Archivi giornalieri: 8 agosto 2022

8 agosto 1991: L’ Italia e la “scoperta” dell’immigrazione

8 agosto 1991: l’Italia e la “scoperta” dell’immigrazione
da Carlo Felice Casula

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L’8 agosto del 1991 nel porto di Bari entrava una nave da trasporto, vecchia e arrugginita, con un carico impressionante di 20 mila albanesi, scafisti di sé stessi, che si erano imbarcati a forza a Durazzo, costringendo il comandante riottoso a dirigersi, attraversando lo stretto canale di Otranto, verso il porto di Brindisi. Da questo la nave, che dalle prime riprese televisive appariva come un formicaio umano, fu dirottata dalle preoccupate autorità italiane al porto di Bari.

In realtà già nei due anni precedenti, dopo la caduta del Muro di Berlino, preannuncio e simbolo della caduta del socialismo reale, nel Brindisino vi erano stati ripetuti sbarchi di piccole imbarcazioni provenienti dalle città costiere, Durazzo e Valona. Si fuggiva dal collassato regime nazionalcomunista. L’Albania dopo il 1956, non condividendo la svolta revisionistica di Chruščëv, si era staccata dal blocco sovietico e, pur avendo legami con la Cina, si era chiusa in un autarchico isolamento, che aveva mantenuto il paese in una condizione di grande arretratezza e oppressione.

Il prefetto di Brindisi, messo al corrente del “carico” della Vlora vietò l’ingresso nel porto cittadino, dirottandola a quello di Bari, dove, la nave, senza più carburante, fu fatta attraccare al molo più isolato del porto. Le immagini degli operatori televisivi, accorsi sul posto, arrivano in tutte le famiglie italiane mostrando uomini e donne (meno numerose), ma anche adolescenti, dai corpi magri, sfiniti dal caldo e dalla fatica della penosa traversata, senza cibo e quasi senza acqua. Sono comunque emozionati e gioiosi; con l’indice e il dito medio fanno il segno della vittoria e urlano in coro: “Italia, Italia!”. In molti si tuffano direttamente in acqua per abbandonare più presto la nave.

L’Italia evocata non era quella delle antiche migrazioni per sfuggire al dominio ottomano che avevano dato vita alle numerose e orgogliose comunità arbereshe in diverse regioni del Meridione e neppure quelle dell’occupazione fascista della primavera del 1939. Era invece l’Italia consumista e gaudente di tanti spettacoli della televisione, specialmente delle reti Mediaset, avidamente e acriticamente visti dai telespettatori albanesi, specialmente nelle aree costiere.

L’Italia, il cui governo, l’anno precedente, aveva organizzato l’espatrio di migliaia di albanesi che si erano rifugiati nelle ambasciate straniere a Tirana, inviando navi a prenderli e accogliendoli calorosamente in Puglia, in occasione di questo “grande sbarco”, non è più Lamerica, come dal titolo evocativo del film di Gianni Amelio. I quasi ventimila albanesi giunti con la Vlora sono ormai percepiti non come profughi ma come immigrati irregolari: dopo essere stati rinchiusi nello stadio di Bari, dove cibo e acqua erano lanciati dagli elicotteri e spesso accaparrati con la forza da piccoli gruppi di malavitosi, furono forzatamente rimpatriati.

La Gazzetta del Mezzogiorno titolò a tutta pagina: “Invasione. Senza speranza: ponte aeronavale per rimpatriarli”. Lo sbarco, l’internamento nello stadio e il rimpatrio sono affidati all’esercito e alle forze dell’ordine. La solidarietà dal basso non solo non è stimolata, ma, addirittura, ostacolata e persino l’amministrazione cittadina è messa da parte. Il presidente della repubblica, Francesco Cossiga fa una pubblica, violenta reprimenda contro il sindaco Enrico Dalfino, fine giurista e amministratore sensibile, che proponeva un diverso approccio alla gestione dell’emergenza.

Lo storico Valerio De Cesaris, da poco rettore dell’Università per stranieri di Perugia, allievo di Andrea Riccardi, al bel libro pubblicato da Guerini e Associati nel 2018, in cui ricostruisce questa emblematica vicenda, ha dato questo titolo: Il grande sbarco. L’Italia e la scoperta dell’immigrazione. La scoperta dell’immigrazione, nel triennio 1989-1991, durante il quale i cambiamenti geopolitici nell’Est Europeo e la fine del Comunismo favoriscono anche in Italia profondi mutamenti politici e culturali, è accompagnata dal diffondersi del mito dell’invasione dei migranti, come dal titolo premonitore de La Gazzetta del Mezzogiorno.

