Archivio mensile:maggio 2016

Pepe Mujica

Il paese dell’utopia. Viaggio nell’Uruguay di Pepe Mujica


Un viaggio denso di storie, volti, passioni e incontri. È il viaggio nell’Uruguay dell’ultimo decennio raccontato da Leonardo Martinelli, giornalista e scrittore, che ha vissuto nel Paese sudamericano dal 2003 al 2007 e ci è tornato l’anno scorso per tirare le fila del lungo processo di trasformazione avvenuto con i governi della sinistra del Frente Amplio.

«Il Paese dell’utopia», edito da Laterza, intreccia personaggi e luoghi sui quali si staglia la figura del Pepe, al secolo José Alberto Mujica Cordano, ex presidente, già guerrigliero tupamaro. Visionario e anticonformista.

«Chi è infelice con poco non sarà felice con niente» è il mantra del Pepe, l’agricoltore prestato alla politica che negli anni alla presidenza, dal 2010 al 2015, e prima come ministro, ha fatto dell’Uruguay un laboratorio della sinistra sudamericana e non solo. Mujica, sposato con una ex guerrigliera, arrivando al vertice dello Stato si è tagliato lo stipendio a 1.200 dollari mensili perché, come ama ripetere, «la vita è breve, ci scappa dalle mani, e nessun bene materiale vale altrettanto». Un inno che è l’essenza dell’Uruguay, sottolinea l’autore. «L’animale uomo resta essenzialmente un animale utopico – è la filosofia del Pepe – nel senso che ha sempre bisogno di qualcosa in cui credere perché se non ci si innamora di qualcosa non ha senso alzarsi tutte le mattine e continuare a lottare».

Nel 2005 nel Paese è andato al potere il Frente Amplio e il piccolo, tranquillo Uruguay ha attirato in più occasioni l’attenzione del mondo. Oltre ai provvedimenti più eclatanti, come la liberalizzazione della marijuana, ce ne sono stati tanti altri, ben più incisivi seppure di minore impatto mediatico. A cominciare dalla riforma sanitaria, varata nel 2008, che ha creato un fondo comune e solidaristico, alimentato dai contributi di lavoratori e imprese, che permette di coprire l’accesso alla sanità di tutti. E proseguendo con la riforma fiscale che ha equiparato le varie forme di lavoro, dipendente e indipendente, sottoponendo tutti a tassazione dei redditi personali. Un modello per l’America Latina delle diseguaglianze sociali.

Dal 2003 al 2015 il tasso di disoccupazione in Uruguay è passato dal 16% al 6 per cento. Nel 2003 il debito era sopra il 120% del Pil, ora oscilla intorno al 60 per cento. Il risanamento però non è stata una cura lacrime e sangue sul modello europeo. Anzi, il rilancio economico ha portato più giustizia sociale e benessere per tutti. E, caso unico al mondo, un computer a ogni studente, anche nella pampa più sperduta. Nel 2014 il Pil pro-capite ha superato i 16mila dollari, in America Latina secondo solo al Cile.

Certo 3 milioni e 400mila abitanti sono pochi per pensare di esportare il “modello Uruguay” ai giganti latinoamericani feriti dalla crisi economica. Eppure il viaggio nel Paese dell’utopia lascia al lettore la netta sensazione che osare è possibile. Basta sognare e poi voler realizzare il sogno.

Il Paese dell’utopia. Viaggio nell’Uruguay di Pepe Mujica
di Leonardo Martinelli
Editori Laterza, 13 euro

Osservatore Romano

La ferita della frontiera

 

 ​Il viaggio in Messico nella stampa internazionale ·

18 febbraio 2016

 
 

 

Sul «Corriere della sera», Gian Guido Vecchi, commentando il viaggio di Francesco in Messico, pone l’accento sul fatto che in quelle zone operano «novecentocinquanta pandillas, le bande armate legate al narcotraffico, con decine di migliaia di affiliati; con un numero di omicidi (fino a 2.500 l’anno) che ne ha fatto una delle città più violente del pianeta, il traffico di esseri umani che si aggiunge a quello della droga, la sequenza infinita di femminicidi che Roberto Bolaño raccontò nel romanzo “2666”». Il Papa ha benedetto «il punto esatto dove passa la frontiera tra Stati Uniti e Messico» scrive Marco Ansaldo su «la Repubblica», in una terra «immersa nella violenza delle bande di narcotrafficanti». Da una parte «Ciudad Juárez, oggi una delle città più sanguinose al mondo», dall’altra El Paso, la meta agognata; «in mezzo un reticolato. E migliaia che tentano di fuggire ogni giorno».

