Palmiro Togliatti

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Palmiro Togliatti
Togliatti.jpg

Segretario generale del
Partito Comunista Italiano
Durata mandato 1927 –
21 agosto 1964
Predecessore Antonio Gramsci
Successore Luigi Longo

Ministro di Grazia e Giustizia delRegno d’Italia
Durata mandato 21 giugno 1945 –
1º luglio 1946
Predecessore Umberto Tupini
Successore Fausto Gullo (Ministro di Grazia e Giustizia della Repubblica Italiana)

Vicepresidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia
Durata mandato 12 dicembre 1944 –
21 giugno 1945
Predecessore Giuseppe Spataro
Successore Pietro Nenni

Dati generali
Partito politico Partito Socialista Italiano(191421),
Partito Comunista Italiano (192164)
Titolo di studio Laurea in giurisprudenza
Alma mater Università degli Studi di Torino
Professione giornalista, dirigente politico
Firma Firma di Palmiro Togliatti
on. Palmiro Michele Nicola Togliatti
Bandiera italiana
Assemblea costituente
Luogo nascita Genova
Data nascita 26 marzo 1893
Luogo morte Jalta
Data morte 21 agosto 1964
Titolo di studio Laurea in Giurisprudenza
Professione giornalista
Partito Partito Comunista Italiano
Gruppo Comunista
Circoscrizione Collegio Unico Nazionale
Pagina istituzionale
on. Palmiro Michele Nicola Togliatti
Bandiera italiana
Parlamento italiano
Camera dei deputati
Palmiro Michele Nicola Togliatti
Luogo nascita Genova
Data nascita 26 marzo 1893
Luogo morte Jalta
Data morte 21 agosto 1964
Titolo di studio Laurea in Giurisprudenza
Professione Giornalista, funzionario di partito
Partito Partito Comunista Italiano
Legislatura IIIIIIIV
Gruppo Comunista
Coalizione Col Partito Socialista Italianofino al 1963
Collegio Torino, Roma
Pagina istituzionale

Palmiro Michele Nicola Togliatti (Genova26 marzo 1893 – Jalta21 agosto 1964) è stato un politico e antifascista italiano, leader storico del Partito Comunista Italiano. Come ringraziamento per le sue attività politiche, ricevette anche la cittadinanza sovietica[1].

Fu uno dei membri fondatori del Partito Comunista d’Italia e, dal 1927 fino alla morte, segretario e capo indiscusso del Partito Comunista Italiano, del quale era stato il rappresentante all’interno del Comintern (di qui, per le sue capacità di mediatore fra le varie anime del partito, lo pseudonimo di «giurista del Comintern» attribuitogli da Lev Trotsky[2]), l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti. Anche di questo organismo Togliatti fu uno degli esponenti più rappresentativi e, dopo che esso fu sciolto nel 1943 e sostituito dal Cominform nel 1947, rifiutò la carica di segretario generale, offertagli direttamente da Stalin, preferendo restare alla testa del partito in Italia.

Dal 1944 al 1945 ricoprì la carica di vice Presidente del Consiglio e dal 1945 al 1946 quella di Ministro di Grazia e Giustizia nei governi che ressero l’Italia dopo la caduta del fascismo. Membro dell’Assemblea Costituente, dopo le elezioni politiche del 1948 guidò il partito all’opposizione rispetto ai vari governi che si succedettero sotto la guida della Democrazia Cristiana.

 

 

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Le origini familiari e gli studi[modifica | modifica wikitesto]

Il padre Antonio nacque nel 1852 a Coassolo, in provincia di Torino. La famiglia avrebbe voluto destinarlo alla carriera ecclesiastica ma Antonio, dopo il seminario a Giaveno, non volle prendere i voti e si trasferì a Torino, si diplomò maestro e dopo un periodo d’insegnamento si impiegò dapprima come istitutore e poi come contabile nell’amministrazione dei Convitti nazionali del Regno, sposando una maestra elementare torinese, Teresa Viale, che divenne « la figura centrale della famiglia ».[3]

Il lavoro del padre costrinse i Togliatti a frequenti spostamenti in diverse città. La madre dovette lasciare l’insegnamento per occuparsi esclusivamente della famiglia che intanto andava crescendo: il primogenito Eugenionacque a Orbassano nel 1890, Maria Cristina e Palmiro a Genova, nella casa di via Albergo dei Poveri 9, rispettivamente nel 1892 e nel 1893, mentre l’ultimo figlio Enrico nacque a Torino nel 1900. Il nome Palmiro gli venne dato perché nato nel giorno della Domenica delle Palme. I genitori erano infatti religiosi senza però essere bigotti: «Per abitudine si andava a messa tutte le domeniche, ma non sentii mai il problema religioso con troppa intensità ».[4]

