Archivi giornalieri: 21 settembre 2010

Una nuova Guida sui diritti sociali nella Unione Europea

Data pubblicazione: 20/09/2010

Testo NewsCon la  Circolare numero 124 del 17-09-2010.pdf viene divulgata la Guida pratica intitolata “Disposizioni UE sulla sicurezza sociale – I diritti di coloro che si spostano nell’Unione europea”.
La Pubblicazione fornisce una panoramica sulle disposizioni comunitarie in materia di legislazione assistenziale, previdenziale e la tutela dei diritti ed è stata pubblicata dalla Commissione europea a seguito dell’entrata in vigore dei nuovi Regolamenti Comunitari in materia di sicurezza sociale.
Alcuni esemplari della Guida, anche in lingua estera, saranno disponibili agli sportelli e nei locali di ricevimento delle sedi Inps per consentirne la diretta consultazione da parte degli interessati.
La Guida, disponibile in 22 lingue, è scaricabile dal sito internet della Commissione europea.

Formazione per i medici di patronato

NEWS

Per una tutela sempre più qualificata

medicip.jpg

Ad Arezzo, presso l’Hotel Minerva, il giorno 24 settembre p.v. si svolgerà una giornata di formazione rivolta ai medici e agli operatori del patronato Inca Cgil della Toscana e dell’Umbria.

Sul tema dell’invalidità, il dr. Marco Bottazzi, della consulenza medico legale dell’Inca nazionale, svolgerà la relazione: “Per una semplicazione che non sia una controriforma: gli approdi dottrinali in tema di valutazione dell’invalidità”.

In merito al merito al nesso di causalità delle malattie professionali, il prof. Aristide Norelli, consulente medico-legale Inca Toscana, relazionerà su “Come dimostrare l’efficienza temporale e quantitativa del rischio lavorativo”.

Morti sul lavoro? E’ colpa dei lavoratori

NEWS

La nuova campagna del Ministero del lavoro

infortuni12.jpg

Riceviamo da Marco Bazzoni, Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, questa lettera che pubblichiamo volentieri.

E’ partita la Campagna per la sicurezza sul lavoro, promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, infatti da settimane sono affissi nei cartelloni pubblicitari nelle città, pubblicati sui quotidiani nazionali e  in onda sulle tv nazionali, due spot:

http://www.youtube.com/watch?v=jhG-24zxI8U SPOT 1

http://www.youtube.com/watch?v=PcnvE98iDKA SPOT 2

dal titolo “Sicurezza sul lavoro. La pretende chi si vuole bene”.
Ma c’è qualcosa che non va nel titolo di questo
spot, che io considero molto ambiguo: sembra
quasi che il messaggio che vuole far passare il
Governo è che i lavoratori non si vogliono bene e
non pensano alla propria sicurezza sul lavoro,
ecco perchè si infortunano o peggio muoiono.
Mica si dice che molti lavoratori hanno contratti
di lavoro precari, che sono “in nero” o in grigio”, quindi ricattabili, e che se provano minimamente a pretendere la sicurezza sul lavoro, vengono mandati a casa.
Molti lavoratori non la possono pretendere la
sicurezza sul lavoro, è l’amara verita!!!!
Lo spot continua con queste frasi “”Fa che questi
momenti non restino solo dei ricordi” e  “Quando
lavori pensa a chi ti ama e attende il tuo ritorno”.
Non è colpa dei lavoratori. Loro pensano alle proprie famiglie …..
Mica si dice, che molti datori di lavoro vedono la sicurezza sul lavoro come un costo insopportabile per l’azienda, e che in molte aziende non vengono rispettate neanche le minime norme di sicurezza sul lavoro.
Ma lo spot non è rivolto alle imprese….

