Archivi giornalieri: 9 febbraio 2017

Nuove istruzioni INPS sui trattamenti di integrazione salariale

0

RICHIEDI UNA CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO

Circolare INPS 9 del 2017 con le nuove istruzioni in materia di trattamenti di integrazione salariale dopo il D.Lgs 148/2015 in attuazione del Jobs Act

Recentemente l’Inps con la circolare 9 del 2017 ha fornito nuove istruzioni in materia di trattamenti di integrazione salariale. Vediamole brevemente.

A completamento del processo di attuazione del D.Lgs 148/2015 (disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro) in attuazione del Jobs Act, l’Inps fornisce ulteriori istruzioni per favorire l’adeguamento dei sistemi gestionali aziendali legati al nuovo assetto informativo previsto dal Jobs Act.

 

La circolare 9 del 2017 è dunque incentrata su questi temi:

  • adempimenti connessi all’associazione di ogni lavoratore con l’unità produttiva di riferimento;
  • criteri per individuare i trattamenti soggetti alla nuova disciplina ai sensi del D.Lgs 148/2015;
  • metodologia di calcolo della contribuzione addizionale;
  • modalità di gestione del trattamento di fine rapporto in relazione alle diverse tipologie di cassa integrazione;
  • indicazioni tecniche per l’adeguamento dei sistemi informativi a supporto della dichiarazione contributiva UniEmens;
  • disposizioni per la regolarizzazione del versamento della contribuzione addizionale e di adeguamento delle dichiarazioni contributive relative ai trattamenti CIG soggetti alla nuova disciplina ai sensi del D.Lgs 148/2015;
  • istruzioni contabili in base alla tipologia di prestazione.

La decorrenza degli adempimenti previsti da questa circolare del 19.01.2017 è fissata, salvo diversa previsione, a partire dal 2° mese di paga successivo alla sua pubblicazione.

Leggi anche: Jobs Act e integrazioni salariali in costanza di rapporto di lavoro

 

Leggi anche: Novità per CIGO e CIGS nel decreto correttivo del Jobs Act

Leggi anche: Contratti di Solidarietà nel decreto correttivo del Jobs Act

  Diario prova preselettiva 80 posti da commissario (56,9 KiB, 3.477 download)

Nuove istruzioni INPS sui trattamenti di integrazione salariale

0

RICHIEDI UNA CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO

Circolare INPS 9 del 2017 con le nuove istruzioni in materia di trattamenti di integrazione salariale dopo il D.Lgs 148/2015 in attuazione del Jobs Act

Recentemente l’Inps con la circolare 9 del 2017 ha fornito nuove istruzioni in materia di trattamenti di integrazione salariale. Vediamole brevemente.

A completamento del processo di attuazione del D.Lgs 148/2015 (disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro) in attuazione del Jobs Act, l’Inps fornisce ulteriori istruzioni per favorire l’adeguamento dei sistemi gestionali aziendali legati al nuovo assetto informativo previsto dal Jobs Act.

 

La circolare 9 del 2017 è dunque incentrata su questi temi:

  • adempimenti connessi all’associazione di ogni lavoratore con l’unità produttiva di riferimento;
  • criteri per individuare i trattamenti soggetti alla nuova disciplina ai sensi del D.Lgs 148/2015;
  • metodologia di calcolo della contribuzione addizionale;
  • modalità di gestione del trattamento di fine rapporto in relazione alle diverse tipologie di cassa integrazione;
  • indicazioni tecniche per l’adeguamento dei sistemi informativi a supporto della dichiarazione contributiva UniEmens;
  • disposizioni per la regolarizzazione del versamento della contribuzione addizionale e di adeguamento delle dichiarazioni contributive relative ai trattamenti CIG soggetti alla nuova disciplina ai sensi del D.Lgs 148/2015;
  • istruzioni contabili in base alla tipologia di prestazione.

La decorrenza degli adempimenti previsti da questa circolare del 19.01.2017 è fissata, salvo diversa previsione, a partire dal 2° mese di paga successivo alla sua pubblicazione.

