Archivio mensile:luglio 2018
IL FOGLIO
NEWSLETTER LAVORO n. 834 del 26 luglio 2018
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di Giorgio Cremaschi
MARCHIONNE ROMITI VALLETTA E LA FAMIGLIA AGNELLI
Sergio Marchionne è stato un funzionario del capitale ed in particolare della famiglia Agnelli, in assoluta continuità con la storia dell’azienda e della sua proprietà. Così vanno giudicati la sua opera e gli effetti di essa, oltre il rispetto che sempre si deve di fronte alla morte dolorosa e prematura di una persona.
Nel dopoguerra il gruppo Fiat e la famiglia Agnelli hanno usufruito di tre manager che hanno fatto la storia dell’azienda e segnato quella del paese. Il primo fu Vittorio Valletta, che assunse il potere assoluto in Fiat nel 1945, dopo che il proprietario dell’azienda e capostipite della famiglia, il senatore del regno Giovanni Agnelli, fu epurato per la sua smaccata identificazione e collaborazione col regime fascista.
Valletta fu il primo dei manager che salvarono la Fiat e soprattutto la famiglia proprietaria. La salvò dall’esproprio per collaborazionismo coi nazisti, esproprio che invece toccò alla Renault in Francia, e poi la rilanciò facendo dell’azienda uno dei grandi motori dello sviluppo industriale del paese. Per realizzare questo obiettivo Valletta perseguì la sottomissione totale degli operai ai ritmi più feroci dello sfruttamento, usò le risorse del paese e in particolare l’immigrazione di massa al nord, ed infine fece della persecuzione contro la Fiom e i suoi militanti la propria bandiera. Con le discriminazioni, i reparti confino, i licenziamenti ed anche con strumenti eversivi, come le schedature e lo spionaggio delle persone, usando persino apparati dello stato deviati che poi sarebbero stati coinvolti nella strategia della tensione degli anni 70. Per questa sua scelta ferocemente antisindacale e autoritaria Valletta divenne un emblema della politica e dei governi degli anni 50.
Nel 1966 Valletta fu destituito da Gianni Agnelli, il nipote di Giovanni che voleva riprendere le redini dell’azienda dopo una lunga esperienza di playboy internazionale, e solo un anno dopo morì. Le celebrazioni sui grandi giornali di allora furono uguali a quelle attuali per Marchionne.
Alla fine degli anni 70 la Fiat era di nuovo in crisi, perché di fronte alla sfida delle grandi lotte operaie e alla conquista da parte del lavoro di diritti e dignità, non era stata in grado né di rispondere con adeguata innovazione ed investimenti, né con un vero cambiamento nella gestione aziendale e nelle relazioni con i dipendenti. I fratelli Agnelli, Gianni ed Umberto, si fecero da parte nella gestione diretta del gruppo che fu affidata a Cesare Romiti. In una intervista a La Repubblica nell’estate del 1980 Umberto Agnelli preannunciò licenziamenti di massa per rendere l’azienda competitiva e ricevette il sostegno del ministro del tesoro Andreatta. Romiti condusse l’attacco frontale al sindacato e alla fine di trentacinque giorni di lotta vinse, mettendo decine di migliaia di dipendenti in cassa integrazione. E così negli anni 80 l’impresa assunse nella società italiana quella centralità che prima aveva conquistato il lavoro. La sconfitta operaia di fronte alla Fiat di Romiti aveva indicato la direzione di marcia a tutto il potere politico, la svolta liberista che avrebbe conquistato tutto il paese cominciava in fabbrica. Craxi colpì il salario con il taglio e l’avvio della distruzione della scala mobile e poco dopo Prodi, da presidente IRI, donò l’Alfa Romeo alla Fiat, che così divenne il solo produttore italiano di automobili.
Ma la cura Romiti, se aveva risanato i profitti della famiglia Agnelli, non aveva fatto crescere adeguatamente la forza industriale del gruppo, che già all’inizio degli anni 90 era di nuovo in crisi. Nel 1994 la Fiat colpiva con la cassa integrazione la massa di quegli impiegati e capi che nel 1980 avevano organizzato una decisiva manifestazione contro gli operai in lotta. La gratitudine non è mai stata una caratteristica aziendale.