Su «Le Monde» Frédéric Saliba, parlando della messa conclusiva del viaggio, dedicata alle vittime della violenza, ricorda che se Ciudad Juárez nel 2010 era diventata la città più pericolosa del mondo ma ora appare tranquilla questo è dovuto a un patto di non aggressione tra i cartelli, avallato dalle autorità.

La città è un punto dove passano la droga e i clandestini, sotto lo stretto controllo del crimine organizzato che si fa pagare fino a settemila dollari per transitare oltre confine. Molti dei migranti sono richiedenti asilo perché vittime o testimoni di violenza.

Se da una parte il Messico minimizza i numeri e lascia i crimini impuniti, gli Stati Uniti respingono la maggior parte delle domande di asilo. Ma il tempo stringe, scrive il giornalista francese, perché «nello stato di Chihuahua l’omicidio è diventato la prima causa di mortalità dei giovani sotto i 17 anni». Nella corrispondenza intitolata «La messa surrealista di Papa Francesco alla frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti» Jean-Marie Guénois su «Le Figaro» scrive che a meno di cento metri dalle recinzioni di filo spinato, «lungo il fiume che si chiama Rio Grande o Rio Bravo, a seconda del Paese dove ci si trova», il vescovo di Roma che si oppone alla politica nordamericana — uno dei principali temi della campagna elettorale — ha lanciato un messaggio mondiale sull’emigrazione per promuovere i diritti dei migranti.

«Il Papa è voluto andare nel posto dove è stato versato più sangue» spiega padre Javier Calvillo a Dudley Althaus e Francis X. Rocca, giornalisti di «The Wall Street Journal», che raccontano il viaggio di Francesco in Messico dall’osservatorio di Ciudad Juárez, la città che ricapitola i temi più cari al Pontefice. Il viaggio di Papa Francesco ha già reallizzato il suo più grande obiettivo, scrive Pablo Ordaz su «El País» del 18 febbraio: mettere il Messico di fronte a se stesso. Ogni tappa ha messo in evidenza i suoi principali problemi: la povertà, gli effetti devastanti del narcotraffico sulla società civile, le vittime delle migrazioni di massa.

 

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Osservatore Romano

 

​La rivoluzione cammina

 

​Trenta fotografi per il giubileo di Francesco ·

30 maggio 2016

 
 

 

Le parole di Papa Francesco, fin dall’inizio del pontificato, hanno portato davanti ai nostri occhi la sofferenza del mondo, l’emarginazione, la povertà. Poveri, periferie, lacrime: parole desuete che sono tornate, con i suoi interventi, prepotentemente alla ribalta. Lo scrive Lucetta Scaraffia aggiungendo che insieme con l’appello alla misericordia: una misericordia attiva, che deve diventare capacità concreta di incidere sul mondo, di contrastare il male con il bene. L’elenco di sofferenze che vengono evocate ogni giorno non deve solo straziare i nostri cuori, ma diventare occasione per cambiare la nostra vita, per darle significato intervenendo in aiuto ai sofferenti.

Due ragazzi davanti a una scuola (Etiopia. Omo Valley, © Steve McCurry/Magnum Photos)

Ma nel nostro mondo le parole non contano, neppure quelle del Papa. Siamo abituati a farci toccare il cuore solo attraverso le immagini, cioè i filmati e le fotografie. Solo vedendo il nostro cuore si commuove, solo dopo avere visto con i nostri occhi siamo capaci di fare qualcosa di buono. E non sempre le immagini della televisione e dei giornali restituiscono fedelmente ciò che accade: le ragioni di questo silenzio sono molte, in primo luogo la difficoltà di trovarsi proprio là, dove le peggiori sventure accadono. E non sempre i fotografi sanno cogliere in un volto, in una mano, in un gesto, la potenza del dramma. Lo sanno fare solo i grandi fotografi, gli artisti.

