Archivi giornalieri: 26 gennaio 2019

Quattro giorni per Karl Marx

Buon lavoro segretario!

Maurizio Landini (foto di Simona Caleo)

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Il primo intervento da segretario generale della Cgil. “La manovra del governo non cambia niente. Non è vero che siamo invasi dai migranti, i numeri dicono il contrario. Il 9 febbraio riempiamo la piazza con Cisl e Uil, per rimettere al centro il lavoro”

Il 9 febbraio in piazza con Cisl e Uil per rimettere al centro il lavoro. La manovra del governo è sbagliata, non fa nulla per i lavoratori e per i poveri. Non è vero che siamo invasi dai migranti: “Sono più gli italiani che vanno all’estero che gli stranieri che arrivano in Italia”. Il sindacato è il vero cambiamento, non certo questo governo. Sono alcuni temi che il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha toccato nel suo primo intervento da leader, davanti alla platea del congresso di Bari.

Landini ha iniziato ringraziando Susanna Camusso e rivolgendole una proposta per il futuro. “Susanna, oltre che salutarci, ci ha fatto molto pensare, ha detto cose importanti. Le sirene della politica non la interessano, una scelta molto forte: non solo è importante che rimanga nella Cgil, ma le chiedo di avere un ruolo preciso. Le propongo due deleghe: una per continuare la battaglia che ci ha portato vicino al sindacato mondiale, una battaglia da proseguire per vincerla. L’unione dei lavoratori di tutto il mondo non è uno slogan novecentesco, ma è una necessità più che mai attuale: vorrei allora che Susanna Camusso rappresentasse la Cgil in giro per il mondo. Non è una semplice delega, vogliamo averla come nostra ambasciatrice. Le chiederò poi di assumere una delega al genere e allo sviluppo del genere. È un ruolo importante per un’evoluzione culturale, per assumere la differenze come un valore, guardare le cose in un altro modo e proporre un cambiamento. Cambiare è sempre difficile, ma serve a fare stare meglio chi è vicino a te e quindi a stare meglio tutti insieme”. 

Quindi un bilancio del congresso. “Abbiamo difeso la nostra idea di democrazia delegata e partecipata. C’è un’organizzazione con oltre cinque milioni di iscritti, siamo così perché i delegati e le delegate ogni giorni nei luoghi di lavoro ci mettono la faccia, senza di loro non saremmo niente. Questo è il nostro valore aggiunto. Questa è la democrazia, che non c’entra niente col populismo”. 

Landini ha bocciato con forza la manovra del governo. “Facciamo una critica di fondo – ha detto – : si sono presentati alle elezioni in modo separato, poi hanno fatto un contratto, ma il punto davvero grave è che non c’è alcun cambiamento nella politica che stanno mettendo in campo. Il nodo non è solo creare lavoro, ma creare occupazione di qualità e con diritti. Oggi si può essere poveri anche se lavori: si fa passare l’idea che devi accettare qualsiasi concezione del lavoro, anche senza diritti e sfruttato”. 

Il ministro dell’Interno, ha aggiunto, “è stato eletto in Calabria, nei giorni scorsi abbiamo visitato la tendopoli di San Ferdinando: ci sono condizioni disumane ai limiti dello schiavismo. Come fa un ministro ad alzarsi la mattina, spalmare la nutella su una fetta biscottata e fare un tweet senza occuparsi di queste cose? Significa avere un’idea del lavoro completamente diversa dalla nostra. Bisogna stabilire un vincolo: a ogni punto della filiera produttiva le persone devono avere contratti e diritti, il vero marchio di qualità non è solo un prodotto biologico, ma la qualità delle condizioni del lavoro”.

“Appena sono stato eletto segretario generale ho voluto fare due cose. La prima: ho ritenuto opportuno andare a un’assemblea dell’Anpi, qui a Bari, dove c’era anche Carla Nespolo, per dire con chiarezza che la resistenza contro il fascismo non è finita e la dobbiamo continuare tutti assieme”. La seconda, grazie a un suggerimento di Serena Sorrentino, la segretaria della Funzione pubblica, sarà di andare a visitare il Centro di accoglienza richiedenti asilo di Bari: “Andremo lì perché deve essere chiaro che la Cgil ha un’altra idea di società. Noi siamo quelli che vogliono cambiare questo paese. Noi siamo il sindacato del cambiamento. Non Salvini. Non la Lega che ci sta portando indietro”.