La Fiat aveva ancora una volta bisogno di investimenti e ricerca e ancora una volta la proprietà si mostrava assolutamente sorda a questo richiamo. Anche perché in quegli anni la famiglia Agnelli aveva tentato di creare una seconda corporation , entrando nella Telecom, in Banca Intesa e in tante altre imprese che con la produzione di auto nulla avevano a che fare. Fu un’operazione fallimentare, la seconda conglomerata Fiat crollò e la famiglia Agnelli dovette abbandonare tutte le aziende che credeva conquistate, mentre nel frattempo la prima Fiat, quella industriale, perdeva posizioni per mancanza di adeguati prodotti.
Nel 1998 Cesare Romiti lasciò l’azienda, e anche per lui, per sua fortuna vivente, ci furono pubblici elogi come salvatore dell’azienda e come manager che aveva saputo indirizzare non solo la Fiat, ma tutto il paese verso la via della competitività, distruggendo i vincoli e lacciuoli dei contratti e dei diritti del lavoro.
La gestione Fiat tornò alla famiglia Agnelli e a vari manager avvicendati e l’azienda precipitò verso il fallimento. Nel 2004 la Fiat era di proprietà delle banche, che si erano svenate per un piano di salvataggio senza precedenti nel paese, e al suo capezzale venne chiamato il vice presidente dell’Unione Banche Svizzere, Sergio Marchionne.
Marchionne ha salvato la Fiat come azienda industriale italiana? Sicuramente no. Seguendo la traccia dei suoi predecessori, Valletta e Romiti, Marchionne ha lavorato prima di tutto per gli interessi della famiglia Agnelli, oramai assai numerosa e fermamente interessata in tutte le sue componenti ad una quota certa di profitti. Se nel passato era stato ancora possibile far parzialmente coincidere gli interessi della proprietà familiare con quelli dello sviluppo industriale dell’azienda, ora questo non si poteva più fare. La proprietà, che addirittura aveva cercato di sbarazzarsi della produzione di automobili rifilandola a General Motors, non aveva certo intenzione di svenarsi per recuperare l’enorme gap tecnologico e di prodotti accumulato dal gruppo. Ci sarebbero voluti almeno 20 miliardi di investimenti, quelli che Sergio Marchionne avrebbe promesso successivamente, quando decise di abolire il contratto nazionale. Di quei 20 miliardi, che avrebbero dovuto rilanciare quella che Marchionne chiamò la Fabbrica Italia, si sono perse tutte le tracce in azienda e anche sui giornali di questi giorni.
La Fiat è stata salvata in un altro modo, con l’intervento dello stato non di quello italiano ma di quello statunitense. Fu il salvataggio pubblico della Chrysler voluto da Obama a permettere alla Fiat di evitare il fallimento e di questo va dato merito alla intelligenza politico finanziaria di Marchionne, che seppe vedere l’affare là dove la Mercedes era fuggita. La Fiat salvò la Chrysler e fu salvata, naturalmente al prezzo di essere assorbita nella multinazionale americana, di cui ora è la succursale povera. Non esiste più una industria automobilistica italiana e non solo perché la sede fiscale del gruppo FCA, nel quale la Fiat è assorbita, sta a Londra e quella legale in Olanda. Dove si è localizzata anche la finanziaria della famiglia Agnelli, la Exxor. Anche la famiglia Agnelli, ora guidata da John Elkann, non è più una famiglia imprenditorialmente italiana. Essa è diventata una famiglia del capitalismo globale proprio durante la gestione Marchionne, anche se il progetto probabilmente veniva da lontano. Perché tra i soci fondatori del gruppo Bildenberg, la famigerata lobby finanziaria internazionale, figurava proprio Vittorio Valletta.
Oggi la produzione di auto in Italia è ridotta al lumicino, con l’occupazione dimezzata da quando Marchionne divenne amministratore delegato della Fiat. Progettazione e ricerca sono state smantellate e non vi sono nuovi modelli in arrivo, tanto è vero che in tutti gli stabilimenti residui dilaga la cassa integrazione. Certo resta la gallina delle uova d’oro Ferrari, che non a caso è stata scorporata dalla Fiat e val più di essa. Ma anche essa oramai è stata finanziarizzata all’estero e in ogni caso non potrà mai avere una produzione industriale di massa.
Il lascito industriale di Marchionne è quello della trasformazione della Fiat in una multinazionale americana con l’italia come sede marginale, quello finanziario è l’esternalizzazione delle proprietà della famiglia Agnelli, e quello sociale e politico?