Nel 1897, a Novara, dove intanto la famiglia si era trasferita, Palmiro frequentò insieme con la sorella[5] la prima elementare, ma proseguì gli studi a Torino; poi, dal 1902 fu a Sondrio, dove conseguì la licenza ginnasiale, e dal 1908 frequentò il Liceo classico « Azuni » di Sassari, dove risultò con la sorella il migliore dell’Istituto, ottenendo così entrambi la « licenza d’onore », che li esonerava dall’obbligo di sostenere l’esame finale dimaturità.[6]

Il padre Antonio, malato di cancro, si era intanto dovuto ricoverare in ospedale a Torino, morendovi il 21 gennaio 1911: la famiglia, già di condizioni modeste, cadde in serie ristrettezze economiche. Trasferita la famiglia nell’estate del 1911 nella casa torinese di Lungodora Firenze 55, la madre Teresa si diede a lavorare di cucito mentre Eugenio, studente dell’ultimo anno di matematica, dava lezioni private, unitamente a Palmiro e Maria Cristina, che pure studiavano per superare il concorso con il quale il Collegio Carlo Alberto metteva a disposizione 65 borse di studio di 70 lire mensili per frequentare l’Università di Torino. Nell’ottobre 1911 entrambi superarono gli esami: Palmiro si classificò secondo e Maria Cristina undicesima: al nono posto figurò un giovane venuto dalla SardegnaAntonio Gramsci, futuro compagno di Togliatti nelle lotte politiche. Gramsci s’iscrisse, come Maria Cristina, alla facoltà di lettere, mentre Palmiro, che avrebbe voluto seguire i corsi di filosofia, per decisione dei familiari dovette iscriversi alla Facoltà di giurisprudenza.

 

Togliatti negli anni venti

Non è chiaro il preciso percorso intellettuale del giovane Togliatti: nel clima culturale di quegli anni stavano ormai prevalendo sul vecchio positivismo le correnti neo-idealistiche che andavano dal magistero di Benedetto Croce fino alle espressioni più esasperate di nazionalismo e di spiritualismo. Se a queste ultime Togliatti dichiarerà sempre di essere rimasto estraneo, è certo che Benedetto Croce soprattutto, e poi La Voce di Giuseppe PrezzoliniGaetano Salvemini e Romain Rolland ebbero non poca parte sulla sua formazione giovanile, mentre il primo accostamento al marxismo sarebbe avvenuto soprattutto tramite gli scritti del Labriola. Ma due furono gli elementi decisivi che portarono Togliatti al socialismo marxista: l’amicizia di Gramsci e la concreta realtà sociale torinese, che vedeva allora lo sviluppo di un forte e organizzato movimento operaio.[7]

Togliatti s’iscrisse al Partito socialista nel 1914, anche se non frequentò la vita di partito per diversi anni, e allo scoppio della prima guerra mondiale si dichiarò favorevole all’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa,[8]secondo una considerazione politica, presente anche se minoritaria fra gli stessi socialisti, che portava a distinguere « fra la guerra imperialista e le giuste rivendicazioni nazionali contro i vecchi imperialismi. Non ritenevano giusto che alcune province italiane rimanessero sotto il dominio di uno Stato straniero, per di più reazionario ».[9]

Dopo un brillante percorso di studi concluso con la media del 30, Togliatti si laureò nel novembre 1915 con la tesi Il regime doganale delle colonie, discussa con Luigi Einaudi. Seguendo la sua primitiva inclinazione, s’iscrisse anche alla facoltà di Lettere e Filosofia, ma la guerra prima e l’attività politica poi gli impedirono di conseguire la seconda laurea. Infatti, pur riformato per la fortemiopia, nel 1915 si arruolò volontario nella Croce Rossa, prestando servizio in diversi ospedali, anche al fronte. Nel frattempo, le necessità belliche indussero i Comandi militari a rivedere i criteri di arruolamento, così che nel 1916 Togliatti fu dichiarato “abile e arruolato”[10]; fu così assegnato in forza al 54º Reggimento Fanteria per poi passare, su sua richiesta, al 2º Reggimento Alpini. Nel 1917 fu ammesso al corso allievi ufficiali di Caserta che superò senza però ottenere la nomina a ufficiale a causa di una grave pleurite intervenuta nel frattempo: caporal maggiorealla sanità, nel dicembre del 1918, allo scadere di una lunga licenza, fu congedato.[11]

L’inizio dell’attività politica[modifica | modifica wikitesto]

L’Ordine Nuovo[modifica | modifica wikitesto]

 

Il primo numero de L’Ordine Nuovo

A Torino, Togliatti insegnò diritto ed economia in un Istituto privato e collaborò come cronista nel quotidiano socialista Avanti!: s’impegnò anche nell’attività politica delle sezioni del Partito e tenne il suo primo comizio a Savigliano.

