Pensioni, alla ricerca di equità nel futuro

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La riforma delle pensioni approvata con la manovra Monti  “non dà nulla ai lavoratori precari né ai giovani”. Lo ha sottolineato Andrea Borghesi,  segretario nazionale di Nidil Cgil, nel corso del convegno “Pensioni: l’equità da garantire fra presente e futuro”. In occasione dell’evento, il sindacato degli atipici ha pubblicato una proiezione sull’importo della pensione per il lavoratore tipo: in caso di ritiro a 65 anni con inizio attività nel 1996.

Cosa accade con le misure di Monti? “La manovra – secondo Borghesi – stabilisce nuovi requisiti di pensionamento per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996: l’importo della pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale (643 euro al mese) per il pensionamento di vecchiaia, a un’età minima di 66 anni, e un importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale (1.200 euro al mese) per il pensionamento anticipato, a un’età minima di 63 anni”.

L’obiettivo di Nidil è “che tutti abbiano pensioni dignitose, pari almeno al 60% dell’ultima retribuzione”, come peraltro stabilito dal protocollo sul welfare del 2007.

Borghesi si è quindi soffermato sui problemi del sistema contributivo: un tasso di rivalutazione legato al Pil nominale (Pil reale e inflazione), che per il 2010 ha rivalutato i contributi solamente dell’1,7%, e andrà così almeno per altri cinque anni. I coefficienti di trasformazione in vigore che sono troppo penalizzanti, e che peraltro penalizzano in maniera assurda chi resta di più al lavoro.
 
“Elemento fondamentale del sistema contributivo – ha proseguito  – è quanto si versa”. Ciò è determinato sia dalle retribuzioni, e quelle degli atipici sono pari a circa il 20% in meno rispetto a quelle dei lavoratori a tempo indeterminato, e dalle aliquote, ancora troppo basse per i lavoratori iscritti alla gestione separata (ora sono infatti al 27% ma si è partiti nel 1996 da un aliquota del 10%). Si pensi ad esempio che un collaboratore esclusivo monocommittente, che guadagna in media sugli 8.000 euro l’anno, versa 2160 euro di contributi, mentre un dipendente che guadagna 15.000 euro l’anno ne versa poco meno di 5.000, ovvero il 129% in più.

Le aliquote “non possono diminuire ma devono essere allineate verso l’alto, altrimenti le pensioni del futuro saranno da fame. Il sistema previdenziale pubblico rimane un elemento fondamentale di garanzia per tutti i lavoratori e non deve diventare residuale a favore delle forme complementari. La rivalsa previdenziale dei professionisti con partita Iva iscritti alla Gestione separata va resa va resa obbligatoria e aumentata dal 4% al 18%”.

Altro elemento problematico è legato alla discontinuità del reddito dei precari e quindi della contribuzione: l’effetto combinato sulle pensioni di bassi redditi e discontinuità lavorativa è infatti devastante sulle prestazioni del futuro (vedi la tabella di Michele Raitano, qui l’articolo completo)

Secondo Nidil, in questa ottica mettere in discussione l’articolo 18 “è inutile e dannoso e penalizzerebbe ancora di più i giovani. Va invece realizzata una riforma degli ammortizzatori sociali che aumenti le indennità di disoccupazione ed estenda la copertura economica e contributiva. Si può anche pensare ad un aumento della contribuzione per disoccupazione per le aziende che fanno ricorso a contratti non standard, nell’ottica che se si vuole la flessibilità la si deve pagare di più. Va inoltre realizzato – ha concluso Andrea Borghesi – un sistema di salvaguardia per coloro che sono entrati al lavoro con il sistema contributivo e hanno avuto carriere lavorative ‘fragili’ in questi 15 anni”.

rassegna.it

Pensioni, alla ricerca di equità nel futuroultima modifica: 2011-12-22T09:50:00+01:00da vitegabry
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