“C’è una categoria come la Flai che sta facendo delle cose bellissime. Penso al sindacato di strada. E’ una cosa molto importante”. A Saluzzo, ad esempio, dove la Camera del Lavoro e la Caritas “insieme al comune di Saluzzo hanno aperto una vecchia caserma” per ospitare, “dare da mangiare e da dormire a quelli che andavano a lavorare, per impedire che venissero messi sotto ricatto. Per me anche quella è contrattazione inclusiva”. “C’è un punto di forza nel sindacato, ed è il Dna della Cgil, quella che siamo stati, quella che dobbiamo continuare ad essere. Nonostante la situazione difficile di questi anni duri, siamo ancora un riferimento per le persone che vedono ancora in noi una speranza di cambiamento”. Landini ha quindi lanciato una proposta alla platea dei delegati: “Perché non proviamo a lanciare il sindacato di strada in modo che non sia più, nei prossimi anni, un’iniziativa solo della categoria o del territorio, ma coinvolga tutti noi in tutto il paese, in tutti i luoghi dove sono le nostre camere del Lavoro. La nostra azione deve tornare ad essere quella delle camere del Lavoro di fine dell’800, alle quali si rivolgevano tutte le persone che non sapevano né leggere né scrivere”.

Quindi Landini ha lanciato un invito a sperimentare: “Lo dico per esperienza personale: fare degli errori è una cosa che ti fa crescere, ti fa capire. Non dobbiamo aver paura di sbagliare, se vogliamo mantenere l’obiettivo del nostro documento, ossia la riunificazione dei diritti del lavoro attraverso la contrattazione collettiva”.

Il sindacato di Landini sarà anche focalizzato sul “rinnovamento”: “Nei prossimi anni avremo l’impegno di costruire e lasciare una Cgil rinnovata nel genere e nelle generazioni. Lontana da me qualsiasi idea di rottamazione. Io l’ho sempre considerata una brutta parola. Penso invece che lo scambio delle esperienze, il passare la memoria sia un elemento decisivo. E’ quando la perdi, la memoria, che diventa un problema, perché a quel punto non sai più chi sei, dove sei e perché sei arrivato lì, e allora le prendi da destra e da sinistra”. “Noi questa passione, questa forza la dobbiamo trasmettere nei luoghi di lavoro, nella società. Abbiamo un primo appuntamento, quello del 9 febbraio. Dobbiamo riempire la piazza di Roma” insieme a Cisl e Uil.

Landini non si nasconde che le “forze politiche che oggi governano hanno sicuramente” il consenso degli italiani. Ma, aggiunge, “siamo in un paese dove il numero più alto riguarda coloro che non sono andati a votare. Il problema è che chi non è d’accordo con quello che sta facendo il governo rischia di non avere luoghi dove poter esprimere la sua opinione, e portare una sua partecipazione diretta”. “E’ sotto gli occhi di tutti che anche tanti nostri iscritti, tante lavoratrici e tanti lavoratori hanno votato per le forze politiche che oggi sono al governo. Ma siccome quelli che hanno votato in questo modo non hanno pensato di cambiare sindacato, ma sono ancora nostri iscritti, noi dobbiamo continuare a rappresentare tutte le persone nel merito dei problemi. Dobbiamo invitare le persone a guardare quello che succede dal punto di vista della loro condizione di lavoratori, di lavoratrici, di giovani, di precari e di pensionati”.

Il governo “non ci piace perché non sta migliorando la condizione dei giovani, non si sta creando lavoro, ma anzi siamo dentro a una dinamica che rischia di farci tornare indietro. In rapporto all’Europa siamo più indebitati di prima. Sulla manovra di quest’anno c’è già una caparra di 2 miliardi. Hanno portato le clausole di salvaguardia con l’Iva a un livello che non era mai stato raggiunto da nessun governo in precedenza. Per continuare la loro campagna elettorale hanno già ipotecato nei prossimi due o tre anni 53 miliardi”.

Quanto al lavoro, “non sono gli sgravi contributivi che producono le assunzioni, né i centri per l’impiego. Il lavoro si crea solo se fai ripartire gli investimenti pubblici e privati, se hai un’idea di paese e di politica industriale”. Temi di cui per Landini il governo dovrebbe discutere col sindacato, “ma non lo fanno, vanno avanti con il rapporto diretto con il popolo”. Un esempio di questa incapacità di avere un progetto è evidente in un esempio attuale: “Dai gli incentivi per comprare le auto elettriche, ma nel nostro paese se ne producono pochissime e non ti poni il problema di come far evolvere la politica industriale in quella direzione”.

