Archivi giornalieri: 2 settembre 2010

Decesso titolare di rendita per cause estranee all’infortunio o alla malattia professionale

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Decorrenza dei termini per la proposizione della domanda di assegno continuativo mensile

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La recente sentenza della Corte Costituzionale  (n.284/10) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 248/1976 (“Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ….)”, nella parte in cui non prevede che l’Istituto assicuratore, nel caso di decesso dell’assicurato, debba avvertire i superstiti della loro facoltà di proporre domanda per ottenere l’assegno speciale continuativo previsto.

Lo speciale assegno continuativo mensile, istituito con legge 248 del 1976, è erogato ai superstiti di invalidi del lavoro titolari di rendita Inail con grado di inabilità pari o superiore al 48% (per i casi dal 1° gennaio 2007, prima di detta data il grado di inabilità riconosciuto deve  risultare pari o superiore al 65%), deceduti per cause indipendenti dall’infortunio o dalla malattia professionale. Gli aventi diritto alla prestazione sono il coniuge e i figli, a condizione che non percepiscano rendite, prestazioni economiche previdenziali o redditi di altra natura (escluso il reddito della casa di abitazione) di importo pari o superiore a quella dell’assegno speciale.

Le misure percentuali che vengono applicate all’importo della rendita percepita in vita dal titolare sono:
50% per il coniuge, 20% a ciascun figlio fino a 18 anni, o 21 anni se studente di scuola media superiore, o 26 anni se studente universitario e vivente a carico; 40% se orfani di entrambi i genitori, 50% per i figli inabili finché dura l’inabilità.

La somma globale degli assegni che spettano ai superstiti non può superare l’importo della rendita diretta, altrimenti vengono proporzionalmente adeguati.

Per ottenere l’assegno deve essere presentata la domanda entro 180 giorni dalla data del decesso del lavoratore assicurato.

La Corte Costituzionale è dunque intervenuta su quest’ultimo aspetto ovvero sulla perentorietà dei termini per proporre la richiesta avendo l’Inail, respinto la domanda della prestazione da parte dei superstiti perché effettuata oltre i 180 giorni previsti dalla  legge.

La Corte si è pronunciata affermando che il termine di decadenza (180 giorni) per la proposizione della domanda dell’assegno speciale continuativo mensile, decorre da quando l’Inail mette a conoscenza i superstiti della loro facoltà di proporre domanda per la rendita nella misura e nei modi stabiliti dalla legge.

Con la  pronuncia in argomento la Corte è nuovamente intervenuta su una questione già affrontata con sentenza n. 14 del 1994 allorché fu dichiarato incostituzionale l’analogo termine decadenziale di 90 giorni previsto dall’art.122 T.U. 1124/1965 (termine per la domanda di rendita da parte dei superstiti del titolare di rendita deceduto per cause dipendenti dall’infortunio o dalla malattia professionale) giudicato incongruo in relazione all’eventuale scarsa conoscenza delle norme da parte dei superstiti, alla decorrenza del termine dalla data della morte anziché dall’avvenuta conoscenza della stessa da parte degli interessati.

Da qui la nuova declaratoria di incostituzionalità dell’art. 7 della legge 248/1976, secondo la quale il termine di decadenza previsto dalla legge (180 giorni per il diritto allo speciale assegno continuativo mensile) è legittimo a condizione che non renda impossibile o difficile l’esercizio del diritto stesso.

L’art. 7 citato infatti è stato dichiarato incostituzionale non perché prevede un termine di decadenza ma in quanto, non obbligando l’Istituto a notificare ai superstiti l’esistenza di detto termine, può compromettere l’esercizio del diritto degli stessi superstiti.

Infortuni – Responsabilità del datore di lavoro

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L’unico garante della sicurezza del cantiere

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La Cassazione con la sentenza n. 32357 ha stabilito che in caso di infortuni sul lavoro, la responsabilità non grava interamente sul delegato per la sicurezza del servizio di prevenzione e protezione (un semplice “ausiliario”) ma anche sull’azienda. Inoltre neppure la negligenza del lavoratore esclude la responsabilità dell’azienda, che rimane l’unico “garante” della sicurezza del cantiere. 

Nella fattispecie l’azienda aveva lasciato nel cantiere una scala in muratura, sprovvista di corrimano. In seguito all’utilizzo di quella scala, un operaio si era infortunato (quaranta giorni di prognosi), dopo una caduta da circa tre metri di altezza. La Corte ha così stabilito che “l’addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell’infortunio, giacché al datore di lavoro, che è “garante” anche della correttezza dell’agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest’ultimo il rispetto delle regole di cautela” (…).

“Il datore di lavoro – continua la sentenza – quale diretto responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuato e pressante per imporre che i lavoratore rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarsi ad essa anche instaurando prassi di lavoro non corrette e foriere di pericoli”.

