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IL FOGLIO
Regione Lazio
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rassegna
del 04/02/2017 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Assenze dal lavoro legittime per il lavoratore tossicodipendente
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E’ illegittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore tossicodipendente per la sue assenze dal lavoro nel periodo in cui si è sottoposto a una terapia riabilitativa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 1319 del 2017.
Per gli Ermellini l’assenza dal lavoro protratta anche per un lungo periodo di un tossicodipendente che si sottopone a trattamento riabilitativo è da considerarsi ai fini normativi economici e previdenziali come aspettativa non retribuita.
La Cassazione ha precisato che per quanto sancito dall’articolo 124 del Dpr 309/1990, i lavoratori tossicodipendenti hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo necessario a seguire i programmi terapeutici e di riabilitazione.
Le assenze dal lavoro sono giustificate per le cure riabilitative
Per queste ragioni le assenze dal lavoro riconducibili alla permanenza in un centro di cura dalle tossicodipendenze non possono essere ritenute ingiustificate e pertanto non possono essere utilizzate alla base di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il caso in questione ha riguardato un lavoratore che aveva chiesto una aspettativa non retribuita per frequentare un centro riabilitativo per disintossicarsi dalla propria tossicodipendenza. Il datore di lavoro prima concedeva l’aspettativa e poi in seguito promuoveva nei confronti del lavoratore una azione disciplinare per assenza ingiustificata.
Leggi anche: Cassazione: il datore di lavoro che tollera troppe assenze non può licenziare il lavoratore
In prima istanza il Tribunale di Napoli confermava la legittimità del licenziamento disciplinare, ma la Corte d’Appello prima e la Cassazione poi hanno confermato l’illegittimità del licenziamento, in quanto la procedura disciplinare è avvenuta fuori tempo e in maniera scorretta, ma soprattutto perchè il licenziamento è in contrasto con il diritto del lavoratore tossicodipendente alla conservazione del posto per il periodo in cui si sottopone a cure disintossicanti
Lavoro e Diritti
Assenze dal lavoro legittime per il lavoratore tossicodipendente Posted: 03 Feb 2017 07:22 AM PST E’ illegittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore tossicodipendente per la sue assenze dal lavoro nel periodo in cui si è sottoposto a una terapia riabilitativa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 1319 del 2017. Per gli Ermellini l’assenza dal lavoro protratta anche per un lungo periodo di un tossicodipendente che […] Link all’articolo originale: Assenze dal lavoro legittime per il lavoratore tossicodipendente |
San Giuseppe (Desideri) da Leonessa
Prigioniero dei Turchi a Costantinopoli, fra Giuseppe era restato per tre giorni appeso a una croce per un piede e per una mano. E non era morto. Dio solo sa come riuscisse a sopravvivere a quel supplizio, e come si rimarginassero le sue terribili ferite. Si parlò dell’intervento miracoloso di un Angelo, che avrebbe sostenuto il suo corpo e curato le sue piaghe.
Certo non era facile spiegare in altro modo quella resistenza che sfidava tutte le leggi naturali, comprese quelle – terribilmente logiche – della tortura. E quasi un miracolo fu il fatto che il Sultano, forse ammirato per l’accaduto, commutasse la pena di morte con l’esilio perpetuo.
A Costantinopoli, il cappuccino Fra Giuseppe aveva compiuto un gesto degno veramente da folle. Aveva tentato di entrare nel palazzo per predicare davanti al Sultano in persona, sperando di convertirlo. Catturato dalle guardie, era stato giudicato reo di lesa maestà.
Bisogna dire che fino allora i Turchi lo avevano lasciato libero di predicare in città, dopo aver assistito i cristiani prigionieri. L’estrema povertà del frate e dei suoi compagni, sotto il saio color tabacco, lasciava perplessi i rappresentanti del potere e della religione ufficiale. Era difficile vedere in quegli umilissimi stranieri, sprovvisti di tutto, altrettanti pericolosi cospiratori contro la sicurezza dello Stato.
Giuseppe era nato nel 1556, a Leonessa, e nella cittadina umbra dal fiero nome, presso Spoleto, era entrato sedicenne tra i cappuccini della riforma, mutando il nome di Eufrasio Desiderato in quello dell’umile sposo della Vergine. Aveva compiuto il proprio noviziato nel convento delle Carceri, sopra Assisi, e in quella piega boscosa del Subasio si era temprato alla più dura penitenza e alla più rigorosa astinenza.
Con una tipica espressione francescana, chiamava il proprio corpo « frate asino », e diceva che come tale non aveva bisogno di essere trattato come un corsiero, un purosangue. Bastava trattarlo come un asino, con poca paglia e molte frustate.
La paglia forse si, ma le frustate – come abbiamo visto – non gli erano mancate durante la sua avventura in Turchia, dove il generale dell’Ordine lo aveva inviato, trentenne, per assistervi i prigionieri cristiani.
Tornato in Italia, poté seguire quella vocazione missionaria che l’aveva spinto a predicare davanti al Sultano. Questa volta, però, fu predicatore sull’uscio di casa, nei villaggi e nella città reatina, sua patria. I risultati furono altrettanto consolanti, e il suo zelo di carità ancor più necessario, perché il più difficile terreno di missione è spesso quello stesso sul quale fiorisce la santità in mezzo alle ortiche del vizio e ai rovi dell’indifferenza.
Cinquantacinquenne, s’infermò, ritirandosi nel convento d’Amatrice. Gli venne diagnosticato un tumore, e si tentò di operarlo, Dio sa come. Fu quello il suo secondo supplizio, ma rifiutò di essere legato, come suggerivano i medici. E non si sollevò più dal lettuccio chirurgico. Come anestetico si era stretto al petto, lungamente, il Crocifisso.