Archivi giornalieri: 11 dicembre 2016
Circolari INPS
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Sono stati trovati circa 7899 risultati nella categoria Circolari
Circolare n. 215 del 06-12-2016
Oggetto: Corretta compilazione dei flussi Uniemens lista PosPA nei casi di aspettativa non retribuita per cariche elettive e sindacali.
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Circolare n. 214 del 06-12-2016
Oggetto: Assegno di natalità di cui all’articolo 1, commi da 125 a 129 della Legge 23 dicembre 2014, n. 190. Ulteriori istruzioni sui titoli di soggiorno utili per ottenere l’assegno.
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Categoria: Circolari
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Circolare n. 213 del 02-12-2016
Oggetto: Fondo di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale, per il sostegno dell’occupazione e del reddito del personale del credito. Prestazioni ordinarie ed emergenziali: modalità di accesso e disciplina. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti.
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Circolare n. 212 del 02-12-2016
Oggetto: Valorizzazione figurativa dei periodi di prestazione a sostegno del reddito per i lavoratori iscritti alle gestioni ex Inpdap che versano la contribuzione minore nelle rispettive gestioni di riferimento dell’Inps.
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Circolare n. 211 del 02-12-2016
Oggetto: Convenzione fra INPS e FEDERAZIONE AUTONOMA SINDACATI PICCOLI IMPRENDITORI (F.A.S.P.I.) per la riscossione dei contributi sindacali sulle prestazioni pensionistiche ai sensi della legge 11 agosto 1972, n. 485. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti.
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Categoria: Circolari
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Circolare n. 210 del 02-12-2016
Oggetto: Convenzione fra INPS e FEDERAZIONE LAVORATORI AUTONOMI (FLA) per la riscossione dei contributi sindacali sulle prestazioni pensionistiche ai sensi della legge 11 agosto 1972, n. 485. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti.
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Categoria: Circolari
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Circolare n. 209 del 02-12-2016
Oggetto: Convenzione tra l’INPS e il Sindacato Nazionale Autonomo Disoccupati Agricoltori Pensionati Invalidi (S.N.A.D.A.P.I.) per la riscossione dei contributi associativi delle aziende assuntrici di manodopera e dei piccoli coloni e compartecipanti familiari (P.C.C.F.), ai sensi dell’articolo 11 della legge 12 marzo 1968, n.334. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti.
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Circolare n. 208 del 02-12-2016
Oggetto: Convenzione tra l’INPS e il Sindacato Nazionale Autonomo Disoccupati Agricoltori Pensionati Invalidi (S.N.A.D.A.P.I.) per la riscossione dei contributi associativi degli imprenditori agricoli e dei coltivatori diretti, ai sensi dell’art.11 della legge 12 marzo 1968, n.334. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti.
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Circolare n. 207 del 02-12-2016
Oggetto: Convenzione tra l’INPS e il Sindacato Nazionale Lavoratori e Pensionati (S.Na.P.E.L.) per la riscossione dei contributi associativi delle aziende assuntrici di manodopera e dei piccoli coloni e compartecipanti familiari (P.C.C.F.), ai sensi dell’articolo 11 della legge 12 marzo 1968, n.334. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti.
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Circolare n. 206 del 02-12-2016
Oggetto: Convenzione tra l’INPS e il Sindacato Nazionale Lavoratori e Pensionati (S.Na.P.E.L.) per la riscossione dei contributi associativi degli imprenditori agricoli e dei coltivatori diretti, ai sensi dell’art.11 della legge 12 marzo 1968, n.334. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti.
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Messaggi INPS
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Sono stati trovati circa 1772 risultati nella categoria Messaggi
Messaggio n. 4988 del 07-12-2016
Oggetto: Costituzione Polo specialistico nazionale “Contribuzione SPORTASS” presso la Filiale di Coordinamento di Roma Tuscolano e nuove attribuzioni alla Filiale di Roma EUR.