La Corte ha spiegato che la colpa del datore di lavoro è esclusa solo in caso di comportamenti “abnormi” del lavoratore e cioè comportamenti “eccezionali ed imprevedibili” tali da non far ritenere la condotta del datore di lavoro come un antecedente, anche remoto, dell’evento dannoso, proprio in virtù dell’eccezionalità del comportamento del lavoratore.

Dalla sentenza  si evince un altro principio e cioè che la presenza del delegato alla sicurezza sui luoghi di lavoro non esclude la responsabilità dell’azienda che, come ribadito, rimane l’unico garante della sicurezza nei luoghi di lavoro. Infatti la Corte ha specificato che la nomina del delegato per la sicurezza non equivale a “delega di funzioni” utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità per violazione della normativa infortunistica, perché gli consentirebbe di “trasferire” ad altri la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi con l’espletamento dell’attività lavorativa”.

Cnel – Il lavoro delle donne in Italia

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Cnel – Il lavoro delle donne in Italia

Proposte per una maggiore e migliore occupazione delle donne in Italia

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Nel 2009 il tasso di occupazione femminile in Italia è sceso al 46,4%, livello di oltre dieci punti inferiore alla media europea (58,6%) e ben lontano dall’obiettivo sancito dal Trattato di Lisbona ( il 60%). A determinare quest’ andamento è stata la profonda fase recessiva attraversata dall’economia mondiale nel biennio 2008-2009, con riduzioni del Pil pari allo 0,6% nel mondo, al 4,2% in Europa ed al 5% in Italia.

Ma nonostante l’Italia presenti una delle legislazioni a favore della donne migliori del mondo, la crisi ha acuito il dualismo tra nord e sud, con disparità di genere tra lavoro femminile e maschile che riguardano mansioni, stipendi, carriere.

A rilevarlo è il Documento di Osservazioni e proposte predisposto dal CNEL dal titolo “Il lavoro delle donne in Italia”, curato dal Gruppo di lavoro Pari opportunità di genere, coordinato dal cons. Giuseppe Casadio, presidente della IIa Commissione.

Il documento sintetizza la difficile situazione economica vissuta dal paese ed il suo impatto sull’occupazione che pure è stato meno violento che in altre aree. Il tasso di occupazione italiano è sceso globalmente di 1 punto percentuale nel 2009, dal 58,7% al 57,7%, pari ad una perdita di posti di lavoro di circa 380 mila unità, ma per le donne il risultato è stato peggiore ( il 46,4%) ed è realizzato per il 50% nel Mezzogiorno. La donna, secondo le cifre pubblicate dal Documento, appare penalizzata in varie situazioni soprattutto quando è parte di una famiglia. E’ stato infatti calcolato che il tasso di occupazione scende man mano che sale il numero dei figli a cui badare: del 4% con 1 solo figlio, del 10% con 2 figli, del 32% con 3 o più figli. Inoltre anche l’istruzione gioca un ruolo: dai dati emerge che dopo il parto la donna torna entro 18 mesi alla propria attività lavorativa se ha un’istruzione elevata , mentre il 60% delle donne con bassi livello di istruzione non risulta ancora occupata a 4 anni dal parto.

La donna dedica alla famiglia il 77% del suo tempo ed anche se nel Documento si rileva un aumento del coinvolgimento maschile nelle attività familiari, ma limitate alla cura dei figli, resta la realtà che in media la donna italiana lavora un’ora e un quarto più dell’uomo. Dopo aver rilevato che il lavoro è anche un desiderio della donna ( solo una donna su 5 nella fascia d’età tra i 35 e i 45 anni dichiara che si realizza solo in ambito familiare), il rapporto mette in luce le differenze di salario tra lavoro femminile e maschile e rileva che, a cifre standard, le donne italiane guadagnano solo il 10% meno degli uomini rispetto ad una differenza del 25% negli Stati Uniti ed in Gran Bratagna, anche se poi spiega perchè in realtà la situazione italiana è assai prossima a quella anglosassone.