Qui c’è il tratto più comune tra i tre manager che hanno fatto la storia della Fiat dal 1945 ad oggi: il rifiuto del sindacato solidale e di classe e la lotta feroce per eliminarlo dagli stabilimenti Fiat. Tutti e tre gli amministratori delegati si sono ispirati a modelli esteri in questa loro opera. Valletta alla violenza antisindacale di Henry Ford e alla costruzione di sindacati di comodo in azienda con cui stipulare contratti al ribasso. In realtà Valletta realizzò tutti i suoi obiettivi, la messa al confino della Fiom, la costituzione di un sindacato aziendale giallo da una scissione della Cisl con il Sida oggi Fismic, la soppressione di ogni libertà dei lavoratori; tutti tranne uno: la realizzazione di un contratto solo per i lavoratori Fiat. Obiettivo che fu invece raggiunto da Marchionne, quando con il ricatto della chiusura degli stabilimenti, con la complicità di Cisl Uil e di tutta la politica ufficiale, impose ai lavoratori la rinuncia al contratto nazionale, mentre la Fiat abbandonava la Confindustria.
Romiti avrebbe invece voluto che nelle sue fabbriche si applicasse il modello giapponese di collaborazione e valorizzazione di un lavoro capace di essere fedele all’azienda. Dopo la dura repressione antisindacale degli anni 80, di cui elemento fondamentale fu l’uso discriminatorio della cassa integrazione, Romiti tentò di introdurre il modello di lavoro giapponese in particolare nello stabilimento di Rivalta a Torino e nella nuova fabbrica insediata a Melfi negli anni 90. Ora però Rivalta è chiusa, ciò che resta di essa non è più Fiat, mentre a Melfi, sotto la gestione Marchionne è stato introdotto il sistema di tempi chiamato Ergo Was, cioè il più brutale e faticoso metodo fordista di lavoro.
In un certo senso dunque Marchionne ha portato a compimento il modello di Valletta, con una differenza fondamentale. Nel secolo scorso quel modello autoritario e discriminatorio si realizzava in un gruppo ed in un paese in grande espansione, tanto é vero che allora i salari Fiat erano più alti rispetto alla media del paese. Oggi invece il salario di un operaio Fiat è tra i più bassi, ed il gruppo riduce progressivamente occupazione e produzioni in Italia.
Sia con Valletta, che con Romiti che con Marchionne la persecuzione dei lavoratori ribelli o scomodi ha prodotto drammi e tragedie. I licenziati per discriminazione politica e sindacale degli anni 50 subirono sofferenze enormi. I cassaintegrati degli anni 80 pure e decine di essi si suicidarono, così come accadde di nuovo recentemente. Maria Baratto si uccise pochi anni fa a Pomigliano dopo anni di cassa integrazione discriminatoria. E cinque operai che protestavano contro quel suicidio furono licenziati per offese a Marchionne.
Non è una questione di essere buoni o cattivi, è che non si governa la Fiat innocentemente.
Oggi Sergio Marchionne viene presentato come un innovatore a cui il paese avrebbe dovuto dare maggiore ascolto. Ma in realtà lo ha fatto: il Jobsact, come ha affermato lo stesso Renzi, è stato ispirato dalle posizioni sindacali e contrattuali di Marchionne. Come nel passato, le vittorie contro i diritti dei lavoratori dei manager Fiat sono diventate l’esempio da seguire per tutta la società. Un esempio regressivo.
Marchionne, come tutti i suoi predecessori, non ha difeso gli interessi del lavoro o del paese, ma quelli della proprietà. Una proprietà, quella della famiglia Agnelli, sempre più gaudente ed avara, della quale tutto si può dire tranne che faccia gli interessi di tutti.
È questa proprietà che periodicamente i grandi manager Fiat hanno salvato, ultimo Marchionne. Era la loro missione e questa hanno realizzato.
News
L’altro volto di Marchionne: il racconto di un operaio della Maserati
Se negli scorsi giorni in molti hanno lodato le indubbie capacità manageriali di Sergio Marchionne, c’è anche un altro lato, quello degli operai, da ascoltare con attenzione
Sergio Marchionne nella fabbrica di Grugliasco
Negli scorsi giorni in molti hanno sottolineato le indubbie capacità manageriali di Marchionne, del suo salvataggio della Fiat e della nascita della Fca, che ha dato un volto internazionale allo storico marchio italiano.