Una scoperta colpevolmente tardiva ha ricostruito un altro studioso di grande valore, ricercatore del CNR, Michele Colucci, nel libro Storia dell’immigrazione straniera in Italia. Dal 1945 ai giorni nostri (Carocci, 2018). Il saldo negativo dei flussi migratori nel nostro paese si era manifestato già negli anni Settanta e a partire da quel decennio l’Italia da paese di emigrazione diventava paese d’immigrazione. Nel 1978 esce il primo Rapporto Censis sui lavoratori stranieri in Italia e si scopre con sorpresa che gli stranieri sono circa mezzo milione. Secondo i dati del censimento del 2021, gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2021 sono 5.171.894 e rappresentano l’8,7% della popolazione residente: sono il frutto di un processo molto lungo, essendo l’immigrazione arrivata alle terze generazioni.

L’indubbio ritardo con cui la classe dirigente italiana ha letto, interpretato e governato il fenomeno dell’immigrazione ha provocato conseguenze nefaste, come per esempio l’assenza di una legislazione oppure il mantenimento di leggi ormai obsolete o, a fronte di letture superficiali e allarmistiche, il ricorso a provvedimenti emergenziali e inutilmente punitivi.

Tornando alla vicenda della Vlora, il rimpatrio forzoso degli internati nello stadio di Bari non impedì, ad esempio, che alcune migliaia scappassero, rifugiandosi nella clandestinità, con tutte le conseguenze negative che ne derivano.

Per rivivere e comprendere quell’8 agosto del 1991 è d’obbligo il rinvio alla visione del bellissimo, pluripremiato film documentario di Daniele Vicari, La nave dolce, uscito nel 2012. È uno straordinario racconto collettivo, articolato in più atti, come le tragedie greche. Frutto di una rigorosa ricerca su repertori cinematografici e televisivi, italiani, albanesi e anche di altri paesi, il film ricostruisce tutta la vicenda, dall’avventuroso e improvvisato imbarco a Durazzo sul vecchio mercantile – ironia della sorte, era stato varato negli anni Sessanta in un cantiere navale italiano – addetto al trasporto di zucchero da Cuba all’Albania e di qui l’appellativo di nave dolce, fino alla perigliosa ma ancora gioiosa traversata e, infine, lo sbarco con il suo triste esito. La vicenda è’ ricostruita con rigore e empatia che si trasmette allo spettatore. Le immagini in movimento s’intrecciano, con ritmo calzante, con le brevi e coinvolgenti testimonianze di molti testimoni. Tra queste, molto bella quella del noto ballerino Kadiu Kledi, allora ragazzino, che per curiosità, dalla spiaggia, decise di seguire la folla crescente che si avviava verso il porto, inutilmente protetto.

Daniele Vicari è uno dei registi più colti e sensibili di questi ultimi decenni; è anche animatore e direttore artistico della Scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté, pubblica e gratuita, che ha formato ormai tanti operatori del cinema. Ha dichiarato a proposito dei protagonisti del suo film: “Ogni essere umano ha diritto a sognare un futuro migliore e quelle persone volevano solo questo. Il loro era un sogno meraviglioso. Fa bene vederci dall’esterno, dà la dimensione di quali responsabilità abbiamo verso gli altri”.

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Bonus 1.000 euro ufficiale, pubblicata la circolare Inps: a chi spetta e come richiederlo

Bonus 1.000 euro ufficiale, pubblicata la circolare Inps: a chi spetta e come richiederlo

Arriva il bonus 1.000 euro per i lavoratori fragili: domanda entro il 30 novembre 2022, ecco a chi spetta.

Bonus 1.000 euro ufficiale, pubblicata la circolare Inps: a chi spetta e come richiederlo

È in arrivo un nuovo bonus del valore di 1.000 euro: ne dà conferma l’Inps con la circolare n. 96/2022, con la quale vengono specificati requisiti e condizioni per l’accesso a tale contributo, come pure le modalità per farne richiesta.

Si tratta dell’ennesima misura nata per contrastare le conseguenze del Covid, visto che si rivolge ai lavoratori cosiddetti fragili che nel 2021 hanno superato il periodo massimo indennizzabile a titolo di malattia.