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Messaggio n. 4975 del 06-12-2016
Oggetto: Fondo di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale, per il sostegno dell’occupazione e del reddito del personale del credito. Criteri di accesso alla prestazione di assegno ordinario, di cui all’art. 5, co.1, lett. a) punto 2) del D.Interm. 83486/2014.
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Messaggio n. 4973 del 06-12-2016
Oggetto: Implementazioni per la compilazione dei flussi delle denunce retributive e contributive individuali UNIEMENS – Flussi di regolarizzazione
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Messaggio n. 4972 del 06-12-2016
Oggetto: Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale: integrazione messaggi n. 29489 del 23/11/2010 e n. 15276 del 27/09/2013.
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Messaggio n. 4967 del 06-12-2016
Oggetto: Interpello per posti funzione di livello dirigenziale generale.
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Messaggio n. 4885 del 02-12-2016
Oggetto: Fondo di integrazione salariale. Pagamento diretto dell’assegno ordinario e dell’assegno di solidarietà. Istruzioni operative e contabili. Variazione al piano dei conti.
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Messaggio n. 4883 del 02-12-2016
Oggetto: Errata corrige circolare n. 203 del 25 novembre 2016. ”Rilevazione delle retribuzioni contrattuali degli operai a tempo determinato (O.T.D.) e degli operai a tempo indeterminato (O.T.I.) del settore agricolo, in vigore alla data del 30.10.2016, per la determinazione delle medie salariali.”
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Messaggio n. 4824 del 29-11-2016
Oggetto: Messaggio 004752 del 23/11/2016 – Nuova disciplina relativa ai termini di presentazione delle domande di Cassa integrazione salariale ordinaria per eventi oggettivamente non evitabili. Precisazione
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Messaggio n. 4821 del 29-11-2016
Oggetto: art. 1, comma 60, Legge 24 dicembre 2007, n. 247, abrogato dall’art. 1, comma 865, Legge 28 dicembre 2015, n. 208 – “Riconoscimento della riduzione della contribuzione INAIL per le aziende agricole”.
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Messaggio n. 4752 del 23-11-2016
Oggetto: decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 15 giugno 2015, n. 81 e 14 settembre 2015, nn. 148, 149, 150 e 151, ai sensi dell’articolo 1, comma 13, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 – Nuova disciplina relativa ai termini di presentazione delle domande di Cassa integrazione salariale ordinaria per eventi oggettivamente non evitabili.
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Corriere dello Sport
Gentiloni
Chi è Paolo Gentiloni, prossimo presidente del Consiglio
Storia di quel ragazzo che attraversò gli anni ’70 senza indossare l’Eskimo, la divisa dei giovani del movimento, ma un serissimo loden, una scoppola e una sciarpa
Il ’68 non fu solo Eskimo e il Loden non l’ha sdoganato Mario Monti. Ma che c’entra tutto ciò con il designato presidente del consiglio, Paolo Gentiloni Silverj, discendente dei Conti di Filottrano, di Cingoli e di Macerata? Aspettate un attimo e lo capirete.
Invece che partire dai gradi di nobiltà o dalle tappe della sua importante carriera politica in età matura, io vorrei partire da quel ragazzo che attraversò gli anni ’70 senza indossare l’Eskimo, la divisa dei giovani del movimento, ma un serissimo loden, una scoppola e una sciarpa. Era infatti questa la tenuta dei militanti romani del Movimento Studentesco di Mario Capanna, noti a Milano come i Katanga per i modi diciamo un po’ bruschi con i quali risolvevamo le diatribe interne al movimento, ma che a Roma, un po’ forse per diversa attitudine un po’ perché erano una esigua minoranza, erano molto meno brutali. Anzi non lo erano affatto, piuttosto dovevano subire le angherie dei gruppo dominanti nel movimento romano come Lotta Continua e poi Autonomia Operaia. Di quello sparuto drappello ricordo il gruppo di giovani del famosissimo Tasso, roccaforte romana del Movimento di Capanna: Andrea Ferri, Giovanni Luciani e, appunto, Paolo Gentiloni con Silvio Capponi a far loro da chioccia. Alle manifestazioni li riconoscevi perché erano elegantissimi, stretti, appunto, nei loro loden con la scoppola calata sugli occhi e la sciarpa attorno al collo. Erano ideologici, ma molto meno che a Milano, anche perché a Roma il carisma di Mario Capanna non faceva presa.