Leggi anche: Jobs Act e integrazioni salariali in costanza di rapporto di lavoro

 

Leggi anche: Novità per CIGO e CIGS nel decreto correttivo del Jobs Act

Leggi anche: Contratti di Solidarietà nel decreto correttivo del Jobs Act

  Diario prova preselettiva 80 posti da commissario (56,9 KiB, 3.472 download)

Nuove istruzioni INPS sui trattamenti di integrazione salariale

0

RICHIEDI UNA CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO

Circolare INPS 9 del 2017 con le nuove istruzioni in materia di trattamenti di integrazione salariale dopo il D.Lgs 148/2015 in attuazione del Jobs Act

Recentemente l’Inps con la circolare 9 del 2017 ha fornito nuove istruzioni in materia di trattamenti di integrazione salariale. Vediamole brevemente.

A completamento del processo di attuazione del D.Lgs 148/2015 (disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro) in attuazione del Jobs Act, l’Inps fornisce ulteriori istruzioni per favorire l’adeguamento dei sistemi gestionali aziendali legati al nuovo assetto informativo previsto dal Jobs Act.

 

La circolare 9 del 2017 è dunque incentrata su questi temi:

  • adempimenti connessi all’associazione di ogni lavoratore con l’unità produttiva di riferimento;
  • criteri per individuare i trattamenti soggetti alla nuova disciplina ai sensi del D.Lgs 148/2015;
  • metodologia di calcolo della contribuzione addizionale;
  • modalità di gestione del trattamento di fine rapporto in relazione alle diverse tipologie di cassa integrazione;
  • indicazioni tecniche per l’adeguamento dei sistemi informativi a supporto della dichiarazione contributiva UniEmens;
  • disposizioni per la regolarizzazione del versamento della contribuzione addizionale e di adeguamento delle dichiarazioni contributive relative ai trattamenti CIG soggetti alla nuova disciplina ai sensi del D.Lgs 148/2015;
  • istruzioni contabili in base alla tipologia di prestazione.

La decorrenza degli adempimenti previsti da questa circolare del 19.01.2017 è fissata, salvo diversa previsione, a partire dal 2° mese di paga successivo alla sua pubblicazione.

Leggi anche: Jobs Act e integrazioni salariali in costanza di rapporto di lavoro

 

Leggi anche: Novità per CIGO e CIGS nel decreto correttivo del Jobs Act

Leggi anche: Contratti di Solidarietà nel decreto correttivo del Jobs Act

  Diario prova preselettiva 80 posti da commissario (56,9 KiB, 3.469 download)

Voucher asilo nido 2017

Voucher asilo nido 2017-2018, istruzioni e novità dall’INPS

0

RICHIEDI UNA CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO

L’INPS ha confermato la proroga della richiesta dei voucher asilo nido 2017-2018, così come previsto dalla Legge di Bilancio 2017 (ex Legge di Stabilità)

Con un avviso del 27 gennaio l’INPS ha ufficialmente confermato la proroga della richiesta dei voucher asilo nido 2017-2018, così come previsto dalla Legge di Bilancio 2017 (ex Legge di Stabilità 2017). L’avviso si riferisce alla proroga per il biennio 2017-2018 dei benefici per le lavoratrici autonome, ma la proroga è valida normalmente anche per le lavoratrici dipendenti e parasubordinate.

Leggi anche: Bonus bebè, mamma domani, voucher baby sitter e asili nido 2017

 

I voucher asilo nido 2017-2018 indicati nell’avviso consistono in un contributo per l’acquisto dei servizi per l’infanzia:

  • per l’acquisto di voucher per servizi di baby sitter;
  • per il pagamento della retta degli asili nido convenzionati.

Questo bonus famiglia può essere richiesto in alternativa al congedo parentale ed è rivolto alle madri lavoratrici dipendenti e iscritte alla gestione separata, nonché alle madri lavoratrici autonome.

Con questo avviso quindi l’INPS apre ufficialmente alla presentazione delle nuove domande di richiesta di questo particolare bonus famiglia per il biennio 2017-2018; come specificato dalla norma verrà formata una graduatoria secondo l’ordine delle domande presentate, fino al 31 dicembre 2018, o comunque fino ad esaurimento dei fondi stanziati, i quali ammontano a 40 milioni di euro per ciascuno dei due anni, come indicato nella Legge di bilancio 2017.

 

Le domande di accesso ai voucher asilo nido 2017-2018 possono essere presentate esclusivamente telematicamente direttamente dal cittadino tramite PIN dispositivo dal portale dell’Istituto.

Voucher asilo nido 2017-2018, istruzioni INPS

Nella pagina dell’avviso oltre ai riferimenti normativi è possibile scaricare i seguenti allegatI.