Nel 1919 il Partito socialista era in piena espansione di consensi elettorali, particolarmente nel capoluogo piemontese, dove lo sviluppo industriale aveva creato un forte nucleo operaio. Dopo il successo della Rivoluzione russa i giovani socialisti torinesi, Gramsci in testa, avevano avvertito che, di fronte all’inerzia dei dirigenti socialisti nazionali – parte dei quali ritenevano che la rivoluzione socialista sarebbe avvenuta ineluttabilmente per forza propria, mentre altri consideravano strategica una politica esclusivamente riformista – quello torinese poteva essere un laboratorio politico dove sviluppare le premesse di una rivoluzione italiana, per conseguire la quale occorreva però un’azione diretta allo scopo. Per dare voce a tali esigenze, per comprendere i nuovi, enormi problemi creati dalla guerra e dalle rivoluzioni che si sviluppavano in Europa e per fare i conti con la cultura italiana contemporanea, GramsciTascaTerracini e Togliatti fondarono il settimanale L’Ordine Nuovo, il cui primo numero uscì il 1º maggio 1919.

Togliatti vi tenne la rubrica culturale «La battaglia delle idee», con articoli spesso polemici: ne fecero le spese il già ammirato Prezzolini, ora giudicato un moralista, un «maestro di scuola, predestinato alla sterilità», lo scrittore Piero Jahier, cui rimproverò il dilettantismo politico e Piero Gobetti, un «predicatore del rinnovamento morale del mondo», un «ragazzo d’ingegno» sì, ma dal «frasario nuvoloso che dovrebbe dare l’illusione della profondità».[12] La recensione al libro Polemica liberale del noto giornalista Missiroli gli diede occasione, dopo aver riconosciuto i meriti storici dei principi liberali, di denunciare i limiti del liberalismo politico italiano, «movimento di un’aristocrazia intellettuale e non riscossa di sane e forti energie sociali», rispetto al quale «il socialismo può diventare il vero liberatore del paese nostro».[13]

 

Amadeo Bordiga

Da giugno, sotto l’impulso di Gramsci, il settimanale mutò interessi e contenuti: meno rassegne culturali e più attenzione alle forme di organizzazione che il movimento operaio italiano si stava dando, sulla scorta dell’esperienza russa dei Soviet come di quella tedesca dei Revolutionäre Obleute e degli Arbeiterräte austriaci: la creazione dei Consigli operai. La commissione di fabbrica è giudicata da L’Ordine Nuovo non solo un organo di democrazia operaia ma anche il nucleo di un futuro potere proletario, l’«ordinatrice di fatto e di diritto di tutto il regime di produzione e di scambio».[14]

Le valutazioni positive de L’Ordine Nuovo contrastavano con le posizioni critiche, per diversi motivi svolte al riguardo tanto dai sindacalisti della Camera del Lavoro – che rimproverano di anarchismo quegli operai – quanto da Amadeo Bordiga, che dalla rivista Soviet accusava l’iniziativa di «economicismo»: il proletariato non può emanciparsi sul terreno dei rapporti economici «mentre il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico».[15]

 

Togliatti nel periodo della collaborazione a L’Ordine Nuovo

Il movimento dei Consigli continuò a svilupparsi, insieme all’estensione dei conflitti sindacali, delle serrate e delle occupazioni delle fabbriche, e gli ordinovisti, come del resto la FIOM, appoggiarono l’occupazione dellaFIAT, avvenuta il 1º settembre 1920 a seguito della serrata industriale, che fu imitata da quasi tutte le fabbriche della città, e la gestione della produzione attivata dai Consigli operai in assenza dei tecnici e dei dirigenti della fabbrica. Togliatti, che in luglio aveva assunto la carica di segretario della Sezione socialista torinese, era convinto che la dittatura proletaria fosse attuabile «perché era realizzata la sua fondamentale premessa storica: il prevalere del proletariato industriale e rivoluzionario nella vita del paese, e l’imporsi della sua ideologia di conquista a tutte le categorie di lavoratori».[16]

