Quando finisce un concerto si applaude l’artista; si chiede il bis; ci si dimentica della fatica che è costata a quanti hanno contribuito a costruire il palco, a mettere nel giusto posto le luci, per creare emozioni; a rendere sicuro l’ascolto per centinaia di migliaia di fan, accalcati come sardine in stadi all’aperto, senza preoccuparsi troppo di ciò che può accadere.
Nelle due ore di concerto, tutto fa spettacolo, ma ieri non è andata così. L’incidente costato la vita a un giovane di 20 anni e il ferimento di altri sei operai ha svelato l’altra realtà, quella sacrificata in nome del divertimento; è meno accattivante, quanto profondamente più vera.
Francesco, così si chiama, è uno studente di 20 anni, che lavorava per garantirsi quel diritto allo studio, che grazie anche alla riforma Gelmini, sta diventando sempre più un lusso, prerogativa dei più facoltosi, in barba al dettato costituzionale, che lo inserisce tra i diritti universali.
Possiamo star certi che dopo la tragedia ci sarà la corsa a definire quanto è accaduto una fatalità. Eppure, la misera paga di cinque euro l’ora, metà di quanto prende una qualsiasi badante, non possono lasciare spazio ad indugi. Si tratta di lavoro sommerso, quello che non si vede quando c’è da metter su uno spettacolo: massacrante perché bisogna farlo in tempi strettissimi, quelli imposti per assicurare all’artista di turno di salire sul palco per la sua performance.
Sarebbe stato più giusto rispettare alcune regole di base per evitare la tragedia: rispettare le norme sulla sicurezza, anche a costo di spendere qualche giorno in più, magari spostando le date del tour. Così non è stato. E oggi piangiamo ancora una volta l’ennesima vittima del lavoro; che questa volta fa più rumore perché coinvolge un artista famoso.
Per un momento, la buona musica fa un passo indietro. Jovanotti, giustamente, ha sospeso il tour, ma resta un gesto simbolico, che lascia inalterata una domanda senza risposta. Quante altre vittime del lavoro dovranno essere sacrificate prima che il nostro paese si assuma la responsabilità di assicurare, senza se e senza ma, di far rispettare le norme sulla sicurezza. In questa vicenda ci sono responsabilità civili, penali e morali dalle quali nessuno può chiamarsi fuori, neppure gli artisti, se è vero ciò che ha detto Jovanotti: “Un tour è una famiglia e si lavora per portare in scena la vita e la gioia”. Questa volta, però, è andata in scena la tragedia dell’Italia sommersa.