Archivi giornalieri: 26 novembre 2016

Cuba

La sanità a Cuba. Una sfida vincente

Inserito da  on 2 giugno 2009 – 21:075 commenti

di Michela Campinoti e Francesca Santomauro
cuba_clinic-150x150Negli ultimi 50 anni Cuba ha sviluppato un sistema sanitario nazionale esclusivamente pubblico che garantisce, con apprezzabili risultati di salute, cure e programmi di prevenzione di buona qualità a tutta la popolazione.

Oggi a Cuba l’assistenza di primo livello è garantita da oltre 32.000 medici di famiglia. Ogni medico ha in carico circa 120-160 famiglie e, affiancato da un’infermiera, svolge attività di prevenzione e di cura sia ambulatorialmente che a domicilio. Il secondo livello di assistenza è fornito da 491 policlinici (poliambulatori o cliniche di comunità) disseminati su tutto il territorio, in cui un team multidisciplinare (geriatri, ginecologi, ostetriche di comunità, psichiatri e operatori sociali) collabora con il medico di famiglia. Le prestazioni ivi erogate, in regime prevalentemente di day hospital, sono di tipo diagnostico, terapeutico e riabilitativo. Il terzo livello di assistenza è assicurato da 222 ospedali a elevata specializzazione, alcuni dei quali di rilievo internazionale (Tabella 1). Nell’isola inoltre esistono circa 200 strutture residenziali per anziani[1],[2],[3],[4].

Tabella 1. Cuba: indicatori generali. Fonte [1]

Popolazione 11 .239.128
Densità di popolazione (ab./km2) 102,3
Medici per 10000 abitanti 64,4
Medici di famiglia 32.548
Numero di ospedali 222
Numero di policlinici 491

Questa articolata rete di assistenza ha contribuito al raggiungimento di risultati di salute comparabili a quelli dei paesi più ricchi. Il dato sicuramente più interessante è rappresentato dalla speranza di vita alla nascita della popolazione cubana che, grazie al controllo delle malattie infettive e al progressivo miglioramento delle condizioni socioeconomiche del paese, ha raggiunto i 78 anni. L’invecchiamento della popolazione (dal 9,1% di over 65 nel 1996 all’11,5% nel 2007) determinato anche dalla riduzione del tasso di natalità (12,7 ‰ nel 1996 al 10,0 ‰ nel 2007) ha comportato, dal punto di vista epidemiologico, l’aumento di incidenza delle malattie cronico-degenerative[1],[6]. Tra gli adulti, infatti, le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte, anche se negli ultimi 30 anni, grazie a programmi di prevenzione efficaci ed ai progressi terapeutici, questo tasso si è dimezzato. Altra importante causa di morte sono le patologie oncologiche: i tumori più frequenti sono il carcinoma polmonare e quello della prostata seguiti da quelli della mammella e del colon-retto. Tra gli adulti di età inferiore a 49 anni la principale causa di morte è costituita dagli infortuni. Per quanto riguarda le malattie infettive, ottimi risultati sono stati ottenuti grazie a ripetute campagne vaccinali. Di alcune di esse non si verificano casi clinici da molti anni: poliomielite (1962), tetano neonatale (1972), difterite (1979), morbillo (1993), pertosse (1994), rosolia e parotite (1995)[3]. L’infezione da HIV sull’isola ha una bassa prevalenza (<0,1% della popolazione di età compresa tra 15 e 49 anni)[4].

A proposito della salute materno-infantile, si rileva come, a fronte di un tasso di mortalità materna ancora molto elevato, si sia raggiunto un tasso di mortalità infantile tra i più bassi del mondo (Tabella 2).