Molto importante, quindi, e opportuna è l’iniziativa «My Jubilee» — di ArtsFor in collaborazione con la fondazione Ente dello Spettacolo — di dare visibilità alle parole del Papa attraverso le immagini di grandi fotografi, collaboratori di una delle più grandi agenzie fotografiche del mondo, la Magnum. Non è un evento secondario infatti che per Francesco si sia mossa proprio questa agenzia, nata nel 1947 come cooperativa che riuniva i più grandi fotografi del momento (Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour). Ancora oggi è fra le più prestigiose e autorevoli del mondo, raccoglie fotografi indipendenti, con sedi a New York, Londra, Parigi e Tokyo.

Si apre così una collaborazione fra trenta fotografi di grande nome, forse anche lontani dalla religione e — proprio per il duro mestiere che fanno — disincantati, e il capo visibile della Chiesa. Si tratta di una novità importante, che fa capire quanto volino lontano le parole del Papa, quanto la misericordia da lui invocata per il giubileo possa toccare persone che magari non si sentono parte della Chiesa, tanto da renderle testimoni del suo messaggio. Così, a piccoli ma significativi passi, la rivoluzione della misericordia cammina: vedendo quei volti devastati, quei gesti disperati, ogni essere umano si sente interpellato nel profondo del suo cuore. E diventa così più difficile costruire muri, cacciare profughi (e dare il proprio voto a chi promette di farlo).

Osservatore Romano

Battaglia per strappare
Falluja all’Is

 

​L’esercito iracheno entra nella città ·

30 maggio 2016

 
 

 

È scattata la battaglia finale per strappare la città irachena di Falluja al controllo del cosiddetto Stato islamico (Is). Un portavoce del servizio antiterrorismo iracheno ha annunciato questa mattina che le truppe irachene sono entrate nella città da tre direzioni diverse e stanno incontrando resistenza. Il comandante a capo dell’operazione, Abdelwahab Al Saadi, ha spiegato che la coalizione internazionale a guida statunitense e l’aviazione militare irachena stanno fornendo copertura ai soldati impegnati nei combattimenti. Secondo fonti locali, le forze di sicurezza irachene hanno scoperto decine di tunnel scavati dai jihadisti per fuggire dalla linea del fronte.

Bombardamenti dell’esercito iracheno alle porte di Falluja (Reuters)

Sinora l’offensiva, lanciata lo scorso 23 maggio dalle forze irachene, si era concentrata nei villaggi intorno a Falluja, nelle mani dell’Is dal gennaio del 2014. Secondo l’Onu, circa 50.000 persone restano intrappolate nella città della provincia di Anbar, a maggioranza sunnita. Insieme a Mosul, Falluja è considerata una delle maggiori roccaforti dell’Is in territorio iracheno. Secondo il sito filocurdo Shafaq, in previsione dell’attacco, nei sobborghi di Falluja sono stati schierati quasi 20.000 uomini.Falluja, tuttavia, non è il solo fronte di guerra in Iraq. Tre diversi attentati hanno colpito oggi la capitale Baghdad, causando almeno 22 morti e 45 feriti. Non ci sono al momento rivendicazioni, ma tutti i sospetti riguardano i jihadisti dell’Is.

La guerra per fermare la minaccia jihadista continua anche in Siria. I miliziani dell’Is stanno continuando la loro avanzata verso nord, al confine con la Turchia, contro una coalizione di forze ribelli, dimostrando di avere ancora la capacità di conquistare nuovi territori.

L’obiettivo dell’Is in Siria sembra essere quello di raggiungere la città di Azaz, a ridosso del confine turco. Questo mentre a Raqqa, nella zona centrale della Siria, i jihadisti sono costretti alla difensiva a causa degli attacchi lanciati dai soldati governativi leali ad Assad e dalle formazioni curde.

Le violenze stanno mettendo alla prova anche il processo negoziale a Ginevra, mediato dalle Nazioni Unite, tra le opposizioni e il Governo del presidente Assad. Ieri il capo negoziatore delle opposizioni siriane si è dimesso. Secondo fonti della stampa internazionale molto presto altri membri della delegazione delle opposizioni potrebbero decidere di abbandonare il tavolo delle trattative in aperta polemica con il Governo siriano.

 

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Osservatore Romano

Spirito in gabbia

 

​Messa a Santa Marta ·

30 maggio 2016

 
 

 

«Profezia, memoria e speranza»: sono le tre caratteristiche che rendono liberi la persona, il popolo, la Chiesa, impedendo di finire in un «sistema chiuso» di norme che ingabbia lo Spirito Santo. Lo ha ricordato Papa Francesco nella messa celebrata lunedì mattina 30 maggio nella cappella della Casa Santa Marta.