Piuttosto che fare simili spot, il Governo Berlusconi dovrebbe pensare ad aumentare i controlli per la sicurezza, incrementando il personale ispettivo delle Asl che è ridotto all’osso (meno di 2000 tecnici della prevenzione in tutta Italia, a fronte di 5-6 milioni di aziende da controllare) e ripristinando le norme per la sicurezza sul lavoro volute dal Governo Prodi con il Dlgs 81 del 9 Aprile 2008, e che sono state stravolte con il Dlgs 106/09 del 3 Agosto 2009 (sanzioni dimezzate a datori di lavoro, dirigenti preposti, salvamanager, ecc).

Marco Bazzoni- Operaio metalmeccanico e
Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze

Senza welfare?

Una conferenza sulle politiche sociali

UniversitNapoli1.jpg

Dal 30 settembre al 2 ottobre si terrà  presso l’Università degli studi di Napoli Federico II la conferenza “Senza welfare?” organizzata da Espanet Italia con la collaborazione  della Rivista delle politiche sociali.

L’iniziativa si propone di approfondire le caratteristiche del modello mediterraneo di welfare e le implicazioni che i processi di riorganizzazione territoriale delle politiche sociali – in particolare il decentramento regionale – hanno avuto per il sistema italiano di welfare nelle sue articolazioni territoriali. La conferenza intende offrire altresì l’occasione per una riflessione
critica sulle conseguenze che il riassetto delle competenze, in un quadro di sostanziale contrazione delle responsabilità pubbliche, sta determinando sul profilo sostantivo della cittadinanza sociale nel nostro paese e
sui limiti del modello di solidarietà connesso all’attuale sistema di protezione. La Conferenza si aprirà con una sessione plenaria dedicata al modello mediterraneo con relazioni di studiosi dei quattro paesi interessati – Spagna, Italia, Grecia e Portogallo – mentre le sessioni parallele hanno lo scopo di approfondire il caso italiano in prospettiva comparata, con particolare
riguardo alle disparità territoriali e alla questione del Mezzogiorno.

www.espanet-italia.net/conferenza2010

L’esercito dei nuovi disoccupati

NEWS

La frammentazione dei percorsi di lavoro

disoccupazione1.jpg

La crisi finanziaria nella seconda metà del 2008 ha investito l’economia reale e le condizioni del mercato del lavoro si sono progressivamente deteriorate. Si è riproposto con gravità il problema della disoccupazione, che sembrava risolto dalla stagione della flessibilità, seppure sostituito dall’insicurezza nel lavoro, in seguito alla diffusione del lavoro a termine: il tasso di disoccupazione era passato dall’11% del 1997 al minimo storico degli ultimi 20 anni nel 2007, pari al 6,1%.

Altrettanto, si era registrata una riduzione della durata della disoccupazione: negli anni 80 superava l’anno nel 75% dei casi, nel 2007 nel 35%. Nel nuovo contesto di crisi occupazionale la perdita e la mancanza del lavoro riguarda un bacino di persone più ampio rispetto al più recente passato, con tempi di permanenza dilatati e fenomeni di scoraggiamento ed espulsione dal mercato. Le dinamiche in corso interessano un mercato del lavoro profondamente trasformato se paragonato a quello di analoghe crisi degli anni passati.

Rispetto ai primi anni 90, in particolare, si sono accentuate le differenze all’interno del mondo del lavoro ed è cresciuta la segmentazione dei mercati del lavoro. L’instabilità lavorativa ha prepotentemente investito i giovani e le donne, penalizzate non solo dalla segmentazione di genere del mercato del lavoro, ma anche dal fatto di essere largamente presenti nella componente giovanile. Il peggioramento sul versante occupazionale sta ulteriormente marginalizzando giovani e giovani adulti senza protezione, donne in diverse fasce di età, che proprio a causa delle loro carriere instabili, sono stati i primi a perdere il lavoro senza avere maturato le condizioni contributive ed assicurative per poter accedere agli ammortizzatori sociali. Basti ricordare che soltanto il 20% dei collaboratori che hanno fatto domanda per usufruire dell’indennità una tantum prevista per chi aveva perso il lavoro è riuscito a maturare i requisiti previsti e a ottenere un modestissimo sostegno al reddito.