Tabella 2. Cuba e paesi selezionati: indicatori sanitari
(I Parte). 
Fonte [5]

 

  Speranza di vita alla nascita M/F Tasso di mortalità infantile
(per 1000 nati vivi)
Tasso di mortalità materna (per 100.000 nati vivi)
Cuba 76/80 5 45
America latina 70/75 23 160
Italia 78/84 3 3
UE 15 77/83 4 6
UE 25 75/81 4 7
USA 75/80 7 11

Tabella 2. Cuba e paesi selezionati: indicatori sanitari
(II Parte). 
Fonte [5]

  Tasso di mortalità causa specifico*(per 100.000) Prevalenza HIV**(per 100.000)
Malattiecardiovascolari Tumori Infortuni
Cuba 215 129 54 52
America latina 259 133 67 755
Italia 174 134 29 300
UE 15 185 138 37 189 (a)
UE 25 250 146 52 238 (b)
USA 188 134 47 508

* standardizzato per età; ** ≥ 15 anni; (a) Escluso Finlandia e Lussemburgo; (b) Escluso Finlandia, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Cipro e Malta.

Questi risultati sono da considerarsi ancora più di valore se si considera che sono stati ottenuti a fronte di una spesa da 10 a 20 volte minore rispetto a quella di paesi che hanno raggiunto obiettivi di salute comparabili (Tabella 3). Ciò è stato possibile grazie ad una strategia sanitaria incentrata sulla medicina preventiva di comunità, alla disponibilità di una larga forza-lavoro retribuita con salari molto bassi, e all’impiego di una tecnologia non molto avanzata[7],[8].

Tabella 3. Cuba e paesi selezionati: spesa sanitaria. Fonte [5]

  Cuba America latina Italia UE 15 UE 25 USA
Spesa sanitaria
totale come % PIL
8 7 9 9 8 15
Spesa sanitaria pubblica
come % della spesa sanitaria totale
91 53 77 76 73 45
Spesa per la sanità
come % sul totale della spesa pubblica
12 13 14 15 14 22
Spesa sanitaria totale
pro capite (PPP int. $)
333 486 2474 3042 2437 6350
Spesa sanitaria pubblica
pro capite (PPP int. $)
302 256 1894 2324 1826 2862

Uno sguardo al passato

Nel periodo pre-rivoluzione il sistema sanitario era molto eterogeneo e rudimentale, esisteva un solo ospedale universitario, un’unica scuola di medicina e le prestazioni erano erogate per la maggior parte privatamente da medici residenti prevalentemente all’Avana. Inoltre, le condizioni di vita di coloro che abitavano nelle campagne erano veramente precarie, e solo all’8% circa di essi era assicurata una qualche forma di assistenza medica.

Con l’arrivo di Fidel Castro nel 1959, la nuova leadership cubana si prefisse l’ambizioso obiettivo di creare un sistema sanitario nazionale che erogasse servizi gratuiti e accessibili a tutta la popolazione. I primi interventi eseguiti furono quelli di bonifica ambientale, in particolare la realizzazione delle reti idrica e fognaria. Negli anni successivi, circa la metà dei medici, in disaccordo con il governo socialista e vedendosi togliere i privilegi a cui erano abituati, abbandonò Cuba. Nonostante questo all’inizio degli anni ‘60 il Ministero della Salute iniziò un programma di nazionalizzazione e regionalizzazione dei servizi sanitari: furono reclutati medici per l’assistenza alla popolazione rurale, realizzati nuovi ospedali e cliniche di comunità, fu iniziato un programma nazionale di immunizzazione dei bambini e fu istruito ulteriore personale sanitario.

Negli anni ‘70 il modello di cure primarie basato sulle cliniche di comunità (o policlinici, centri polifunzionali di zona) fu potenziato e si accollò l’educazione alla salute, la prevenzione e il monitoraggio ambientale. Furono istituiti quattro programmi nazionali di assistenza multidisciplinare mirati alla tutela della salute materno-infantile, al controllo delle malattie infettive, alla prevenzione e cura delle malattie croniche e alla tutela degli anziani.