La responsabilità di questo ristagno è anche delle imprese private “che stanno facendo sempre meno investimenti in ricerca e innovazione. Il confronto con la Germania ad esempio è impietoso: lì sono a 80 miliardi, qui ci fermiamo a 20”.  E se il dato è questo, è facile capire perché “da noi i livelli di produttività sono così: il problema non è che si lavora meno, ma che in Italia i prodotti che si realizzano hanno un contenuto e un valore più basso”.

Il nuovo segretario generale della Cgil è poi intervenuto su un altro nodo importante per lo sviluppo, quello della manutenzione del territorio: “Non solo le infrastrutture fisiche, ma anche quelle immateriali, le infrastrutture sociali, gli asili nido, le scuole, la tutela delle persone che stanno peggio, a partire dagli anziani e dalla non autosufficienza”.

E ancora: il decreto dignità l’abbiamo criticato “non perché la povertà non esiste, ma perché non c’era da inventarsi niente, bastava alzare la soglia dei 6.000 euro del Rei” e non pensare a uno strumento pasticciato come il reddito di cittadinanza: “È chiaro a tutti che oggi si può essere poveri anche quando si lavora, penso a chi fa il part-time obbligatorio e che, se lavora 20 ore a settimane, è sicuramente povero”.

Brescia, 44 anni fa la strage di Piazza della Loggia

 
 
Brescia, 44 anni fa la strage di Piazza della Loggia
28 maggio 2018 ore 09.00
Otto morti di cui cinque attivisti della Cgil, tutti insegnanti. A ucciderli fu una bomba fascista. Per la Flc, il sindacato della scuola, è necessario “mobilitarsi oggi come allora, perché il fascismo non è sconfitto”

Il 28 maggio 1974 a Brescia, durante una manifestazione unitaria del sindacato, scoppia una bomba a Piazza della Loggia. È una strage fascista; i morti sono otto, di cui cinque attivisti della Cgil: Giulietta Banzi Bazoli di anni 34, Livia Bottardi Milani di anni 32, Clementina Calzari Trebeschi di anni 31, Euplo Natali di anni 69, Luigi Pinto di anni 25, Bartolomeo Talenti di anni 56, Alberto Trebeschi di anni 37, Vittorio Zambarda di anni 60. Cinque delle vittime erano insegnanti, tra cui tre donne e un ragazzo del sud Italia. Con loro un operaio, legato agli insegnanti come a rappresentare l’unione scuola-lavoro e il lavoro come principio di solidarietà, e un ex partigiano, a segnare la continuità coi principi della Resistenza. 

E proprio il sindacato degli insegnanti, che ha pagato un tributo così grande in quella strage, chiama oggi alla mobilitazione: “In piazza come allora – scrive in una nota la Flc Cgil di Brescia – con la consapevolezza che il pensiero dell’odio omicida, della negazione dell’altro, dell’esclusione razzista, trova manifestazioni nuove con le quali esprimersi, ma di fascismo si tratta ancora”.

“Giulietta, Clementina, Alberto, Livia, Luigi – scrive ancora la Flc bresciana – erano in piazza allora per testimoniare che l’antifascismo nella scuola, nella vita civile è  impegno, responsabilità, studio, contaminazione, gioia di vivere, arricchimento nella relazione, curiosità verso il nuovo, pensiero critico verso le offerte di riflessioni dominanti, risolutezza nella tutela della democrazia come dimensione dentro la quale aspirare all’affermazione sociale di tutti e non una competizione distruttiva”.

ARCHIVIO: Strage di Brescia, la sentenza è una vittoria definitiva
Ore 10,12: carneficina in Piazza della Loggia
, I.Romeo

“La ferma e determinata risposta che i cittadini di allora seppero fornire trovando nelle organizzazioni sindacali luoghi saldi di democrazia hanno permesso di dare al dolore dei familiari un senso civile che negli anni si è arricchito e non può accettare che permangano segreti che coinvolgono apparati dello stato e impediscono l’affermarsi della giustizia”, conclude la Flc Cgil di Brescia.