«È chiaro a chi Gesù parla con questa parabola: ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani del popolo» ha fatto subito notare il Papa riferendosi al passo evangelico di Marco (12, 1-12) proposto dalla liturgia. Dunque «per loro» il Signore usa «l’immagine della vigna», che «nella Bibbia è l’immagine del popolo di Dio, l’immagine della Chiesa e anche l’immagine della nostra anima». Così, ha spiegato Francesco, «il Signore cura la vigna, la circonda, scava una buca per il torchio, costruisce una torre».

Proprio in questo lavoro si riconosce «tutto l’amore e la tenerezza di Dio per fare il suo popolo: questo il Signore lo ha fatto sempre con tanto amore e con tanta tenerezza». E «lui ricorda sempre a questo popolo quando gli era fedele, quando lo seguiva nel deserto, quando cercava il suo volto». Ma «poi la situazione si è rovesciata e il popolo si impadronì di questo dono di Dio» al grido di: «Noi siamo noi, siamo liberi!». Quel popolo «non pensa, non ricorda che sono state le mani, il cuore di Dio a farlo, e così diventa un popolo senza memoria, un popolo senza profezia, un popolo senza speranza».

È dunque «ai dirigenti di questo popolo» che Gesù si rivolge «con questa parabola: un popolo senza memoria ha perso la memoria del dono, del regalo; e attribuisce a se stesso quello che è: noi possiamo!». Tante volte nella Bibbia si parla di «asceti, profeti» — ha affermato il Papa — e «Gesù stesso sottolinea l’importanza della memoria: un popolo senza memoria non è popolo, dimentica le sue radici, dimentica la sua storia».

Mosè, nel libro del Deuteronomio, ripete più volte questo concetto: «Ricordate, ricorda!». Quello è infatti «il libro della memoria del popolo, del popolo di Israele; è il libro della memoria della Chiesa, ma è anche il libro della nostra memoria personale». È proprio «quella dimensione deuteronomica della vita, della vita di un popolo o della vita di una persona, che fa tornare sempre alle radici per ricordare e poter non sbagliare nel cammino». Invece le persone a cui Gesù si rivolge con la parabola «avevano perso la memoria: avevano perso la memoria del dono, del regalo di Dio che aveva fatto loro»

«Persa la memoria, è un popolo incapace di fare posto ai profeti», ha proseguito Francesco. Gesù stesso, infatti, «dice loro che hanno ucciso i profeti, perché i profeti ingombrano, i profeti sempre ci dicono quello che noi non vogliamo sentire». E così «Daniele a Babilonia si lamenta: “Noi, oggi, non abbiamo profeti!”». Parole in cui è racchiusa la realtà di «un popolo senza profeti» che indichino «loro la via e ricordino loro: il profeta è quello che prende la memoria e fa andare avanti». Ecco perché «Gesù dice ai capi del popolo: “Voi avete perso la memoria e non avete profeti. Anzi: quando sono venuti i profeti, voi li avete uccisi!”».

Del resto, l’atteggiamento dei capi del popolo era evidente: «Noi non abbiamo bisogno dei profeti, noi siamo noi!». Ma «senza memoria e senza profeti — ha ammonito il Pontefice — diviene un popolo senza speranza, un popolo senza orizzonti, un popolo chiuso in se stesso che non si apre alle promesse di Dio, che non aspetta le promesse di Dio». Dunque «un popolo senza memoria, senza profezia e senza speranza: questo è il popolo che i capi dei sacerdoti, gli scribi, gli anziani hanno fatto del popolo di Israele».

E «la fede dov’è?», si è chiesto Francesco. «Nella folla» ha risposto, evidenziando che nel Vangelo si legge: «Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla». Quelle persone, infatti, «avevano capito la verità e, in mezzo ai loro peccati, avevano memoria, erano aperti alla profezia e cercavano la speranza». Un esempio, in tal senso, viene dai «due vecchietti, Simeone e Anna, persone di memoria, di profezia e si speranza».