Gli anni ‘80 videro lo sviluppo dell’assistenza specialistica e della ricerca. Fu istituito un programma nazionale per i trapianti d’organo e installata la prima risonanza magnetica nucleare dell’America Latina. Altre conquiste importanti furono il decollo dell’industria delle biotecnologie, in particolare in ambito vaccinale (in tale settore Cuba si affermò a livello mondiale) e l’introduzione nel 1986 del Programma del Medico di Famiglia, che mise a disposizione dei pazienti un team costituito da medico e infermiera e garantì, a partire dai primi anni ‘90, l’assistenza primaria al 95% delle famiglie cubane direttamente nel proprio quartiere di residenza.

Gli anni ‘90 sono stati caratterizzati da una profonda crisi economica (si parla di Periodo Speciale) dovuta al crollo dell’Unione Sovietica (in due anni Cuba perse l’85% dei propri affari commerciali) e alle condizioni di embargo ancora più restrittive stabilite nel 1992 dagli USA. Lo stato di salute della popolazione regredì così di un decennio a causa delle restrizioni alimentari, del mancato approvvigionamento di farmaci e dell’impossibilità di sostituire le apparecchiature mediche obsolete o guaste. Sono stati necessari alcuni anni e una serie di interventi mirati a favorire lo sviluppo di un’economia agricola locale per recuperare la qualità di vita persa. Ciò è stato possibile anche grazie al prioritario interesse rivolto dal governo cubano verso i bisogni di salute della popolazione, all’attenta pianificazione della politica sanitaria ed all’oculata razionalizzazione delle risorse[4][9].

Le sfide per il futuro

La parziale ripresa economica degli ultimi anni, dovuta agli accordi stretti dal governo con il Venezuela per il rifornimento di petrolio e ad altri proficui rapporti commerciali con diversi paesi, fa ben sperare per il sistema sanitario. Si ipotizza che in pochi anni le strutture sanitarie saranno rinnovate ed equipaggiate di strumentazioni moderne. Il programma di rinnovamento degli ospedali è iniziato e il personale sanitario ha ricevuto un aumento, seppur modesto, del salario mensile[10].

Inoltre, al sistema prioritariamente centralizzato è stata affiancata una politica di decentralizzazione che permette una maggiore flessibilità a livello municipale nell’organizzazione dei servizi e nell’utilizzazione delle risorse in risposta ai bisogni locali[11].

Per evitare potenziali carenze di personale sanitario dovute al suo coinvolgimento massivo nelle missioni internazionali, anche l’addestramento dei nuovi operatori è in fase di rinnovamento e si sta assistendo allo sviluppo di un sistema di insegnamento decentralizzato, direttamente a livello dei policlinici. Si apre così la particolare sfida di riuscire a mantenere la qualità accademica di questo sistema di insegnamento. Inoltre, Cuba è impegnata ad offrire la formazione medica universitaria gratuita a migliaia di studenti provenienti da paesi in via di sviluppo[12].

Infine, il “Piano di Salute Nazionale verso il 2015” del 2006 riconosce nell’invecchiamento della popolazione una sfida per i prossimi decenni e prevede un riorientamento dei servizi, in particolare di quelli erogati a livello dei policlinici di comunità, “from cure to care”. Un altro passo in questa direzione è rappresentato dal potenziamento dei centri di cura diurni per gli anziani inseriti nei quartieri in cui essi vivono.

Anche se le sfide da affrontare sono enormi, i principi fondanti del sistema sanitario cubano non sono in discussione. Il suo carattere pubblico, l’accessibilità finanziaria (nessun pagamento al momento dell’erogazione del servizio) e la buona qualità delle cure offerte a tutta la popolazione in un’ampia rete integrata di strutture sanitarie, sono in forte contrasto con la tendenza registratasi in molti altri paesi dell’America Latina ad andare verso la progressiva privatizzazione dei servizi[10].

Il punto forte del sistema sanitario cubano, che ha raccolto e per alcuni versi anticipato i principi contenuti nella dichiarazione di Alma Ata del 1978, è rappresentato quindi dallo sviluppo di un buon sistema di cure primarie, focalizzato sulla prevenzione delle malattie, attraverso per esempio le vaccinazioni dei bambini e gli screening di popolazione, piuttosto che sulla produzione di farmaci costosi e che ha investito sull’ottima formazione del personale, invece che sullo sviluppo di sofisticate strumentazioni diagnostiche[2][11].