Luciano Lama: l’uomo, il leader sindacale

 
 
Luciano Lama: l’uomo, il leader sindacale
di Ilaria Romeo31 maggio 2018 ore 08.31
In occasione del 22° anniversario della scomparsa, le figlie Rossella e Claudia hanno versato all’Archivio storico Cgil la documentazione privata appartenuta all’ex segretario della confederazione. Un piccolo tesoro custodito negli anni con la moglie Lora

Oggi, giovedì 31 maggio, alle ore 11 la Cgil ha deposto – in occasione del 22° anniversario della sua scomparsa – una corona di fiori sulla tomba di Luciano Lama. La commemorazione si è tenuta presso il cimitero romano del Verano, alla presenza del segretario confederale Gianna Fracassi e della famiglia Lama

Il 31 maggio 1996 moriva a Roma all’età di 75 anni Luciano Lama, giovane partigiano protagonista della stagione fondativa della democrazia italiana, dirigente sindacale e uomo di sinistra, costruttore del sindacato e della Repubblica.

In occasione del 22° anniversario della sua scomparsa, le figlie Rossella e Claudia, con la collaborazione di Silvia Asoli (segretaria organizzativa della Cgil Rieti-Roma Est-Valle dell’Aniene) hanno deciso di versare all’Archivio storico Cgil nazionale la documentazione privata del grande sindacalista, raccolta e custodita negli anni da Lama stesso e da sua moglie Lora, recentemente scomparsa.

Un piccolo tesoro che racconta la vicenda non solo professionale, ma anche umana del segretario più longevo della storia della Cgil, che guida dal 1970 al 1986. Al centro della scena pubblica per più di 50 anni, Lama sa come coniugare le forme più classiche della mobilitazione sindacale con i linguaggi della politica nella società di massa, attraverso una presenza efficace tanto nelle lotte operaie quanto nella comunicazione più tradizionale.

La documentazione appena acquisita dall’Archivio nazionale rappresenta senza dubbio un punto di vista privilegiato attraverso il quale osservare e studiare la figura di quello che Mario Guarino ha definito “il signor Cgil”. “C’è gente come la pesca, tenera di fuori e dura di dentro. C’è gente come la noce, dura di fuori e tenera dentro. Io cerco di essere come la pesca”, dirà di se stesso Lama, ed è proprio questa l’immagine che le carte restituiscono: quella di una persona riservata, ma non schiva, dall’immensa personalità e carica umana. Un uomo, prima che un politico o un sindacalista, circondato da affetto vero, amato da familiari, compagni e lavoratori, stimato dagli avversari come controparte dura, ma comunque leale.

Tante sono le fotografie con la moglie, le figlie, il nipotino che gli album e i raccoglitori contengono; tante le lettere affettuose a lui indirizzate; tanti i ricordi dei viaggi – anche e soprattutto all’estero – e delle iniziative alle quali Lama, attento, partecipa e dalle quali si lascia coinvolgere. Tra le chicche acquisite segnaliamo una vignetta originale di Forattini, le pagelle delle scuole elementari, il certificato di laurea firmato da Calamandrei (1), le foto in cui, sorridente e sereno, duetta con Renzo Arbore e Iva Zanicchi, le immagini dell’inaugurazione, nel 2006, della strada a lui intitolata e adiacente a quella Piazza San Giovanni teatro di tanti suoi comizi (2), l’immagine fotografica di uno dei suoi primi interventi in pubblico, a Forlì, per sostenere le ragioni del voto referendario del 2 giugno 1946.

Ma bellissime sono anche le foto, giovanissimo, con Giuseppe Di Vittorio. Il rapporto tra Lama e Di Vittorio è un rapporto molto speciale, nato nel 1945 quando il giovanissimo Luciano partecipa – in qualità di segretario della Camera del lavoro di Forlì – al congresso nazionale della Cgil a Napoli. “Tra Lama e Di Vittorio si instaura un rapporto particolarissimo – scrive Giancarlo Feliziani –: per Lama, Di Vittorio è un maestro di vita, per certi versi un secondo padre. Ha stima incondizionata e grande tenerezza per quel dirigente straordinario in grado di guidare scioperi, indirizzare congressi, ma anche capace di addormentarsi improvvisamente nel bel mezzo di una riunione”.

