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Un articolo della manovra economica appena approvata definitivamente dal Parlamento introduce nel codice penale il reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Viene commesso da chi “svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori”.
La legge indica anche alcune “spie” dello sfruttamento. Tra questi ci sono una retribuzione palesemente non in linea con il contratto collettivo o sproporzionata rispetto al lavoro svolto e la violazione sistematica delle norme su orari, riposto, ferie e maternità e di quelle su sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro oppure condizioni di lavoro, sorveglianza o alloggio particolarmente degradanti.
Per i caporali è prevista la reclusione da cinque a otto anni, una multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato e le pene aumentano quando i lavoratori reclutati sono più di tre, quando hanno meno di sedici anni o quando sono esposti a gravi pericoli. Come pena accessoria, i condannati rischiano di non poter più ricoprire cariche direttive nelle imprese nè prendere finanziamenti, agevolazioni o appalti pubblici.
La nuova legge non interviene però su un nodo fondamentale. Dal momento che le vittime del caporalato sono spesso clandestini, è difficile, infatti che denuncino i caporali, perché rischiano di essere espulsi. Anche il permesso di soggiorno previsto dal Testo Unico sull’immigrazione per chi collabora alle indagini sullo sfruttamento è solo un permesso per motivi di giustizia, viene concesso raramente e comunque consente di rimanere in Italia solo per la durata del processo.
Il governo ha accolto l’ordine del giorno come raccomandazione. Bisognerà ora vedere se, quando e soprattutto come onorerà questo impegno.
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