La malattia, infatti, non viene sempre pagata: l’indennità spetta per un massimo di 180 giorni, dopodiché il lavoratore non ha diritto ad alcunché. Durante il Covid tale limite ha comportato non pochi problemi, specialmente per i lavoratori cosiddetti fragili, i quali per necessità si sono dovuti assentare dal lavoro per più giorni del previsto, qualora la loro attività lavorativa non poteva essere svolta da remoto.

Per andare incontro a chi è stato penalizzato da tale situazione, quindi, con la legge di Bilancio 2022 è stata introdotta un’indennità una tantum del valore di 1.000 euro; vediamo come funziona.

Chi sono i lavoratori fragili

Come prima cosa è bene chiarire chi sono i lavoratori fragili. Ebbene, il provvedimento riferisce ai soggetti ai quali è stato riconosciuto uno stato di disabilità grave ai sensi della legge n. 104 del 1992, purché in possesso di una certificazione medico sanitaria che attesta una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita.

Nel dettaglio, come definito dall’articolo 1, comma 969, della legge n. 234 del 2021, i lavoratori fragili sono coloro che cumulativamente soddisfano le seguenti condizioni:

  • sono stati, nel corso del 2021, lavoratori dipendenti del settore privato e hanno avuto diritto, in tale periodo, alla tutela previdenziale della malattia a carico dell’Inps;
  • hanno presentato, nell’anno 2021, uno o più certificati di malattia afferenti al comma 2 dell’articolo 26 del decreto legge n. 18/2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n.27/2020, in quanto lavoratore in possesso del riconoscimento dello stato di disabilità con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, della legge del 5 febbraio 1992, n. 104) o di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita;
  • aver raggiunto nell’anno 2021 il periodo massimo indennizzabile di malattia disciplinato dalla specifica normativa applicabile al rapporto di lavoro in riferimento al quale viene presentata la domanda;
  • non aver reso nell’anno 2021 la prestazione lavorativa in modalità agile nei periodi per i quali colui che richiede il bonus ha presentato certificati di malattia.

Cos’è il bonus 1.000 euro

Come detto sopra, tale bonus è stato introdotto a seguito delle novità introdotte dalla normativa anti Covid, con la quale i periodi di assenza dal servizio dei lavoratori fragili è stata equiparata al ricovero ospedaliero, a patto che la prestazione lavorativa non possa essere svolta in modalità agile, neppure cambiando mansione (purché compresa nella stessa categoria o area d’inquadramento, come definito dal contratto collettivo di riferimento).

Tale novità ha fatto sì che per le assenze per malattia spettasse la relativa indennità, con tanto di copertura previdenziale figurativa, entro un periodo di 180 giorni, calcolati per l’anno solare.

Bastava superare tale limite, dunque, per restare senza tutele.

A chi spetta

Per questo motivo l’ultima legge di Bilancio ha introdotto un bonus di 1.000 euro, una tantum, da riconoscere a coloro che essendosi assentati per oltre 180 giorni non hanno ricevuto la relativa indennità di malattia. Tale indennità è compatibile con altre prestazioni ed è completamente esentasse.

Il bonus spetta però solo a coloro che hanno diritto alla tutela della malattia direttamente dall’Inps, quali:

  • operai dell’industria;
  • operai ed impiegati del settore terziario e servizi;
  • lavoratori dell’agricoltura;
  • lavoratori dello spettacolo e lavoratori marittimi.

Non ne hanno diritto, invece:

  • lavoratori domestici, come colf e badanti;
  • impiegati dell’industria;
  • quadri di industria e artigianato;
  • dirigenti;
  • portieri;
  • lavoratori autonomi;
  • lavoratori iscritti alla gestione separata.

Come farne richiesta

Le modalità per la richiesta del bonus in oggetto sono le stesse di quelle solitamente previste per l’accesso alle prestazioni per il sostegno del reddito.

Quindi, in autonomia entrando nell’apposita area personale del sito Inps, autenticandosi con Spid, Cie o Cns. In alternativa basta chiamare il numero verde Inps, oppure rivolgersi a un patronato.

L’importante è fare tutto entro il 30 novembre 2022, termine ultimo per la richiesta del bonus 1.000 euro pagato direttamente sul conto corrente indicato al momento della domanda (che deve essere intestato, o al massimo cointestato, al richiedente).

 

da il manifesto

IL COMMENTO DELLA SETTIMANA
Norma Rangeri

È IN GIOCO LA NOSTRA DEMOCRAZIA

Siamo di fronte a una svolta storica nella vita repubblicana. Il 25 settembre le destre italiane, fascistoidi e reazionarie, grazie a una nefasta legge elettorale che non consente il voto disgiunto, potrebbero vincere le elezioni e mettere sotto ipoteca la nostra democrazia costituzionale.