“Per Di Vittorio – prosegue Feliziani –, uomo appassionato e dalla forte personalità, autonomo nel pensiero e non condizionato da vincoli di appartenenza politica, un uomo schietto che ha dedicato la vita alla causa del lavoro, mai disposto ad accettare ordini, neppure se arrivano dalle Botteghe Oscure o da Togliatti in persona, per Di Vittorio quel giovane con la faccia aperta ai dubbi rappresenta il futuro, la speranza, l’entusiasmo, l’intelligenza politica. Ma quel giovane disinvolto e laureato in Scienze sociali rappresenta anche ciò che lui, bracciante poverissimo, avrebbe voluto, ma non è riuscito a essere. Quei due uomini diventano inseparabili: dove c’è Di Vittorio, un passo indietro, c’è sempre anche Luciano Lama, che giorno dopo giorno va assumendo nel sindacato un ruolo di sempre maggior spicco. La sua ascesa irresistibile è nelle cose, nell’organizzazione quotidiana, nella progettualità della Cgil”.

Lama è al fianco di Di Vittorio – e le foto conservate in Archivio lo testimoniano – ai funerali delle vittime dell’eccidio di Modena del 1950 e compare sempre più spesso al suo fianco nei viaggi ufficiali tanto che, si racconta, a volte veniva scambiato per il figlio. Quando Scelba gli ritira il passaporto nella primavera del 1952, impedendo a Di Vittorio di recarsi a New York al Consiglio economico e sociale dell’Onu come presidente della Federazione sindacale mondiale e i parlamentari della Cgil protestano con il presidente della Camera, è il giovane Lama che tiene i contatti con Di Vittorio. Ed è sempre Lama a pronunciare al comitato direttivo del 3 dicembre 1957 l’orazione funebre a lui dedicata.

“Cosa devo a Di Vittorio? Prima di tutto – dirà nel novembre 1981 in un’intervista all’Espresso – i ferri di un mestiere non facile. Il coraggio di affrontare la realtà, anche quella che non ti piace. Lo sforzo costante di non appagarsi della superficie, ma di vedere quello che c’è sotto le cose. Infine, l’abitudine a pensarci su, a non essere frettoloso nei giudizi, ma poi ad avere il coraggio di esprimerli anche controcorrente”.

Per le testimonianze che contengono, per la documentazione che offrono, per i testi ancora inediti che vedono la luce, i materiali acquisiti costituiscono le nuove tessere di un mosaico che ci consente di disegnare un ritratto a tutto tondo di ciò che Luciano Lama è stato nel corso della sua vita, gettando qualche nuovo fascio di luce su questioni remote di cui è stato protagonista e testimone.

Dall’infanzia alla Resistenza, dalla segreteria del sindacato dei chimici alle lotte operaie dell’Autunno caldo, da Forlì a Roma, da giovane ragazzo a nonno affettuoso, si dipana, in una meravigliosa commistione tra pubblico e privato, il racconto di 50 anni di vita italiana passata tra le fabbriche, la famiglia, le piazze e le scrivanie.

(1) Lama si iscrive alla Cesare Alfieri di Firenze nel 1939 e da disertore, perché ufficiale che non rispose alla chiamata della Repubblica di Salò, discute la tesi di laurea (“Case coloniche della mezzadria classica in Romagna”) nel 1943 con il nome di battaglia Boris Alberti (la laurea gli sarà consegnata anni dopo dal rettore di Firenze Piero Calamandrei)

(2) Dal rapimento di Aldo Moro il 16 marzo 1978 alla manifestazione sulla scala mobile del 24 marzo 1984, Piazza San Giovanni è stata per Lama il luogo dei grandi appuntamenti, delle grandi sfide. Con la cerimonia funebre di fronte alla basilica romana si chiude, nel 1996, una tradizione di comizi e discorsi che ha caratterizzato i 16 anni della sua segreteria in Cgil

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale

Militello e la passione per il cambiamento

Giuseppe Di Vittorio, eroe del lavoro

 
 
Giuseppe Di Vittorio, eroe del lavoro
di Ilaria Romeo13 settembre 2018 ore 15.00
Una mostra presso il Castello Carlo V di Lecce racconta la vita del sindacalista di Cerignola, da bracciante poverissimo e semianalfabeta della Puglia alla guida della Cgil nazionale. L’inaugurazione durante la prima delle Giornate del lavoro

Da bracciante poverissimo e semianalfabeta nella Puglia dei primi anni del Novecento a fondatore del più grande sindacato dell’Italia democratica, deputato all’Assemblea costituente, esponente di spicco del Pci nel dopoguerra e presidente della Federazione sindacale mondiale. Una vita, quella di Giuseppe Di Vittorio (1892-1957), avventurosa e intensa, che spesso sfiora i confini della leggenda, senza però mai perdere di vista i valori più preziosi: il lavoro e la democrazia.

