Licenziamenti: Cassazione su contratti a progetto
Lavora da anni con contratto a progetto, ma senza il “progetto”. Licenziamento illegittimo. Così la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso di due società, ha imposto loro di pagare ad una lavoratrice le retribuzioni non corrisposte sino al ripristino del rapporto di lavoro. La sentenza n. 1744/2017 ha confermato i due gradi di giudizio precedenti, emessi prima dal tribunale di Genova e poi dalla Corte d’appello del capoluogo, con i quali i giudici hanno accolto la domanda di una lavoratrice per il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’8 giugno 2004, nonostante la stipulazione di due contratti a progetto e due licenziamenti comunicati in forma “orale”.
La Corte d’appello di Genova, in particolare, ha ritenuto che “l’attività di promozione telefonica o informatica dei prodotti venduti dalle due società coincidesse con l’oggetto sociale delle società stesse e che, di conseguenza, in assenza di uno specifico programma o progetto, operasse la presunzione (da ritenersi assoluta)” della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, così come prevede l’articolo 69, comma 1, del d.lgs n. 276 del 2003.
La Cassazione ha ribadito un concetto importante e cioè che la specificità del progetto, programma o fase di esso è l’elemento caratterizzante della differenza fra un genuino rapporto di lavoro a progetto e un altro formalmente uguale “stipulato solo per celare un rapporto di lavoro subordinato (Cass. N. 17448/2016)”. In un altro passaggio della sentenza, la Cassazione, ricordando altri verdetti, è stata ancora più chiara: richiamando la normativa sull’argomento, ha sottolineato come le intenzioni del legislatore siano finalizzate a “porre un argine all’abuso della figura della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato (nello stesso senso, cfr. Cass. nn.17636/2016, 17448/2016, 15922/2013)”.
L’Alta Corte, dunque, considerando corretto il giudizio d’appello, ha dato ragione alla lavoratrice e ha ribadito senza ambiguità che “in mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso, la conversione automatica in rapporti di lavoro subordinato non può essere evitata dal committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva”.
Conseguentemente, la Cassazione ha anche ribadito la “inefficacia” della comunicazione in forma orale del licenziamento, data dall’azienda alla lavoratrice al termine dei due contratti a progetto e il rispetto delle norme precedenti la legge di riforma n. 92 del 2012, secondo le quali “il licenziamento intimato oralmente è radicalmente inefficace, per inosservanza dell’onere della forma scritta, imposto dall’articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n.604, novellato dall’art. 2 della legge 11 maggio 1990, n. 108 e, come tale, è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro”.