  • Istruzioni per la presentazione della domanda di voucher-asili nido per lavoratrici DIPENDENTI – 2017/2018;
  • Istruzioni per la presentazione della domanda di voucher-asilo nido per lavoratrici AUTONOME – 2017/2018;
  • Delegazione liberatoria pagamento – 2017/2018;
  • Dichiarazione effettiva fruizione beneficio – 2017/2018;
  • Tabella riproporzionamento beneficio voucher in caso part-time.

Link avviso: www.inps.it

Il rifiuto di eseguire un ordine illecito è un dovere del lavoratore

0

RICHIEDI UNA CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO

Per la Cassazione rientra fra i doveri del lavoratore il rifiuto di eseguire un ordine illecito dato dal proprio superiore e non dai vertici aziendali

Con sentenza n. 3394/2017 la III Sez. Penale della Corte di Cassazione ha chiaramente affermato che il rifiuto di eseguire un ordine illecito dato da un superiore è un dovere del lavoratore.

Il caso di specie ha riguardato un lavoratore che

Il rifiuto di eseguire un ordine illecito è un dovere del lavoratore

0

RICHIEDI UNA CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO

Per la Cassazione rientra fra i doveri del lavoratore il rifiuto di eseguire un ordine illecito dato dal proprio superiore e non dai vertici aziendali

Con sentenza n. 3394/2017 la III Sez. Penale della Corte di Cassazione ha chiaramente affermato che il rifiuto di eseguire un ordine illecito dato da un superiore è un dovere del lavoratore.

Il caso di specie ha riguardato un lavoratore che si è visto condannare per il reato di “Frode nell’esercizio del commercio” ex art. 515 c.p., perché, in concorso con altra dipendente nonchè responsabile del punto vendita e superiore gerarchico del lavoratore, “detenevano per la vendita prodotti alimentari con la data di scadenza alterata, nella specie rappresentati da una decina di confezioni di hot dog”.

 

Nel corso del giudizio era emerso che tale comportamento era stato imposto al lavoratore dal diretto superiore (nonchè coimputata nello stesso procedimento) ovvero dalla direttrice di filiale (a sua volta dipendente dell’azienda) e che, lo stesso lo aveva eseguito per timore di subire ritorsioni sul luogo di lavoro, non vi è stato quindi da parte del lavoratore il rifiuto di eseguire un ordine illecito.

Il lavoratore invocava l’esimente dello stato di necessità e quindi di non aver potuto evitare la condotta incriminata per il timore di un pregiudizio alla sua persona, consistente nel licenziamento.

Il rifiuto di eseguire un ordine illecito è un dovere se questo è dato da un superiore ma non dai vertici

Secondo la Corte la giustificazione sul mancato rifiuto del lavoratore di eseguire un ordine illecito, poteva essere presa in considerazione nel caso in cui, ad ordinare la condotta vietata fosse stato un soggetto che rivestisse una posizione apicale nell’azienda, in quanto il lavoratore non avrebbe avuto altri superiori ai quali denunciare il comportamento illecito impostogli, cosa che però non riguardava il caso di specie.

 

Il lavoratore avrebbe dovuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori. Viene così a cadere la scriminante dello stato di necessità previsto dall’art. 54 c.p. perchè, si legge nella sentenza, pure a voler considerare  che “l’imputato avesse soggettivamente ritenuto di correre il pericolo di essere licenziato o di subire un pregiudizio nella sua posizione lavorativa in seguito ad un suo eventuale rifiuto, certamente non ricorreva l’altro presupposto della scriminante ossia l’inevitabilità del pericolo che avrebbe potuto essere evitato, appunto, denunziando la condotta illecita della direttrice”.

Non risulta applicabile neanche la scriminante prevista dall’art. 51 c.p. ossia, l’adempimento di un dovere poichè, secondo consolidata giurisprudenza ma, anche secondo la ratio normativa, il dovere imposto deve provenire da una pubblica autorità o da una norma.

Ne consegue che rientrano in questa ipotesi i soli rapporti di diritto pubblico e non quelli di diritto privato (come è il rapporto di lavoro), dove manca un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge.

si è visto condannare per il reato di “Frode nell’esercizio del commercio” ex art. 515 c.p., perché, in concorso con altra dipendente nonchè responsabile del punto vendita e superiore gerarchico del lavoratore, “detenevano per la vendita prodotti alimentari con la data di scadenza alterata, nella specie rappresentati da una decina di confezioni di hot dog”.