Se Togliatti è il capo (della classe operaia), Di Vittorio è il mito, un mito che nasce dalla sua identificazione totale con il mondo del lavoro, in un riconoscimento trasversale e assoluto. Un’enorme capacità di leadership che, assieme alla sua immensa umanità, emerge con chiarezza dalla mostra “Giuseppe Di Vittorio, eroe del lavoro”, che viene inaugurata oggi (13 settembre) a Lecce alle ore 20 nei suggestivi locali del Castello Carlo V nella prima delle Giornate del lavoro alla presenza del segretario generale della Cgil Susanna Camusso.

La mostra, impreziosita da una selezione di ritratti di Giuseppe Di Vittorio, provenienti dalla raccolta d’arte di corso d’Italia e da 9 film dello sterminato patrimonio Aamod, si compone di 21 pannelli dedicati a momenti diversi della vita del sindacalista di Cerignola. Dalla Puglia delle origini alla segreteria confederale, dal murales “Giuseppe Di Vittorio e la condizione del Mezzogiorno” – recentemente restaurato – agli artisti di strada dei quartieri a Nord della capitale, dalle lettere ai dipinti, dai graffiti ai fumetti, i documenti riprodotti all’interno della esposizione* raccontano l’uomo Di Vittorio, la sua splendida umanità e il suo rapporto unico e assoluto con il popolo.

Lo volevano bene anche le pietre”, dicevano i suoi braccianti, ed è proprio questa l’immagine che i documenti restituiscono: quella di una persona presente, empatica e attenta, dall’immensa personalità e carica umana. Un uomo, prima che un politico o un sindacalista, circondato da affetto vero, amato da familiari, compagni e lavoratori, stimato dagli stessi avversari come antagonista duro, ma leale.

Dal primo comizio al funerale, le immagini e le carte selezionate e riprodotte consentono una narrazione diversa degli avvenimenti storici dell’Italia dagli anni venti agli anni cinquanta, raccontando in una forma squisitamente umana e personale delle rappresaglie, degli eccidi, della disoccupazione, in generale del clima politico, economico e sociale di un’Italia che riesce a uscire da una dittatura e da una guerra devastanti in senso materiale e ancor più morale, e che però combatte e lotta, senza arrendersi, riconoscendo in Giuseppe Di Vittorio una guida sicura, da seguire e nella quale riporre fiducia.

Guarda il catalogo on line della mostra su www.cgil.it

*I documenti riprodotti sono in parte il risultato del concorso sulla “caccia all’inedito” di Giuseppe Di Vittorio, bandito dalla Cgil nazionale in occasione del 60° anniversario della scomparsa del sindacalista di Cerignola (concorso vinto da Fabiana Lovato, ospite – come da bando di concorso – delle Giornate del lavoro)

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale

Vittorio Foa, militante della democrazia

 

Quota 100

Pensione quota 100, dipendenti pubblici pensionati dal 1° agosto. Personale scuola dal 1° settembre

di redazione
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Approvato nella giornata di ieri il Decreto che disciplina, tra le altre, la misura quota 100, che permetterà di uscire in anticipo rispetto a quanto previsto dalla legge Fornero.

Pensione quota 100: decorrenze dipendenti pubblici

Il decreto prevede delle novità, rispetto alle bozze circolate nei giorni precedenti, relativamente alle decorrenze per i dipendenti pubblici, come possiamo leggere nelle slides pubblicate dal Governo:

  • i dipendenti pubblici che maturano entro l’entrata in vigore del decreto i requisiti previsti, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico dal 1° agosto 2019;
  • i dipendenti pubblici che maturano dal 1° febbraio 2019 i requisiti previsti, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi sei mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;

Pensione quota 100: dipendenti scuola

Per il personale della scuola:

  • il pensionamento al 1° settembre 2019 è possibile:  per il computo dei mesi necessari ai fini dell’accesso si tiene  conto di settembre, ottobre, novembre dicembre, anche se non  effettivamente prestati, qualora  in tal modo il pensionando  maturi i requisiti per  il pensionamento al 31 dicembre;
  • la domanda di cessazione andrà presentata entro il 28 febbraio.

Pensione quota 100: requisiti, tempistica e decorrenze. Le slides

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