Nel 2030 gli anziani over 64 anni saranno più del 26% della popolazione totale: ci saranno 4 milioni di persone non attive in più e 2 milioni di attivi in meno. Il sistema pensionistico dovrà confrontarsi con seri problemi di compatibilità ed equità. Se le riforme delle pensioni degli anni ’90 hanno garantito la sostenibilità finanziaria a medio termine del sistema, oggi preoccupa il costo sociale della riduzione delle tutele per le generazioni future.
A fronte di un tasso di sostituzione del 72,7% calcolato per il 2010, nel 2040 i lavoratori dipendenti beneficeranno di una pensione pari a poco più del 60% dell’ultima retribuzione (andando in pensione a 67 anni con 37 anni di contributi), mentre gli autonomi vedranno ridursi il tasso fino a meno del 40% (a 68 anni con 38 anni di contributi). È quanto emerge dai risultati del primo anno di lavoro del progetto «Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali» di Censis e Unipol. Negli ultimi tempi il dibattito sulle pensioni si è sterilizzato perché i conti degli enti previdenziali sono stati rimessi in ordine. Ma a soffrire in futuro saranno i conti delle famiglie: quanti oggi possono dire con serenità: «Mi godrò la pensione»?
Il 42% dei lavoratori dipendenti 25-34enni di oggi andrà in pensione intorno al 2050 con meno di mille euro al mese. Attualmente i dipendenti in questa fascia di età che guadagnano una cifra inferiore a mille euro sono il 31,9%. Ciò significa che in molti si troveranno ad avere dalla pensione pubblica un reddito addirittura più basso di quello che avevano a inizio carriera. E la previsione riguarda i più «fortunati», cioè i 4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard: poi ci sono un milione di giovani autonomi o con contratti atipici e 2 milioni di giovani che non studiano né lavorano.
Il ricorso a prestazioni sanitarie totalmente private è oggi molto diffuso. Nell’ultimo anno solo il 19,4% delle famiglie ne ha potuto fare a meno. Invece, più del 70% ha acquistato medicinali a prezzo pieno in farmacia, più del 40% è ricorso a sedute odontoiatriche, quasi il 35% a visite mediche specialistiche, più del 18% a prestazioni diagnostiche. Tutto ciò è costato in media 958 euro a famiglia. La spesa privata complessiva sale fino a 1.418 euro in media per le famiglie in cui un componente ha avuto bisogno del dentista.
Secondo la stima del Censis, le persone con disabilità sono oggi il 6,7% della popolazione totale: circa 4,1 milioni di persone. Ma con il progressivo invecchiamento demografico arriveranno a 4,8 milioni nel 2020 (il 7,9% della popolazione) e saranno 6,7 milioni nel 2040 (il 10,7%). Già oggi nel 30,8% dei nuclei familiari si riscontra un bisogno assistenziale. Per la maggior parte si tratta della necessità di accudire i figli, ma per il 6,9% dipende dalla disabilità o non autosufficienza di un membro della famiglia. Le risposte a questi bisogni provengono soprattutto dall’interno della famiglia stessa.
«C’è dunque innanzitutto un problema di scarsa consapevolezza sociale diffusa. Sebbene il sistema di welfare sia inevitabilmente destinato a ridurre i livelli di copertura – soprattutto il sistema previdenziale, con il passaggio dal modello retributivo a quello contributivo – gli italiani non sembrano percepire il reale impatto che queste trasformazioni avranno sulla loro qualità della vita, e ancor meno sembrano attrezzati per affrontarlo», ha commentato Carlo Cimbri, Amministratore Delegato del Gruppo Unipol.
«Oggi la spesa privata per prestazioni sociali delle famiglie è ondivaga e disorganizzata. Occorre utilizzare al meglio le risorse private facendole convergere in un sistema organizzato che razionalizzi il sistema di offerta, induca una riduzione dei costi e dunque ponga le condizioni per un incremento delle prestazioni e un allargamento della platea dei possibili beneficiari», ha detto Giuseppe De Rita, Presidente del Censis.
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