Archivio mensile:aprile 2011

Invalidità civile: Il tribunale di Genova ha condannato l’Inps per i ritardi

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Accolti tre ricorsi promossi dall’Inca e dalla Cgil

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Il 13 aprile scorso il Tribunale di Genova ha emesso tre ordinanze con le quali è stato condannato l’Inps alla liquidazione delle indennità di accompagnamento di tre persone  che avevano la domanda bloccata da mesi in quanto non veniva notificato il verbale.

Si tratta delle prime cause pilota promosse dal Patronato Inca della Cgil, contro i disservizi che stanno caratterizzando l’esperienza delle nuove procedure telematiche per il riconoscimento dell’invalidità civile, in vigore dal 1 gennaio 2010. 

Negli ultimi mesi a Genova, come nel resto del Paese, le mancate notifiche dei verbali contenenti l’esito delle visite per l’ottenimento della prestazione, hanno subito ritardi incomprensibili che, ovviamente, hanno causato gravi disagi a tutte quelle persone che vivono già una condizione di particolare criticità.

Dopo mesi di trattative e solleciti andati evidentemente a vuoto, il Patronato della Cgil ha deciso di tutelare per via giudiziaria i suoi assistiti.
I primi giudizi, svolti con procedimento di urgenza, hanno dato esito positivo riconoscendo ai cittadini tutelati dall’Inca il diritto a percepire l’indennità di accompagnamento. Nei prossimi giorni saranno definiti un’altra decina di casi.

Il buon esito di questi provvedimenti si scontra con l’inefficienza di un Istituto previdenziale che, nonostante un’ immagine esageratamente edulcorata, così come quella proposta dalla sua campagna “istituzionale”, somma nella realtà tutta una serie di disfunzioni e ritardi che rendono difficile, se non impossibile, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione, l’ottenimento dei diritti.

Le sentenze del Tribunale di Genova ribadiscono dunque quel principio della proclamazione e conseguente esigibilità dei diritti per i cittadini  che ogni giorno l’Inca promuove nella pratica di lavoro quotidiana.

Thyssen: condanna per omicidio volontario

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Una sentenza esemplare

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L’amministratore delegato della ThyssenKrupp Harald Espenhahn è stato condannato dalla Corte di Assise di Torino a 16 anni e mezzo di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale per i sette morti del rogo alla Thyssenkrupp, avvenuto nel dicembre del 2007.

Al termine di un processo durato quasi 100 udienze, i giudici hanno accolto la richiesta dei pm Raffaele Guariniello. Non solo per quanto riguarda i capi d’accusa imputati al manager tedesco, ma anche per tutti gli altri imputati nel processo. Oltre all’omicidio volontario imputato all’ad, è una sentenza spartiacque nella giustizia sulla sicurezza del lavoro per il riconoscimento di quel “dolo eventuale”, che significa, secondo i giudici, che i manager della Thyssen conoscevano i rischi conseguenti dalla scelta di non investire sulla sicurezza antincendio, e li avevano messi nel conto.

La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, chiamata in causa come responsabile civile, è stata condannata al pagamento della sanzione di 1 milione di euro, all’esclusione da agevolazioni e sussidi pubblici per 6 mesi, al divieto di pubblicizzare i suoi prodotti per sei mesi, alla confisca di 800mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali ‘La Stampa’, ‘La Repubblica’ e il ‘Corriere della Sera’.

Per quanto riguarda le parti civili, la Corte ha riconosciuto un risarcimento di un milione di euro al Comune di Torino, di 973.300 alla Regione Piemonte, di 500 mila euro alla Provincia di Torino e di 100 mila euro ciascuno ai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uim-Uilm, Flm-Cub. Cento mila euro di risarcimento anche all’associazione Medicina Democratica.

La Thyssen, in un comunicato diffuso in aula, ha definito la sentenza “incomprensibile e inspiegabile”. Uno dei legali della difesa, ha annunciato il ricorso in appello, “anche se – ha aggiunto – non otterremo molto di più”. “Vedere cose di questo tipo è sconsolante”, ha detto il legale della Thyssen riferendosi anche alla pressione mediatica sulla vicenda e alla folla che gremiva l’aula del tribunale. “Siamo totalmente insoddisfatti – ha aggiunto -, in particolare per la dichiarazione della subvalenza delle attenuanti al risarcimento del danno: questa è una cosa mai vista prima”.