Dopo la tragedia della pandemia, dopo la criminale invasione russa dell’Ucraina, dopo l’aumento drammatico della povertà, dopo gli allarmi inascoltati per l’ambiente, ecco un’altra emergenza, la più importante di tutte: quella democratica.

Un’emergenza che chiama tutte le persone antifasciste, progressiste e di sinistra ad assumersi le proprie responsabilità.

Dovremmo vivere sotto un governo nero di cui farebbero le spese milioni di persone senza lavoro e senza futuro; i diritti civili sarebbero via via ridotti; i programmi scolastici rivisti in ossequio alla trinità dio-patria e famiglia; gli immigrati per ottenere la cittadinanza costretti a imparare a memoria (è nel programma leghista) i nomi e le date delle sagre padane; l’autonomia differenziata messa tra i primi provvedimenti operativi con la sanità e i servizi sociali ridotti al rango di beneficenza per i poveri; il reddito di cittadinanza cancellato perché chi non trova lavoro vuol dire che non lo merita.

Che tutto questo accadrà se vinceranno le destre mi sembra inconfutabile.

E che, secondo ogni sondaggio, le destre vinceranno a mani basse mi pare altrettanto scontato.

Una simile prospettiva potrebbe già essere sufficiente per convincersi del fatto che la partita dei collegi uninominali si vince solo se non si disperde il voto con candidature improbabili.

Lo hanno ben spiegato sul manifesto le analisi di Antonio Floridia e Gaetano Azzariti. Preoccupati delle conseguenze sulla nostra Costituzione di un cappotto elettorale: il cambiamento della Carta in senso presidenzialista e il probabile inizio di un altro ventennio.

In fondo una parte di noi forse non sosteneva che Berlusconi sarebbe durato poco perché aveva un partito di plastica? Quell’errore è stato devastante, ma ancora oggi c’è chi stenta a riconoscerlo.

Del resto abbiamo di fronte un esempio ancora più recente, quello del Papeete, quando Salvini fece saltare l’alleanza con i 5Stelle reclamando i pieni poteri.

Anche allora c’era chi diceva andiamo alle elezioni, se il popolo vuole Salvini lasciamo il paese a Salvini. Poi, per fortuna, il Parlamento decise di dar vita a un governo giallorosso (o giallorosa) e abbiamo affrontato la tragedia della pandemia seguendo la scienza anziché la vandea antivaccinista, così come abbiamo combattuto nelle sedi europee riuscendo a conquistare la fetta più grande della torta degli aiuti.

Governo perfetto il Conte2? Tutt’altro, ma senza dubbio garantiva uno spazio politico democratico.

Oggi, dopo la forzatura del governo del presidente (Mattarella-Draghi), e l’accozzaglia di unità nazionale, siamo dentro una crisi politico istituzionale. Una crisi drammatica. Un regalo enorme alle destre, che ci portano alle elezioni in piena estate, inaugurando un altro inedito della storia italiana.

Dobbiamo tenere i nervi saldi e usare la testa, allontanando vie di fuga verso il rassicurante lido della terra promessa che non c’è e che non sarà più facile raggiungere in una società fascistizzata e sovranista.

La tentazione di non giocare la partita contro un avversario forte e agguerrito, capace di contare su un vasto consenso popolare (annoverando tra le sue fila addirittura il 40 per cento di iscritti alla Cgil, di fede leghista), pronto a prendersi il paese e le sue istituzioni, è molto diffusa nel frastagliato mondo della sinistra.

Fortissimo poi è il richiamo della foresta: lasciamo che le destre si impadroniscano del paese (tanto anche Letta e compagnia sono di destra) e finalmente mettiamoci insieme, uniamo le nostre debolezze e cerchiamo di costruire una coalizione per una lunga marcia all’opposizione dentro un’Italia fascista e reazionaria.

È un ragionamento che fila se si è convinti che tra Meloni e Letta in fondo non ci sia poi una grande differenza.

Io invece penso che siano ragionamenti totalmente sbagliati e pericolosi. Per varie ragioni.

Innanzitutto ritengo che la differenza tra Letta e Meloni c’è, ed è netta, sia dal punto di vista politico che culturale.

Il Pd è un partito centrista, governativo, in buona parte neodemocristiano, con sparute e minoritarie figure di cultura comunista. E comunque progressista.