Ma questa trasformazione ha comportato una grande durezza sia nei rapporti dei lavoratori che con i sindacati, ben raccontata in questa lettera di un operaio della Maserati, pubblicata su InfoAut, che riportiamo:
“Lavoro alla Maserati di Grugliasco Torino, ex officina Bertone, annessa dalla Fiat per produrre la nuova vettura. Ci lavorano circa 1000 operai su due turni (per adesso). Nel turno di notte ci sono pochi operai per recuperare qualche vettura e mettere a posto le postazioni e i magazzini. Si producono 35 vetture al giorno, ma molto probabilmente la produzione è destinata a salire fino a 50 vetture per turno.
Le condizioni lavorative sono da caserma, per noi della logistica (riforniamo le linee di produzione con il materiale) i carichi di lavoro sono a dir poco asfissianti. Nel turno di lavoro non si smette mai di lavorare, non esistono tempi morti, ci sono tre pause di 10 minuti, ma la gran parte degli operai della logistica le sfrutta per mettere a posto le postazioni per non rimanere indietro quando riparte la produzione. C’è mezzora di pausa mensa, ma tra lavarsi le mani, raggiungere la mensa e la lunga coda per prendere il vassoio e farsi servire dagli addetti… ci si gioca la metà del tempo, quindi si mangia di corsa. I primi tempi ho visto anche operai che iniziavano a mangiare in piedi prima di sistemarsi nei tavoli.
Varcato il cancello, prima di entrare in officina, hanno messo un tabellone digitale dove c’è scritta la data dell’ultimo infortunio (che se non erro è dicembre 2012) e sotto la data corrente con il numero zero _infortuni_, però anche lì ci sono forzature da parte dei capi e direttori sugli operai. In pratica, chi si fa male non deve denunciare l’infortunio, altrimenti finisce in cassa integrazione. Per l’azienda quel tabellone deve rimanere sullo zero per la bella figura del marchio FIAT.
In officina, durante le ore lavorative ci sono parecchie visite esterne di gentaglia vestita come manichini che osserva le lavorazioni e ci sono tantissime riunioni tra capi capetti ecc. ecc. per far funzionare meglio la lavorazione del prodotto.
Sono stato addetto alla meccanica. Il personale è carente e andando alla velocità’ che vogliono loro si rischiava di farsi male o, peggio, di far male a qualcuno. I capi fanno pressione per andare più veloce, per non rischiare di fermare la produzione. Praticamente, uscendo dal magazzino, per entrare in officina, bisogna attraversare una strada dove passano tir e furgoni che hanno lo stop, ma che raramente osservano: si rischia spesso di esser investiti. Ci sarebbe bisogno di semafori, ma, a quanto pare, l’azienda non vuole affrontare questa spesa, per il momento, sostiene che ci sono altre priorità! Quali, se l’azienda fa tanta pubblicità sia con il tabellone elettronico e sulle continue raccomandazioni per evitare gli infortuni?! Tutta ipocrisia! Esiste una vera e propria contraddizione: se si va a 6 chilometri orari sei a norma ma fermi la produzione, mentre se vai a 12 km orari non sei più a norma e superi la velocità consentita in officina, quello che fanno tutti, per non rischiare di fermare e prendere richiami dai capi.
Non esistono organizzazioni sindacali che si occupano veramente delle nostre condizioni. Fim Uil e Fismic sono latitanti e la Fiom che, aveva la maggioranza dei consensi, anzi praticamente erano tutti iscritti alla Fiom, è stata sfrattata; con essa sono rimasti fuori i delegati e molti operai loro simpatizzanti. D’altronde, la stessa Fiom, quando era presente in fabbrica, non ha mai portato avanti forme reali di lotta.
Molti operai sono rientrati dopo 10 anni di cassa integrazione, in officina ci sono molti operai e capi di Mirafiori che sostituiscono quelli del ex Bertone.
Questo è il sistema e il metodo Marchionne degli stabilimenti Fiat in Italia e all’estero. Chi si ribella veramente, chi fa mutua o va in infortunio dopo che si è fatto male lavorando, viene parcheggiato in cassa integrazione a disposizione dell’azienda per un eventuale prossima chiamata per rientrare a lavorare”.