“Questa è una svolta epocale, non era mai successo che per una vicenda di morti sul lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale”: lo ha detto il pm Guariniello commentando la sentenza con le agenzie di stampa. “Una condanna – sottolinea Guariniello – non è mai una vittoria o una festa. Però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro”. Secondo il pm da oggi “i lavoratori possono contare molto di più sulla sicurezza” e le imprese “possono essere invogliate a fare molto di più per la sicurezza”. Guariniello ha aggiunto che la sentenza è “il salto più grande di sempre in tutta la giurisprudenza in materia di incidenti sul lavoro”. Ed “è un regalo che vogliamo fare al presidente della Repubblica”.

Ricordiamo che due anni fa, proprio grazie all’intervento del Quirinale, non passò la cosiddetta “norma salva manager” nel Testo unico sulla sicurezza sul lavoro: una disposizione che avrebbe sgravato da ogni responsabilità i vertici aziendali, in caso di incidenti sul lavoro.

“Hanno avuto ragione le famiglie, hanno avuto ragione i lavoratori della Thyssen, abbiamo avuto ragione noi ad avere fiducia nella magistratura torinese”. Questo il commento di Giorgio Airaudo, della Fiom. “Quando il lavoratore viene ferito o muore sul lavoro – dice il sindacalista – non è mai un caso, c’è sempre una responsabilità. E’ una sentenza importante, che farà scuola in Italia e in Europa. Resta il dolore per chi ha perso la vita e per chi non ha più i propri affetti. La nostra solidarietà sarà sempre insufficiente”. Per Vincenzo Scudiere, della segreteria confederale Cgil, si tratta di “una sentenza esemplare che deve far riflettere e responsabilizzare tutti sui temi della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

rassegna.it

INPS: circolari e messaggi

Gentile Cliente,
Le inviamo gli ultimi Messaggi Hermes pubblicati sul sito www.INPS.it > Informazioni > INPS comunica > normativa INPS: circolari e messaggi

 

>>> Titolo:  Circolare numero numero 67 del 14-04-2011
  Contenuto:  Indennità di mobilità. Compatibilità con l?attività di lavoro autonomo o subordinato. Corresponsione anticipata dell’indennità. Incentivi all?assunzione.
Tipologia:  CIRCOLARE

>>> Titolo:  Circolare numero numero 66 del 12-04-2011
  Contenuto:  D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Determinazione presidenziale n. 75 del 30 luglio 2010? – Nuove modalità di presentazione della domanda di disoccupazione ordinaria non agricola e di mobilità ordinaria: implementazione del canale
Tipologia:  CIRCOLARE

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 8493 del 11-04-2011
  Contenuto:  Attività termale 2011. Sospensione attività Terme di Fontecchio e Fontecchio Resort S.p.A. (Città di Castello).
Tipologia:  MESSAGGIO