Meloni e Salvini, al contrario, sono espressione delle peggiori destre europee, e contano tra i propri sostenitori tutte le organizzazioni fasciste e parafasciste (prima di andare al seggio bisognerebbe prendere la pillola Vox: il torvo, pauroso discorso della leader di FdI alla tribuna del partito franchista: sono una donna, sono una madre, sono cristiana… Tutt’altro che un esempio di libertà femminile).

Il segretario del Pd, purtroppo, sta dando una mano all’esito di svolta autoritaria, grazie alla scelta di una coalizione che esclude il M5Stelle per imbarcare personaggi e personagge di un mondo confindustrial-berlusconiano, con la pazza idea di conquistare l’elettore di una destra liberale moderata, non considerando che sulla bilancia potrebbe pesare di più il piatto della perdita dei voti di sinistra.

Questo futuro nero – in tutti i sensi – per l’Italia ha soltanto una barriera che può fermarlo: l’unità elettorale di tutte le forze democratiche, progressiste, di sinistra.

Nelle simulazioni sul voto realizzate dall’istituto Cattaneo, il trio Berlusconi-Meloni-Salvini vince a mani basse sempre. Tranne che in un caso: l’alleanza che va dal Pd al M5Stelle. Una possibilità, reale, concreta, perché sono proprio i numeri a dire che un fronte di centro-sinistra potrebbe raggiungere il 40-45 per cento necessario per competere sia nel maggioritario che nel proporzionale, sia alla Camera che al Senato.

Una alleanza democratica che dovrebbe inglobare Letta, Renzi, Calenda, Di Maio, Conte, Fratoianni, Bonino, Bonelli, Bersani sembra davvero una “mission impossible”.

Come si possono mettere sotto un’unica sigla persone che non sarebbero disposte neanche a prendere un caffè insieme? Quali punti programmatici potrebbero tenere su un fronte comune forze e partiti diversamente orientati?

So bene che si tratta di un’impresa ardua. Ma si deve almeno tentare. Oltretutto la legge elettorale non prevede l’obbligo di programmi comuni, né l’indicazione del premier, ma solo alleanze elettorali.

In ballo è il nostro domani, il futuro democratico del paese che, da un giorno all’altro, potrebbe ritrovarsi a fianco di Orban e di Le Pen sulle tematiche più divisive, razziste, patriarcali e sovraniste.

E non ha davvero senso giocare una partita sapendo di perdere in partenza. Non porta a nulla una sconfitta con onore.

Queste destre non fanno prigionieri. Si tratta della battaglia più dura che deve affrontare il nostro mondo democratico e progressista.

Per ulteriore chiarezza: non ci piace per niente il tanto peggio tanto meglio.

Per chi ha memoria, una volta dicevamo “moriremo democristiani”. Adesso c’è il pericolo di morire governati dai fascisti e dai reazionari.

Per questo dovremo scendere, tutte e tutti, insieme in campo per sventarlo. Noi, comunque, ci siamo e ci saremo.

Maternità, paternità e congedo parentale: nuove tutele e indicazioni

Maternità, paternità e congedo parentale: nuove tutele e indicazioni

L’INPS, con il messaggio 4 agosto 2022, n. 3066, illustra le novità introdotte dal decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105 in materia di maternità, paternità e congedo parentale e fornisce le prime indicazioni utili per il riconoscimento delle relative indennità, che entreranno in vigore dal 13 agosto 2022.

Le nuove disposizioni normative promuovono un miglioramento della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare per tutti i lavoratori che svolgono ruoli di cura come genitori o prestatori di assistenza, puntando anche al raggiungimento di una effettiva parità di genere sia sul lavoro che in famiglia.

Tra le novità principali, è previsto il congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni fruibile dal padre lavoratore dipendente tra i due mesi precedenti e i cinque successivi al parto, anche in caso di nascita o morte perinatale del bambino. I giorni di congedo sono fruibili dal padre anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice e sono compatibili con la fruizione (non negli stessi giorni) del congedo di paternità cosiddetto “alternativo”.

Per le lavoratrici autonome il diritto all’indennità giornaliera è ora riconosciuto anche nei periodi antecedenti i due mesi prima del parto, in caso di “gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza”, accertate dalla ASL.

Per quanto riguarda il congedo parentale, il diritto all’indennità viene esteso fino ai 12 anni d’età del bambino, rispetto ai sei anni precedentemente previsti, con una diversa ripartizione dei periodi indennizzabili che complessivamente possono arrivare fino a un massimo di nove mesi e non più sei.