Invece «i capi del popolo» legittimavano il loro pensiero circondandosi «di avvocati, di dottori della legge, che fanno loro un sistema giuridico chiuso: credo — ha commentato il Pontefice — che ci fossero quasi seicento comandamenti». E così «chiuso, sicuro», era il loro pensiero, con l’idea che «si salveranno quelli che fanno questo; degli altri non ci interessa, la memoria non interessa». Per quanto riguarda «la profezia: meglio che non vengano i profeti». E «la speranza? Ma, ognuno la vedrà». Questo «è il sistema attraverso il quale legittimano: dottori della legge, teologi che sempre vanno sulla via della casistica e non permettono la libertà dello Spirito Santo; non riconoscono il dono di Dio, il dono dello Spirito e ingabbiano lo Spirito, perché non permettono la profezia nella speranza».

E proprio «questo è il sistema religioso al quale Gesù parla». Un sistema «di corruzione, di mondanità e di concupiscenza», come dice il passo tratta dalla seconda lettera di san Pietro (1, 2-7), proposto nella prima lettura. Persino Gesù stesso «è stato tentato di perdere la memoria della sua missione, di non dare posto alla profezia e di prendere la sicurezza al posto della speranza». In proposito il Papa ha ricordato «le tre tentazioni del deserto: “Fai un miracolo e mostra il tuo potere!”; “Buttati giù dal tempio e così tutti crederanno!”; “Adorami!”».

«A questa gente Gesù, perché conosceva in se stesso la tentazione» del «sistema chiuso», rimprovera di girare «mezzo mondo per avere un proselito» e per farlo «schiavo». E così «questo popolo così organizzato, questa Chiesa così organizzata, fa schiavi». Tanto che «si capisce come reagisce Paolo, quando parla della schiavitù della legge e della libertà che ti dà la grazia». Perchè «un popolo è libero, una Chiesa è libera quando ha memoria, quando lascia posto ai profeti, quando non perde la speranza».

«Il Signore ci insegni questa lezione, anche per la nostra vita» ha auspicato Francesco in conclusione, suggerendo di domandare a se stessi in un vero e proprio esame di coscienza: «Io ho memoria delle meraviglie che il Signore ha fatto nella mia vita? Ho memoria dei doni del Signore? Io sono capace di aprire il cuore ai profeti, cioè a quello che mi dice: “questo non va, devi andare di là, vai avanti, rischia”, come fano i profeti? Io sono aperto a quello o sono timoroso e preferisco chiudermi nella gabbia della legge?». E alla fine: «Io ho speranza nelle promesse di Dio, come ha avuto nostro padre Abramo, che uscì dalla sua terra senza sapere dove andasse, soltanto perché sperava in Dio?».

 

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    Messa a Santa Marta

Ministero del Lavoro: i criteri per la CIGO 2016

Ministero del Lavoro: i criteri per la CIGO 2016 0

disciplina dei congedi parentali

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Il Ministero del Lavoro ha pubblicato il Decreto Ministeriale 95442 del 15.04.2016. Questo decreto definisce i criteri per la CIGO 2016, vediamo cosa dice.
 

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Il Decreto Ministeriale 95442 ha recentemente definito i criteri per l’approvazione dei programmi di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO). Vediamo dunque quali sono le indicazioni che ha dato.

Lo scorso 17 maggio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha dato notizia della pubblicazione del Decreto Ministeriale 95442 del 15.04.2016. Questo decreto definisce i criteri per la CIGO 2016, ovvero i criteri da seguire per l’approvazione dei programmi di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO).

Ricordiamo infatti che, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del Decreto Legislativo 148 del 2015 sul riordino degli ammortizzatori sociali previsto dal Jobs Act, si attendevano istruzioni in merito alla concessione della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria per il 2016.

Vediamo dunque quali sono le indicazioni che ha recentemente fornito il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Leggi anche: Integrazioni salariali ordinarie, la CIGO

Concessione della CIGO

L’art. 1, comma 1, del DM 95442 evidenzia che dal 01.01.2016 l’Integrazione Salariale Ordinaria è concessa dalla sede INPS territorialmente competente (vedi anche art. 16, comma 1, del D.Lgs 148/2015) per queste causali:

  • situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali;
  • situazioni temporanee di mercato.