Quell’omicidio volontario cambia la giustizia sul lavoro

LAVORO

Sette vittime, Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi); sei imputati, ottantotto udienze effettive, un’accusa inedita in un procedimento per incidente mortale sul lavoro. E’ la carta d’identità del processo alla multinazionale Thyssenkrupp, nella cui sede di Torino tre anni e mezzo fa andò in scena uno dei più orribili massacri sul lavoro. La Procura di Torino, con una mossa senza precedenti, ha deciso di procedere per omicidio volontario e non, come si è sempre fatto in casi di incidenti sul lavoro, per omicidio colposo: e così ha chiesto 16 anni e mezzo per l’imputato principale, l’ad Herald Espenhahn. Per gli altri, 3 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e 9 anni per Daniele Moroni, tutti accusati di omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche. All’azienda, la giustizia italiana manda un conto di un milione e mezzo di euro di sanzione pecuniaria, cui si aggiungono 800 mila euro di confisca e misure quali il divieto di pubblicità per un anno e l’esclusione da contributi pubblici, agevolazioni e contributi e revoca di quelli già concessi.
La formula, in termini giuridici, è quella del «dolo eventuale». «Se il dolo eventuale non c’è in questo caso allora non esiste – hanno sostenuto due dei tre pubblici ministeri, Laura Longo e Francesca Traverso – perchè mai come in questo caso c’è stata la volontà forte di accettare il rischio». Espnhahn, è questa la loro tesi, posticipò di un anno gli investimenti antincendio su Torino «pur avendone programmata la chiusura», e rinviò gli interventi sulla linea 5 al momento del suo trasloco a Terni. Mentre gli operai continuavano a lavorare «in condizioni di crescente abbandono e insicurezza». La morte dei sette operai della Thyssenkrupp di Torino, arsi vivi da «un’onda anomala di fiamme» (la testimonianza è dell’unico sopravvissuto, Antonio Boccuzzi) che si era innalzata dalla linea 5 dell’acciaieria, è dovuta – secondo l’accusa – alla negligenza consapevole di chi, dovendo investire sulla sicurezza antincendio, non lo ha fatto, «accettando il rischio» di un incidente. La Thyssenkrupp, per allontanare lo spettro dell’omicidio volontario, ha messo in campo alcuni fra i migliori avvocati italiani, che hanno subito parlato di «processo politico», «desiderio di vendetta» e di «gogna mediatica», Mauro Audisio di «suggestione». Ma la squadra dei pm guidati da Raffaele Guariniello è andata dritta per la sua strada, tanto che il processo è cominciato dopo appena un anno.
Richieste pesanti anche delle parti civili: il Comune di Torino e la Provincia hanno chiesto un milione e mezzo di euro di risarcimento per i danni d’immagine e all’ambiente, mentre la Regione (anche per danni patrimoniali) ha quantificato sei milioni di euro: simbolicamente un euro e mezzo a testa per ogni piemontese. I sindacati hanno optato per 150 mila euro ciascuno.
La Thyssen aveva già risarcito con 12 milioni di euro (una cifra record) i parenti delle vittime, ma al processo si sono costituiti altri familiari e diversi operai che hanno chiesto danni per centinaia di migliaia di euro. In particolare per un gruppo di soccorritori sono stati chiesti risarcimenti da 260 a 420 mila euro perché la loro vita è rimasta sconvolta da quella notte: choccati come reduci del Vietnam, hanno incubi ricorrenti, attacchi di panico e devono ricorrere a psicofarmaci.
Le indagini, poi, non si sono limitate alla Thyssen: 5 ispettori dell’Asl avrebbero aiutato la Thyssen preannunciando i controlli e con prescrizioni non tempestive. Nell’udienza del 18 novembre 2009 è emerso anche che ex operaio della Thyssenkrupp aveva avuto contatti con due dirigenti dell’acciaieria che lo avevano avvicinato per ”pilotare” le deposizioni. Da lì, quindi, una nuova indagine per falsa testimonianza con tanto di intercettazioni e pedinamenti: otto persone indagate, e quattro ex dipendenti che sono poi tornati in aula per ritrattare le loro deposizioni.
Per essere più efficace la procura aveva poi scelto di riprodurre in aula tutta la dinamica dell’incendio utilizzando un’animazione grafica al computer: sulla linea 5, gli operai che tentano di spegnere il fuoco con manichette ed estintori vuoti, e il ”flash fire”, ovvero l’esplosione di una nuvola di fuoco e olio incandescente che avvolge i sette operai, mentre Antonio Boccuzzi riesce a salvarsi solo perché riparato dietro un muletto. La sua testimonianza parla chiaro purtroppo: urla delle vittime, ”aiuto, non voglio morire!”, l’odore, le facce e i corpi dilanianti dal fuoco dei sette operai.
Negli ultimi giorni un gruppo di lavoratori ha scritto ai candidati sindaci di Torino denunciando di essere stati abbandonati al loro destino. «Negli ultimi tre anni noi lavoratori, che abbiamo portato avanti con coraggio e determinazione una giusta battaglia per la Verità e la Giustizia – si legge – siamo stati completamente abbandonati dalle Istituzioni di questa Città. Abbiamo ottenuto due proroghe degli ammortizzatori sociali ma il nostro obiettivo principale era e rimane un lavoro sicuro e dignitoso, come avvenuto per altri colleghi (assunti a tempo indeterminato per es. in Amiat e Alenia Aerospazio)».