il manifesto
Lavoro e Diritti
Lavoro e Diritti: Infortuni: il datore è responsabile anche per negligenza o imperizia del lavoratore |
Infortuni: il datore è responsabile anche per negligenza o imperizia del lavoratore Posted: 25 Jul 2018 07:00 AM PDT La salute e sicurezza in azienda è un aspetto che il datore di lavoro deve sempre tenere sotto controllo per evitare che il lavoratore possa subire un infortunio sul lavoro. Il datore, infatti, è tenuto a mettere in campo tutte quelle accortezze necessarie per evitare il rischio d’infortunio dei propri dipendenti (Testo Unico Sicurezza Lavoro […] L’articolo Infortuni: il datore è responsabile anche per negligenza o imperizia del lavoratore proviene da Lavoro e Diritti – La tua guida facile su lavoro, pensioni, fisco e welfare. |
Divieto busta paga in contanti, restano esclusi i rimborsi spese
Posted: 25 Jul 2018 02:32 AM PDT L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha rilasciato la nota numero 6201 del 16 luglio con la quale torna sul tema della divieto di pagamento delle retribuzioni in contanti. L’INL, rispondendo ad un quesito posto da Confindustria, chiarisce ancora una volta il concetto secondo cui la tracciabilità della busta paga riguarda esclusivamente gli elementi della retribuzione. Per questa […] L’articolo Divieto busta paga in contanti, restano esclusi i rimborsi spese proviene da Lavoro e Diritti – La tua guida facile su lavoro, pensioni, fisco e welfare. |
Leggi, normativa e prassi
Mancata assunzione disabili: la sanzione è immediata
Il datore di lavoro che non ottempera agli obblighi di legge sul collocamento mirato (Legge 66/1999), ovvero per la mancata assunzione di disabili, è soggetto alla sanzione di cui all’articolo 15, comma 5 della predetta legge. La disposizione normativa del collocamento obbligatorio prevede che se entro 60 giorni dall’insorgenza dell’obbligo il datore di lavoro non procede con l-assunzione del lavoratore disabile, è soggetto ad una sanzione amministrativa di 153,20 euro. La sanzione si applica per ciascun lavoratore disabile che risulta non occupato nella medesima giornata.
Sul tema l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Nota n. 6316 del 18 luglio 2018 ha specificato che in questi casi la condotta del datore di lavoro integra la fattispecie illecita dell’omissione, in quanto non viene eseguito un comportamento doveroso entro i termini di legge. Pertanto, la sanzione si applica dal 61esimo giorno successivo dall’insorgenza dell’obbligo, ossia dal giorno seguente in cui spira il termine previsto dalla legge.
Collocamento obbligatorio, legge 68/1999
La Legge numero 68/1999 sul collocamento obbligatorio disciplina l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro mediante l’aiuto di servizi ad hoc e collocamenti mirati. In particolare, la Legge è rivolta:
- alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;
- persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33%, accertata dall’INAIL;
- alle persone non vedenti o sordomute;
- persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni.
Assunzione obbligatoria disabili
Per facilitare l’ingresso delle predette categorie svantaggiate nel mondo del lavoro, l’art. 3 della L. n. 68/1999 prevede che tutti i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad impiegare nell’organico aziendale dei lavoratori disabili nella seguente misura:
- 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;
- 2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;
- 1 lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.
Mancata assunzione disabili: sanzioni
Originariamente, l’art. 15, co. 5 della Legge sul collocamento obbligatorio stabiliva che la sanzione per mancata assunzione di un soggetto appartenente alla categoria protetta si applicava una volta trascorsi 60 giorni da quando sorge l’obbligo.
La sanzione amministrativa, ovviamente, si consumava esclusivamente per cause imputabili al datore di lavoro, ed era pari a lire 100.000 (euro 62,77) al giorno per ciascun lavoratore disabile che risultava non occupato nella medesima giornata.
Successivamente, il Decreto correttivo al Jobs Act (D.Lgs. n. 185/2016) ha sostituito l’importo sanzionatorio, con quello del contributo esonerativo di cui all’articolo 5, comma 3-bis della L. n. 68/1999 (30,64 euro) e moltiplicato per cinque volte. Quindi, dall’8 ottobre 2016 la sanzione risulta essere di 153,20 euro (30,64 euro moltiplicato per 5) per ogni giorno lavorativo di “scopertura”.
Sanzioni collocamento obbligatorio 2018
Sul punto, l’INL in un recente nota (n. 6316/2018) ha ritenuto opportuno precisare che l’illecito va configurato come “istantaneo ad effetti permanenti”; ciò in conseguenza del fatto che l’omissione si ha nel preciso instante in cui spira il termine previsto dalla legge (ossia il 60esimo giorno).