Al di là delle critiche che possono essere mosse al regime cubano e alla limitazione dei diritti civili che esso impone, il modello assistenziale sviluppato a Cuba merita senz’altro maggiore considerazione da parte della comunità scientifica, affinché ne sia compreso il reale valore e sia valutata la possibilità di esportarne gli elementi di forza in altre realtà in via di sviluppo.

Bibliografia

  1. Situación de Salud en Cuba [PDF: 412 Kb]
  2. Bourne PG. Asking the right questions: Lessons from the Cuban healthcare System. Health Equity Network Lecture. London School of Economics and Political Science, 2003
  3. Cooper RS, Kennelly JF, Orduñez-Garcia P. Health in Cuba. Int J Epidemiol 2006; 35: 817-824
  4. Bonati M. Cuba. In: Salute globale e aiuti allo sviluppo – Diritti, ideologie, inganni. 3° Rapporto dell’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale. Edizioni ETS, Pisa 348-358, 2008
  5. World Health Statistics 2008
  6. Anuario Estadístico 2007 – Datos Demográficos
  7. Evans RG. Thomas Mc Keown meet Fedel Castro: physicians, population health and Cuban paradox. Healthcare Policy 2008; 3: 21-32
  8. Aitsielmi A. An analisys of the Cuban health system. Public Health 2004; 118: 599-601
  9. Cuban Health System
  10. De Vos P, De Ceukelaire W, Bonet M, Van der Stuyft P. Cuba’s health system: challenges ahead. Health and Planning 2008; 23: 288-290
  11. WHO. Cuba’s primary care revolution: 30 years on. WHO Bulletin 2008; 86:5
  12. Mullan F. Affirmative action, Cuban style. NEJM 2004; 351:2680-2682
  13. De Vos P, De Ceukelaire W, Van der Stuyft P. Colombia and Cuba, contrasting models in Latin America’s health sector reform. Tropical Medicine and International Health 2006; 2: 1604-1612

Istruzione e sanità: Cuba batte Italia

Il sistema educativo cubano è il migliore dell’area latinoamericana e dei Caraibi. Non lo afferma qualche polveroso bollettino veterocomunista ma l’istituzione guida del neoliberismo internazionale, la Banca mondiale. Secondo un recente rapporto dell’istituzione in questione, Cuba possiede un corpo docente di alta qualità e presenta parametri elevati, un forte talento accademico, retribuzioni adeguate ed elevata autonomia professionale, al pari di Paesi rinomati in questo senso a livello mondiale, come Finlandia, Singapore, Cina (in particolare la regione di Shanghai), Corea, Svizzera, Paesi Bassi e Canada.

Già in precedenza, peraltro, sempre il Banco mondiale aveva sottolineato, in un altri suoi rapporti, il riconoscimento internazionale attribuito a Cuba per i suoi successi nei campi dell’educazione e della salute, ottenuti grazie a un sistema di servizi pubblici che supera il livello presente nella maggiore parte dei Paesi in via di sviluppo e in alcuni settori è comparabile a quello dei Paesi sviluppati. E che fin dalla rivoluzione del 1959 è stato creato un sistema che permette l’accesso universale alla salute e all’educazione. Un modello che ha permesso a Cuba di raggiungere l’alfabetizzazione generale, sradicare determinate malattie, garantire l’accesso all’acqua potabile e la salute pubblica di base, con bassi livelli di mortalità infantile e alta speranza di vita, con un costante miglioramento degli indicatori sociali dal 1960 al 1980 e un ulteriore miglioramento dei tassi di mortalità infantile e speranza di vita negli anni Novanta. La Banca mondiale osservava come le prestazioni dei servizi sociali a Cuba siano fra le migliori del mondo in via di sviluppo, come documentato del resto da fonti di varie organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della salute, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e altre agenzie delle Nazioni Unite.