Fabio Sebastiani

La fabbrica morente e le bugie in aula

 

di Oreste Pivetta | tutti gli articoli dell’autore

thyssenPrima sentenza. Poi si andrà in appello e si chiuderà, chissà quando, in Cassazione (alcuni magistrati ci hanno spiegato che la “prescrizione breve” non peserà). Ci sarà, alla fine, giustizia? «Ma chi ci restituirà i nostri morti?». Domanda di una sorella (di Rosario, bruciato a ventisei anni) destinata a restare senza risposta. Nessuna sentenza potrà dare giustizia a quei morti nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007, tra le fiamme e l’olio incandescente, tra il grasso, il fumo e la caligine nera che si depositava ovunque. In alcune delle novantasette udienze del processo si sono riviste le immagini crude della linea 5, il laminatoio di corso Regina Margherita trasformato in una fornace allo scoppio di un tubo. La morte per alcuni fu lenta. Le ustioni consumano il corpo poco alla volta. Antonio Schiavone fu il primo a lasciare questo mondo. Il secondo fu Roberto Scola, poi Angelo Laurino e Bruno Santino. Il quinto Rocco Marzo, il più vecchio, cinquantaquattro anni. Il sesto Rosario Rodinò. Infine toccò a Giuseppe Demasi, il settimo. Nello stesso ordine, nelle bare chiare, lasciarono il Duomo di Torino. Il cardinal Poletto aveva gridato indignato contro l’orrore di quelle vite tagliate e aveva chiesto anche lui giustizia. Un cartello, fuori, pretendeva: «Mai più». Figuriamoci.

Sono stati necessari quaranta mesi per indagare, raccogliere le prove, giungere al processo, chiudere intanto con una sentenza. Il procuratore aggiunto Guariniello (che tanti anni fa guidò l’inchiesta che rivelò lo spionaggio Fiat contro i lavoratori e naturalmente soprattutto contro i lavoratori di sinistra, i comunisti) aprì la sua requisitoria con una esclamazione: «Non potevamo credere ai nostri occhi…». Non potevano credere ai loro occhi i magistrati, che leggevano le carte sequestrate negli uffici della Thyssen di Torino e di Terni, lettere, documenti interni, mail, elenchi di nomi, tutti i lavoratori che venivano cancellati via via che si procedeva nello smantellamento della fabbrica torinese, carte che dimostravano come chi dirigeva sapeva tutto, sapeva dei pericoli, sapeva che l’assicurazione aveva alzato la franchigia al limite dell’assicurabile, che la squadra antincendio non c’era, che il responsabile della sicurezza non aveva nessuna esperienza di sicurezza (in aula dimostrò di non distinguere un bottone dall’altro).

Espehahn aveva persino elaborato un piano contro gli incidenti, ma costava e non valeva la pena spendere per una fabbrica morta, c’erano ancora commesse da soddisfare, tanto valeva rischiare, produrre e poi chiudere. Massimo sfruttamento degli impianti e degli uomini. Spiegò Guariniello: all’inizio avevamo iscritto i dirigenti della Thyssen nel registro degli indagati per omicidio colposo, sono state le indagini ad imporci la contestazione del dolo, a convincerci che il vertice della Thyssenkrupp aveva accettato il rischio di incendi, anche mortali, pur di rinviare gli interventi sulla sicurezza sino al trasferimento delle linee di produzione da Torino a Terni.

La storia della tragedia di corso Regina Margherita è semplice, un classico. Il padrone che taglia, che vuol chiudere, che non investe, che considera uguale a zero la salute dei lavoratori, che manda allo sbaraglio i giovani, meno esperti, ricattati dalle miserie della vita d’oggi. Potrebbe essere un classico anche la corruzione dei testimoni, convocati amichevolmente il giorno prima dell’udienza, presentando liste di domande e di risposte, pagando per nascondere, magari con una cena alla bocciofila di Settimo, come rivelò l’interrogatorio di un ex operaio Thyssen da parte del procuratore Guariniello: ne nacque un’altra inchiesta e quattro ex dipendenti tornarono in aula per ritrattare le loro deposizioni. O il tentativo di far sparire documenti importanti, quelli dell’Asl dove si rilevavano le ragioni del rischio: altra inchiesta per “soppressione di atti”. Anche la cassa integrazione si usò: negarla per ricattare i superstiti. Un classicissimo fu il tentativo di allungare i tempi del processo. Ci provano tutti. I difensori della Thyssen ci provarono con la lingua: dissero che Espenhahn non conosceva l’italiano. In aula sul maxischermo un bel giorno comparve l’immagine del dirigente tedesco: intervistato dalla tv, dialogava con inflessione tedesca ovviamente, ma in perfetto italiano.