Il Cnel avanza una serie di proposte frutto della pluriennale osservazione del fenomeno. Tra queste spiccano:

•una strategia e provvedimenti con valenza di medio lungo periodo e rivolti a tutte le componenti del mercato del lavoro dipendente, autonomo ed imprenditoriale; l’accrescimento qualitativo dell’offerta di lavoro femminile, attraverso una seria e qualificata formazione professionale che produca competenze soprattutto nei settori dell’ICT, della “geen economy”, della tutela ambientale;
•iniziative per superare quella che nel Rapporto viene definita come “ segregazione orizzontale” ( ovvero i bassi livelli di inquadramento o la flessibilità che sconfina nel precariato) e la “ segregazione verticale” ( ovvero lo svantaggio di carriera che potrebbe essere superato con il sistema delle quote per donne con curricula adeguati);
•la fine della discriminazione femminile quanto all’accesso al credito delle donne imprenditrici ed una modifica della legislazione vigente per una reale conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
•provvedimenti a favore della tutela della carriera femminile anche in presenza di periodi di maternità; a tale riguardo il Cnel propone di misurare il lavoro non remunerato della donna ( specialmente in famiglia) per quantificare simbolicamente il Pil nascosto;
•migliori servizi per la cura della prima infanzia;
•adeguato riequilibrio della legislazione previdenziale per eliminare la penalizzazione retributiva derivante dalla minor contribuzione indotta dagli impegni familiari

fonte Cnel

La lettera di Zhanxing Xu

Caro questore, non vede che sono italiana?

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Zhanxing Xu è una ragazza di 21 anni, che vive in Italia (in provincia di Grosseto) dall’età di dieci anni. Studia lingue all’università. Parla perfettamente l’italiano e ha chiesto la cittadinanza italiana. Dopo l’ennesima e frustrante puntata di una lunga trafila burocratica, ha deciso di scrivere una lettera al funzionario della Questura dal quale dipende molto del suo destino. E poi l’ha pubblicata su Facebook. Ecco il testo.

Egregio Signor Questore,

Ho appena parlato al telefono con Lei e mi sento come ogni volta stordita, risvegliata da un lungo abbaglio. Mi sono ricordata che ho richiesto la cittadinanza ormai un anno fa e mi sono ricordata anche che sono ancora straniera nel paese dove sono cresciuta. Come dopo ogni chiacchierata con la questura, dopo ogni seduta e dopo ogni “sentenza” sul mio “oggi” e sul mio “domani” mi sento triste. Piango perché non conosco altri modi per sopravvivere all’insofferenza che ho accumulato in questi anni. Piango perché questa odissea burocratica sembra non finire mai. Piango e piango ancora. Forse a Lei suonerà esagerato, ma io posso assicurarLe che non lo è.

Mesi fa ero nel suo ufficio, seduta di fronte a Lei, abbiamo parlato un po’. Lei mi ha fatto delle domande e io ho risposto. Lei voleva testare la mia persona e quanto fossi “ italiana” ma io in quel momento mi sono sentita straniera più che mai. Eravamo come due rette parallele che non s’incontrano mai: era un Lei ed io che non riuscivano a congiungersi in un NOI.

Ero molto agitata e cercavo di rispondere il più possibile “bene” alle Sue domande ma varcando la soglia dell’uscita mi sono sentita stupida. Cosa rappresentava questo “bene”? Per me era dimostrarle quanto ero italiana: dirLe che vado matta per la pasta, che la domenica vado allo stadio e che tifo l’Italia ai mondiali. Io non faccio nessuna di queste cose. Io amo il riso e non sono una tifosa. Nonostante ciò l’italianità è insita in me. Basta osservarmi, osservare il mio abbigliamento, il mio modo di parlare, i miei gesti. Basta veramente poco. Non ho bisogno di tingermi di verde, bianco e rosso per sventolare ciò che sono, non è necessario riempirsi la bocca di grandi aforismi quando non si è capaci di onorarli.

Si ricorda della pila di carte che mi ha mostrato sul tavolo quando sono venuta da Lei? Lei aveva davanti la mia storia: dai miei 13 anni fino ai miei 21 anni, ovvero fino ad oggi. Lei sa tutto di me, ogni singola cosa. Per lei, forse, erano solo fogli imbrattati di dati, ma per me significano un’intera esistenza. Mi hanno ricordato la mia adolescenza vissuta tra gli incubi degli uffici. Mi hanno ricordato delle impronte digitali rilevate quando avevo appena 16 anni come fossi una criminale. Mi hanno ricordato del concorso a cui non ho potuto partecipare durante il liceo perché riservato solo agli italiani. Mi hanno ricordato che sono esclusa anche dai progetti “Erasmus” all’Università. Mi hanno ricordato che studio lingue e che devo viaggiare ma non sempre ci riesco per motivi burocratici. Mi hanno ricordato che a 18 anni non ho ricevuto nessuna tessera elettorale. Mi hanno ricordato, infine, che il mio permesso di soggiorno scade ad aprile 2011 e dovrò ricominciare nuovamente la trafila di documenti da presentare.

