciò si stimava l’ultimo dei fratelli e cercava sempre gli uffici più umili, contento quando poteva eseguire la volontà altrui, e rinunziare alla sua, Durante gli studi fu mandato in vari conventi del suo Ordine e a Cingoli fu ordinato sacerdote.

Di qui comincia una nuova era per il nostro Santo. Quando si trovava all’altare, la sua faccia si infiammava d’amore e abbondanti lacrime sgorgavano dai suoi occhi. Le segrete comunicazioni della sua anima con Dio all’altare ed al confessionale gli facevano gustare anticipatamente le delizie della beatitudine celeste. Più tardi si recò a Tolentino ove passò i suoi ultimi anni. Predicava quasi tutti i giorni e le sue prediche producevano frutti meravigliosi. Nessuno poteva resistere alla forza e alla dolcezza dei suoi discorsi sia pubblici che privati. L’amore che portava a Dio infiammava talmente il suo cuore che sovente fu visto piangere sul pulpito.

Fu favorito di doni celesti ed operò molti miracoli. Nel 1305, il 10 settembre, dopo essere stato tribolato da una lunga malattia, morì all’età di 60 anni, pieno di virtù e di meriti.

PRATICA. Facciamo bene oggi i nostri doveri religiosi.

PREGHIERA. O Signore, che vi degnaste chiamare alla santità il vostro servo Nicola, fate che anche noi, obbedendo alla vostra volontà, possiamo entrare nella gloria del Paradiso.