Non avrà rilevanza penale, ma resterà nella storia anche il documento segreto, in tedesco, per i vertici aziendali, sequestrato a Terni, nel quale si chiamavano in causa i sindacati torinesi, accusati di appartenere alla «tradizione comunista», le brigate rosse, la scarsa affidabilità degli operai italiani: in fondo, questa la tesi ripetuta in tribunale, l’incendio era anche colpa loro. Quelli che l’hanno scampata (Boccuzzi ad esempio, protetto davanti alle fiamme da un muletto) «passano di televisione in televisione e si presentano come eroi». Però, raccomandava il documento, non si muova un dito contro di loro: troppo popolari ormai perché si possa nei loro confronti avviare un’azione disciplinare, meglio aspettare…

16 aprile 2011

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Thyssen, 16 anni e mezzo all’ad Colpevole di omicidio volontario

La strage di Viareggio
IN AULA

Un verdetto che segna la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un’accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori. Risarciti anche enti locali e sindacati

di PAOLO GRISERI e SARAH MARTINENGHI

La seconda corte d’assise di Torino, presieduta da Maria Iannibelli, ha condannato Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssen, a 16 e sei mesi; Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafuerri a 13 anni e 6 mesi e Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi. I giudici hanno dunque accolto le richieste dell’accusa, aumentando la pena al solo Moroni (per il quale i pm avevano chiesto 9 anni). I giudici hanno accolto in toto le richieste dei magistrati, confermando l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato e quella di cooperazione in omicidio colposo per gli altri manager.

La risposta Thyssen. Immediata la reazione dell’azienda, che in un comunicato ha definito la condanna di Herald Espenhahn “incomprensibile e inspiegabile”. “Per l’ulteriore corso del procedimento – si afferma ancora nella nota – si rimanda alle dichiarazioni degli avvocati difensori”. Per l’avvocato Cesare Zaccone, uno dei difensori appunto della Thyssen, “vedere cose di questo tipo è sconsolante. Faremo appello ma non credo che otterremo molto di più”.

L’azienda è stata condannata a un milione di euro di sanzione pecuniaria, all’esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi e al divieto di farsi pubblicità per sei mesi. La multinazionale dell’acciaio è stata chiamata in causa come persona giuridica. La sentenza, per ordine dei giudici, dovrà essere pubblicata su una serie di quotidiani e affissa nel Comune di Terni, dove c’è la principale sede italiana del gruppo.

L’unico sopravvisuto. Per Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto al rogo è una sentenza “esemplare”, in grado di fare “giurisprudenza e di essere utile per tutti gli altri processi sugli infortuni sul lavoro”. “E’ stata scritta una pagina importante”, ha aggiunto Boccuzzi.

VIDEO La lettura della sentenza
FOTO Il dolore dei parenti Dopo la sentenza

I risarcimenti. Per quanto riguarda le parti civili, la corte ha riconosciuto un risarcimento di un milione di euro al Comune di Torino, di 973.300 euro alla Regione Piemonte, di 500 mila euro alla Provincia di Torino e di 100 mila euro ciascuno ai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uim-Uilm, Flm-Cub. Cento mila euro di risarcimento anche all’associazione Medicina Democratica.