La fondazione del Partito comunista[modifica | modifica wikitesto]

L’occupazione ebbe termine il 26 settembre con un compromesso tra la proprietà e gli operai favorito da Giolitti. Di fronte all’inerzia del Partito socialista gli ordinovisti si convinsero che «il destino della rivoluzione socialista dipende soprattutto dalla esistenza di un partito che sia veramente un partito comunista»,[17] e la Sezione torinese decise a grande maggioranza di costituirsi in frazione comunista, partecipando con Gramsci al Convegno di Imola che il 29 novembre sancì ufficialmente la frazione comunista del Partito socialista, che vedeva in Amadeo Bordiga il suo leader più prestigioso. Il 15 gennaio 1921 si aprì a Livorno il XVII Congresso socialista e il giorno 21 la minoranza comunista si costituiva in partito, il Partito comunista d’Italia: degli ordinovisti, erano presenti a Livorno Gramsci e Terracini, mentre Togliatti era rimasto a Torino a dirigere L’Ordine Nuovo, ora divenuto quotidiano.

Da tempo erano iniziate le violenze delle squadre fasciste nell’indifferenza delle forze dell’ordine, che privilegiavano la sorveglianza dei comunisti. Il fascismo è giudicato «la parte peggiore dellaborghesia italiana, quella che non ha mai fatto l’abitudine a una scuola di pensiero, quella che è classe dominante unicamente per una specie di diritto di ereditarietà; ma non possiede alcuna delle qualità che occorrono ai dirigenti di uno Stato».[18]

Saluta l’opposizione alle violenze fasciste di Firenze del marzo 1921 scrivendo che «il proletariato non deve mai dare esempio di viltà […] meglio, cento volte meglio, lasciare cinquanta morti sul lastrico di una città che tollerare senza reazione la violenza e l’offesa», e di fronte all’incendio della Camera del Lavoro di Torino, avvenuto senza incontrare opposizione, scrive il 4 maggio 1921: «Quando ti pentirai, o popolo, di quello che non hai fatto, di quello che non hai ancora saputo fare, di quello di cui gli avversari tuoi hanno dovuto farti la scuola? … Ma non rallegratevi, borghesi: nell’animo del popolo d’Italia maturano propositi. E non parole, non canti, ma fuoco e cenere d’incendi, e secco scoppiettare di fucilate li fan maturare».[19] Mentre Gramsci rimase a Torino a dirigere L’Ordine Nuovo, alla fine dell’estate del 1921 Togliatti venne mandato a Roma, «città dei trafficanti e dei burocrati, città del popolo eroico e generoso e della borghesia vile e parassita»,[20] come redattore-capo del quotidiano «Il Comunista», diretto dal deputato Luigi Repossi, che iniziò le pubblicazioni l’11 ottobre: percepiva 1.500 lire al mese e alloggiava in una pensione di via Giovanni Lanza 152; continuò tuttavia a collaborare anche al quotidiano torinese, telefonando alla sera le proprie corrispondenze. A Roma si stampava anche «Compagna», diretta da Giuseppe Berti: fra le redattrici vi era la torinese Rita Montagnana, sorella di Mario, un altro redattore de L’Ordine Nuovo, e tra Rita e Togliatti nacque qualche tempo dopo una relazione che sfocerà nelmatrimonio, celebrato nel Municipio di Torino il 27 aprile 1924.

 

Tessera del PCd’I del 1921

 

Mario Montagnana

Il III Congresso dell’Internazionale Comunista, nel giugno del 1921, di fronte all’esaurirsi della spinta rivoluzionaria in Europa, aveva stabilito la nuova tattica che i partiti comunisti nazionali avrebbero dovuto seguire: quella di un fronte unico con i partiti socialisti per opporsi alla montante reazione della destra. Tuttavia il Partito comunista d’Italia si oppose a quell’indirizzo e nel suo II Congresso, tenuto a Roma nel marzo del 1922, Bordiga e Terracini, per la maggioranza dei congressisti, ribadirono nelle loro tesi il rifiuto a ogni accordo con i socialisti, sottovalutarono il pericolo fascista e previdero uno sbocco socialdemocratico alla crisi italiana: restava operante solo l’intesa con i socialisti sul piano sindacale.[21] Gramsci e Togliatti, che entrò a far parte del Comitato Centrale, si allinearono con la maggioranza di Bordiga, pur non condividendo l’opposizione alle direttive del Comintern, perché temevano una frattura, se non una scissione nel partito.[22]