 

Nel corso del giudizio era emerso che tale comportamento era stato imposto al lavoratore dal diretto superiore (nonchè coimputata nello stesso procedimento) ovvero dalla direttrice di filiale (a sua volta dipendente dell’azienda) e che, lo stesso lo aveva eseguito per timore di subire ritorsioni sul luogo di lavoro, non vi è stato quindi da parte del lavoratore il rifiuto di eseguire un ordine illecito.

Il lavoratore invocava l’esimente dello stato di necessità e quindi di non aver potuto evitare la condotta incriminata per il timore di un pregiudizio alla sua persona, consistente nel licenziamento.

Il rifiuto di eseguire un ordine illecito è un dovere se questo è dato da un superiore ma non dai vertici

Secondo la Corte la giustificazione sul mancato rifiuto del lavoratore di eseguire un ordine illecito, poteva essere presa in considerazione nel caso in cui, ad ordinare la condotta vietata fosse stato un soggetto che rivestisse una posizione apicale nell’azienda, in quanto il lavoratore non avrebbe avuto altri superiori ai quali denunciare il comportamento illecito impostogli, cosa che però non riguardava il caso di specie.

 

Il lavoratore avrebbe dovuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori. Viene così a cadere la scriminante dello stato di necessità previsto dall’art. 54 c.p. perchè, si legge nella sentenza, pure a voler considerare  che “l’imputato avesse soggettivamente ritenuto di correre il pericolo di essere licenziato o di subire un pregiudizio nella sua posizione lavorativa in seguito ad un suo eventuale rifiuto, certamente non ricorreva l’altro presupposto della scriminante ossia l’inevitabilità del pericolo che avrebbe potuto essere evitato, appunto, denunziando la condotta illecita della direttrice”.

Non risulta applicabile neanche la scriminante prevista dall’art. 51 c.p. ossia, l’adempimento di un dovere poichè, secondo consolidata giurisprudenza ma, anche secondo la ratio normativa, il dovere imposto deve provenire da una pubblica autorità o da una norma.

Ne consegue che rientrano in questa ipotesi i soli rapporti di diritto pubblico e non quelli di diritto privato (come è il rapporto di lavoro), dove manca un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge.

Mobbing

Non c’è mobbing sul lavoro se il capo è burbero per natura

0

RICHIEDI UNA CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO

Per la Cassazione non c’è mobbing sul lavoro se è dimostrato che il capo è di natura burbero e normalmente tratta male tutti i suoi sottoposti

La Cassazione, con sentenza nr. 2012 del 26 gennaio 2017 ha escluso il diritto del lavoratore al risarcimento per mobbing sul lavoro se risulta dimostrato che il capo è di natura burbero e tratta male tutti i suoi sottoposti.

Nel caso che ci occupa, un lavoratore chiedeva il risarcimento del danno biologico derivante da mobbing sostenendo di aver subito per diversi anni condotte persecutorie da parte dal suo capo ovvero dal diretto superiore il quale, ogni qualvolta impartiva ordini di lavoro, utilizzava un linguaggio scurrile ed ingiurioso ed un tono aggressivo addirittura ordinando ai colleghi di non rivolgergli la parola, allo scopo di isolarlo ed emarginarlo.

 

Leggi anche: Che cos’è il mobbing

Quando c’è mobbing sul lavoro secondo la Cassazione

La Corte richiama precedente giurisprudenza sul tema (Cass., n. 17698 del 2014), ricordando che ai fini della configurabilità del mobbing  devono ricorrere una serie di indici quali:

a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;

b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;

d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

Nel corso del giudizio, a seguito delle testimonianze dei colleghi era emerso che il superiore (nella specie il caposala) era un uomo brillante nel suo lavoro ma “esigente con tutto il personale sottoposto il suo coordinamento, nei confronti del quale utilizzava tuttavia modi autoritari e a tratti anche sgarbati, alzando spesso la voce quando qualcosa non andava bene”.

 

L’essere autoritario e severo, e l’usare anche espressioni inurbane, non appariva a giudizio della Corte indice di volontà persecutoria ma, un modo di essere e di esercitare le prerogative del superiore gerarchico. Pertanto rimane escluso il diritto del lavoratore al risarcimento del danno.