Non è facile vivere una vita così, una vita alla rincorsa di un pezzo di foglio che decide se posso ancora restare nel paese dove mi sono formata, nel paese nella cui lingua riesco ad esprimermi completamente, nel paese in cui ho i miei affetti e nell’unico paese dove mi sento a casa. Già, non è facile sentirsi rifiutati e rigettati dallo stato che invece ti dovrebbe proteggere. Esattamente 2 anni fa, al termine della maturità depositai la mia tesina presso gli uffici della Questura. Lì avevo racchiuso la storia di un’intera generazione che sta crescendo e che continua ad aumentare, una generazione di ragazzi, figli d’immigrati che lottano per avere gli stessi diritti dei loro coetanei perché sono anche loro italiani. Speravo che tante persone dedicassero un attimo del loro tempo per guardarsi intorno e accorgersi che noi ci siamo e che qualcosa sta cambiando ed invece troppi ci combattono e non vedono altro che una minaccia in noi. Mi ha fatto terribilmente male sentire la risposta di uno degli ispettori la scorsa volta quando chiamai, il quale mi disse sgarbatamente che non aveva tempo per ascoltarmi e così come le risate e le battutine sciocche sul mio nome quando il collega Le ha passato il telefono, questa volta. Sono cose che fanno male, che feriscono nel profondo e che lasciano dei segni indelebili. Io non pretendo la comprensione e nemmeno che gli altri entrino nei miei panni perché abbiamo sensibilità e vissuti differenti ma pretendo il rispetto per la mia persona. Sempre.

Ho voluto condividere alcuni pensieri e spezzoni di vita con Lei perché credo che il rispetto, il dialogo e la reciproca fiducia siano alla base di ogni società civile. Intanto continuo a studiare e a impegnarmi per poter un giorno contribuire a migliorare il mio paese come Le ho detto durante il colloquio, perché io non lo voglio abbandonare!

   
Rassegna.it

Anche l’azienda in crisi deve versare i contributi INPS

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La componente obbligatoria del salario

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Le ritenute previdenziali costituiscono una componente obbligatoria del salario che il datore di lavoro deve corrispondere ai propri dipendenti. Con la sentenza in esame è stata così condannata una piccola società pisana che, a causa del proprio dissesto finanziario, non aveva versato i contributi dovuti ai propri dipendenti. La  Corte di Cassazione con la sentenza n. 32348 ha così confermato l’inderogabilità dell’obbligo per l’impresa di versare i contributi INPS ai dipendenti anche se questa si trova in serie difficoltà economiche. Secondo la Cassazione “ il dissesto finanziario dell’impresa non può giustificare un’omissione nel versamento dei contributi. La carenza di mezzi finanziari da cui deriverebbe l’impossibilità di versare i contributi assistenziali e previdenziali, effettivamente dovuti non influisce in alcun modo sula struttura del reato di cui all’art. 37 legge 24 novembre 1981 n. 689. Ciò in quanto il lavoratore subordinato ha un diritto alla posizione previdenziale che è sostanzialmente collegato alla durata del proprio rapporto di lavoro e che non è derogabile per ragioni contingenti ”. 

Bonus energia contro la crisi

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Famiglie e crisi socio-economica

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La crisi dei mercati internazionali ha colpito molte famiglie italiane che si vedono costrette a risparmiare su molti beni e servizi primari. La perdita del posto di lavoro o la cassa integrazione hanno messo in ginocchio molti nuclei familiari. Spesso diventa davvero difficile pagare le bollette a fine mese; per questo è stato varato un piano per aiutare coloro che non riescono a pagare la fornitura di energia elettrica e di gas.

Le stime fornite dall’Autorità per l’energia e il gas, parlano di già 1 milione e 900 mila famiglie che hanno beneficiato del bonus. Nel dettaglio, sono più di 1 milione e 530mila i bonus elettricità già validati e circa 300 mila i bonus gas. Questo tipo di sovvenzione è stata introdotta dal Ministero dello sviluppo Economico tra dicembre e gennaio del 2009 per sostenere le famiglie in serie difficoltà economiche. In particolare si è cercato di venire incontro alle esigenze di quei nuclei familiari particolarmente numerosi o con dei membri senza lavoro. I tagli sulle bollette dell’energia elettrica e del gas sono cumulabili e permettono di ottenere uno sconto complessivo compreso tra un minimo di 82 euro e un massimo di 360 euro. Il valore del bonus è stabilito dall’Autorità Garante in base al numero di componenti del nucleo familiare, alla località climatica (per il gas) e al tipo di consumo (cucina e riscaldamento). È previsto anche uno specifico bonus per le persone ammalate che utilizzano apparecchiature elettromedicali “salvavita”: per il 2010 tale bonus è di 138 euro e può essere cumulato ai bonus elettricità e/o gas.

I bonus sono attivati in collaborazione con i Comuni, l’Anci e la Cassa Conguaglio possono essere ritirati anche negli Uffici Postali. Per tutte le informazioni necessarie è bene consultare il sito internet dell’Autorità per l’energia e il gas.
 
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