Moderato, pur se il termine a quei tempi aveva un senso del tutto diverso da oggi e per quanto ci si potesse definire tali nei movimenti degli anni ’70, Gentiloni lo era fin da allora. Capisco che se risentissimo oggi i nostri discorsi di allora faremmo fatica a definirli moderati, ma è così: Paolo, come me, che militavo nel Manifesto e frequentavo il mitico liceo Archimede, apparteneva a quella parte del movimento che a un certo punto comprese che era in corso una deriva estremista che sarebbe degenerata nella violenza armata e vi si oppose. Se necessario, bisognava allearsi anche con i figicciotti, contro i quali fino ad allora ci scagliavamo ritendendoli dei pavidi riformisti.
L’alleanza, era il 1973, fu sigillata in occasione della morte di Roberto Franceschi, militante del Movimento Studentesco ucciso nel gennaio di quell’anno dalla polizia che sparò contro i giovani che partecipavano a una protesta alla Statale di Milano. Ci separammo dagli altri gruppi extraparlamentari che cercavano lo scontro di piazza e indicemmo una manifestazione che con nostra grande sorpresa si rivelò oceanica e pacifica e si concluse davanti al ministero della Pubblica Istruzione con un comizio di un leader carismatico come Mario Capanna e di due giovanissimi liceali come Walter Veltroni e…il sottoscritto.
Nel 1970 Paolo scappa di casa per partecipare alle occupazioni studentesche a Milano e lì si lega al gruppo di Mario Capanna che era il leader della contestazione studentesca e aveva fondato un suo Movimento. Un atto radicale di rottura con una famiglia il cui nome è scritto nella storia del cattolicesimo italiano. L’esponente più noto della famiglia, Vincenzo Gentiloni, diede infatti il nome al patto stipulato in chiave antisocialista tra cattolici e liberali che segnò l’ingresso ufficiale dei cattolici nella vita politica italiana. Tuttavia, pochi ricordano che il Conte Domenico Silverj (il quale, rimasto senza eredi maschi stabilì che il marito della figlia, conte Aristide Gentiloni assumesse anche il cognome Silverj dando così il via alla nascita del casato Gentiloni Silverj) fu invece un fiero sostenitore della Repubblica Romana del 1848 e per questo subì un processo e fu espulso dalla Guardia Nobile. Possiamo immaginare che il giovane Gentiloni s’immaginasse emulo di quell’avo.
A Gentiloni, dunque, il termine moderato certo si addice se ci si riferisce al carattere mite nei modi anche quando militava nella sinistra più estrema, ma la sua storia non è politicamente quella di un moderato, bensì di un uomo che si è formato nella sinistra e che di sinistra è rimasto, pur con una forte evoluzione. Dopo gli anni del movimento entra a far parte della rivista Pace e Guerra diretta da Luciana Castellina e Michelangelo Notarianni, due dei fondatori del Manifesto, una sorta di think-thank del pacifismo degli anni ’80. Il primo vero cambiamento politico, una rottura con un certo ideologismo delle sue precedenti esperienze, avviene quando abbraccia la causa ambientalista e diventa direttore di Nuova Ecologia, emanazione della Lega Ambiente di Chicco Testa e Ermete Realacci. Negli anni ’80 l’ecologismo fu una vera e propria rivoluzione culturale a sinistra perché rompeva con l’industrialismo che, in un modo o nell’altro, accomunava la nuova sinistra e quella tradizionale. Così come il femminismo impone un cambiamento di paradigma nel modo stesso di pensare la società , l’ecologismo lo fa nel modo di pensare lo sviluppo. È in quel mondo e in quel momento che Gentiloni incontra il leader politico che sarà decisivo per la sua formazione e la sua ascesa politica: Francesco Rutelli. Il futuro sindaco di Roma, formatosi alla scuola di Marco Pannella, nei primi anni ’90 è il leader dei Verdi cui imprime una forte discontinuità, allontanandoli da quel marchio di estrema sinistra che, a differenza che in Germania e nel resto d’Europa, in Italia ne riduceva il campo di azione.