Pertanto, la condotta illecita si protrae fino a quando il datore di lavoro non adempie all’obbligo di assunzione. Da notare che per gli illeciti commessi prima dell’8 ottobre 2016, i cui effetti si protraggono anche dopo la predetta data, troverà applicazione la sanzione vigente al momento della consumazione dell’illecito.
INL: nota prot. n. 6316 18 luglio 2018
Alleghiamo in ultimo la nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro prot. n. 6316 18 luglio 2018 per una completa lettura del documento di prassi.
Nota INL prot. n. 6316 18 luglio 2018
» 649,0 KiB – 155 hits – 23 luglio 2018
Pensioni, quattordicesima INPS in arrivo
Pensioni, quattordicesima INPS in arrivo a settembre per altri 48 mila
L’INPS comunica che sono state liquidate d’ufficio per il 2018 oltre tre milioni di mensilità aggiuntive c.d. quattordicesima pensionati; secondo le ultime stime a settembre sono in arrivo altri 48 mila pagamenti che non hanno ancora ricevuto l’assegno supplementare.
La quattordicesima INPS sulle pensioni viene normalmente attribuita d’ufficio dall’Istituto previdenziale; pertanto senza la necessità da parte del pensionato avente diritto di presentare alcune domanda. Il pagamento della mensilità aggiuntiva avviene automaticamente se si è in presenza di tutti gli elementi necessari per la verifica reddituale di ammissione al beneficio. Questa modalità consente una grande semplificazione nell’erogazione, consentendo una maggiore tempestività nei pagamenti.
Quattordicesima pensioni: requisiti
Per avere diritto alla quattordicesima il pensionato deve essere in possesso dei seguenti requisiti, relativi a età, contribuzione e reddito. Rispetto ai redditi, per avere diritto alla 14a mensilità nel 2018 devono essere valutati:
- tutti i redditi posseduti dal soggetto nell’anno 2018, nel caso di prima concessione (rientrano in tale casistica tutti coloro che negli anni precedenti non abbiano percepito la somma aggiuntiva);
- i redditi per prestazioni per le quali sussiste l’obbligo di comunicazione al Casellario centrale dei pensionati conseguiti nel 2018 e i redditi diversi da pensioni conseguiti nel 2017, nel caso di concessione successiva alla prima.
INPS, quattordicesima attribuita d’ufficio
Come spiega l’INPS per i pagamenti d’ufficio sono utilizzati in automatico i redditi da prestazione memorizzati nel Casellario centrale dei pensionati presenti al momento della lavorazione. Per i redditi diversi, invece, vengono presi in esame quelli dell’anno 2017, oppure 2018 per le prime concessioni.
Se mancano queste ultime informazioni, relativamente ai redditi diversi da quelli da prestazione sono utilizzati in via provvisoria i redditi delle ultime campagne reddituali elaborate; vengono cioè usati i redditi del 2015 o anche del 2014. Per questo la mensilità aggiuntiva viene corrisposta prima in via provvisoria e poi si procede alla verifica dei requisiti a consuntivo sulla base della dichiarazione dei redditi.
I dati reddituali in possesso dell’INPS vengono presi dalle dichiarazioni dei redditi dei pensionati, quindi 730 o redditi persone fisiche, oppure tramite modello red.
Pertanto, specifica l’INPS, dopo una campagna di sollecito degli scorsi mesi, l’Istituto ha potuto elaborare altre 48 mila posizioni di pensionati che riceveranno la quatordicesima a settembre; nei prossimi giorni gli stessi riceveranno una comunicazione tramite cassetta postale online o direttamente al proprio domicilio.
Quattordicesima INPS non pagata, cosa fare
Ai pensionati i cui dati reddituali non sono aggiornati dopo il 2013 l’INPS non ha potuto erogare d’ufficio la mensilità aggiuntiva. Tuttavia è possibile recuperare tale somma presentando una domanda di ricostituzione pensione.
La domanda può essere inviata telematicamente tramite il proprio PIN Personale, SPID (Sistema pubblico Identità Digitale) o CNS (Carta Nazionale dei Servizi). La domanda può altresì essere presentata tramite patronato.
Quattordicesima pensioni a dicembre
In ultimo l’INPS ricorda che nel mesi di dicembre del 2018 saranno pagati d’ufficio, i ratei di 14ma a coloro che:
- hanno compiuto l’età di accesso al beneficio (64 anni) nel secondo semestre del 2018;
- lo stesso avviene anche per i soggetti che sono andati in pensione nel corso del 2018.