Il 5 ottobre, commentando la conclusione del XIX Congresso socialista, Togliatti scrisse su L’Ordine Nuovo che l’espulsione dal PSI dei riformisti di Turati rappresentava un segnale positivo per il riavvicinamento dei due partiti,[23] un concetto ribadito il 12 ottobre, in un discorso tenuto al Comitato centrale del Partito.[24]

L’avvento del fascismo[modifica | modifica wikitesto]

Il 28 ottobre 1922, in coincidenza con la marcia su Roma, una squadra fascista penetrò nella tipografia dove si stampava «Il Comunista»: vi era anche Togliatti, che riuscì a fuggire. Il quotidiano cessò le pubblicazioni il 31 ottobre, con un ultimo appello all’attività illegale. A Torino, ci aveva pensato il 29 ottobre il questore Benedetto Norcia a chiudere provvisoriamente L’Ordine Nuovo, imitato dal collega diTrieste che aveva sospeso le pubblicazioni dell’altro quotidiano comunista «Il Lavoratore».

Minimizzava intanto, come la maggioranza del gruppo dirigente del Partito, il significato politico dell’avvento dei fascisti al governo: «non hanno profondamente modificato la situazione interna italiana […] il governo fascista, che è la dittatura della borghesia, non avrà interesse di liberarsi di alcuno dei tradizionali pregiudizi democratici».[25]

Togliatti ritornò a Torino dove, 7 novembre, tenne un comizio in celebrazione dell’anniversario della Rivoluzione russa; nel dicembre successivo Torino fu sconvolta dalla strage del 18 dicembre, quando gli squadristi comandati dal console della Milizia Piero Brandimarte devastarono la Camera del Lavoro e la sede de L’Ordine Nuovo, uccidendo 22 persone. Dopo questo avvenimento Togliatti si distaccò dall’attività politica, per motivi non chiariti: per una malattia,[26] per una crisi sentimentale,[27] per paura delle rappresaglie fasciste o forse perché «per Togliatti la politica era arte di governo, non milizia rivoluzionaria. Forse gli si presentò in quella e in altre occasioni il problema se dovesse veramente abbandonare i suoi studi per dedicarsi unicamente alla politica».[28] Non fu nemmeno coinvolto dall’ondata di arresti ordinati nel febbraio del 1923 da Mussolini: oltre ai delegati comunisti di ritorno dal IV Congresso dell’Internazionale, che aveva imposto la fusione dei partiti socialista e comunista, furono arrestati più di 5.000 dirigenti comunisti di vario livello;[29] tra le maggiori personalità, sfuggirono all’arresto, a parte Gramsci, rimasto a Mosca, e Tasca, che si trovava in Svizzera, soltanto Terracini, Camilla Ravera e lo stesso Togliatti.

 

Camilla Ravera

L’operazione poliziesca coordinata da De Bono era del tutto illegale e infatti tutti furono prosciolti in istruttoria o assolti alla fine dell’anno nel processo, ma raggiunse lo scopo di allontanare dal Partito i militanti meno decisi e di sconvolgere l’organizzazione, costringendola all’illegalità. In aprile Togliatti riprese i contatti con il Partito, entrando a far parte del Comitato esecutivo: assunto lo pseudonimo di Paolo Palmi, si trasferì nella nuova sede clandestina costituita adAngera, sul Lago Maggiore.

 

Mauro Scoccimarro

Erano i giorni in cui l’Internazionale, con un atto d’imperio, aveva imposto al Partito italiano la formazione di un nuovo esecutivo costituito da tre esponenti della maggioranza di sinistra, Togliatti, Scoccimarro eFortichiari,[30] e da due della minoranza di destra, Angelo Tasca e Giuseppe Vota, con il compito di portare ad effetto la fusione con la frazione del Partito socialista aderente all’Internazionale,[31] guidata daGiacinto Menotti Serrati. Togliatti, ancora legato a Bordiga, il quale era nettamente contrario all’operazione, esitava, dichiarandosi disposto ad accettare la carica a condizione di sviluppare «una polemica aperta con l’Internazionale e con la minoranza del partito» e denunciando a Gramsci quello che riteneva essere il tentativo, da parte della minoranza, di liquidare l’«esperienza del movimento politico proletario 

Palmiro Togliattiultima modifica: 2014-10-15T18:24:46+02:00da vitegabry
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