Archivi giornalieri: 9 luglio 2017

Welfare

Il valore sociale dei Patronati  

di Lisa Bartoli 

“Le persone che si rivolgono all’Inca non sono dei numeri, ma l’espressione di un bisogno di tutela individuale che va ben oltre il semplice espletamento di una pratica. Per questo, dobbiamo valorizzare il lavoro di assistenza svolto dagli operatori e dalle operatrici del Patronato, superando la timidezza che finora abbiamo mostrato”. Così si è espresso Nino Baseotto, segretario confederale della Cgil concludendo la tavola rotonda che si è svolta il 6 luglio, in occasione della presentazione del Bilancio sociale di Inca. Quasi tre milioni di pratiche aperte nel 2016 e oltre 5 milioni di persone fanno del Patronato della Cgil il primo istituto in Italia con una rete capillare di presenze che copre circa 5.000 comuni sugli ottomila. Un patrimonio importante, ha sottolineato nel suo intervento Tiziano Treu, presidente del Cnel, che “favorisce concretamente l’accessibilità alle diverse prestazioni di welfare, soprattutto nei momenti di crisi, come quello attuale, in cui prevale l’incertezza dei diritti ”. “Rendere accessibile il welfare è fondamentale non soltanto per i cittadini – ha aggiunto – ma anche per ridurre le disuguaglianze e aumentare la capacità individuale di partecipazione democratica. Un vantaggio che si ripercuote sull’economia nel suo complesso”.  

Un concetto ripreso dal direttore dell’Inail, Giuseppe Lucibello che ha voluto rimarcare come la collaborazione con i Patronati di questi anni  sia stato un fattore determinante per continuare ad “assicurare i servizi ai lavoratori infortunati e tecnopatici, nonostante la riduzione degli organici di 4 mila persone e i tagli al fondo Patronati”. “Non avremmo potuto farlo – ha aggiunto – senza l’apporto proficuo di questi Istituti”. Lucibello ha anche ricordato che ci sono altri ambiti su cui si può sviluppare il sistema di relazione: L’Inail ha – precisato – ha stanziato 21 milioni di euro per favorire il reinserimento dei lavoratori infortunati e tecnopatici. “Spero – ha detto – che questo possa essere una ulteriore occasione per migliorare gli interventi di Inail , sia sotto il profilo della prevenzione sia per quanto riguarda i livelli occupazionali”.

Quanto ai dati statistici contenuti nel Bilancio sociale, l’Inca durante gli anni di crisi, nonostante la compressione dei diritti derivanti dalle misure legislative profondamente restrittive su pensioni e ammortizzatori sociali,  si presenta con saldo positivo: oltre due milioni sono le pratiche aperte solo per la parte previdenziale e quasi 87 mila quelle inerenti le denunce di malattie professionali e infortuni, con una crescita di domande di circa il 2,5%.   A questo si aggiungono le oltre 500 mila richieste di sostegno al reddito; oltre 600mila di prestazioni assistenziali, quali l’invalidità civile, povertà e assegni familiari e quasi 170 mila pratiche aperte per la tutela della maternità/genitorialità.

I tagli al Fondo Patronati di 140 milioni di euro al Fondo Patronati, imposti con le leggi finanziarie dal 2010 al 2016, e la riforma contenuta nei 5 decreti attuativi, varati nel novembre scorso, di cui restano incerti ancor oggi i dettagli, non hanno scoraggiato l’Inca nel perseguire l’obiettivo di continuare a garantire l’universalità e la gratuità delle tutele previdenziali e socio assistenziali.  “Il Patronato della Cgil, insieme a Inas e Ital – ha spiegato Morena Piccinini, presidente Inca – ha rifiutato la dimensione commerciale dell’attività di tutela. E questo però ha avuto delle ripercussioni interne”. “In una situazione così drammatica – ha spiegato -, la Cgil e le Camere del Lavoro si sono fatte carico di un onere sempre maggiore per evitare le riduzioni del personale, le chiusure di uffici e la compressione della capacità di tutela individuale di Inca. Una decisione importante che, nel confermare l’impegno di tutta l’organizzazione in favore di Inca, confuta anche un antico e odioso luogo comune, alimentato da chi vuole danneggiare le organizzazioni sindacali, di considerare il Patronato il soggetto finanziatore della confederazione promotrice. Non è mai stato cosi e, anzi, oggi è sempre più consistente il contributo che gli iscritti alla Cgil pagano affinché non venga messa in discussione la tutela individuale e universalistica esercitata da Inca; quella tutela per la quale il Governo e il Parlamento hanno negato risorse”.