I successivi commi 2 e 3 mettono in evidenza i concetti di transitorietà/temporaneità e di non imputabilità. Nello specifico:

  • la transitorietà della situazione aziendale e la temporaneità della situazione di mercato si hanno quando è prevedibile per l’impresa la ripresa della normale attività lavorativa;
  • la non imputabilità dell’impresa o dei lavoratori per la situazione aziendale è legata alla involontarietà o alla mancanza di imperizia e negligenza delle parti.

Integrazioni delle causali di intervento

Gli articoli da 3 a 9 del DM 95422 integrano le causali individuate sopra dall’art. 1, comma 1, dello stesso decreto e di cui all’art. 11, comma 1, del D.Lgs 148/2015. Le fattispecie prese in esame sono:

  • mancanza di lavoro o di commesse e crisi di mercato (art. 3);
  • fine cantiere, fine lavoro, fine fase lavorativa, perizia di variante e supplettiva al progetto (art. 4);
  • mancanza di materie prime o componenti (art. 5);
  • eventi meteo (art. 6);
  • sciopero di un reparto o di altra impresa con attività collegata all’impresa richiedente la CIGO (art. 7);
    incendi, alluvioni, sisma, crolli, mancanza di energia elettrica, impraticabilità dei locali anche per ordine della pubblica autorità, sospensione o riduzione dell’attività per ordine della pubblica autorità per cause non imputabili all’impresa o ai lavoratori (art. 8);
  • guasti ai macchinari e manutenzione straordinaria (art. 9).

Per un’analisi più approfondita di queste fattispecie, in merito alla presentazione della domanda e alla relazione tecnica correlata, si rimanda al testo completo del decreto riportato in fondo.

Esame delle domande di CIGO

L’art. 2, comma 1, del DM 95442 precisa che, per ottenere la concessione della CIGO, l’impresa deve documentare attraverso una relazione tecnica (resa ai sensi dell’art. 47 del decreto 445/2000 del Presidente della Repubblica) le ragioni che hanno determinato la riduzione o la sospensione dell’attività lavorativa.

L’impresa deve inoltre dimostrare, attraverso elementi oggettivi, che continua ad operare sul mercato. Questi elementi possono essere sostenuti da:

  • documenti sulla solidità finanziaria dell’impresa;
  • documentazione tecnica sulla temporanea crisi del settore dove opera l’impresa;
  • nuove acquisizioni di ordini o la partecipazione qualificata a gare di appalto;
  • analisi delle ciclicità della crisi ed eventuali periodi di CIGO già concessi;

Nell’esame delle domande di CIGO (art. 1, comma 2, dello stesso decreto) vengono valutate le particolari congiunture negative per l’impresa oppure riguardanti il settore produttivo dove opera. Il riferimento è il periodo in cui è avvenuta la riduzione o la sospensione dell’attività lavorativa, senza tenere conto delle eventuali circostanze sopravvenute durante il periodo per il quale è stata richiesta la CIGO.

CIGO e Contratto di Solidarietà

Ai sensi dell’art. 10, comma 1, del DM 95442 la CIGO può essere concessa per unità produttive in cui è in corso una riduzione dell’orario di lavoro a seguito di un Contratto di Solidarietà. Ci si deve però riferire a lavoratori distinti, e la richiesta CIGO non deve essere superiore a 3 mesi tranne che per eventi oggettivamente non evitabili.

Per il calcolo della durata massima complessiva della CIGO (art. 4, comma 1, D.Lgs 148/2015), va tenuto presente che, nell’unità produttiva interessata, le giornate in cui coesistono CIGO e Contratto di Solidarietà vengono considerate come intere giornate di CIGO (vedi art. 10, comma 2, dello stesso DM).

Ricordiamo che per una definizione completa del concetto di “unità produttiva” è possibile far riferimento alla Circolare INPS n. 197 del 02.12.2015.

Concessione o rigetto di CIGO e supplemento di istruttoria

L’art. 11, comma 1, del DM 95442 sottolinea che il provvedimento di concessione di CIGO o il suo rigetto, parziale o totale, deve riportare una motivazione adeguata in merito agli elementi documentabili presi in considerazione unitamente alla ripresa prevedibile dell’attività lavorativa.

In caso di supplemento di istruttoria, comma 2 dello stesso articolo di cui sopra, l’INPS può richiedere all’impresa entro 15 giorni dalla ricezione della richiesta ulteriori elementi documentabili. Può inoltre anche decidere di sentire le organizzazioni coinvolte nel processo di informazione e consultazione sindacale regolato dall’art. 14, commi da 1 a 6, del D.Lgs 148/2015.