L’Istituto fornirà ulteriori istruzioni in una circolare che sarà pubblicata successivamente.

San Domenico di Guzman

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San Domenico di Guzman


Nome: San Domenico di Guzman
Titolo: Sacerdote e fondatore dei Predicatori
Nome di battesimo: Domenico di Guzmán
Nascita: 1170, Calaruega, Spagna
Morte: 6 agosto 1221, Bologna
Ricorrenza: 8 agosto
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Nato a Calaruega in Spagna nel 1170, da Felice Guzman e Giovanna di Asa, fu subito consacrato al Signore dalla madre sua, la quale aveva già visto in sogno che il figlio era destinato dal Signore a compiere cose grandi nella Chiesa. Appena ne fu capace, la pia Giovanna si prese cura di istruirlo nelle verità cristiane, e Domenico mostrava quanto grande fosse già fin d’allora la sua intelligenza e la sua pietà.

A quattordici anni fu inviato all’Università di Valenza di dove uscì con la laurea in retorica, filosofia e teologia. Divenuto sacerdote e sentendosi inclinato ad una vita piuttosto ritirata dal secolo, entrò fra i Canonici Regolari di S. Agostino, dedicandosi alla conversione degli eretici Albigesi, ma dopo tante fatiche, visto che quello scoglio era troppo duro per essere spezzato da un uomo solo, meditò d’istituire un ordine di uomini religiosi i quali accoppiassero agli esercizi di pietà lo studio delle scienze ecclesiastiche per dedicarsi specialmente alla predicazione: pregò molto il Signore affinchè gli manifestasse la sua divina volontà: e finalmente comunicò il suo disegno ai vescovi della Linguadoca, e tutti unanimemente approvarono; sedici missionari che già con lui faticavano lo seguirono e così l’ordine fu iniziato a Tolosa nel 1215. Fondato a Prouille un monastero di religiose ed un Terz’Ordine, si recava a Roma per ottenere l’approvazione per i nuovi religiosi. La sua istituzione venne così sanzionata nel 1216 assieme alle sue sagge costituzioni, ed il granello di senapa seminato nel fecondo campo della Chiesa, non tardò a dare i suoi copiosi frutti, poiché, ancor vivente, egli ebbe la consolazione di vedere fiorire in molte regioni d’Europa numerosi conventi da lui medesimo fondati. Gli Albigesi si convertirono, gran parte del clero si uni alla santa crociata, e fra i Cristiani si notò presto un forte risveglio.

La principale gloria di S. Domenico é però quella di aver divulgato la bella devozione del S. Rosario. Mentre egli predicava nella Linguadoca per la conversione degli eretici, vedendo che gran parte delle sue fatiche riuscivano vane, ricorse all’intercessione della SS. Vergine: e Maria SS. gli ispirò la recita di 150 Avemaria intercalate da 15 Pater e dalla considerazione di 15 misteri di nostra santa religione. Domenico ed i suoi figli con il Rosario riuscirono a convertire gli ostinati Albigesi; S. Pio V ottenne la celebre vittoria di Lepanto sui Turchi, e tutti i Santi che seguirono ebbero dal Rosario le più belle vittorie sul demonio.

Il santo patriarca, dopo aver compiuto in Roma l’ufficio di maestro del Sacro Palazzo, percorse ancora una volta la Spagna e la Francia, lasciando in esse il profumo delle sue virtù e fondando diversi monasteri: ritornò quindi in Italia per terminare i suoi ultimi giorni nel bacio del Signore. Spirò a Bologna circondato dai suoi religiosi il 6 agosto 1221.

PRATICA. Col Rosario anche noi vinceremo tutte le nostre difficoltà.

PREGHIERA. O Signore, che ti sei degnato illuminare la tua Chiesa mediante le dottrine ed i meriti del Beato Domenico confessore, concedici, per sua intercessione, ch’essa non venga privata degli aiuti temporali, e sempre più progredisca nelle vie dello spirito.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di San Domenico, sacerdote, che, canonico di Osma, umile ministro della predicazione nelle regioni sconvolte dall’eresia albigese, visse per sua scelta nella più misera povertà, parlando continuamente con Dio o di Dio. Desideroso di trovare un nuovo modo di propagare la fede, fondò l’Ordine dei Predicatori, al fine di ripristinare nella Chiesa la forma di vita degli Apostoli, e raccomandò ai suoi confratelli di servire il prossimo con la preghiera, lo studio e il ministero della parola. La sua morte avvenne a Bologna il 6 agosto.