Le durate brevi dei contratti generano una frammentazione dei percorsi di lavoro e deboli storie contributive che limitano la possibilità di accedere pienamente al sistema della protezione sociale anche quando teoricamente se ne avrebbe diritto in ragione del contratto sottoscritto. Così per le giovani generazioni la famiglia rimane il fondamentale (unico) ammortizzatore sociale: i 25-29enni che vivono in famiglia sono arrivati al 59,2% nel 2009 (erano il 34,5% nel 1983) e i 30-34enni che si trovano in coabitazioni “forzate” con la famiglia di origine sono il 29% circa (erano il 12% circa nel 1983). Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha raggiunto in media nel 2009 il 25,4% (era il 21,3% nel 2008 ), rispetto al 7,8% medio nazionale. La quota di giovani occupati è sotto la media Ocse di circa 20 punti percentuali. Nel 2009, poco più di 2 milioni di giovani (il 21,2% della popolazione trai i 15 e i 29 anni) non lavora e non frequenta nessun corso di studi. Il lavoro autonomo crolla, nel lavoro dipendente l’occupazione temporanea è la prima a cadere, al Nord come al Sud.

La crisi non ha soltanto eroso l’occupazione ma, soprattutto nel Mezzogiorno, ha alimentato il bacino dell’inattività, già drammaticamente esteso. In particolare, il tasso di inattività femminile sale ancora: quasi due donne meridionali su tre in età 15-64 anni non lavorano né – apparentemente – cercano un’occupazione. Un fenomeno tutto italiano e un dato da sottolineare nei confronti internazionali : se il tasso di disoccupazione medio italiano è passato tra il 2008 ed il 2009 dal 6,7% al 7,8%, contro l’8,9% dell’Ue a 25, il tasso di inattività in Italia ha raggiunto ormai il 37,6% contro il 28,9% nella media Ue. La disoccupazione italiana è stata anche “calmierata” dall’impetuosa crescita del numero di ore di cassa integrazione (nelle sue diverse articolazioni: ordinaria, straordinaria, in deroga). Ciò ha permesso di contenere le uscite dalle imprese dei lavoratori dipendenti stabili nel Centro-Nord, che cominciano a ridursi solo nella seconda metà del 2009. Secondo la Banca d’Italia nel solo Nord-Ovest il numero di ore autorizzate ha superato le 300mila unità di lavoro equivalenti.

Nascosto alle statistiche ufficiali del tasso di disoccupazione è anche l’aggregato degli scoraggiati, che supera ormai per consistenza i disoccupati formalmente “riconosciuti” e che alimenta il bacino dell’irregolarità lavorativa non solo nel Sud. Sempre la Banca d’Italia, includendo i lavoratori in cig, stima che il “lavoro disponibile inutilizzato” passerebbe all’8,9% e aggiungendo gli scoraggiati arriverebbe al 10,6%, con una punta del 18,6% nel Sud. Se l’esercito dei nuovi disoccupati è composto soprattutto da ex lavoratori temporanei, tra cui molti giovani sotto i 35 anni che la stagione della flessibilità aveva trasformato da “disoccupati degli anni 90” in “precari degli anni 2000”, le tendenze in corso mostrano ancora perdite occupazionali e un debole flusso di nuove assunzioni, specialmente a tempo indeterminato. Il peso del lavoro a termine è destinato ad approfondirsi e a interessare progressivamente anche quei lavoratori standard, oggi ancora protetti dagli ammortizzatori sociali, che dovessero nei prossimi mesi perdere il lavoro.