 

 

Non male, specie per un Paese sottoposto da oltre cinquanta anni a un blocco economico e a continui attentati e atti di terrorismo da parte della massima potenza mondiale. Non è del resto casuale che metodologie, expertise e risorse umane cubane siano attivamente presenti in tutta l’America Latina e in tutto il mondo, nel settore in questione come in altri, specie la sanità. Va d’altronde considerato come il Paese dedichi all’insegnamento il 13% del proprio bilancio nazionale. Si pensi che in Italia, nel 2008, la percentuale dedicata al tema raggiungeva il 4,6%, mentre in anni più recenti la spesa è stata ulteriormente tagliata, come notato dalla stessa Unione europea.

Nonostante i vacui blablabla di Renzi, non inferiore da questo punto di vista ai suoi predecessori, la situazione permane estremamente deplorevole anzi si aggrava ogni giorno di più, da tutti i punti di vista: dall’edilizia scolastica al precariato dei docenti, dagli strumenti didattici a disposizione alla dispersione scolastica. E non bastano certo i più o meno oxoniani anglicismi del nostro governo a colmare lacune sostanziali.

 

Vero è peraltro che in una società come la nostra, la paideia, l’educazione dei giovani, non è in mano alla scuola, ma molto di più, a una televisione di pessima qualità e a social media dove si trova di tutto e il suo contrario. Senza contare i miti che vanno per la maggiore nell’immaginario collettivo anche giovanile e i valori di riferimento che sono più che altro denaro, violenza e individualismo sfrenato. In molti casi i modelli educativi e di vita sono rappresentati dai capi della criminalità, Belluscone docet.

Del tutto relativo, pertanto, si rivela il concetto di Paese in via di sviluppo e di Paese sviluppato. Potremmo dire, che grazie ai tagli di spesa imposti dall’Unione europea e alle fallimentari e liquidatorie politiche perseguite da una classe politica di semianalfabeti, da Gelmini in poi, il nostro Paese si stia decisamente avviando verso il sottosviluppo, mentre Cuba si conferma un Paese di sviluppo le cui success stories indicano a molti altri Paesi quale deve essere la via da seguire.

Per non parlare dell’impegno di Cuba sul fronte della salute, non solo per sé ma per tutto il pianeta. Mentre da noi alcuni blaterano in modo insensato di chiusura delle frontiere per bloccare i virus, Cuba, raccogliendo il plauso delle Nazioni Unite, ha inviato 165 medici e infermieri in Africa per combattere il virus dell’Ebola.

Potremmo proporre un cambiamento, sia pure temporaneo, trasferendo l’attuale ministro dell’educazione cubano nel nostro governo e inviando la Giannini a imparare qualcosa all’Avana. Più difficile risulterebbe lo scambio fra Renzi e Raul, si teme fortemente che il nostro, dopo qualche giorno di chiacchiere a vuoto, sarebbe destituito e mandato a tagliare la canna da zucchero a tempo indeterminato. E senza gelato, beninteso. Ma visto che ci siamo potremmo mandare a Cuba in rieducazione grandissima parte della nostra classe politica e imprenditoriale.

di  | 17 settembre 2014

Morto Fidel Castro

Morto Fidel Castro

Il Comandante della Rivoluzione cubana aveva 90 anni. Ad annunciarlo alla tv il fratello Raúl, presidente dal 2008. Nove giorni di lutto e funerali il 4 dicembre

di Sara Gandolfi

 
 
(Fotogramma).
 
 
 
 

Fidel Castro, líder máximo ed ex presidente di Cuba, è morto. Il leader rivoluzionario che conquistò il potere sull’isola nel 1959, rovesciando la dittatura di Fulgencio Batista, aveva 90 anni. Lo ha annunciato poco dopo la mezzanotte di venerdi (questa mattina in Italia) il fratello, Raúl Castro, attuale presidente dell’isola. «Il comandante in capo della Rivoluzione cubana è deceduto stasera alle 22.29», ha annunciato Raúl con voce tremante. «Il corpo di Fidel Castro sarà cremato nelle prossime ore», ha aggiunto Raúl, concludendo con lo slogan tanto amato dal fratello maggiore: «Hasta la victoria, siempre».