La strategia di Inca si muove lungo la direttrice di sviluppare la capacità consulenziale, dividendola  in quattro ‘pacchetti’: previdenziale, genitoriale, per il riconoscimento dell’handicap e l’ultimo dedicato alle persone straniere. Lo scopo è quello di accompagnare le persone e le famiglie nei loro percorsi di vita e di lavoro, che si snodano in un arco di tempo ben più prolungato rispetto a quello di una singola pratica, per la quale chiedono l’intervento del Patronato. “L’obiettivo – ha spiegato Claudio di Berardino, del collegio di Presidenza Inca, nell’illustrare i dati del Bilancio sociale – è quello di diventare un soggetto capace di fornire, oltre alla tutela individuale, una consulenza sempre più specialistica su welfare nazionale, territoriale e contrattuale, nonché sui problemi connessi alla salute nei luoghi di lavoro e nelle condizioni di vita”.

 

Malattie professionali nel lavoro in appalto

Malattie professionali nel lavoro in appalto


Responsabilità solidale dei datori di lavoro 

di Lisa Bartoli

La società appaltatrice e il committente rispondono in solido della omissione delle necessarie misure di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro. E’ quanto ha stabilito il giudice del lavoro del Tribunale di Taranto con la sentenza n. 2478 del 26 giugno scorso, che ha condannato le società Sidermontaggi, in liquidazione in concordato preventivo spa, e Fintecna spa, a pagare un risarcimento agli eredi di un lavoratore deceduto per un mesotelioma pleurico, contratto durante una lunga esposizione all’amianto.

Il verdetto, sollecitato da un ricorso promosso dall’avvocato Massimiliano Del Vecchio, consulente legale di Inca,  ribadisce che, una volta accertata la continuità lavorativa e l’esposizione al rischio, un’azienda  che appalta il lavoro ad un’altra realtà produttiva non può chiamarsi fuori dalla responsabilità di fare quanto è di sua competenza per garantire l’integrità fisica dei lavoratori (articolo 2087 del codice civile), anche se non dovessero risultare direttamente alle sue dipendenze. E dunque, in caso di malattia professionale o di infortunio, ne risponde al pari di chi utilizza concretamente la manodopera. Secondo il Tribunale di Taranto, che richiama “il condivisibile orientamento ripetutamente affermato dalla Suprema Corte”, l’articolo 2087 cod.civ. (…) è applicabile anche nei confronti del committente, tenuto al dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche se non dipendenti da lui, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire”.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un lavoratore, dipendente di Sidermontaggi (appaltatrice della società proprietaria dello stabilimento siderurgico di Taranto) dal giugno 1972 al dicembre 1996, poi successivamente alle dipendenze di Ilva fino all’agosto  2001, che ha svolto diverse mansioni, da saldatore tubista e poi impiegato nella distribuzione di apirolio, refrattari, materiali per saldatura e amianto, che venivano frantumati. Le due società chiamate in causa hanno adottato due linee difensive diverse per sottrarsi dal pagamento del risarcimento: la Sidermontaggi, da cui dipendeva da ultimo il lavoratore, ha affermato di aver adottato adeguati mezzi personali di protezione. La seconda, la Fintecna, invece, ha eccepito la nullità del ricorso scaricando sulla società appaltatrice “l’esclusiva responsabilità” di quanto accaduto.   Due posizioni diverse che, però, non hanno trovato accoglimento nelle conclusioni del verdetto.

Per la Consulta sono responsabili entrambe le società e non vale neppure l’eccezione di prescrizione da loro sollevata, in considerazione del tempo trascorso tra la fine del rapporto di lavoro (2001) e l’insorgere della malattia (2013),  in quanto, recita la sentenza “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di avere contratto una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all’altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita come danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando la ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”.   

In ragione di ciò, il Tribunale di Taranto ha condannato le società in causa al pagamento di 555.295,08 di euro a titolo di risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale, con la maggiorazione della rivalutazione monetaria e degli interessi legali. Una somma consistente che riconosce il valore del danno differenziale, aggiuntivo rispetto all’indennizzo già corrisposto da Inail  al lavoratore. Per il giudice Tarantino, infatti, le due misure – danno biologico e indennizzo – devono essere tenute ben distinte poiché “… deve escludersi che le prestazioni eventualmente erogate dall’Inail esauriscano di per sé e a priori il ristoro del danno patito dl lavoratore infortunato od ammalato