  Decreto Ministeriale 15 aprile n. 95442 (489,2 KiB, 11 download)

Santa Giovanna d’Arco

 


giovanna-darco
 
Nome: Santa Giovanna d’Arco
Titolo: Vergine
Ricorrenza: 30 maggio
Protettrice di: radio, telegrafia

S. Giovanna nacque l’anno 1412 nel remoto villaggio di Domrémy, dolcemente adagiato sulle sponde della Mosa. Crebbe pura come un giglio, semplice ed incline alla vita austera e penitente: le sue compagne, che la vedevano condurre il gregge al pascolo, non avrebbero certo immaginato quale avvenire straordinario l’attendeva. Un giorno, mentre recitava l’Angelus, la fanciulla udì dalla parte della chiesa una voce pronunciare distintamente il suo nome: « Giannetta, Giannetta! ».

La voce era così penetrante e soave, che la fanciulla si commosse fino alle lacrime. Volse lo sguardo verso il santuario, e vide una gran luce: un personaggio dalle fattezze nobili e graziose, accompagnato da una legione di esseri angelici, ripetè: « Giannetta, Giannetta, sii buona, pia, ama Dio e frequenta la chiesa ». Le apparizioni si ripeterono e in Giovanna crebbe il desiderio d’essere più perfetta e di abbandonarsi all’azione della grazia: Dio le affidava la salvezza della Francia.

Giovanna, conosciuta la sua missione, si raccolse per un istante, levò gli occhi al cielo, poi chinando la fronte soffusa dal rossore e giunte la mani sul seno, esclamò: « Sia fatta la volontà di Dio ». Vinta dopo lungo tempo l’opposizione della famiglia, l’inerme fanciulla si presentò al re Carlo VII, nella città di Chinet.

Ivi tutti erano in preda allo scoraggiamento. Il nemico vinceva; la bandiera inglese sventolava già sulle torri di Parigi: l’ultima speranza era Orléans, ma anch’essa era assediata; espugnata questa, la Francia sarebbe stata inghiottita dall’imperialismo inglese. Giovanna, forte della protezione divina, dopo infinite difficoltà e diffidenze, ebbe il comando di uno scaglione di truppe; ella riordinò quelle poche milizie, fece pregare il Signore, Dio degli eserciti, e mosse contro il nemico che tosto fu sconfitto.

Vinse ripetutamente e liberò Orléans ove entrò entusiasticamente acclamata. La nazione si riscosse, tornò la speranza, ed il nome della giovane guerriera corse su tutte le labbra. A Reims fece incoronare il re, ed ella, chiamata d’ora in poi « Pulzella d’Orléans », venne nominata Contessa del giglio.

 

Riprese poi le armi e si volse verso Parigi: vinse ancora e fu di nuovo il terrore degli Inglesi; ma il giorno nero venne. Dopo aspra ed infelice battaglia, a Compiègne, la giovane, tradita dai generali invidiosi, cadde nelle mani dei nemici. Aveva 18 anni. Le vendette e le ingiurie a cui soggiacque sono indicibili. L’infame processo che ne seguì fu tra le più abominevoli ingiustizie che si siano mai commesse contro un innocente e coperse di eterna infamia i giudici iniqui. Fu condannata ad essere arsa viva come « eretica, recidiva, apostata, idolatra ».

Abbandonata da tutti e assistita soltanto da un religioso, la prigioniera salì il patibolo baciando il Crocifisso. Le fiamme che avvolsero ed arsero la verginella posero fine alle sue sofferenze. Era il 3 maggio 1431.

L’innocenza di S. Giovanna d’Arco brillò fulgida al mondo intero, quando Benedetto XV, il 18 aprile 1919, l’innalzò alla gloria degli altari e il giorno 16 maggio 1920 il medesimo Papa la dichiarò santa.

PRATICA — Quando Gesù parla, rispondiamo con il regale Profeta: «Pronto è il mio cuore, o Dio » (Salmo 56).

PREGHIERA. — Dio, che a difendere la Chiesa e la patria suscitasti prodigiosamente la beata Giovanna, deh! fà, per la sua intercessione, che la tua Chiesa, superate le insidie dei nemici, goda perpetua pace.