 

Funerali il 4 dicembre

I funerali di Fidel Castro si terranno il 4 dicembre. Lo annuncia il governo. La cerimonia si svolgerà nel cimitero di Santa Ifigenia, nella città di Santiago de Cuba. Sono stati proclamati 9 giorni di lutto nazionale. Lo ha deciso il Consiglio di Stato, in questo arco di tempo saranno sospese «tutte le attività e gli eventi pubblici, la radio e la tv rispetteranno una programmazione informativa, patriottica e storica», ha precisato l’organo più alto dell’esecutivo cubano. Nel corso della settimana di lutto una processione con le ceneri dell’ex presidente cubano attraverserà il Paese per quattro giorni. Santiago di Cuba è la città dove si trova la caserma Moncada, il cui fallito assalto il 26 luglio 1953 viene considerato tradizionalmente l’inizio della Rivoluzione cubana.

 

 Fidel Castro è morto, una vita da líder máximo

 

 

Il compleanno ad agosto

Fidel Castro aveva compiuto 90 anni il 13 agosto scorso, festeggiato in pompa magna in tutta Cuba. Il Comandante aveva superato indenne gli anni dell’insurrezione contro Batista, molteplici tentativi di assassinio e un delicato intervento chirurgico, una decina di anni fa. Nel 2008 ha ceduto lo scettro al fratello minore Raúl, che ha dato il via alle riforme economiche e lentamente riallacciato le relazioni con l’ex nemico «imperialista» statunitense, fino alla storica visita di Barack Obama all’Avana nel marzo scorso.

 Fidel Castro è morto, una vita da líder máximo

 

 

Le Riflessioni

Nel 2011, Fidel Castro aveva abbandonato tutte le responsabilità ufficiali cedendo al fratello anche la carica di primo segretario del Partito comunista di Cuba (Pcc). Tra il febbraio 2014 e l’aprile 2015 era scomparso completamente dalla scena pubblica, il che aveva alimentato le voci sulla sua morte. Ma dopo un anno e mezzo aveva cominciato a pubblicare sul quotidiano Granma le sue «Riflessioni», sui temi più svariati.

 

Fidel Castro è morto, una vita da líder máximo

 

 

L’ultima apparizione

Fidel, pur nell’ombra, ha resistito all’oblio: le sempre più rare comparsate fotografiche, in tuta da ginnastica, avevano smentito periodicamente le voci della sua morte. I suoi lunghi scritti erano costante oggetto di discussioni sulla stampa di regime. Ma ormai era da tempo che non si vedeva più, neppure in foto. «Sto per compiere 90 anni, non avevo mai pensato che sarebbe successo. È stato un colpo di fortuna», aveva detto prima del suo compleanno la scorsa estate, con voce flebile, parlando a una platea ammutolita al VII Congresso del Partito comunista. «Presto farò la fine degli altri. Noi tutti affrontiamo lo stesso destino». Era il suo addio, dopo 47 anni al potere e altri dieci da «pensionato» eccellente.

 

 

 

L’avvocato «barbudo»

Figlio di un proprietario terriero di origine spagnola, Fidel Alejandro Castro Ruz, era nato il 13 agosto 1926 a Biran, nella provincia d’Oriente. Educato dai gesuiti, si è diplomato in legge all’Università dell’Avana per poi mettersi alla guida della rivoluzione dei «barbudos» contro il generale Fulgencio Batista, che aveva preso il potere con un golpe nel 1952

San Bellino di Padova

 


San Bellino di Padova

Nome: San Bellino di Padova
Titolo: Vescovo
Ricorrenza: 26 novembre

La data di nascita è ignota, l’ascendenza genealogica non del tutto sicura e di recente sottoposta a nuova indagine da A. Tilatti, che ha scartato la precedente attribuzione di Bellino alla famiglia dei Bertaldi, individuandone il padre in un non altrimenti identificato Audo. Prete almeno dal 1107, anno della sua prima menzione, Bellino è il primo tra i canonici destinatari di una donazione al capitolo della cattedrale di Padova nel 1108 e l’anno successivo riveste la carica di arciprete della stessa cattedrale. Fin dalla sua prima apparizione figura al fianco di Sinibaldo, il vescovo di orientamento filopapale contrapposto al candidato di obbedienza imperiale e costretto dalla violenza regia, cioè di Enrico V, ad abbandonare la sua sede. 