Così quando Francesco Rutelli diventa sindaco di Roma, Gentiloni lo segue e diventa una delle persone più influenti del suo staff, dapprima come responsabile della comunicazione nel cui ambito muove i primi passi un giovane che avrà un certo futuro: si chiama Filippo Sensi, in arte nomfup, futuro portavoce di Matteo Renzi. Poi diventa assessore al Turismo e al Giubileo, portando a compimento il Giubileo del 2000, considerato forse il più grande successo dell’era Rutelli. Di quegli anni ricordo un Gentiloni onnipresente e lavoratore stakanovista, ma quasi nell’ombra. Al fianco del leader, ma un passo indietro.
Il legame tra i due è saldissimo: sono coetanei, entrambi rampolli della buona società romana, sono di sinistra ma non provengono dalla tradizione comunista. Nel laboratorio romano sperimentano qualcosa che assomiglia molto al futuro Partito Democratico, ma i tempi non sono ancora maturi e così, dopo la cocente delusione del 2001, quando Rutelli tenta la scalata a Palazzo Chigi ma viene sconfitto da Berlusconi, lo segue prima nei Democratici di Romano Prodi e poi nella fondazione della Margherita, insieme ai Popolari. In verità non fu proprio un’esperienza indimenticabile, poiché più che gli elementi di innovazione ulivista sembrarono a tratti prevalere elementi di continuità post-democristiana. È in quegli anni però che incontra l’altro leader importante per la sua ascesa politica: Matteo Renzi, allora presidente della provincia di Firenze.
Diventa ministro delle comunicazioni nel 2006 con il governo di Romano Prodi. Quando nasce il Pd Gentiloni è tra i fondatori e non segue il suo antico mentore, Francesco Rutelli quando questi abbandona i dem. Nel 2013 corre nelle primarie per il Sindaco di Roma risultando terzo, dopo Ignazio Marino e Davide Sassoli. La delusione fu cocente, e molti ritengono che sarebbe stato un ottimo sindaco, forse il migliore possibile. Con il senno del poi, quella sconfitta è stata un formidabile colpo di fortuna, visto come sono andate le cose. È da allora che, partendo dalla condizione di alieno (tali erano allora i renziani a Roma) diventa uno dei punti fermi della galassia renziana: fuori dal giglio magico ma con una sua influenza sulle decisioni del leader, uomo di esperienza ma anche aperto al cambiamento. E infatti del governo Renzi occupa una casella prestigiosa, quella di ministro degli esteri. Di lui si potrà dire che è un po’ grigio, forse un po’ troppo low-profile, che il suo eloquio (fin dagli anni ’70 a dire il vero) non è proprio trascinante. Che non ha mai avuto una forte base di consenso personale.
Quel che non si può dire è che nelle sue scelte non ci sia coerenza, avendo dedicato tutta la sua vita politica da adulto alla costruzione di un soggetto politico riformista disincagliato dalla tradizione post-comunista. Ciò non gli attira certo le simpatie di quel mondo ma lo posiziona in un ruolo centrale nel Pd di oggi dove la componente egemone è proprio quella che non proviene dalla tradizione post-comunista. La sua scelta come successore di Matteo Renzi non può stupire: serve un politico leale, ma con una sua personalità. Leale con Renzi, dunque, in buoni rapporti con il Quirinale e circondato da un generale rispetto, ma consapevole dei limiti del suo mandato.