L’attesa
. Prima di riunire il collegio in camera di consiglio per decidere la sentenza, la presidente della Corte di Assise di Torino, Maria Iannibelli, si era rivolta al pubblico chiedendo di tenere un rigoroso silenzio al momento della lettura della sentenza. La lettura è stato l’ultimo atto di un processo durato due anni e tre mesi, racchiusi in 87 udienze, per arrivare a una sentenza che segnerà la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un’accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori: l’omicidio volontario con dolo eventuale.  E’ su questo reato (contestato solo all’amministratore delegato Harald Espenhahn ma che ha trascinato anche tutti gli altri imputati davanti a una corte d’assise con tanto di giuria popolare), che si è concentrata l’attenzione maggiore da parte dell’accusa e della difesa fin dall’udienza preliminare. Ed è questo reato che è stato riconosciuto dalla corte d’assise.

La decisione. Per i pm erano infatti state raccolte prove certe contro l’ad della Thyssen che portavano a ritenere che Espenhahn si sia “rappresentato”, e “abbia accettato” il rischio che si potesse verificare un infortunio mortale, ma ciò nonostante abbia preferito una “logica del risparmio economico” rispetto alla tutela della sicurezza in uno stabilimento in fase di dismissione e abbandonato a se stesso. Una fabbrica carente sia in pulizia che in manutenzione, eppure ancora sottoposta al torchio stressante della produzione, nonostante tutte le figure di riferimento, ovvero gli operai più specializzati, fossero ormai andati via da corso Regina.

Sette vite spezzatedi MAURIZIO CROSETTI
Basta morti bianchedi LUCIANO GALLINO

Le richieste. Sedici anni e mezzo per Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, 3 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e 9 anni per Daniele Moroni, tutti accusati di omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche. Erano state queste le richieste dei pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso al termine della lunga requisitoria (durata una decina di udienze) scritta e proiettata in aula con slides.

LE REAZIONI
Camusso: “Il lavoro non è solo profittodi R.MANIA Chiamparino: “Una sentenza che farà giurisprudenza”
FOTO Le immagini del cimitero dove riposano gli operai

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(Hanno collaborato Stefano Parola e Valeria Pini)

Morti sul lavoro in forte crescita: +25%

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Il settore agricolo quello più penalizzato

Aumentano nuovamente nei primi tre mesi dell’anno le morti sul lavoro. Sono infatti 114 i decessi sul lavoro da gennaio a marzo, contro i 91 del primo trimestre 2010. Lo rileva l’Osservatorio Sicurezza sul lavoro di Vega Engineering che da oltre due decenni lavora nel settore della formazione e della sicurezza. Si evidenzia quindi un’inversione di tendenza rispetto al 2010, anno il quale, secondo gli ultimi dati Inail, aveva visto una flessione dell’1,9% degli infortuni in complesso rispetto al 2009 (da 790 mila casi a 775 mila casi); una flessione del 6,9% degli infortuni mortali (da 1053 a 980).

LE REGIONI PIU’ COLPITE – Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte sono le regioni con più decessi, seguite da Sicilia, Campania e Veneto. In rapporto al numero di occupati, invece, ad indossare la maglia nera è sempre la Valle D’Aosta. Milano la provincia maggiormente colpita, seguita da Torino, Catania, Bologna e Napoli.

Nel settore agricolo si è verificato il 35,1% delle morti per lavoro, seguito da quello delle costruzioni (21,9 % delle vittime). La fascia d’età maggiormente a rischio è invece quella che va dai 40 ai 49 anni con 29 vittime (25,7 %del totale).

Dalla ricerca poi emerge che le morti per lavoro non conoscono spazi vuoti neppure nel fine settimana perché tra venerdì e domenica viene accertato circa il 30% delle tragedie. Significativo il dato relativo a come avvengono gli incidenti mortali: il 28,1% sono causati dalla caduta di persone, mentre il 25,4% sono prodotti dallo schiacciamento conseguente ad oggetti caduti dall’alto.

In Italia 2,3 milioni i collaboratori domestici

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La ricerca della Filcams-Cgil

Le famiglie italiane spendono per colf, badanti e baby sitter oltre 26 miliardi l’anno. E’ questa la stima “prudenziale” contenuta in una ricerca effettuata dalla Filcams-Cgil e presentata al Cnel. Secondo la Filcams, infatti, circa 3,7 milioni di famiglie (il 15 per cento del totale) si avvalgono di un aiuto esterno per l’assistenza familiare per un totale di 2,3 milioni di collaboratori domestici (molti di loro lavorano in più famiglie).