Bellino seguì con tutta probabilità Sinibaldo nel suo esilio, ma nel 1115 risulta nuovamente a Padova, in una fase di componimento delle divisioni. Superato definitivamente lo scisma e ritornato Sinibaldo in sede, Bellino operò al vertice del capitolo cattedrale per essere poi eletto vescovo fra il 1126 e il 1128. La sua attività si svolse in continuità con quella del suo predecessore: Bellino confermò e in parte ampliò le concessioni di Sinibaldo al monastero veneziano di S. Cipriano, dipendente dall’abbazia di Polirone; si adoperò a favore di S. Croce di Campese, monastero assoggettato nel 1127 alla stessa abbazia di Polirone, alla quale nel 1124 Sinibaldo aveva sottoposto il monastero di Praglia; mantenne infine il legame affettuoso con la chiesa di S. Maria delle Carceri, che durante l’episcopato di Sinibaldo aveva adottato la vita comune e le istituzioni di S. Maria di Porto di Ravenna: Bellino beneficò la canonica, la sostenne presso il pontefice, invocandone la protezione, e come Sinibaldo fu annoverato tra i benefattori nel necrologio del monastero, ricordato quindi nelle preghiere della comunità. 

I singoli interventi citati s’inserivano in un più ampio progetto di riordino della diocesi padovana sotto l’aspetto sia patrimoniale sia giurisdizionale, dopo le lotte e i disordini dei decenni precedenti. Alla povertà denunciata nel 1130 da Bellino («i beni del mio episcopato sono stati dilapidati per i contrasti fra Regnum e Sacerdotium») faceva eco Innocenzo II nel 1132, che si preoccupava di confermare al vescovo padovano tutte le chiese usurpate da laici e da monaci durante l’episcopato suo e del suo predecessore. Anche se non risulta un’opera parallela nei confronti dei monasteri, un preciso impegno di recupero di chiese e di porzioni di chiese private dalle mani di laici, in consonanza con i ripetuti canoni conciliari contemporanei, è attestato nel 1134 (diritti della famiglia da Montagnone sul monastero di S. Daniele), nel 1138 (cappella di Montegalda refutata dai nobili da Baone), nel 1146 (diritti dei signori da Caldonazzo sulla chiesa di Curtarolo). Tale azione si collegò alle vigili cure circa la tenuta delle strutture diocesane: gli atti di donazione previdero clausole a difesa sia dei diritti delle chiese parrocchiali sia dei diritti vescovili circa la consacrazione dei chierici e dell’olio santo, la presenza ai sinodi e la giustizia ecclesiastica. In data incerta Bellino intervenne in favore dei sacerdoti delle cappelle cittadine concedendo loro il quartese della città e del territorio, intervento che conforterebbe l’ipotesi secondo cui Bellino in qualche modo sostenne la nascita della «congregazione dei sacerdoti e dei chierici di Padova», l’associazione che riuniva il clero officiante le cappelle urbane, incaricato di nuovi compiti di cura d’anime. 