Già a partire dal secondo semestre del 2009 il contributo maggiore alla riduzione occupazionale è venuto proprio dal lavoro permanente e la perdita occupazionale registrata dall’Istat nel primo trimestre di quest’anno è tutta a carico del lavoro dipendente standard (-192mila occupati rispetto all’inizio del 2009), mentre riprende a crescere il lavoro a termine, anche se di poco (+12mila). Le imprese mostrano una decisa propensione verso modalità contrattuali flessibili (almeno sotto il profilo della durata del rapporto). Secondo quanto emerge dai primi dati dei Centri per l’impiego diffusi dal ministero del Lavoro, a livello nazionale, nel flusso dei nuovi contratti attivati, la quota a tempo indeterminato si va sempre più erodendo: nel primo trimestre del 2008, prima che la crisi esplodesse, superava il 31%; nel primo trimestre del 2010 si è ulteriormente ridotta fino al 24,6%.

Giovanna Altieri – Direttore Ires Cgil

Danno biologico da contaminazione da uranio impoverito

Una sentenza del TAR Campania

uranio1.jpg

Con la sentenza del TAR della Campania (17232/10) si torna a parlare  della cosiddetta “sindrome dei Balcani” che ha visto  ammalarsi di patologie tumorali, legate all’esposizione da radiazioni ionizzanti sprigionate dall’uranio impoverito, cittadini che a qualunque titolo hanno operato o operano nei territori della Bosnia-Herzegovina  o del Kosovo. La sentenza ha accolto il ricorso di un militare che aveva sviluppato un tumore alla tiroide dopo aver operato in Kosovo tra il 2000 ed il 2002. Coloro che sono colpiti da questa patologia hanno infatti diritto  sia all’equo indennizzo che al danno biologico.

L’interessato aveva presentato un’ampia documentazione medico legale comprovante l’esposizione all’uranio impoverito (sostanza radioattiva contenuta negli armamenti utilizzati dalle forze armate della NATO in Kosovo) e mentre inizialmente il Ministero della Difesa, su conforme parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, aveva riconosciuto la dipendenza dal servizio della patologia aveva però respinto la domanda dell’equo indennizzo  per decorrenza dei termini.

Il militare ha impugnato il provvedimento e ne ha chiesto l’annullamento ritenendo di rientrare nei termini di legge secondo i quali  “la domanda deve essere presentata entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui si è venuti a conoscenza della infermità o della lesione o dell’aggravamento” e, con lo stesso ricorso, ha altresì chiesto il riconoscimento del diritto a conseguire il risarcimento del danno biologico derivante dall’ infermità già riconosciuta come dipendente da causa di servizio.

A seguito del ricorso l’Amministrazione, ritornando sulla precedente decisione,  ha liquidato l’equo indennizzo, ma non si è espressa sulla richiesta di liquidazione del danno biologico.

Venuta meno la ragione del contendere sulla questione dell’equo indennizzo, il TAR della Campania, in via preliminare, ha riconosciuto la propria competenza a giudicare, rilevando che l’Amministrazione della difesa ha “impiegato senza alcuna protezione specifica personale militare in zone da lei stessa contaminata con l’uso di proiettili con uranio impoverito” e che, a seguito di consulenza tecnica disposta dallo stesso Giudice, era provato che “l’esposizione a radiazioni ionizzanti sprigionate  dall’uranio impoverito è stata causa dell’insorgenza …”  delle infermità denunciate e quindi ha riconosciuto il diritto all’indennizzo del danno biologico.

Il TAR Campania ha quindi ribadito l’importanza della totale cumulabilità tra equo indennizzo e danno biologico civilistico rilevando che l’equo indennizzo, per la sua natura di discrezionalità e per la sua non coincidenza con l’entità effettiva del danno  subito, è da ritenersi paragonabile ad una della tante indennità che l’Amministrazione conferisce ai propri dipendenti mentre, al contrario, il risarcimento del danno biologico (“lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di accertamento medico-legale e risarcibile a prescindere dalla capacità di reddito del danneggiato”), tende a risarcire il danno fisico nella sua dimensione e quindi è del tutto cumulabile con l’equo indennizzo. Di conseguenza dall’importo liquidato a titolo di risarcimento di danno alla persona (danno biologico) non può essere detratto quanto già eventualmente percepito a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, oppure a titolo di assegni, di equo indennizzo, o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o all’ invalidità.