Starà ora a lui, come a Matteo Renzi, dimostrare di aver inteso la necessità di un cambio di passo dopo il voto referendario: una indispensabile attenzione al disagio sociale e alla sofferenza dei ceti esclusi dalla globalizzazione senza perdere il contatto con quel blocco innovatore e riformista che è il nerbo del Pd di oggi. Non è una sfida che possa essere giocata nei pochi mesi in cui Gentiloni guiderà l’esecutivo, ma certo potrà dare segnali in quella direzione. Diciamo che dovrà riuscire a mantenere la moderazione del carattere ma ispirandosi anche agli ideali della nostra gioventù e all’avo rivoluzionario che si schierò con la Repubblica Romana.
Patto Gentiloni
Patto Gentiloni
La locuzione «patto Gentiloni», appartenente al gergo politico giornalistico italiano, indica un accordo politico informale (mai messo per iscritto) intervenuto tra i liberali di Giovanni Giolitti e l’Unione Elettorale Cattolica Italiana (U.E.C.I.), presieduta dal Conte Vincenzo Ottorino Gentiloni (da cui prese il nome), in vista delle elezioni politiche del 1913.
Antefatti[modifica | modifica wikitesto]
Agli inizi del XX secolo erano ancora valide, nel mondo cattolico, le dichiarazioni di papa Pio IX (1846-1878) sulla “non convenienza” (non expedit) della partecipazione dei fedeli all’attività politica del Regno d’Italia. Ma l’ambiente delle associazioni laicali era in costante movimento. All’interno dell’Opera dei Congressi, la principale associazione cattolica italiana, divenne egemone il gruppo di don Romolo Murri, che sosteneva la necessità di preferire l’accordo tattico con i socialisti piuttosto che appoggiare i liberali. Nel 1904papa Pio X (1903-1914) intervenne sciogliendo l’associazione (28 luglio).
Vincenzo Gentiloni e i cattolici vicini al suo orientamento si schieravano invece con la monarchia e con i liberali giolittiani per fermare l’avanzata socialista, marxista e anarchica. Tale orientamento, volto a preservare il patrimonio di valori tradizionali del mondo cattolico, era condiviso anche da Pio X, che nel decreto Lamentabili sane exitu nel 1907 aveva condannato 65 proposizioni moderniste e subito dopo aveva comminato la “scomunica” del modernismo nell’enciclica Pascendi dominici gregis.
Nel 1909 Pio X promosse la creazione dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI), un’associazione laicale con il compito di indirizzare i cattolici italiani impegnati nell’agone politico. Il pontefice pose il Conte Gentiloni alla direzione dell’organismo. Il primo banco di prova della collaborazione tra UECI e moderati si ebbe in occasione delle elezioni politiche di quell’anno. Diversi cattolici si candidarono nelle liste liberali. L’esito fu positivo: furono eletti 21 “deputati cattolici” nelle liste di Giolitti [1].
Nel 1913 l’esperimento divenne una prassi, sancita dal cosiddetto «Patto Gentiloni».
Il patto[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1912 una riforma elettorale (approvata il 30 giugno) aveva introdotto il suffragio universale maschile. Il numero di aventi diritto al voto aumentò notevolmente, passando dai circa tre milioni iniziali ad oltre 8.600.000. La riforma elettorale approvata era stato il prezzo che Giolitti aveva dovuto pagare ai socialisti di Leonida Bissolati per l’appoggio ottenuto durante la guerra italo-turca. Molti nuovi elettori erano operai e il PSI riscuoteva molti consensi nel mondo operaio.
Giolitti, e con lui vari esponenti della classe politica che aveva governato l’Italia nel suo primo cinquantennio di vita, desiderava bloccare l’avanzata del Partito Socialista Italiano. Prese perciò l’iniziativa di rivolgersi all’Unione Elettorale Cattolica Italiana. Contando sull’esistenza di un precedente (le elezioni del 1909), l’esperimento della collaborazione con i cattolici fu rinnovato.