La stima di spesa complessiva – secondo la ricerca fatta in collaborazione con Asn, Associazione Servizi Nuovi, varia tra i 26,4 e i 34,4 miliardi l’anno a seconda dell’ipotesi che si fa del costo per il lavoratore (tra gli 11.500 e i 15.000 euro per anno). E’ infatti difficile verificare esattamente quanto spende ogni famiglia per l’alto tasso di irregolarità esistente nel settore (il 71,12 per cento dei 2.297.000 lavoratori stimati nel settore).

Il lavoro di assistenza familiare, inoltre, è prevalentemente svolto da stranieri con 1.579.000 occupati stimati ma gli italiani (le italiane in gran parte) mantengono una larga fascia di occupazione con 718.000 colf, badanti e baby sitter. Per gli italiani è più alto il tasso di irregolarità (l’80 per cento del totale) mentre per gli stranieri, anche grazie alla sanatoria e alla necessità di un lavoro regolare per il permesso di soggiorno, il lavoro in nero riguarda il 67 per cento dei lavoratori.

In particolare la Filcams Cgil denuncia la scarsità di risorse pubbliche per attivare servizi alla persona. “Sono pari a 7,7 miliardi – sottolinea la ricerca – mentre quelle sostenute dalle famiglie sono pari a un minimo di 26 miliardi. Anche se si considera l’assistenza pubblica erogata con assegni economici pari a 17 miliardi, almeno in parte destinate dai beneficiari in attivazione di servizi di collaborazione domestica, è evidente che l’onere maggiore per i servizi di cura è  a carico delle famiglie”.

E’ chiaro che sono in prevalenza le famiglie delle classi medie che usufruiscono dei servizi di collaborazione domestica (il 55,8 per cento di coloro che hanno oltre 1.400 euro di reddito mensile hanno una qualche forma di collaborazione mentre solo il 3,2 per cento di coloro che possono contare su 600 euro) mostrando una elevata elasticità di questa domanda di servizio rispetto al reddito.

Bisogna però considerare l’elevato incremento atteso per il lavoro di cura degli anziani. Nel 2015 gli italiani con oltre 65 anni saranno 13,2 milioni pari al 21,5 per cento della popolazione e si stima che 2,7 milioni di questi avranno problemi legati alla non autosufficienza e avranno bisogno di assistenza. Una parte consistente di questo lavoro è ancora a carico delle donne della famiglia. “Condizione dirimente per la crescita dell’occupazione femminile – sottolinea la ricerca – come attestano tutte le esperienze avanzate in Italia e in Europa, è il passaggio dall’esclusiva auto-produzione familiare alla presenza di adeguati servizi di supporto. E anche il riequilibrio fra uomini e donne nel lavoro domestico che in Italia procede molto lentamente (un quarto della giornata per la donna a fronte dell’8 per cento del tempo per l’uomo) può affermarsi più speditamente se si allarga la disponibilità di servizi”.

rassegna.it

Ricostituzione automatica delle pensioni

 

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Con una circolare, l’Inps fa sapere di aver provveduto a elaborare le pensioni che subiscono variazioni fiscali, per effetto:

1) della liquidazione di altre prestazioni fiscalmente rilevanti comunicate al Casellario dei pensionati (nuovi abbinamenti);

2) del venir meno di prestazioni erogate da altri Enti e comunicate al Casellario (disabbinamenti);

3) della variazione dell’imponibile Irperf di prestazioni erogate da altri Enti comunicate al Casellario dei pensionati;

4) dell’acquisizione e/o delle variazioni delle detrazioni di imposta;

5) della revoca della detrazione per il coniuge fiscalmente a carico, effettuata dalla procedura di “Segnalazione decesso”;

6) della variazione di imponibile determinata dalle segnalazioni effettuate dalle Sedi con la procedura “Gestione pagamenti ridotti e disgiunti”.

L’elaborazione ha riguardato le segnalazioni pervenute all’ente previdenziale rispettivamente entro il 1° marzo 2011 e entro il 1° aprile 2011. I conguagli fiscali verranno posti in pagamento con le rate di aprile 2011 e maggio 2011.