Il favore per le istituzioni canonicali, la promozione di monasteri, canoniche e chiese, la vigilanza sulla stabilità delle gerarchie d’ufficio e di giurisdizione compongono l’immagine di un vescovo aperto alle nuove esperienze religiose, impegnato nell’attento governo della sua chiesa, interessato, anche a seguito delle vicende dello scisma, al corretto e disciplinato svolgimento della vita ecclesiastica: nella documentazione che lo riguarda, si parla di successori catholici, di funzioni parrocchiali da esercitare «secondo i canoni», di un’obbedienza, da parte dei suoi canonici, ecclesiastica e fidelis. Un vescovo ormai in stabile colloquio con la Sede apostolica e consapevole del ruolo di guida da essa assunto ed esercitato all’interno della cristianità, ad esempio attraverso la convocazione di sinodi generali, la cui eventualità era da Bellino esplicitamente contemplata. Non va però dimenticato il significato che l’episcopato di Bellino rivestì nella storia civile padovana: se, durante lo scisma, la compresenza e il contrasto fra due vescovi aveva visto emergere partiti che esprimevano orientamenti di politica soprattutto locale, con gli episcopati di Sinibaldo e di Bellino il dialogo con la società urbana e con le forze signorili del territorio si mantenne intenso, anche per la presenza giurisdizionale e patrimoniale che l’episcopato, seppur indebolito, conservava. 

Bellino morì quasi certamente a Padova il 26 novembre del 1147, data ricostruibile attraverso il necrologio di S. Maria delle Carceri e dati documentari indiretti. Posteriore di più di un secolo è la vita di un san Bellino vescovo e martire attribuita al domenicano Bonagiunta, vescovo di Adria (12881304). Le vicende che portarono alla venerazione di un san Bellino nella diocesi di Adria non sono del tutto chiarite. Dall’esame condotto da A. Tilatti, le lezioni relative alla festa del santo risultano una mescolanza di elementi riconducibili a personaggi storici diversi e ricomposti in un disegno che rispecchia gli intenti dell’agiografo più che la realtà storica di Bellino. Secondo il testo agiografico, Bellino, già vescovo di una diocesi tedesca, fu nominato vescovo di Padova dal pontefice, preoccupato di sanare uno scisma apertosi nella sede vescovile a causa di indebite pressioni politiche. Zelatore e difensore delle libertà della sua chiesa, Bellino cadde ucciso nel ritorno da Roma, ove s’era recato per ottenere protezione e consiglio, nei pressi della chiesa di S. Giacomo di Fratta (in diocesi adriese). Sul luogo fiorirono subito i miracoli ma poi, in seguito a un’alluvione e al crollo della chiesa, il corpo santo fu sepolto dal fango e cadde nell’oblio. L’ invendo fu opera di un uomo pio che, guidato da un sogno, giunse sul luogo recuperando l’arca marmorea, la quale, posta su di un carro, fu prodigiosamente guidata alla pieve di S. Martino di Variano da cui S. Giacomo dipendeva.

Il testo attribuito a Bonagiunta, ripreso anche nel lezionario della cattedrale di Padova, razionalizza un culto che, pur non avendo quasi nulla a che vedere con il Bellino storico (cui furono certamente estranei l’assassinio e il martirio), si mantenne e anzi si potenziò allorché, nel 1489, Bellino fu elevato a patrono della diocesi di Adria, diocesi che con quella di Padova vide la diffusione del culto. Il modello proposto dal testo tardoduecentesco era quello del martire per la libertas Ecclesiae e per l’obbedienza alla Chiesa di Roma, modello funzionale all’azione che, come vescovo, Bonagiunta andava conducendo nella diocesi, e probabilmente ispirato da una «ben determinata congiuntura storicopolitica: la predominanza padovana nel Polesine» (di qui l’adozione e la proposta di un santo padovano le cui vicende avevano fortissime analogie con quelle del contemporaneo vescovo padovano, Bernardo). Nella devozione popolare la venerazione per Bellino si legò al suo potere taumaturgico nei casi di rabbia canina, una virtus già celebrata, secondo il testo agiografico, dal vescovo adriese Rolando ai primi del Duecento e invocata a lungo nei secoli, come risulta dai registri parrocchiali (all’a. 1727), da ex voto e da stampe popolari di fine Ottocento. La chiesa di S. Martino di Variano, che poi insieme con la località mutò il suo titolo in S. Bellino, fu precoce meta di pellegrinaggio, come confermano la recente ricognizione del contenuto dell’arca e le monete in essa rinvenute.