Il partito liberale mise a disposizione una nutrita quantità di seggi per i candidati cattolici. Da parte sua, Gentiloni fu incaricato di passare al vaglio i candidati liberali, al fine di far confluire i voti dei cattolici su quelli tra loro che promettessero di fare propri i valori affermati dalla dottrina cristiana e, parallelamente, di negare il proprio sostegno a leggi anticlericali.
Dato il sistema elettorale uninominale e maggioritario, il vincolo di appartenenza partitica era molto debole. Per tale ragione il patto consisteva in un elenco di sette punti considerati irrinunciabili per ottenere il sostegno degli elettori cattolici.
I sette punti d’impegno, detti anche «Eptalogo», che ogni candidato doveva sottoscrivere, furono:[1]
- Difesa delle istituzioni statutarie e delle garanzie date dagli ordinamenti costituzionali alle libertà di coscienza e di associazione, e quindi opposizione anche ad ogni proposta di legge in odio alle congregazioni religiose e che comunque tenda a turbare la pace religiosa della Nazione;
- Svolgimento della legislazione scolastica secondo il criterio che, col maggiore incremento alla scuola pubblica, non siano fatte condizioni che intralcino o screditino l’opera dell’insegnamento privato, fattore importante di diffusione e di elevazione della cultura nazionale;
- Sottrarre ad ogni incertezza ed arbitrio e munire di forme giuridiche sincere e di garanzie pratiche, efficaci, il diritto dei padri di famiglia di avere pei propri figli una seria istruzione religiosa nelle scuole comunali;
- Resistere ad ogni tentativo di indebolire l’unità della famiglia e quindi assoluta opposizione al divorzio;
- Riconoscere gli effetti della rappresentanza nei Consigli dello Stato, diritto di parità alle organizzazioni economiche o sociali indipendentemente dai principii sociali o religiosi ai quali esse si ispirino;
- Riforma graduale e continua degli ordinamenti tributari e degli istituti giuridici di giustizia nei rapporti sociali;
- Appoggiare una politica che tenda a conservare e rinvigorire le forze economiche e morali del paese, volgendole a un progressivo incremento dell’influenza italiana nello sviluppo della civiltà internazionale.
Questi punti furono inseriti anche nell’accordo fondativo (firmato nel 1912) del neonato Partito Liberale.
Il patto fu concluso in maniera informale: Giolitti, di fronte alle accuse di aver “ceduto” ai cattolici, riferitegli dai liberali della sua maggioranza, ne negò l’esistenza [1]. I radicali comunque lasciano la maggioranza giolittiana. Fra i cattolici, espresse delle riserve don Luigi Sturzo, che si batteva per la creazione di un partito di cattolici [2]. Anche Francesco Luigi Ferrari fu tra i contrari[3]. La Santa Sede appoggiò tacitamente il Patto: in vista delle elezioni, papa Pio X tolse il non expedit in 330 collegi su 508 [1].
I risultati delle elezioni del 1913 sancirono il grande successo del Patto: i liberali ebbero il 51% dei voti e su 508 seggi ebbero 260 eletti. Di questi, 228 furono gli eletti che avevano sottoscritto gli accordi del Patto prima delle elezioni. I deputati socialisti (PSI e “Socialisti indipendenti e sindacalisti”) videro salire a 58 il numero dei propri eletti, i riformisti (Partito Socialista Riformista Italiano) eletti furono 21, 73 furono i radicali (tra cui Romolo Murri), 34 i cattolici (non aderenti al Partito Liberale) e 5 i nazionalisti. Il Patto Gentiloni aveva portato alla fusione tra il filone risorgimentale e il filone cattolico; le due componenti, unite, formarono una larga maggioranza nel paese.
Prima del «Patto Gentiloni», l’alleato di Giolitti era il Partito Radicale che, con i suoi settanta deputati, aveva appoggiato il terzo e quarto governo Giolitti. Dopo le elezioni del 1913 i radicali passarono all’opposizione per protesta. Dopo il congresso nazionale, svoltosi a Roma tra il 31 gennaio e 2 febbraio 1914 decisero di uscire dal governo (4 marzo).